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giovedì 29 novembre 2012

Fantasmi

(Questo è l’ultimo dei post che avevo scritto in Agosto; ultimo, e particolarmente intimo e “privato”, tant’è vero che sono rimasta incerta fino all’ultimo se postarlo o meno, perchè certe cose, finchè non le superi, non le vuoi vedere scritte nero su bianco. Poi, come sempre, quel Gran Signore che è il tempo – probabilmente è anche lui di Venezia, secondo il noto detto – ha fatto quello che doveva fare, facendomi arrivare sana, salva ed obiettiva a fine Novembre. Pronta per non temere, una volta in più ancora, la parte più nascosta della mia emotività, e dominarla).

In più di un post ho accennato al Grande Amore della mia vita, che ovviamente non si chiama così ed ha un suo nome e cognome normalissimi come chiunque di noi  (che poi, nel caso, mi chiedo quale sarebbe il nome proprio, forse "Grande"). Ma un po' per la situazione ambigua che c'era ai tempi della nostra storia, un po' perchè di quella immensità è stato l'unico, l'ho sempre chiamato così, e così continuerò a chiamarlo. Situazione ambigua forse neanche più di tanto, visto che alla fin fine lo sapevano tutti, e quando ha lasciato la moglie e me per la terza del gruppo, sua moglie (che conoscevo bene) mi ha chiamato in lacrime dicendo che questa nuova non le piaceva per niente, non le era mai piaciuta, ed aveva sempre preferito l'idea di essere lasciata, piuttosto, per me. In pochi momenti della mia vita mi sono sentita così sollevata e così stupida, contemporaneamente.
Immensità ed unicità invece c'erano, come in tutti i grandi amori che si rispettino; io sono molto pratica, e so bene che quelle sensazioni le puoi provare una sola volta nella vita, due se ti va davvero bene. Le vivi a fondo (e se l'età è quella giusta tolgono il fiato, perchè non sei più tanto acerbo e non sei ancora tanto cinico) e poi le conservi nei famosi cassetti dei ricordi, per sempre. Ho sempre guardato con un po' di commiserazione le mie amiche/conoscenti che ogni volta che andavano a letto con uno nuovo (magari roba di una sera, o di una settimana) giuravano e spergiuravano di esserne perdutamente innamorate, quasi a darsi un alibi, perchè non è carino ammettere di essere state un po' troppo facili, e parlare d'amore giustifica tutto, o quanto meno ti mette due belle fettone di prosciutto sugli occhi. Io non sono mai riuscita a saltellare da un letto all'altro, anche se non nego che alcune volte sarebbe stato davvero divertente (ed altre volte mi avrebbe aperto nuove strade), ma non solo per una questione di morale, più che altro una questione di rispetto. Rispetto di me, soprattutto! Non per questo, tuttavia, giudico quelle che lo fanno. Sono cavoli loro, purchè però non me la si butti ogni volta sul sentimento, perchè mi arrabbio. Credo sia fisicamente impossibile innamorarsi a certi livelli più di una o due volte in un’intera vita, e a dire il vero nemmeno tutti hanno la fortuna di provarlo: c'è anche chi non si innamora mai (cosa molto triste, perchè saper provare amore fa stare bene dentro, a prescindere).
Un sentimento del genere mantiene un legame per sempre; quando, un po' di tempo dopo la fine della storia, c'è stata una cena di gruppo alla quale io partecipavo con il mio futuro marito e lui con la nuova  compagna col pancione, ricordo che la mia dolce metà mi disse che non c'era bisogno che gli dicessi chi era. Si capiva da come mi guardava, da come ci guardavamo, si "avvertiva" nell'aria. E ancora adesso, quando - ogni mai - ci capita di rivederci (perché dobbiamo rivederci - ogni mai - per sapere come sta l'altro, cosa sta facendo, se è felice oppure triste), io sto bene attenta che sia sempre a pranzo, mai a cena. E mai bere vino, che condiviso piace tanto ad entrambi, ma fa fare tante sciocchezze. Perchè l'immenso può essere negato, ma non spezzato.
Io per lui avevo letteralmente perso la testa, perchè lui fa questo effetto alle donne. Non che sia bello, neanche brutto: è assolutamente normale. Ma ha QUEL qualcosa! Ho cercato di spiegarmelo molte volte, sia per me stessa e per la mia razionalità, sia per mio marito, che a volte fa il sociologo curioso (e si chiede COSA è esattamente che attira certe donne verso certi uomini), ma non ci sono spiegazioni. Del resto, è come con le donne: ce ne sono alcune, magari non bellissime, che però sanno come girarsi gli uomini sulla punta delle dita, come marionette. Entri in un locale, in un negozio, vai ad una cena, ne vedi venti su una volta che non ti dicono niente, ma ce n'è UNA che ha qualcosa di diverso. Quante volte infatti veniamo a conoscenza di situazioni di uomini che si sono rovinati per una donna, che si sono indebitati, che si sono distrutti, e mica è sempre questione di bellezza. O di potere/ricchezza per quanto riguarda gli uomini che piacciono alle donne, come sostiene mio marito: quando l'ho conosciuto, il Grande Amore aveva trentadue anni, era squattrinato, e non ricordo particolari poteri, solo tanti sogni da far brillare gli occhi, una mente molto sveglia e un sorriso devastante.
