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lunedì 27 febbraio 2012

Scelte

Recentemente mi sono trovata a prendere una decisione che non avevo mai preso prima; la crisi si sente anche nel nostro settore, eccome se si sente, anche se tanta gente pensa che non sia così e che gli assicuratori siano tutti pieni di soldi perchè "l'assicurazione è obbligatoria, bisogna pagarla". A parte il fatto che c'è un numero sempre più alto e preoccupante di persone che non lo assolvono, quell'obbligo, e circolano con la macchina o con il furgone da lavoro scoperti (incoscienti come minimo, quando non criminali), ormai tutte le richieste sono a ribasso, per cercare di spendere meno (eliminare coperture non obbligatorie o ridurre all'osso quelle obbligatorie). Le Polizze che restano lì arretrate non si contano, e non ha senso - nella maggioranza dei casi - minacciare l'azione legale per il recupero, tanto non si cava sangue dalle rape. Qualche volta la mando avanti, l'azione legale, ma solo se mi rendo conto che il mancato pagamento è una ripicca, o un tentativo di evitare la disdetta pur volendo assicurarsi altrove; tuttavia in molti casi si è davvero davanti a famiglie che devono decidere se pagare la Polizza della casa o la bolletta della luce, e allora si lascia perdere, sperando che si ricordino del tuo buon cuore e ritornino da te, in futuri tempi di vacche grasse.
Come per le famiglie italiane, anche per me calano le entrate mentre le uscite restano le stesse: affitti, bollette, stipendi & contributi, parcelle del commercialista e del consulente del lavoro, la rivalsa da pagare... La "rivalsa", per chi non è addentro al settore, è l'enorme somma che devo versare alla Compagnia (opportunamente mensilizzata) per avermi "affidato" l'Agenzia che gestisco, perchè non è che te la diano perchè sei bello e bravo, praticamente la devi "comprare". Sono soldi che in teoria poi ti ritorneranno sotto forma di liquidazione quando andrai via, salvo che qualche legislatore intervenga e la sforbici un pochino (chissà se Bersani si è mai chiesto quale ripercussione ha avuto la sua Legge 40 sulle rivalse degli Agenti più giovani: io sto ancora pagando un portafoglio calcolato su Polizze di durata decennale, mentre nel frattempo metà di queste se ne sono già andate anzitempo!). L'anno scorso quindi, nell'impossibilità di aumentare le entrate, ho dovuto metter mano drasticamente ai costi dell'Agenzia, come ogni buon imprenditore che si rispetti e che non voglia chiudere la baracca. In questo modo l'economia si involve e stagna, ma nell'immediato è l'unica soluzione. Anch'io quindi ho chiesto di spendere meno, ho ridotto le spese pubblicitarie, verificato le utenze, ottimizzato gli spostamenti (quel maledetto gasolio!). E poi ho convocato le Ragazze, perchè c'era bisogno di sforbiciare anche lì. Mi era già capitato di interrompere dei rapporti di lavoro, ma era sempre successo perchè c'era qualcosa che non andava nella persona da mandare via; del resto, prima di trovare la persona giusta bisogna fare un po' di prove, come nella vita (chi si sposa con il primo fidanzatino?!). Mai accontentarsi della prima faccia che ti passa il convento. Mi è capitato di dire a una persona "non sei adatto a questo tipo di lavoro" (dopo averle provate tutte, non si può fare beneficenza in ufficio, non con lo stipendio per lo meno), come del resto mi è capitato di sentirmi dire "me ne vado, non mi piace questo lavoro, non è quello che credevo", e ci sta: uno prova, si mette in gioco, può andare bene oppure no.
Questa volta invece è stato diverso, perchè le Ragazze andavano bene, il clima generale tra di loro era buono, ma neanche dalle rape dell'Agenzia si cava il sangue. E' stato brutto per vari motivi: per cercare di essere corretta e di non far cadere dal cielo in un amen una decisione che avrebbe potuto cambiare bene o male le loro vite ne abbiamo parlato insieme con un bel preavviso (vari mesi), in modo che tutte e tre si sentissero responsabilizzate e conscie della situazione. Il risultato è stato che, invece di dare ognuna il meglio di sè, hanno cominciato a guardarsi in cagnesco, e questo "mors tua vita mea" ha portato il clima dell'ufficio a livelli di tensione inaudita, cosicchè sentivo di non potermi fidare di nessuna delle tre. Ho scelto egoisticamente e "per il bene dell'azienda", come doveva essere: poichè gestisco due uffici tre persone mi servono, non puoi tenere aperti due sportelli con due persone sole, perchè ci sono le ferie, le malattie, le recite dei bambini, il mal di testa, lo sciopero degli autobus... E poi le avevo scelte apposta una diversa dall'altra, e una diversa dall'altra mi servivano: la naturale empatia di una mette a suo agio i Clienti, ma poi serve la precisione di un'altra affinchè in ufficio regni l'ordine. La scelta è stata tenerle tutte tre, tutte in part-time.
Sono passati quasi tre mesi da quando c'è questo nuovo stato di cose, e il clima continua a non essere dei migliori; la scelta si è rivelata azzeccata per la realtà dell'ufficio, visto che il lavoro è calato drasticamente, ma lo strascico si sente. Chissà, forse avevo sbagliato fin dall'inizio a cercare di creare un ambiente "familiare", dove fossimo tutti molto uniti, dove si potesse parlare ed essere ascoltati. Forse avrei dovuto mantenere un atteggiamento distaccato, di quelli che fanno pesare la gerarchia, senza raccontare i fatti miei o ascoltare le loro confidenze, le loro storie, le loro speranze ed aspettative. Una di loro (conoscono tutte la mia passione per l'arte) mi ha detto che si è sentita barattata con un quadro. E' stata una frase orribile, che mi ha ferito molto. Le ho dato l'unica risposta possibile, che del resto è la pura verità: cosa faccio io con i soldi miei non è affar suo. Nel senso: ogni mese io mi accantono una sorta di stipendio in qualità di Titolare, e cosa vado a fare con quei soldi e con quelli dei miei risparmi personali (se mi ci pago le ferie, o mi compro vagoni di scarpe facendo in compenso la fame, o mi ci ubriaco, o compro quadri, o BOT, o me li fumo in Borsa) sono solo problemi miei. I loro stipendi, come tutti i costi aziendali, sono pagati con i soldi aziendali; dei miei soldi personali non devo di certo rendere conto a loro. Ma al di là di quello che le ho dovuto rispondere, la cosa mi ha fatto anche riflettere, perchè è naturale che se le cose in azienda non vanno bene un dipendente possa pensare che il Titolare debba calarsi lo stipendio. E' sì o è no? Io critico profondamente gli imprenditori che licenziano i propri dipendenti e poi vanno in giro in Ferrari, ma non è neanche pensabile che io come Titolare prenda a fine mese meno di un mio dipendente! Se perdo Clienti (attività che chiudono, famiglie senza lavoro…) e le mie provvigioni decrementano di un importo pari ad uno stipendio, potrà essere logico eliminare quel costo, posto che la persona che percepisce quello stipendio vuole continuare a svolgere le mansioni abituali, perchè non può o non vuole fare altro? Si fa un gran parlare e sparlare dell’articolo 18 (non mi riguarda come numeri, ma è un concetto che tocca tutti), che al di là di quello che dice esattamente è diventato il simbolo della tutela del lavoratore dipendente: e della tutela del lavoratore autonomo chi si occupa? Io lavoro come minimo il triplo di te mio dipendente, in termini di tempo ed in termini di impegno, non ho ferie e/o malattie pagate, ho obblighi enormi datemi dalle Leggi nei confronti dei consumatori con risvolti civili e penali pesantissimi, mentre tu mio dipendente fai il tuo lavoro con diligenza e la cosa finisce lì. Dovrei forse ridurmi lo stipendio perchè tu fai fatica a pagare il mutuo? Dove devono finire il rispetto e la lealtà per me "persona giuridica" ed iniziare quelli per me "persona fisica"? Domande e dubbi etici senza risposta, credo. Poi, mentre io mi dibatto tra questi pensieri, una di loro va a fare un colloquio da un Collega e a momenti mi dà le dimissioni senza preoccuparsi di chiedere se la assumono a tempo indeterminato piuttosto che per sostituire una maternità, e se non glielo faccio notare io rischia di trovarsi per strada. Della serie, chi ha il pelo sullo stomaco e chi no.

giovedì 23 febbraio 2012

Groupon

Ho acquistato anch’io due-tre volte tramite Groupon, adesso va per la maggiore ed in effetti ci sono cose interessanti. Ma resto scettica. Non so se c'è ancora qualcuno che non conosce e/o non utilizza Groupon, che per la cronaca è un sito a cui ci si registra per fruire di offerte scontatissime presentate a tempo, le più svariate: ristoranti, alberghi, capi di vestiario, oggettistica, hi-tech, cura della persona, a dire il vero di recente ho visto anche un vibratore rosa... si vede che è un servizio nato da poco e non ancora ben rodato e controllato, perchè non c'era il blocco per i presunti minori, e se lo compra una ragazzina intravedo già la possibilità di una causa milionaria. Ingenuotti.
Comunque le offerte sono davvero ghiotte, lo sconto applicato può raggiungere cifre importanti, ma... resto scettica. Va benissimo per gli alberghi, gli scontissimi per le prenotazioni last-minute esistono da tempo, un albergo li contempla nel proprio budget annuale. Meglio una camera occupata a pochi soldi che la stessa camera rimasta vuota. Va bene anche per l'oggettistica, roba che si compra una tantum, anche se spesso controllando bene i siti dei venditori le cifre sono le stesse (Groupon viene usato per il traino pubblicitario, per raggiungere più consumatori possibile, soprattutto per siti minori o meno conosciuti). Ma penso ai parrucchieri e agli estetisti, per esempio, che offrono prestazioni veramente sottocosto: davvero è un modo per acquisire nuovi Clienti che poi ritornino, o piuttosto chi usa il coupon di Groupon è il classico "esperto del risparmio", che gira tutti gli offerenti solo fino a quando può ottenere il mega-sconto, e poi a prezzo pieno non ci va manco morto? Interessa davvero un Cliente così? E' un po' come chi - da noi - ogni anno gira tutte le Agenzie di Assicurazione dell'intera Provincia (anche della stessa Compagnia!) per cambiare OGNI ANNO assicurandosi da chi fa meno. Mi freghi una volta sola, caro mio, l'anno dopo se torni col cavolo che perdo mezz'ora per illustrarti il preventivo. Va' su Internet, per favore.
Io personalmente - da buona "vecchiotta" - ci metto anche l'aspetto umano: mai e poi mai cambierei la mia parrucchiera. Ci ho messo anni a trovare una come Silvia che è un po’ matta, lo so – e lo dico con affetto – ma ha due mani d'oro. Conosce ogni sfumatura dei miei capelli, e non mi ha mai deluso. Tagli, colore, cure, esperimenti, mi ha sempre dato ottimi consigli, con ottimi risultati. Dovrei barattare questo per un po' di sconto? Beh, anche per un grosso sconto in certi casi, ma no, io mai rischierei di mettere la testa in mano ad una sconosciuta (per non parlare dell'estetista, io che sono un filo pudica e “vergognina” ci ho messo un po' per abituarmi alla ceretta total-body: dopo tutto, un'estranea ti mette le mani in mezzo alle gambe, e non è che io le allarghi con nonchalance davanti a chiunque!). Qualche mese fa ho letto sul Corriere che l'ordine dei Medici Dentisti stava preparando un'azione contro alcuni Studi che si proponevano su Groupon con prestazioni a prezzi stracciati, e che non avrebbero avuto i titoli per queste prestazioni. E io dovrei farmi mettere le mani in bocca da uno che magari non è neanche dentista? Tuttavia l'appeal di certe cifre così piccole è forte, per molti, di questi tempi. Mah, sto alla finestra, Groupon è un sito giovanissimo, sono curiosa di vedere come proseguirà. Nella speranza che almeno le assicurazioni ne stiano fuori.