Come certe donne fanno con tutti gli uomini che incontrano, lui riusciva a farti sentire una regina, una dea, l'unica ed irraggiungibile, in tutti i sensi. Ma attenzione, con la stessa facilità ti scaraventava a terra, perchè non c'eri mai solo tu. Raccontava una valanga di balle, un mare infinito di balle, ma mai per cattiveria, mai per uno specifico tornaconto, forse solo per modificare lievemente o abbellire situazioni che non gli piacevano, che non trovava abbastanza divertenti; ero arrivata a pensare che non si rendesse neanche conto di mentire spudoratamente, in continuazione. Perché, poi, ci sono le due varianti della cosa, e cioè quando la domanda è “Cosa hai fatto di bello ieri sera?” la risposta può essere “Sono andato all’inaugurazione del Posto Tale” (e non essere assolutamente vero, nel senso che invece è andato nel Posto Tal Altro), oppure sempre “Sono andato all’inaugurazione del Posto Tale” (per davvero questa volta, ma omettendo la coda della frase, cioè “… e ci sono andato con due mie amiche spogliarelliste strafighe”). Con lui ho imparato che, in amore, è meglio non fare mai domande se poi non si ha la forza di sopportare le risposte. O di dire basta.
Viveva costantemente sul filo del rasoio delle emozioni, DOVEVA essere sempre adrenalinico, ed era una cosa fantastica se quella sera eri lì con lui, non certo se lo stavi aspettando a casa perchè aveva detto "passo a prenderti alle otto, fatti trovare pronta che c'è una bella sorpresa", ma poi all'ultimo momento si ricordava che l'aveva detto anche ad altre due, per la stessa sera. O più semplicemente non aveva voglia di mangiare fuori. Sarà per causa sua che detesto tanto le sorprese, oggi. Sorprese che potevano esserci davvero, e negative, come telefonate che ti avvisavano di incidenti, di automobili distrutte, di patenti ritirate per mesi. Oppure bellissime, come anelli fatti fare apposta con quattro pietre del colore dei tuoi occhi e dei suoi, insieme.
Potevi giurare a te stessa, versando lacrime ora gelide ora bollenti sopra il cadavere del tuo orgoglio, che quella era l'ultima volta, e quel grandissimo bastardo sapeva sempre come farsi perdonare, con quel modo di guardarti, di ascoltare, di farti sentire speciale. Magari di lasciarti le tre rose sul parabrezza della macchina (noi donne siamo davvero deficienti, i fiori recisi sono pur sempre materia organica che sta per decomporsi, seppur ancora esteticamente gradevole, cosa ci troveremo mai?!). Quel modo quasi di umiliarsi per te, quando invece dentro è tuttora un presuntuoso strapieno solo di se stesso, nonostante l'età tenda a mitigare; del resto, lui sa benissimo di essere quello che è (cioè il Migliore, il più delle volte; quanto meno, professionalmente di sicuro). Tanto poi succedeva puntualmente di nuovo, perchè era un ballista e, sopra ogni cosa, un gran puttaniere. Ogni lasciata per lui era persa, una cosa più forte di lui, se si fissava su una (per una sera, per due sere, o per una settimana) potevi scommetterci l'appartamento che ci riusciva, tutte le volte. 
E poi tornava, sempre, e io ci ricascavo, sempre. E mica per una questione pruriginosamente fisica, dove - per quanto lui si credesse chissà chi - ho ricordi assolutamente normali di Quella-Cosa-Lì. Perchè, tra parentesi, Cari Uomini, non so se non ve l'ha mai spiegato nessuna, per noi non è assolutamente come per voi: per noi è principalmente una questione di testa. Beh, a meno che uno non sia VERAMENTE fuori categoria, in senso negativo tipo l'Uomo-Matita o Mr. Cinque Secondi, oppure in senso positivo tipo il buon vecchio Rocco, del quale anche le sue colleghe (che recitano nel vero senso della parola) dicono meraviglie. Voi ragionate sempre come se il vostro amichetto là in basso facesse la differenza, ma non è affatto così. Se siete riusciti a coinvolgere una donna mentalmente ed emozionalmente potrete farla andare fuori di testa anche senza quasi toccarla, farà tutto lei e si ricorderà di voi in eterno come Il Divino; in difetto, potete anche sudare come un operaio al tornio, agitarvi per ore, imprecare, che lei neanche se ne accorgerà, e tanto per non farvi sentire umiliati magari farà anche finta che le piaccia, mentre invece sta pensando che il giorno dopo deve portare l'auto a rifare la convergenza (anzi, che dico, la fa portare a VOI, così vi sentite quello-importante-che-si-occupa-della-sua-auto, e pagate anche il conto al gommista). Voi ed il vostro stramaledetto essere convinti che ci piacciano da morire giusto quei venti minuti di pistone-da-macchina, tanto per restare in tema di meccanica! Parlo ovviamente per me e per tutte quelle della mia età, che a certe cose ci sono arrivate lentamente, per gradi, e possibilmente gustandosele, non certo per le ragazzine di oggi che si danno via per una ricarica del telefono come niente fosse, e mi terrorizzano se le penso adulte (se fossi madre di questi tempi morirei ogni sabato sera).