martedì 21 febbraio 2012

Polizze in saldo

In tempo di saldi mi divertivo fin da bambina a guardare l'evoluzione dei prezzi dei negozi della mia città, soprattutto quelli di scarpe in cui la cosa era più lampante. C'erano scarpe che costavano 60.000 lire per tutta la stagione, e poi arrivavano i saldi e ci trovavi appicciccato (sopra quelle stesse identiche scarpe, stesso colore, stessa posizione nella vetrina) il cartellino con scritto "120.000 lire sconto 50% 60.000 lire". E giù risate tra di noi che con le nostre biciclettine facevamo il giro per controllare l'onestà dei negozianti.
Poi sono cresciuta, e pur a fatica e a denti stretti devo ammettere che non solo non è cambiato niente, ma pare che la gente ami farsi infinocchiare di proposito. Resto nel campo delle televendite d'arte, di cui posso dire ormai di essere esperta (non esperta d'arte - magari lo fossi - esperta delle relative televendite), non foss'altro per la meticolosità con cui mio marito segue e raccoglie il materiale per questi nostri studi poco ortodossi. Telemarket vende le opere sempre alle stesse cifre finali (più o meno, ci sarà stata una forbice del 10% a farla grande, nel giro di un anno e mezzo di dirette), ma visto che amano sbandierare cifroni di sconto (40-50-60%; Fuori tutto!; Sfrutta l'occasione!) ovviamente il prezzo iniziale dell'ipotetico listino varia a seconda della promozione. Listino variabile, manco fosse un mutuo casa.
Questa cosa - che manda sempre in bestia i presentatori Orler, per esempio - a noi fa sogghignare, anche perchè la domanda che ci sorge spontanea è sempre quella: ma questi hanno sempre clienti verginelli che li guardano per la prima volta? Perchè è evidente che se li segui per un po' prima o poi ti accorgi del trucchetto. E a dire il vero trasmissioni di questo genere tendono ad avere spettatori e clienti abituali, visto che vengono seguite un po' come ripasso d'arte contemporanea, per capire cosa c'è in giro, quali sono i nomi nuovi, come tira il mercato (le serate Orler di Carlo Vanoni, ad esempio, sono sempre godibili come conferenze a tema, tanto elevata è la meticolosità con cui quel gran pezzo di figliuolo le prepara e la dovizia di dati con cui le correda... e sono gratis, cosa non da poco). Vedo difficile che uno accenda la televisione, veda un quadro presentato dall'abbronzato Gaudio - uno a caso, tanto dice più o meno le stesse cose di tutti, "il linguaggio del nuovo millennio" - lo prenoti subito senza informarsi in giro, lo compri e poi non guardi mai più Telemarket in vita sua. Eppure una volta in cui non c'era il sottotitolo del mega-sconto (di solito è sempre Marco Vinetti che fa questi esperimenti, chissà se vuole o se glielo impongono) non hanno battuto un chiodo, e sì che i prezzi erano sempre quelli, per chi li sa. Recentemente hanno fatto una cosa strabiliante dal punto di vista del marketing, io mi inchino davanti a chi ha queste pensate: Marco Vinetti - ancora una volta lui - ha dato molta enfasi al fatto che durante quella diretta al centralino non ci fossero i soliti dipendenti bensì i rappresentanti della Direzione, con i quali si poteva trattare liberamente modello souk marocchino rispetto al prezzo lordo annunciato a video. Noi malignamente abbiamo pensato che, sempre se era vero, probabilmente i centralinisti erano in sciopero visto il periodo non proprio roseo che sta attraversando l'azienda corbelliana, che se tanto mi dà tanto non paga gli stipendi con meticolosa puntualità. Invece la spacciavano per un'operazione pensata ed organizzata a tavolino da mesi, e fioccavano le telefonate e le prenotazioni. Questo Dova costa 50.000 Euro: chiama e fai un'offerta, vuoi mai che te lo diano a 25.000 (cioè quello a cui lo vendono solitamente, magari tu offri 35.000 e sei convinto di aver fatto l'affare della vita solo perchè hai sentito il Direttore che tentennava o veniva minacciato in sottofondo). Meraviglia di psicologia della vendita: il Cliente che diventa artefice del proprio inchiappettamento.
Non posso - è più forte di me - non applicare quanto vedo al mio lavoro. La gente vuole lo sconto, a prescindere, anche senza guardare la cifra finale o (molto peggio) le garanzie che la compongono. Il caso più eclatante è stato quello di un mio caro Cliente, direi quasi un amico, tra l’altro persona intelligente e sveglia, che aveva appena aperto una pizzeria e voleva un preventivo per assicurarla; la prima cosa che mi ha detto è stata: "Guarda che devi trattarmi bene, perchè il mio socio ha in mano un'offerta del suo assicuratore con uno sconto del 50%". CINQUANTA-PER-CENTO-DI-COSA? Quali garanzie ti dà, quali capitali assicura? Con quali scoperti, franchigie, limiti di risarcimento? E poi, fossero proprio due offerte identiche per garanzie e capitali, magari la mia tariffa è esattamente la metà di quella dell'altra Compagnia, per cui senza un Euro di sconto da me spendi uguale! Lui ci ha ragionato, ha capito, e poi ha fatto la Polizza dall'altra parte. Perchè l'altro gli aveva fatto “più sconto” (e io il suo preventivo l’ho visto, intendiamoci, era più caro del mio, posto che non conoscevo le sue franchigie). La tua pizza fa orrore, tesoro, te l'hanno mai detto?
Non so perchè, ma più la crisi colpisce nell'intimo - e ormai ci siamo arrivati a tutti i livelli - più le persone cercano gli affari in questo modo che definire idiota è poco. Basta vedere le pubblicità di certe Compagnie on-line: 300 Euro di sconto. Ma rispetto a che? Certo, se giri il giornale di 90 gradi e leggi quella riga microscopica che sembra più una decorazione della pagina vedi che c'è scritto: Profilo 5 Bologna Quattroruote 11/2011. Fa riferimento a uno studio comparativo che Quattroruote fa ogni anno tra le maggiori Compagnie in base a profili standard, e quindi quei 300 Euro sono reali solo se sei una donna di 50 anni residente a Bologna con una Audi A4 in classe prima. Ma tutti ci credono e vengono a dirmi: lì costa 300 Euro in meno. Certo, come no, visto che tu adesso stai pagando esattamente 300 Euro all'anno della tua RCA, se vai da loro è addirittura gratis. Sono in fibrillazione in attesa della conversione in Legge del famoso Decreto Cresci-Italia, vediamo cosa cambieranno di quella cosa che in germe è buona ma scritta così è una porcata. Se realmente hanno capito l'importanza della figura dell'intermediario, magari non vedremo più certe pubblicità auto-inchiappettanti in giro.

domenica 19 febbraio 2012

Sabato mattina

Finchè la crisi non era così pesante, solitamente il sabato mattina andavo in ufficio due-tre orette, perchè c'era sempre qualcosa da sistemare, da rivedere, da archiviare, c'era posta da smistare (elettronica o meno), il tutto rimasto lì da fare perchè durante l'orario di apertura il Cliente ha la precedenza assoluta, non si può certo evitare di rispondere al telefono o far aspettare la gente che entra perchè ci sono mail da evadere. Ci mancherebbe. Tra l'altro, non era che la cosa mi dispiacesse più di tanto, perchè un conto è vivere l'ufficio con il movimento settimanale (telefono che suona, gente che parla, risate, spiegazioni, chiacchiere fra colleghi, radio accesa in sottofondo eccetera), un conto è averlo tutto per me nel suo silenzio, sentendo solo il fruscio delle mie scartoffie, con il telefono rigorosamente muto. Sono un po' malata, ma sono i miei momenti, come quando apro al mattino presto, d'inverno ancora col buio, e piano piano accendo i computers, le luci, ed assisto al suo risveglio, siamo solo io e lui, l'ufficio in cui ho cominciato, ragazzina neo-laureata di quelle che portano il caffè (io no, ma solo perchè non c'era la macchinetta, in compenso la Capufficio mi chiamava per raccoglierle la penna quando le cadeva dalla scrivania), e dove adesso c'è il mio nome sulla porta. Casi della vita.
Comunque, il sabato in ufficio aveva un senso finchè durante la settimana si lavorava bene, ma visto che ultimamente il lavoro langue da morire (tutti tirano al risparmio, sia chi non ha soldi sia chi ne ha, ma vuol vedere cosa succederà a breve) e la risposta standard a nuovi appuntamenti e/o proposte è sempre no, direi che entro venerdì mattina c'è ampiamente il tempo di lasciare tutto ordinato e lindo come uno specchio, e quindi ci si può godere il sabato a casa.
Questa cosa ha un po' cambiato - piacevolmente - le nostre abitudini, nel senso che dormiamo un po' di più, indugiamo con una lunga colazione insieme, ci rassettiamo e gustiamo la casa, e ci guardiamo (cadesse il mondo) la trasmissione di Franco Raccioppo su Orler TV. Franchino da Orler presenta sia arte contemporanea che tappeti, ma con i tappeti dà decisamente il meglio di sè; si sente che i quadri gli piacciono, mentre i tappeti li ama. Sabato mattina presenta tappeti "top", vale a dire il meglio esistente su questo pianeta in fatto di tappeto moderno, che poi sono quelli che fanno andare noi fuori di testa. Probabilmente Davide Basilico, il Guru del tappeto antico, storcerebbe un po' il naso a questa mia affermazione; chiedo perdono, ma ci siamo accostati troppo di recente al mondo del tappeto per poter comprendere a fondo la bellezza dei manufatti antichi. Siamo ancora come bambini, e se Franchino mi sventola davanti agli occhi la perfezione di un Herekè seta-oro compatto come un tessuto e leggero come un fazzoletto, io balbetto per cinque minuti. Capita quando non sei abituato a certe cose (un po' come quando mio marito ha accarezzato per la prima volta la sua KTM 350 SXF, e io l'ho odiata come non ho mai odiato nessun'altra con desinenza femminile).
E' una trasmissione che amiamo seguire al di là dell'acquisto, anche perchè visto il valore dei pezzi se comprassi qualcosa tutte le volte praticamente ipotecherei i miei guadagni della prossima vita per pagare tappeti, e fortunatamente la casa è piccola e non permette tentazioni infinite. Capisco che per gli Orler è televendita, e se la gente non compra non va bene; ma è bello seguirli come se fosse un documentario. Mi piacciono anche gli speciali di National Geographic sui leoni o sul Parco del Serengeti, ma non necessariamente metto su uno zoo. Franchino spiega i tappeti in modo appassionato e non eccessivamente cattedratico, si imparano un sacco di cose: sulla storia e l'evoluzione delle manifatture, sulle varie iconografie, sui colori, sui materiali usati, e poi ci si gusta l'occhio, eccome. E' come entrare in un Museo del tappeto senza dover pagare il biglietto, la famiglia Orler ha davvero dei manufatti di incredibile qualità se paragonati alla concorrenza televisiva. Magari sai che non potrai mai permetterteli, ma intanto li puoi ammirare, e questo è già molto (soprattutto per noi che a volte ce li andiamo ad ammirare dal vivo, toccandoli anche, che per un tappeto è cosa fondamentale). L'ho già detto in un altro post: un europeo mediamente istruito trova normale ammirare Van Gogh, o Michelangelo, perchè è nel suo DNA culturale. Al tappeto bisogna accostarsi; noi siamo ancora all'inizio, restiamo imbambolati solo al pensiero dei nodi: ci sono tappeti che sembrano stoffe finissime, e invece sono fatti di nodi, milioni e milioni di nodi perfetti fatti a mano uno dopo l'altro. Vite intere di famiglie passate ad un telaio, con le loro speranze, i loro sogni, le loro storie da raccontarci attraverso quei fili.
Ci sono mattine in cui vorremmo chiamare solo per ringraziare di farci vedere tanta bellezza, perchè i fratelli Orler si sono presi un gran bell'impegno; poi non lo facciamo perchè si sa, con i complimenti mica si mangia (come ha sottolineato una volta il sagace Basilico). Ma lo pensiamo, e ci viene veramente dal cuore.

venerdì 17 febbraio 2012

Ferie

Ho un impellente bisogno di fare ferie, sarà perchè non stacco da troppo tempo, ma ormai è diventato un bisogno fisico. Abbiamo deciso (volontariamente) di usare tutti i soldi che avevamo per i nostri piccoli investimenti artistici, compresi quelli destinati alle ferie 2011 e 2012, e va bene, ne siamo contenti. Ma ho bisogno di staccare, e non riesco a staccare se non vado in Croazia. E' una consapevolezza alla quale sono giunta dopo anni e anni di esperimenti estivi: in Croazia mi rilasso completamente. Non so perchè, dal momento che non amo particolarmente il mare (preferisco tassativamente le montagne), non faccio il bagno, al sole mi scotto facilmente, e non ho un corpo da esibire con bikini stratosferici onde ritrovare chissà quale autostima nascosta dai maglioni invernali.
E' evidente che le vacanze che mi arricchiscono maggiormente lo spirito sono altre: quanto ho amato Praga, Lisbona, Madrid, per esempio. Di solito sono queste le mete dei nostri weekends lunghi di Aprile o Ottobre, e anche queste adesso saltano, ma tanto mica scappano, tra un paio d'anni saranno ancora lì (prossima meta: Tallinn-Riga-Vilnius, magari anche San Pietroburgo). Ma ho saltato la Croazia d'Agosto, e questa mi è mancata. Sarà l'odore dell'aria, l'odore del mare misto ad una vegetazione più selvaggia della nostra, il loro pesce; sarà la gente, molto gentile ma non eccessivamente servizievole, e che un po' anche ti ignora (e io in ferie non vedo l'ora di essere ignorata, il mio incubo peggiore è il villaggio-vacanze in cui gli animatori ti scandiscono i tempi del “divertimento”). Cambiamo posto ogni anno, rifuggendo man mano che anche lì arriva il turismo discotecaro, cercando posti sempre più sperduti e difficili da trovare, dove nascondersi. Io in ferie mi nascondo, da tutti, da me, praticamente mi svuoto. La mia giornata-tipo è: mi alzo presto, prendo un po' di sole buono muta e ferma come un ghiro in letargo, torno in camera quando alla spiaggia si diventa più di cinque, mi godo le lenzuola fresche leggendo libri; poi doccia, e si mangia: buon pesce, soprattutto. Ma anche tanta altra roba, tanto in vacanza mangio di tutto e non ingrasso mai. Poi ancora sonno e libri, fino al ritorno del sole buono, quello del tardo pomeriggio, poi altra doccia e un telegiornale (se si trova, altrimenti non muore nessuno se so cos'è successo nel mondo quando torno a casa), e di nuovo a nanna. A leggerlo sembra terrificante, ma o così o impazzisco nelle rimanenti 51 settimane. E sottolineo che il più delle volte tutto questo si ripete giorno dopo giorno nel più assoluto silenzio, perchè in quei giorni io devo tacere, non pensare a niente, come lobotomizzata; mio marito lo sa e sopporta, senza preoccuparsi, tra un bagno e l'altro viene a controllare che il ghiro sia vivo, mi fa una carezza ed è contento, perchè sa che è quello che mi ci vuole. Quattro anni fa siamo riusciti a trovare un posticino isolato (sbagliando strada più volte), che aveva uno strapiombo sul mare tutto terrazzato, e giù di sotto una caletta attrezzata con due straio ed uno scivolo che portava direttamente in acqua. Per arrivarci bisognava scendere 424 gradini tra piante profumatissime, che ovviamente diventavano 424 per risalire. Nessuna mamma sana di mente ci avrebbe portato i bambini, quindi era il nostro posto ideale: Ferragosto in una caletta privata, piedi a mollo in mezzo ai pesci, senz'anima viva intorno. Con quelli delle barche che ci facevano ciao ciao con la manina.
Cellulare spento, ufficio chiuso: io e il vuoto totale. C'è stato un anno in cui, appena passato il confine, mi ha chiamato una delle mie Ragazze, e non avevo ancora spento il cellulare perchè aspetto di fare il check-in dell'albergo per lobotomizzarmi. Mi ha chiesto candidamente: "Ho bisogno di parlarle, dov'è?". Risposta: "Sono in Slovenia". E lei: "Non può tornare indietro? E' una cosa delicata, non vorrei parlarle al telefono". E' stato divertente, perchè visto che l'ufficio era chiuso non c'era una ragione oggettiva (un incendio, un'invasione di ratti giganti, gli alieni) per cui lei potesse chiedermi di fare dietrofront, credo che non lo farebbe neanche mia mamma se mi morisse un parente. Beh, dipende dal parente, ma per alcuni non si arrischierebbe di sicuro. Ho passato i primi giorni a pensare cosa poteva essere, ovviamente pensando e parlandone, e conseguentemente stando male, vomitando tutto il tempo, fino a quando mio marito si è stufato (meglio muta, evidentemente), ha preso su i bagagli e mi ha riportato a casa, con gran gioia dell'albergo a cui abbiamo liberato una camera già pagata. Bene, la Dolce Bambina voleva solo dirmi che pensava di licenziarsi, perchè aveva trovato un'offerta migliore (cioè lo stesso lavoro, ma sotto casa, non sia mai che a trent'anni tu non possa vedere mamma e papà pranzo e cena). Sono stata felice, mi ha tolto il peso di farlo io, sacrilega.

giovedì 16 febbraio 2012

Dove ci ha portato il Viagra di Berlusconi

Come sono triste. Ieri tornando dall’ufficio ascoltavo la radio in macchina (la mia Delta da 80 e passa Euro a pieno), ed è passato così – come nulla fosse – un promo agghiacciante: in una Discoteca della Provincia dove vivo ci sarà una serata con ospite d’onore Nadia Macrì, “la Diva del Bunga-Bunga”. LA-DIVA-DEL-BUNGA-BUNGA !!?? Passi per tutte le serate discotecare in cui vengono invitati e pagati ex-cantanti falliti, ex-attori semisconosciuti, oppure i protagonisti del Grande Fratello, quella sorta di ricettacolo terrificante di gente che non sa fare assolutamente niente e proprio per questo viene seguita, ammirata ed applaudita (giuro che il Grande Fratello è uno dei motivi per cui, ogni tanto, medito di trasferirmi in Papuasia). Al popolino devi pur dare qualcosa perché non pensi solo alle bollette da pagare (“panem et circenses” del resto, mica che sia cambiato un niente). Ma non la Macrì, vi prego.
Non ho niente contro di lei in particolare, per carità, ma mi pare di ricordare che l’unico (e sottolineo l’UNICO) motivo per cui un tempo fa che sembra esser durato tre secoli se ne era parlato fosse che aveva ammesso pubblicamente di essersi prostituita con Berlusconi ed i suoi (detto per dire, non che necessariamente lo facesse con Berlusconi-ed-i-suoi in contemporanea). Essersi prostituita, vale a dire aver preso soldi per fare sesso con qualcuno.
Non me ne frega niente se era vero o no, né di quanti fossero i soldi o da dove venissero (ho sempre la segreta speranza che Berlusconi se le pagasse con i suoi soldi, le puttane, e non con i nostri),  fatto sta che lei stessa aveva candidamente detto di essere una prostituta. Che se va bene a lei, ai suoi genitori, a suo marito o compagno che sia, ai suoi figli presenti e futuri, ci mancherebbe. Mica voglio che sia lapidata. Ma neanche che sia chiamata “Diva” e che ci sia gente che paga per vederla! Che ci sia gente che organizza eventi per spingere menti semplici a considerarla una vincente! Ma dove siamo arrivati?
Questo è l’esempio lampante, immenso, e terribile nella sua chiarezza, di dove ci hanno portato gli ultimi anni di politica berlusconiana (ehi, attenzione, dico “berlusconiana”, che non vuol dire “di destra”, vuol dire “berlusconiana” e basta, chiaro?). Anni in cui l’Italia sprofondava lentamente verso l’inesorabile, e al governo si pensava solo come sistemare le cose sue, i processi suoi, le donnine sue. Adesso le abbiamo anche in discoteca tra gli applausi. Penso a mia mamma (ma senza arrivare a mia mamma, che è particolarmente cattolica e ci ha educato rigidamente, penso ad una mamma qualunque di una mia qualunque compagna di classe, perchè non è certo solo questione di religione, quanto di morale e dignità), come avrebbe reagito se avesse saputo che mi prostituivo, e con orgoglio pure. Per molto meno a casa mia ti avrebbero chiuso in camera buttando via la chiave. Invece adesso le mamme spingono le ragazzine da questi vecchi laidi, sorella dopo sorella, sperando che caschi qualcosa di buono per mantenere la famiglia. Da brivido.
Salvaci tu, Nonno Loden, visto che a te l’Europa parla.

mercoledì 15 febbraio 2012

Non voto più

E' ovvio che anch'io sono arrabbiata con l'attuale governo del Professor Monti; è un'arrabbiatura che nasce d'istinto, pensando alle tasse in più che dovrò pagare, all'IMU (il Vestito Nuovo dell'Imperatore dell'ICI), all'IVA, al gasolio, alle pensioni, al casino che hanno combinato (e mi ci sono già espressa con i relativi post) con le liberalizzazioni sulla RC Auto - quest'ultimo guardando sotto casa, visto che si è scatenato un putiferio da cui nessuno riesce ad uscire e che sta costando a noi operatori del settore tempo, fatica, fiato e tutta quella pazienza che dovremmo invece conservare per altre situazioni più proficue per noi ed i nostri Clienti.
Tuttavia, può sembrare strano, non riesco a detestarli; anzi, li trovo addirittura quasi simpatici per l'impegno ingrato che si sono presi, vale a dire tirar fuori l'Italia dall'immensa buca in cui era stata cacciata da stuoli e stuoli di politici incapaci (quando non disonesti e corrotti). Per carità, magari certe uscite è meglio che le risparmino, tipo quella sul posto fisso monotono; si vede che il "bamboccioni" del compianto Padoa Schioppa non aveva insegnato niente. Quello sì, è sembrato un po' fuori tono anche a me che pure sono d'accordo sul fatto che tanti giovani avrebbero bisogno di una bella strigliata e quattro calci dove sta bene, altro che posto fisso, soprattutto persone che rifiutano un contratto a tempo indeterminato perchè "qui non c'è il parcheggio". Ma ci sono anche gli altri giovani, caro governo, e io che non ho gli occhi foderati dal prosciutto della vostra età, della vostra posizione e delle vostre entrate mi rendo perfettamente conto che il giovane che anela al posto fisso non lo fa perchè è un masochista che non vede l'ora di inchiodarsi ad una scrivania per i prossimi cinquant'anni. Anzi, figuriamoci, un giovane d'oggi, globalizzato, che conosca qualche lingua (italiano compreso, possibilmente, e lo dico per gli italiani), che usi Internet, che ami viaggiare, sarebbe sicuramente più realizzato e contento nello sperimentare nuove cose, conoscere più persone, arricchirsi lo spirito e anche molto più pragmaticamente "fare curriculum". Perchè se uno ha voglia di lavorare difficilmente sta a casa, magari gira tanti lavori temporanei, ma lavora sempre. Il problema è che il banchiere amico del Professor Monti non la pensa così, e se il giovane giramondo non è inchiodato ad una scrivania il mutuo non glielo dà, il prestito per la macchina non glielo dà, la fidejussione per l'affitto non gliela dà. Piccolo problema, Professore.
Comunque, a parte la recente caduta di tono (che perdono, data l'enorme pressione a cui sono sottoposti fino alle lacrime, così pare), io ribadisco di essere ben disposta. Soprattutto perchè vorrei veder scoppiare finalmente la rivoluzione (avete presente la Rivoluzione Francese, con le teste mozzate sulle famose picche?). La rivoluzione contro i nostri politici, tutti. Gentaglia che per anni e anni e anni non ha preso una decisione che fosse una perchè tutte troppo impopolari, ed ha dovuto metter su un team di tecnici super partes a dissanguarci, e ad attirarsi le ire di mezza popolazione, ma senza il pericolo di perdere voti. Lo si sapeva benissimo che c'era bisogno di una sterzata violenta, ma per carità, che la facesse qualcun altro. Ma allora tutta questa pletora di politici e politicanti a cosa serve, se per risolvere le cose dobbiamo chiamare uno da fuori? Via tutti, tutti, a casa, parassiti schifosi. Ben venga il rigore, ben venga il sangue, ben venga che per un pieno su una Delta non mi  bastano più 80 Euro, o il fatto che non riesco più a metter via un centesimo. Mica siamo come quei caproni dei nostri cugini greci, che ancora adesso continuano a scioperare e a pestare i piedi perchè non vogliono fare sacrifici; ho capito che sono arrabbiati perchè le loro Banche ci hanno marciato ancor più delle nostre, ma anche a voi greci tutto sommato faceva comodo quando per una classe di 10 bambini si alternavano 45 insegnanti. Un Paese che non ha un tubo (levando il turismo, organizzato comunque con i piedi, qualche agricoltore e qualche armatore) non può mantenere in eterno un apparato statale infinito. Ci stiamo andando vicino anche noi, comunque: tutti sotto Mamma Stato, certo, soprattutto plotoni interi di buoni voti, e quando tutti saremo dipendenti pubblici chi pagherà gli stipendi a chi? Se si affossano le imprese, chi darà lavoro a chi?
Ben venga il rigore, dicevo, purchè sia per tutti. Anche e soprattutto per i nostri rappresentanti, così laidamente attaccati a poltrona e privilegi. E gli abbiamo permesso noi di arrivare a questo: solo il Parlamento può decidere sulle retribuzioni dei parlamentari. Ma dove eravamo tutti quando è stata decisa una bestialità simile? Via, a casa, tanto non contate una cippa, non siete in grado di prendere una decisione, per evitare che diventassimo lo zimbello dell'Europa avete dovuto chiamare un nonno in loden. Non andrò mai più a votare; ho minacciato mio marito - tesserato Lega - di farlo dormire in garage se rinnovava la tessera quest'anno (non l’ha rinnovata, per la cronaca, ma non credo per la minaccia del garage). Proprio loro, i leghisti, tanta scena contro Roma ladrona e poi sono i primi a lamentarsi se si accenna a toglier loro qualche benefit: 16 ricorsi su 25 sono di Parlamentari leghisti. Io capisco - umanamente - quanto bruci aver leccato tanti sederi, aver fatto tanta gavetta, e poi quando arrivi lì dove nessun uomo era mai giunto prima rischi che ti tolgano tutto (tutto, non esageriamo, diciamo qualcosina). Ma lo puoi commentare a casa tua con tua moglie e tuo figlio, non esternarlo pubblicamente in qualità di rappresentante del cittadino. Tanta scena contro raccomandazioni e nepotismo, e mi ritrovo uno come il Trota assessore a dodicimila Euro al mese, e la sua mamma baby-pensionata. Giuro che non voglio più vedere un fazzoletto verde finchè Bossi non si ritira in un eremo.
Voglio la rivoluzione. Ha detto bene Alessandra Mussolini, parlando del fatto che si sentono odiati. A loro quello stipendio serve – ha detto – lo usano tutto (anche io, credetemi, non ne avanzerei neanche un euro), la gente li vuole affamare, se prendessero duemila euro al mese di stipendio la gente vorrebbe calarglielo a mille, solo per principio. Certo che vi odiamo, e ci mancherebbe. Voglio una classe politica a rotazione! Voglio una classe politica che faccia un’altra professione, e che solo per passione per un tot di anni - A ROTAZIONE - si dedichi ad amministrare la Cosa Pubblica. Mantenendo il proprio lavoro, a cui tornare alla fine del mandato o anche prima, se per caso ti spediscono a casa a calci perchè non hai fatto bene il tuo dovere. Uno non può fare il politico di professione, lo capiamo o no? Perchè nell'esatto momento in cui diventa LA SUA PROFESSIONE il suo primo obiettivo non sarà più essere un bravo politico (amministrare bene, prendere decisioni giuste ancorchè impopolari, essere imparziale eccetera), ma sarà logicamente mantenere il posto di lavoro più a lungo possibile. Ed abbellirlo, blindarlo, renderlo sempre migliore, per se stesso e tutti i parenti fino alla quattordicesima generazione.
Tutti via, quel Bersani che ha ripetuto per anni come un mantra "Berlusconi deve andare a casa", e adesso che Berlusconi non c'è più è rimasto con niente da dire. Quel Berlusconi, che ha venduto il suo Paese in cambio di Viagra. Stavolta se va su Pupo Renzi lo voto, io che neanche morta avrei mai pensato di votare a sinistra; ma se ce l'hanno su tutti con lui - a sinistra - allora vuol dire che è bravo.

lunedì 13 febbraio 2012

Telelegàmi

Mi piace la Vecchiato Arte perché quando ci vai ti trovi a parlare con le stesse persone che presentano le opere in televisione. Vedo in televisione Riccardo Sandonà che si infervora su un marmo di Rabarama, e poi se vado lì ci posso parlare e “sentire” le stesse cose de visu, così capisco che ci crede veramente.
Il mezzo televisivo è potentissimo, perché crea questa sorta di legame psico-fisico tra il presentatore e il telespettatore; cosa che a Telemarket per esempio sanno benissimo (per me sono dei geni del marketing, l’ho detto e ridetto), tant’è vero che certi artisti sono presentati sempre dalla stessa persona. E’ come una sorta di filo interiore. Tuttavia poi il palco cade quando, al momento di concretizzare gli acquisti, devi interfacciare con altra gente. Mi rendo conto che per un’organizzazione immensa come quella del buon Corbelli non è possibile fare altrimenti: mica possono mandarti a casa Gianluca Gaudio con le sue “care amiche”, o in TV o in furgone. E poi di presentatori – parlo per l’arte contemporanea – ne hanno cinque, di addetti alla consegna ne serviranno almeno venti. Lo capisco, però bisognerebbe pensarci su.  
Per questo ad esempio noi preferiamo andare personalmente da Orler a ritirare le cose che compriamo (a costo di rompere un pochino standogli sempre in mezzo ai piedi), a parte il fatto che ci mettiamo dieci minuti scarsi di macchina. Andando lì puoi incontrare chi ti ha guardato negli occhi quando ti ha detto “compralo”, chi ti ha convinto, chi ha avuto – anche se per un momento – la tua totale fiducia; puoi stringergli la mano e capire se quel “compralo” l’aveva detto per copione fissando un obiettivo nero, oppure se davvero ci vedeva i tuoi occhi, dall’altra parte. Senza nulla togliere ai ragazzi Orler, soprattutto adesso che ci siamo fissati con i tappeti; ai tappeti ci sono molti della terza generazione Orler (i nipotini di Ermanno), e ci piacciono: gran lavoratori, educati, gentili. Sempre detto da una che non ha avuto figli, e che quindi tutte le volte che interagisce con gente dai vent’anni in giù usa come metro di giudizio il semplice “l’avrei voluto come figlio mio”. Sì/no. Elementare, forse banale, immediato.
E’ importante per chi vende arte in televisione capire quanto può essere rischioso interrompere il legame che il presentatore crea: si riduce tutto a sola vendita, affossando sia l’aspetto consulenziale della trattativa, sia l’emotività data da un acquisto d’arte. Intendo, non sto comprando un’automobile che oltre che piacermi deve essere funzionale: avere il volante, quattro ruote, un buon motore. Non sto comprando una penna, che deve sostanzialmente scrivere bene, o un ombrello, che deve essere robusto e fermare la pioggia. Con l'arte acquisti cose in cui la componente del “mi piace” (cioè il massimo del soggettivo) è altissima, unita ad un po’ di rischio dovuto alla speranza di non buttar via i tuoi soldi.
Lo vedo anche in Agenzia da me, sebbene sia vendita senza televisione, ma è comunque vendita di un qualcosa che non si vede e non si tocca: l’assicurazione è fumo, che cavolo paghi? Paghi la fiducia in una persona, visto che la prova se una Polizza è ben fatta e utile l’avrai solo in caso di sinistro (potenzialmente quindi anche mai, si spera). Si crea quindi un legame umano con chi vende che va oltre la firma momentanea, tant’è che cominciano ad accorgersene anche le Compagnie che operano in Internet e ti danno il “consulente personale”, in teoria sempre lui (mi chiedo come fanno, a livello Italia, e con il turnover che un Call Center ha abitualmente). Capita che miei Clienti chiedano di me anche solo per sapere a che ora chiude l’ufficio distaccato, cosa che ovviamente sa bene anche la signora che ha risposto per prima. Anche le Ragazze hanno i loro aficionados, che non vengono al mattino o al pomeriggio casualmente, ma proprio per trovare in reception la loro prediletta.
Credo sia normale. E credo sia importante aver ben chiaro quale tipo di messaggio si vuol far passare tramite l’onnipresente occhio nero.

domenica 12 febbraio 2012

Ecco una cosa che non so

Ammetto la mia ignoranza, ma non riesco a considerare “arte” la fotografia.
Non che non mi piaccia la fotografia, anzi, mi piace moltissimo! Per un lungo periodo della mia vita ho fotografato tanto; come regalo per la Cresima, invece delle solite medaglie-medagliette-crocette o dell’orologio (tutti regali standard, per capirsi, come le cornici d’argento per i matrimoni) avevo praticamente preteso che arrivasse la macchina fotografica. Che infatti arrivò puntuale, non nuova a dire il vero: semplicemente la macchina fotografica di mia mamma – a sua volta avuta dal nonno – passò di mano e fu mia, tanto meglio se non era nuova, perché quella la sapevo già usare, con la sua custodia panciuta e le sue ghiere.
Ho consumato intere paghette in pellicole Kodak da 36, vivendo con la macchina fotografica appesa alla mano e costringendo mio fratello piccolo ad assurdi tour-de-force come fotomodello (anche appeso a rami d’albero). I miei soggetti preferiti erano sostanzialmente due: ritratti e costruzioni fotografate da sotto. Niente panorami, niente tramonti, niente fiori; gran chiese, campanili, palazzi rigorosamente in prospettiva da sotto in su, e poi visi, occhi, facce. Mi affascinava da morire come la fotografia, pur ritraendo esattamente la realtà, potesse cambiare un viso, coglierne aspetti, sguardi, che dal vivo non si notano. Parlo ovviamente del Cretaceo, quando il digitale non c’era e le foto non si potevano ritoccare – per lo meno per noi comuni mortali.
Questo strano smodato amore per la fotografia è genetico: nonno, mamma, zia, con il classico diagramma a albero. Mia zia aveva addirittura ricavato un laboratorio da un ripostiglio cieco, e sviluppava; per noi bambini, che passavamo le ferie estive da loro, il permesso di star lì dentro con lei era il regalo dei regali. Io non capivo perché non potevamo starci tutti insieme, dal momento che essere l’unica bambina all’interno di una stanza buia mi creava un timore ancestrale (se chiudo gli occhi e ci penso, risento ancora il lieve disagio e la fitta allo stomaco). Adesso mi rendo conto che sarebbe stato praticamente impossibile gestire tre bambini in una camera oscura, quand’anche bambini di una volta, bambini cioè che comprendevano il significato dell’ordine “stai fermo e zitto” dato da un adulto, a differenza dei bambini attuali (io non ho ancora capito qual è la password per farli spegnere, giusto perché adesso si usano le passwords). Ma all’epoca rappresentava una prova; avrei preferito sicuramente avere vicino mia sorella grande – per trarne conforto – o al limite mio fratello piccolo, per scaricare l’onere della fifa su di lui. Anche perché il buio era forte (quella ridicola lucina rossa non mi tranquillizzava per niente), e soprattutto una volta dentro non potevi cambiare idea e voler uscire, se non a stampa ultimata. Questa costrizione, ancorché scelta volontariamente, era ogni volta un banco di prova per il coraggio. Ma passava, passava quando la zia cominciava a coinvolgerti nelle varie operazioni, che come ordini militari diventavano sempre più importanti man mano che si cresceva. Da piccoli piccoli potevamo solo reggere l’orologio contasecondi (grosso, grigio, pulsante verde via, toc, toc, toc, pulsante rosso stop); poi crescendo arrivava il momento di agitare il contenitore per lo sviluppo dei negativi, ma la vera iniziazione si aveva con la carta, da immergere nelle vaschette con la pinza, agitando piano fino a quando appariva l’immagine, fatta tutta da te, dallo scatto al comodino.
Il mio amore per la fotografia ebbe una violenta battuta d’arresto quando nella mia vita entrò colui che sarebbe diventato mio marito; come il giorno e la notte, come il bianco e il nero. Lui detesta sia essere fotografato che fotografare, ed entrambe le cose diventavano un problema. La prima figuriamoci, con la mia mania per i visi, ma anche semplicemente per un ricordo delle vacanze, se io sto da questa parte della macchina fotografica è evidente che tocca a te stare dall’altra. Circa la seconda, diciamo che lui intende la fotografia più come un usa-e-getta, con la macchina che fa tutto da sola, basta un clic e via. Ricordo la prima gitarella in Costa Brava, quando gli ho letto l’orrore negli occhi solo perché volevo ritornare in un determinato posto dove eravamo passati alla mattina, perché con la luce del pomeriggio le foto sarebbero state migliori (con il controluce non si scherza mica). Oppure vederlo nauseato perché per scattare ci mettevo più di 2,5 secondi; ma fotografare non è solo il risultato, è anche il piacere della preparazione, dello studio della luce, della scelta dell’obiettivo, con una vera reflex non digitale sei tu che decidi tutto, non lei, vuoi mettere? Quante Cattedrali di Rouen ha dipinto Monet solo perché la luce cambiava?
Comunque, torno all’argomento che volevo affrontare. Chiarito che io adoro la fotografia, non riesco a sentirla come “arte”, o meglio vedo da me che alcune foto sono dei veri capolavori al pari dei quadri, ma non mi va di pagarle come tali, perché quadri non sono. Nel quadro c’è il pennello, il colore, la mano, c’è la bravura del pittore (c’è il pittore bravo e quello cane); mi hanno fatto notare che anche Alighiero Boetti non dipingeva eppure i suoi arazzi sono opere d’arte e costano un patrimonio. Vero, però per lo meno sono ricamati, nel senso che qualcuno ha preso ago e filo e ci ha lavorato un po’ (al di là della potenza dell’idea). Con la fotografia chi scatta ci mette la sensibilità della visione della scena, ma poi fa tutto la macchina. E poi un quadro è un unicum, altrimenti finiamo nella grafica d’autore (serigrafie, litografie) che però ha tutt’altri costi. Ecco, capirei le fotografie pagate come grafica, non come dipinti. Per esempio, mi affascinano certe foto di Vanessa Beecroft, ma per me il suo essere “artista” è nella creazione della performance, non nel clic. E’ in quello che ci sta dietro, in quello che sta nella sua testa. Per il resto è bravura dell’apparecchio. Perché non paghiamo migliaia di euro le foto del National Geographic? E sì che ce ne sono di meravigliose, basta comprare i loro libri e ne può godere il mondo. Telemarket sta facendo un tam tam incessante per il cinese Huang Kehua, che è davvero un fotografo eccezionale (dico Telemarket perché l’ho visto lì per la prima volta, ma in effetti è un signor nome); ma ricordo – sempre a casa della famosa zia negli anni Ottanta – libri di Fulvio Roiter che nulla avevano da invidiare alle sue acque veneziane. La differenza non può stare solo nel supporto (lastre metalliche al posto della carta) o nella tiratura.
Evidentemente sono ignorante.

giovedì 9 febbraio 2012

Sostanza & Sorrisi

Mi sorge una considerazione veloce su quanto avevo scritto ieri ed ho postato stamattina, giusto perché sempre ieri ho rincarato pubblicamente la dose sull’argomento “educazione” con cinquanta dico cinquanta minuti buoni di attesa nella saletta della mia Dottoressa, che era in palese ritardo, e si sentiva distintamente che chiacchierava di cose sue con la paziente precedente (è una Dottoressa simpaticona, ridanciana e con la voce alta, molto alta), il che dava in effetti un po’ fastidio. E’ come fare la coda allo sportello in Banca e ascoltare tutto il racconto delle ferie dell’impiegato, mentre tu perdi l’autobus.
Ovviamente i presenti mi davano ragione. Ma se ci si pensa bene tutti su questi argomenti parlano sempre a ragione, quando mai si sente uno dire esplicitamente: “Come fanno bene a trattarci così” oppure “Come sono contento di fare un’ora di coda in Posta davanti a dieci sportelli con presenza umana di cui viva solo su tre”. MA ALLORA, se siamo tutti d’accordo, se siamo tutti convinti che ci vogliono impegno e serietà misti a cortesia ed educazione, come mai ci sono tanti fastidi in giro? Quei sette impiegati morti delle Poste, quelli che fanno passare un bollettino ogni ora, e tra un bollettino e l’altro vanno nel retrosportello a fare non si sa bene cosa (il retrosportello delle Poste è per me un mistero al pari della Santa Trinità, è come un antro buio che fagocita tutto e tutti, un’altra dimensione dove si rifugiano in centinaia), anche loro faranno la coda dal Dottore, prima o poi. E in quel momento saranno tra quelli che si lamentano o sprofonderanno nella lettura di un interessantissimo periodico sulla prevenzione dell’afta per dissimulare? Perché, se si lamentassero, saresti autorizzato a picchiarli, ma tu non sai che sono loro.
Se guardiamo bene anche io tenderei a far parte della categoria dei bravi & stronzi; brava cerco di esserlo (posso dire di esserlo, visto che i problemi assicurativi altrui alla fine li risolvo), e per quanto mi sforzi di essere sempre gentile e carina a volte mi parte l’occhio cattivo a fessura. Non lo so, ritengo di potermelo permettere dopo oltre vent’anni di prima linea, perché come racconto a quei Clienti con cui ho un rapporto più franco: voi mi fate una domanda che per voi è una, ma è la stessa domanda che mi pongono anche gli altri 1.999 Clienti, e dopo un po’ mi stanco. Forse dovrei usare il registratore (strumento rigorosamente da vecchia, neanche so se li vendono più), con una serie di messaggi pronti per ogni occasione. “Perché c’è l’aumento?” BIP cassetta uno. “Perché siete più cari di quelli su Internet?” BIP cassetta due. “Voglio i massimali minimi, tanto guido pochissimo” (esatto, fai una strage ogni tre anni, esattamente quando ti muovi) BIP cassetta tre. “Non mi serve una Polizza Infortuni, c’è l’Inail” (ah ah ah) BIP cassetta quattro. Alla via così Signor Sulu.
Tuttavia, io SENTO arrivare i momenti in cui mi parte la stronzaggine, e allora lascio che parlino le Ragazze, mi ritiro nei miei appartamenti finchè non mi passa, mal che vada mi nego al telefono (meglio che il Cliente riprovi piuttosto che mi senta infastidita). Tant’è che non le ho mai fatte, le cassette registrate, ed ogni volta rispondo sorridendo e con aria di esperienza mista a complicità come se fosse la PRIMA volta in vent’anni e passa di lavoro che mi sento chiedere come mai le assicurazioni aumentano (chissà se lo chiedono anche al benzinaio, il perchè dell'aumento, adesso che è come se la macchina andasse a Chianti di quello buono).
Forse anche gli impiegati delle Poste fanno così, fuggono dietro i loro immensi scaffali quando si sentono indisposti verso la gente; certo che allora bisognerebbe testare un po’ la soglia dell’indisposizione, perché in molti casi è bassina, troppo bassina. Mah.
Io ci provo, a pensare alla mia Dottoressa Ritardataria per essere ancor più brava e un po’ meno stronza, quando mi capita. Facciamolo tutti, magari con poco sforzo riusciamo a renderci migliori l’un l’altro. Se non altro quelli bravi, visto che non serve un’altra laurea per essere gentili. Per quelli che sono già gentili e sorridenti ma purtroppo rimbambiti e faciloni studieremo un piano B.

Sorrisi & Sostanza

C’è una cosa che comincia ad inquietarmi quando vado per uffici, e non parlo di uffici necessariamente di Enti Pubblici, sui quali gettare badilate di sterco è sport nazionale (“non ci sono mai”, “non lavorano”, “fannulloni deresponsabilizzati” eccetera, anche se io credo che nel pubblico, come nel privato, ci sia l’imboscato nullafacente tanto quanto il volonteroso). Certo, nel Pubblico è più lampante perché a volte è spudorato, sapendo che nessuno può mandarli via anche se ti trattano come un appestato si possono permettere atteggiamenti particolarmente sgradevoli. Tuttavia io non sono quotidianamente a contatto con uffici pubblici – per mia fortuna. Quotidianamente io devo interloquire con gli uffici della mia Direzione, o con altre Agenzie di assicurazione, carrozzerie, studi professionali, concessionari d’auto, agenzie di disbrigo pratiche, negozi di ogni genere, aziende private di tutte le dimensioni, banche, uffici postali! Tutta, tanta gente per la quale spesso IO sono IL CONSUMATORE. Quel Consumatore, quel Cliente finale per il quale io – quando esercito la mia professione – devo essere onesta, corretta, trasparente, esaustiva, gentile, cortese, disponibile, educata, premurosa; anche per Legge devo esserlo, non solo perché i miei genitori mi hanno insegnato da piccola che i cattivi vanno in prigione (e all’inferno, dipende da quale vita esaminiamo). Per noi assicuratori c’è la Legge che richiede la trasparenza, ogni volta che qualcuno mi firma una Polizza gli consegno e gli faccio firmare anche un foglietto dove – in soldoni (perché il correttore del Word mi mette “soldini”?? Cos’è, la crisi ?!?) – c’è scritto che sono una persona onesta, che non lo frego, e che gli sto facendo firmare cose per lui molto utili. Perché è ovvio che l’assicuratore disonesto invece ti fa firmare l’Allegato 7A-bis con la variante che dice “io invece sono un lurido bastardo, ti faccio firmare una cosa che non ti serve a niente, lunghissima, costosissima, e ti ruberò tutti i risparmi”. Così Il Consumatore lo può leggere e dire “ah, non lo sapevo, allora no grazie, da Lei non vengo, che peccato però sembrava una così brava persona”. Eh, già.
Comunque, torniamo a noi. Parlavo di Quel Consumatore. Quello, a dire il vero, per il quale ho scritto il post “Un segreto” invitandolo ad essere a sua volta educato e gentile con me se non vuole, dopo dieci ore di ufficio, vedere i miei occhi diventare stretti e piccoli come fessure (grrrr), anche se non c’è una Legge che obbliga LUI ad essere più buono, ma solo i vecchi insegnamenti di mamma e papà.
Io vorrei capire perché, quando sono IO il consumatore, mi trovo sempre più spesso a dover scegliere tra Competenza e Cortesia. Tra Professionalità ed Educazione. Qualche giorno fa si è verificato un episodio spiacevolissimo con la Banca con cui ho rapporti di lavoro (ed alla quale, tra conti correnti dell’Agenzia e della mia attività, fidi, fidejussione Isvap, conto corrente privato, mutuo casa eccetera, faccio girare un bel po’ di soldi). Una cosa a cui io davo la massima importanza, la massima priorità, spiegata a chiare lettere, è stata presa un po’ troppo sotto gamba. Una settimana persa per niente (“ci siamo informati, non sapevamo, la procedura non è questa bensì questa”… vi siete informati una settimana dopo!!), tra gran sorrisi. Ed era il motivo per cui avevo interrotto i rapporti con la Banca precedente: o sostanza, o sorrisi. Cosa che riscontro purtroppo sempre più spesso dappertutto. Non lo dico ironicamente, mi piacciono i sorrisi, mi piace trovare ai vari sportelli, al telefono, nelle aziende, persone gentili, piacevoli, cordiali, non musone, ma perché deve essere sinonimo di incompetenza? Perché la prima persona che becchi al telefono di un qualunque Call Center non sa mai un tubo di ciò di cui dovrebbe occuparsi quel Call Center (ma è tanto gentile)? E per contro, perché quando trovi quello che ti risolve il problema devi mandare giù dei rospi orrendi perché ti tratta come una scarpa rotta e vecchia (io amo molto le scarpe, nuove)? Chiacchierando di ciò, perché spesso condivido l’argomento di un nuovo post con chi mi circonda, mi è stato detto: “Perché se lo possono permettere”. E’ vero, ma che brutto. E’ come per le ragazze tanto belle, che se la tirano e appaiono tanto stronze, mentre le meno belle finiscono per essere spesso più alla mano e simpatiche (anche con quelli che non se lo meritano), perché o così o col cavolo che ti invitano alle feste o al mare (a meno che tu non abbia “patente B ed auto propria”, allora è un altro appeal).
Mi sto davvero deprimendo, non mi riesce di trovare un ufficio in cui ci siano persone in grado di darti risposte concrete e certe a quello che chiedi, in grado di risolverti i problemi bene ed in fretta, in grado di semplificarti la vita invece di renderti complicate le poche cose che avevi chiare in mente, persone che CONTEMPORANEAMENTE non mordano, non ti trattino male, non ti umilino solo perché hai bisogno di loro. Che poi è qua il succo: lavori in un ufficio (avvocato? commercialista? notaio? assicuratore? in banca o in posta?) e sai far bene il tuo lavoro, è ovvio che se ho bisogno di te entro. Perché mi devi far sentire come uno che chiede l’elemosina? Questo detto ai bravi & stronzi. Ed ai buoni, ai gentili, agli educati dico: cari ragazzi e ragazze, il sorriso vi fa onore, è bello ricevere un saluto quando entriamo, fa piacere che ci trattiate con deferenza e ci offriate il caffè. Ma se non sapete fare altro andate a lavorare in un bar, accidenti! Perché non vi preparate meglio, perché non prendete appunti così evitate di ripetere quaranta volte lo stesso errore, perché non studiate qualcosa che vi impedisca di resettare OGNI santa notte TUTTO quello che avete imparato durante il giorno, cosicché ogni santo giorno è come fosse il primo giorno di lavoro? “Sa, non so niente, sono nuova, ma intanto che attende il mio Collega (quello odioso cattivissimo maleducato che però sa fare tutto) vuole un caffè?”. Grazie tesoro, così dopo torno al mio ufficio dove mi aspettano Le Mie Ragazze, la bionda, la mora e la rossa (la sveglia, la vamp e la simpatica), perché anche io ne ho prese tre tutte diverse una dall’altra, non si sa mai, mi attrezzo per coprire tutti i fronti. Automunite, per giunta.

domenica 5 febbraio 2012

Figli - Due

Pare proprio che oggigiorno far crescere dei figli sia un’impresa titanica, spesso non basta una task-force di quattro coordinatissimi nonni, maestri vari, baby-sitters e quant’altro. Cose che io vedo da fuori, e sulle quali probabilmente non ho diritto di critica, ma mi sorgono vari dubbi perché non sono casi sporadici ed isolati, praticamente tutte le coppie che conosco hanno gli stessi problemi, e allora c’è qualcosa che non va. Questi bambini nuovi hanno stimoli continui da ogni dove, e va benissimo perché a quell’età sono spugne, se vogliamo che imparino la spugna va sfruttata (noi avevamo la scuola, quelle quattro orette e poi basta, il patronato se andava bene, altrimenti a casa), ma vedo che tra computer-nuoto-inglese-pony-ballo-giochi interattivi-corsi di tutti i tipi diventano un po’ agitati, è difficile tenerli fermi anche quando dovrebbero. Probabilmente sfruttano meglio la loro intelligenza, maturano prima, sono più CAPACI. Ma non sono più tanto bambini, sono dei piccoli adulti, e fanno un po’ paura. Tutti dei geni, tra l’altro, mai sentito un genitore che dica "mio figlio è un deficiente, a scuola va malissimo" (no, sono le maestre che non lo capiscono); benedico mia sorella che almeno ammette che il suo grande è un po’ svanito. Io portavo a casa tutti otto e nove, e il massimo che mi diceva mia mamma era "Cosa c'è scritto sulla tua Carta di Identità? Studente. Allora brava, ma hai solo fatto il tuo dovere". Cos'è un regalo-per-la-promozione? Mai visto uno. Da piccola mi avevano inculcato l’idea dell’ADULTO onnipotente: quando sarai grande potrai… E anche "quando gli adulti parlano i bambini devono stare zitti". Adesso è il contrario, così quelli della mia generazione le hanno prese da piccoli e adesso le prendono dai piccoli.
Sono queste cose che un po’ mi rasserenano per il fatto di non avere avuto figli. Cose che mi hanno aiutato nel personale binario di accettazione che ho dovuto tracciarmi; non parlo solo della libertà di poter dire senza preavviso "non rientriamo a casa, fermiamoci per una pizza", oppure ancora senza preavviso "ti va di prendere la macchina e andare a Ferrara a vedere una bella mostra", oppure "oggi stiamo a letto fino alle 10". Tutte queste cose estremamente gradevoli, la possibilità di non avere schemi preconfezionati o obblighi giornalieri, stanno sul labile confine dell’egoismo. E comunque anche un po’ di sano egoismo ce l’ho dovuto mettere, mica le ho comprate le ovaie difettose, me le sono trovate dentro belle pronte, almeno mi gusto il fatto che in estate posso portare ancora un top senza reggiseno. Una delle mie Ragazze (età mia) insisteva a voler vedere il laccetto trasparente, perché alla nostra età di solito il cielo hanno smesso di guardarlo da un po’, le nostre due amiche qua davanti. Ma io non ho mica allattato, bella mia, sono ancora sode e ferme lì dov’erano dieci anni fa.
Egoismi personali a parte, mi ritrovo a pensare una brutta cosa sulle famiglie di adesso; una volta (parlo della generazione precedente, la generazione dei miei genitori) i figli davvero univano, cementavano le coppie. Adesso mi par quasi che le scoppino. Sarà che non ho avuto figli, ma ho un rapporto molto intenso con mio marito: non riusciamo a stare separati, ci cerchiamo continuamente, parliamo di tutto, ci confrontiamo su tutto, abbiamo bisogno di stare l’uno con l’altra, sempre. E’ come se l’amore e l’istinto di protezione che si dovrebbe avere verso i figli noi lo riversassimo ogni giorno l’uno sull’altra, e viceversa. Per non parlare del fatto di continuare a piacersi, vestirsi belli per piacere all’altro/a (anche l’intimo!), profumarsi con quel profumo speciale, cercare di non ingrassare troppo (una fatica boia per me, ma dieci chili persi in un anno sono un risultato stratosferico, anche se mi cadono tutti i pantaloni), depilarsi (!!!)… Se guardo le coppie con figli della mia età, mi sembrano tutti morti. Hanno smesso di essere un LUI e una LEI, e sono diventati un PAPA’ e una MAMMA. Tutto per i figli, e niente per loro; si parlano anche, a volte, solo tramite i figli: "dì alla mamma che…", "porta al papà questo…". Brutta cosa. Siamo sicuri che sia giusto così? Bambini iper-tecnologici, piccoli geni intelligentissimi, bellissimi, sportivissimi, poliglottissimi. Con genitori che neanche si parlano. Neanche si guardano, neanche un abbraccio o un gesto affettuoso. Probabilmente sono io che non capisco niente, perché non ne ho avuti. Magari l’orrendo ingranaggio avrebbe finito per risucchiare anche me.
Col tempo io e mio marito abbiamo smesso di frequentare (sia in coppia, sia separatamente) gli amici di vecchia data che hanno messo su famiglia; io riservo le mie uscite alle amiche single, o sposate ma senza figli. Perchè è IMPOSSIBILE uscire con coppie che hanno figli, sono mono-argomento seppure a step. Step uno, bambini piccoli: argomento malattie, crescita, pannolini, vestitini, prime parole. Step due, dopo i sei anni: la scuola! Orari, poesie, maestre, compiti, recite, impegni. Step tre, l'adolescenza: cellulare, primi filarini, uscite da soli. Dove sono finiti tutti gli argomenti che infiammavano i nostri discorsi quando eravamo ventenni? Io non sono mai a corto di parole, ho mille interessi, soprattutto per tutte le cose che VORREI fare e non posso per via dell'impegno professionale, e delle quali leggo, leggo tanto: arte, cultura, viaggi, e poi sport, cinema, teatro, libri, attualità, politica! Amiche, volete che parliamo e sparliamo di uomini, va benissimo, ma vi supplico, che abbiano più di 10 anni! Una volta un Collega mi ha fatto un bel complimento, tornando in treno da un corso che si teneva a Bologna; arrivati in stazione era stupito, perchè il tempo gli era volato tra una chiacchiera e l'altra, e a quanto pare non ne era abituato (e sì che con il nostro lavoro solo di aneddoti potremmo tirare oltre l'ora e mezza!). Mi ha detto che ero "interessante", "una donna interessante" ha detto, neanche se una cosa escludesse automaticamente l'altra! Sono una donna, non solo una potenziale mamma.
Non ho avuto figli, ma mi piaccio lo stesso. Come ho già detto, è meraviglioso se arrivano i bambini, perchè riempiono la vita (la cambiano, soprattutto); ma se non arrivano non è una condanna, si può avere comunque una vita più che appagante anche senza. Piena di emozioni lo stesso. E non venitemi a raccontare la storiella che i figli sono il "bastone della vecchiaia", perchè poteva essere vero una volta quando non si usciva non solo dal paesello natìo, ma neanche dal quartiere o dal viale in cui si era cresciuti. Adesso si innamorano di un'australiana e ti saluto bastone, li rivedi se va bene una volta ogni quattro anni. Meglio bastarsi in due.

Figli - Uno

Io non ho avuto figli, a causa mia, nel senso che non ho potuto averne. Adesso riesco a dire questa cosa con serenità, e soprattutto riesco a dire "a causa mia" invece che "per colpa mia" come dicevo all’inizio, che nonostante il risultato sia lo stesso suona profondamente diverso. Ma del resto, sarà il retaggio cattolicissimo che mi porto dietro, l’ho avvertito spesso come una colpa. Mia madre mi adorava (abbastanza spudoratamente, rispetto ai miei fratelli), ma quando è stato lampante che io – a differenza degli altri due – non l’avrei resa nonna ha smesso (altrettanto spudoratamente). Posso essere una brava persona (ci conto, lo spero), posso essere una professionista affermata (impegnata, onesta), probabilmente ci sono genitori pronti a fare carte false per avermi come figlia, ma niente, se non procrei sei fallita. Per un bel periodo della mia vita (ben prima di sapere che era "a causa mia") mi sono sentita una donna a metà, come se il fatto della mancata maternità mi impedisse di essere donna a tutti gli effetti, di essere donna a tutto tondo, di essere "completa". Non ne ho mai fatto una malattia, perché resto profondamente convinta che i bambini vengono se è destino che vengano, certo non mi faccio squartare da mezza Europa per capire cosa c’è che non va, né sottopongo mio marito ad assurdi amplessi "a tempo" imposti da cicli di ormoni (sai che goduria, poi non hai più voglia di farti due coccole per almeno dieci anni…), tuttavia per lungo tempo ho sentito le stilettate al cuore quando abbracciavo i bambini altrui. Non abbiamo mai cercato VERAMENTE dei figli, a parte forse un breve periodo in cui mio marito aveva sentito che per me il bisogno cominciava a diventare insopprimibile, e quando voleva essere galante andava sul sicuro con la frase che volevo sentirmi dire ("saresti proprio una mamma meravigliosa", nelle sue varianti a seconda dell’aggettivo scelto). Ad un certo punto del nostro percorso abbiamo smesso di stare attenti, pensando che tutto sommato se fosse successo sarebbe stato bello. Poi, visto che non succedeva, è arrivato il famoso breve periodo. Poi mi sono convinta che la causa fosse lui (ovviamente! Sono pur sempre una donna, noi siamo geneticamente predisposte a dare la colpa agli uomini per qualunque robaccia ci caschi addosso), e ho cominciato a farmene una ragione. Molti anni dopo, durante uno di quei normali controlli che ti fanno capire quanto ancora può alzarsi la tua soglia del disagio e dell’imbarazzo, durante la nenia per compilare il modulo (gravidanze: no, aborti: no, figli: no) ti senti dire, buttata lì come una buccia mentre peli la frutta "per forza non ha avuto figli, mica avrebbe potuto con le ovaie in queste condizioni". Oh, non lo sapeva…
Qualche anno dopo i 40, quindi, mi hanno fatto un bel tagliando, e reso nuovamente fertile come una giumenta da riproduzione.
E’ evidente che a questa età non ci penso neanche nei peggiori incubi a fare figli. Ormai il tempo è passato, è davvero un orologio biologico, non un modo di dire; c’è stato un periodo, dai venti ai trentacinque, in cui ero attratta da qualunque bambino, mi divertivo a farli giocare, a farmi coinvolgere dalle loro cose, VOLEVO stare in mezzo ai bambini, mi piaceva. Adesso non è più così, a volte mi sento addirittura inadatta; li guardo, ma da una distanza di sicurezza. Un po’ mi fregano ancora i neonati, oppure i bimbi molto piccoli, quando hanno ancora pochi mesi; non c’è niente da fare, prendere in braccio un neonato caldo è un bisogno femminile, senti tutta la potenza dell’amore più primordiale che ti sale su, sai che potresti sfidare qualunque pericolo pur di difendere l’indifeso. Quando capita con figli di amici e conoscenti, mi rendo conto che devo REPRIMERE il bisogno di prenderli in braccio, i neonati. Quindi non vedo l’ora che crescano, e comincino a rompere le scatole, così poi è infinitamente più facile ignorarli.
Per mio marito invece non è stato così, essendo cresciuto in una famiglia numerosa ma eufemisticamente non benestante ha sviluppato una naturale avversione per case con un numero di occupanti superiore a tre. Probabilmente succede se da piccolo devi scegliere se mangiare a pranzo o a cena, e se a quattordici anni non ancora compiuti ti schiaffano in un cantiere facendoti capire che quella sarà la tua vita per i prossimi cinquant’anni (mangiare da un pentolino seduto sopra un mattone - estate e inverno - tra gente che alterna un rutto ad una bestemmia), anche se vai bene a scuola e gli insegnanti dicono che è un vero peccato. Su questa cosa in effetti io non sono tanto d’accordo con i miei dettami religiosi: sarebbe meglio che chi non può mantenere tanti figli eviti di farne. Non intendo "buttarli via": sono tassativamente e nella maniera più assoluta anti-abortista. Ma sappiamo tutti che ci sono tanti modi per EVITARE di rimanere incinta... quante volte ho pensato questa cosa quando non ci riuscivo io, e vedevo storie di ragazzette a cui basta che starnutiscano addosso per sfornare bambini indesiderati. Il dono della vita, il dono della vita, quattro parole che ho sentito ripetere all'infinito soprattutto in CERTI ambienti religiosi; va benissimo, sei sei - ad esempio - un direttore di banca con una moglie insegnante di liceo, magari di famiglia ricca e quindi senza bisogno di comprare altre case. Oppure due stimati professionisti. O un dirigente d'azienda di alto livello. Anzi, fatene una squadra, di bambini, tirateli su felici e giocosi, intelligenti ed istruiti, insegnate loro l'importanza del dono della vita. Ma se sei un muratore e tua moglie è casalinga, devi proprio farne sei? Non puoi fermarti a due, massimo tre? Così eviti di farli crescere in mezzo alla strada, riesci a dar loro un'istruzione decente grazie alla quale potranno riscattare il loro passato e non continuare la ruota dei poveracci che generano poveracci. Perchè dal cantiere, o dalla catena di montaggio, uno come ne esce? Quella dei ricchi tristi e dei poveri felici è una grandissima panzana. Non pretendo ricchezze stratosferiche, ma un decente benessere: eccome, se ti rende più felice, più sicuro di te nella vita, più disponibile verso gli altri perchè non sei corroso ed incattivito dal bisogno continuo. Meglio fare un figlio solo, o due, ma tirarli su come si deve e dar loro le giuste opportunità nella vita, o farne sei-sette condannandoli alla povertà? E' più egoista fermarsi a due (e per garantire ad entrambi un futuro sereno rispondere "no, grazie" ad altri doni che la vita vorrebbe scodellarti), oppure non riflettere su queste cose e sfornare piccoli derelitti come allegri coniglietti? Poi penso che la mia adorabile metà è il quarto, di quei sei, e che se si fermavano a due non l'avrei mai incontrato, e mi sconfesso da sola.

giovedì 2 febbraio 2012

I miei primi quaranta giorni

Questo è il quarantesimo post in quaranta giorni; in realtà è il quarantunesimo, ma il primo non faceva testo. Sono riuscita quindi a raggiungere l'obiettivo che mi ero prefissata, non che dubitassi più di tanto visto che con il lavoro che faccio lavorare per obiettivi è l'assoluta normalità, e si finisce per sviluppare una certa abitudine, un certo metodo. Ricordo quanto mi spaventava la cosa quando ho iniziato a lavorare in questo settore, sentivo i vari traguardi come dei pesi insopportabili, da odiare profondamente, sempre lontanissimi per quanto ci mettessi l'anima. Poi con il tempo si matura, come la frutta al sole. Non credo che la piccola mela in germe sia terrorizzata e pensi ogni giorno "mamma mia devo diventare una grossa mela succulenta, come farò come farò, sole scaldami pioggia nutrimi aiuto aiuto" (non foss'altro perchè le mele non pensano, non ancora). E' nella natura delle cose, sembra di non farcela mai e invece poi, seguendo il proprio binario, si arriva dove si doveva arrivare. Intanto ho imparato sanamente a fregarmene, degli obiettivi che la Compagnia mi dà, qual tanto che basta per non creare oppressione. Che vengano loro qua in trincea a domandare soldi alla gente normale. Se li raggiungo bene, e se non li raggiungo bene lo stesso, basta avere la coscienza a posto di aver comunque lavorato con onestà, serietà, competenza e passione. Incredibilmente, da quando ho raggiunto la capacità di ragionare in questo modo, gli obiettivi mi sembrano meno "pericolosi", il binario ad inizio anno si traccia da sè, naturalmente, mi par già di vederlo mentre si snoda: stiamo uscendo dalla stazione adesso, è finito Gennaio, coraggio cominciamo ad accelerare piano, senza traumi, quando arriverà la primavera saremo già all'aria aperta in mezzo ai fiori da raccogliere, e poi l'estate con i campi assolati, rallentando un po' per il caldo, e poi ancora via con l'autunno brumoso fino a Dicembre, di corsa di corsa con l'aria che di nuovo ti punge il naso e sì, ecco Natale e fine anno, gran volata con il fiato sospeso! Il mio binario: io lo seguo e puntualmente ci arrivo. In primavera con i pensieri della primavera, a Natale con i pensieri del Natale, senza mischiarli, ogni cosa a suo tempo, e ci arrivo. Magari non tutti gli anni, ma spesso. E' importante non arrivarci tutti gli anni, altrimenti l'anno dopo ti domandano cose impossibili... Tu resti normale, e ti chiedono cose normali. La ruota gira.
Il bello è riuscire ad applicare istintivamente questa sorta di piccolo stile ferroviario anche agli impegni di tutti i giorni, per non sentirli particolarmente gravosi. Del resto c'è una cosa di cui sono assolutamente convinta: Dio non ci manda mai nessuna prova, nessuna difficoltà, nessun dolore, senza mandarci anche la forza per poterlo sopportare (a patto che ci si ricordi di chiedergliela, ogni tanto, tra un lamento e l'altro).
Paragonare prove e dolori della vita a quaranta giorni di blog è un po' una bestialità, ma era tanto per dire a me stessa che anche questa volta ho portato a termine un impegno nonostante l'umore alla partenza non fosse dei migliori, e sono contenta. Non tanto per i quaranta post, potevo anche farli di due righe l'uno o trascrivere barzellette o citazioni celebri (io sono una patita delle citazioni, ne ho sempre una per ogni occasione e mi do sui nervi da sola, una volta per un Regalo Speciale ne ho riempito un calendario intero, fitto fitto), quanto perchè, rileggendomi, ho visto di aver scritto varie cose su cui poter tornare a riflettere, da sola o in compagnia, ed era questo il vero obiettivo: trovare OGNI giorno qualcosa di mio da dire al mondo, che non fosse troppo serio e contemporaneamente non troppo banale, sia che avessi voglia/tempo di mettermi a scrivere sia che non l'avessi. Un pungolo volontario per non scivolare nell'apatia.
E' andata a finire che nonostante non l'abbia detto a nessuno, nonostante non ci siano molti commenti (a proposito, Sempre Forza Grande Juve, anonimo navigatore), i miei post vengono letti - sto scoprendo le Statistiche di Blogger -  e anche senza considerare il mitico Domar.ru e la sua orchestra. Quindi col pensiero sono legata a molti Anonimi Navigatori, e questo mi piace da matti.
Non dico che continuerò a postare tutti i giorni, scadrei nel ridicolo, ma di certo non me ne vado.

mercoledì 1 febbraio 2012

Voci

Questo post in realtà era la coda del precedente, a chiusura del discorsetto su usi ed abusi degli sms. Ma stava venendo fuori troppo lungo, e quindi mi sono fermata all’immagine della mia mamma rapita dagli alieni che tornava giù tutta geek e fricchettona. Mi faceva sorridere, e pensando a lei l’ho tagliato. Tuttavia già era arrivata l’immagine seguente, ed era così bella che me la scrivo tutta qui, per me.
A me piace ascoltare la voce della gente, al telefono. Voci squillanti e veloci, voci calde e suadenti, voci di anziani e di bambini. Voci roche adesso, perchè ci sono i malanni di stagione, voci raffreddate. Voci cadenzate dai dialetti più svariati. Voci di stranieri venuti in Italia a cercare una vita migliore. Mi piace salutare con le parole, usare le parole, non i tasti (un tasto non può trasmetterti ironia, rabbia, gioia, simpatia…). Mi piace ascoltare il respiro di chi è di là, le sue risate, intuire i suoi sorrisi. In questo momento della mia vita, in cui sto mettendo il famoso Cemento sopra alla famosa Persona, niente mi manca come una lunga, avvolgente telefonata di buon mattino. Perché la voce è, se non tutto, tanto di chiunque.
Per qualche tempo, pochi anni fa, ho fatto volontariato per l’Unione Italiana Ciechi; era un periodo in cui mi sentivo un po’ vuota visto che vivevo di lavoro e basta, e volendo un impegno mentale diverso mi trovai per le mani un annuncio in cui cercavano gente disponibile a registrare audiolibri per i Soci. Figuriamoci, libri di carta, mi ci sono buttata a pesce. Mio marito obiettava che sarebbe stato meglio un hobby più manuale, già sono tutta la settimana in mezzo a testi scritti molto in piccolo, ma non c’è stato verso (e poi io manualmente sono una frana, il bricolage non mi rilassa, anzi, mi agita). Ho fatto il provino - per la dizione, ma fortunatamente non ho inflessioni dialettali così esagerate - e poi via. Mi è dispiaciuto da morire smettere, quando la Nastroteca per cui incidevo è stata chiusa.
Mi hanno insegnato come fare, perché una persona che ci vede pensa agli audiolibri come a quelli che si comprano in edicola, letti da attori famosi, ma quelli sono in realtà pensati per chi ci vede e vuole solo un modo diverso per “leggere”. Per una persona che non vede devi leggere in modo un po’ asettico e monocorde, non devi enfatizzare, non devi metterci le tue, di emozioni. Devi lasciare che sia colui che ascolta a poterci mettere le proprie, che saranno ogni volta diverse a seconda della persona (dei suoi momenti, dei suoi ricordi). Se calchi troppo la voce finisci per “condurre” chi ascolta a rivivere solo l’emozione che quel passaggio ha dato a TE, e gli impedisci di sentirlo a modo suo. Ma sto divagando, ciò che volevo dire era questo: chi ti ascolta sente i tuoi stati d’animo dalla voce, anche se cerchi di mantenerti asettico. Del resto si sa, la mostruosa sensibilità acustica che sviluppa un non vedente. Ricordo che ho quasi pianto, quando la volontaria della Nastroteca me l’ha detto, tra un libro e l’altro, con nonchalance, perché faceva riferimento ad una ragazza non vedente della mia stessa città, casualmente (e la Nastroteca era in un’altra). I Soci non vedenti portano i libri che hanno voglia di ascoltare alla Nastroteca e li lasciano lì, poi passa il donatore di voce (li chiamano davvero così, ed è un nome bellissimo) e ne prende su uno, a caso o a seconda dei propri gusti, tempi e possibilità, senza sapere chi lo ascolterà. Per incidere un intero libro di media grandezza io ci mettevo più o meno due mesi, visto che potevo registrare solo nel weekend, e ovviamente c’erano weekends in cui ero felice per i cavoli miei, o triste per i cavoli miei, arrabbiata per qualcosa dell’ufficio o di casa, o pensierosa, o speranzosa, o positiva. E tutto questo, per lei che ascoltava, saltava fuori. Ascoltava il suo libro e scopriva se in quel weekend ero stata triste, o felice, o pensierosa. Si crea un invisibile legame umano, così. Non esiste niente, niente, niente di bello e potente come parlarsi a voce. Non trascuriamone l’importanza.