Ho conosciuto, da adulta, uomini, anche tra i colleghi di cui non rivelerò il nome neanche sotto tortura, che hanno un modo di parlare, di muovere le mani, di ridere, di camminare, di guardarti mentre ti ascoltano, che è talmente sexy e prende da morire; gente che non avrebbe neanche bisogno di sfiorarti per farti sentire appagata, perchè sei già tutta agitata solo perchè si siedono a meno di un metro da te (e taci che non lo sanno, così ti eviti la tentazione). Poi con tutte ci provano puntualmente quelli col fare tanto macho, che disturba come un’alitosi cronica.
Lui era uno convinto di saperci fare, ed in effetti era esattamente così, ma non per quello che credeva lui. Era la sua essenza, la sua intelligenza, la sua follia sempre una spanna sopra, il suo mostrarsi “dentro” più degli altri, il suo modo di raccontarsi, di metterti a conoscenza dei suoi segreti più intimi, delle sue aspettative, mentre poi mi chiedeva le chiavi di casa perchè doveva dormire almeno tre ore per non crollare, e mi lasciava il frigo aperto tutto il pomeriggio, o la doccia che andava! In casa mia! Che non era il Museo che abbiamo adesso, ma è sempre stata particolarmente curata e a posto (come se uno, ora come ora, pretendesse di toccare i miei due Pedretti con le mani unte). Oppure mi chiedeva soldi in prestito, a me che all’epoca avevo una busta paga risicata giusto per l’affitto, la benzina e la spesa. O di mentire per lui, di nascondere cose importanti, e questa è stata la peggiore di tutte. 
Con lui ho vissuto quattro anni di picchi emozionali mostruosi, con nessun altro mai ho raggiunto o raggiungerò certe gioie infinite, e certe infinite disperazioni. Per fortuna, perchè quelli come lui alla lunga distruggono, o per lo meno distruggono le persone come ME, che danno tanto senza ricordarsi (ogni tanto) di chiedere o prendere, e finiscono per svuotarsi, prosciugarsi, azzerarsi per l'altro. Cosa sbagliatissima, perchè quando sei diventata un niente per causa sua, lui ride e fa spallucce, mica gliene frega più di tanto.
Come per esempio la volta in cui, al telefono per la buonanotte (che mi dava tutte le sere), mi ha detto di essere solo a casa e di raggiungerlo: follia pura, visto che abitavamo distanti, era tardi, e io non sono mai stata propriamente una scheggia alla guida. Però insisteva, e io sono partita, mi sono macinata una cinquantina di chilometri immaginando chissà quale nottata, e sono arrivata da lui che era tutto buio, con il cane che abbaiava come un matto nel silenzio totale. Lui ha aperto la porta in accappatoio dopo due interminabili minuti (tic-tac-tic-tac centoventi eterne volte) e mi ha guardato con una faccia che ricorderò in eterno, dicendo: "Ma sei qui? Io scherzavo! Sei proprio una bambina!" Ancora oggi chi osa chiamarmi "bambina" rischia un diretto in piena faccia. Lui "scherzava", ed era verbo che ripeteva spesso, quando l'asticella della sopportazione cominciava ad alzarsi un po' troppo. Adesso non ci faccio caso più di tanto, ma all'epoca era devastante; qualche settimana fa ci siamo sentiti al telefono, di corsa, e mi ha detto "ti chiamo domani prima delle otto così parliamo con calma", perchè sa benissimo che fra le sette e le otto e mezza io sono in ufficio a gustarne il risveglio, è la mia ora d’aria (quella in cui scrivo, rifletto, mi fermo, respiro a fondo, per poi rimettermi in moto ed in gioco). Ovviamente non ha chiamato per niente, nè quel giorno nè dopo, magari si farà vivo tra due mesi cadendo dal pero, se glielo faccio notare. Io ho sorriso, perché ora la cosa mi scivola ben bene sulle spalle, ma quando capitava anni fa era una spada rovente cacciata nel cuore, ogni volta.
La differenza profondissima fra lui e mio marito, che ho conosciuto in seguito, dopo la fine di quella storia (e che è stato un amore meno pazzo, più cauto, più responsabile, più voluto e costruito giorno dopo giorno, piuttosto che violento ed improvviso come la bufera), sta esattamente qui; cioè nel chiedersi: e se fosse per sempre? Se lo pensavo quando stavo con lui la cosa mi turbava e mi spaventava, quando l'ho pensato di mio marito mi si è squagliato il cuore per la dolcezza. Lui che è la mia forza, la mia coerenza, la mia sicurezza. Lui che davvero mi dà, tanto. Lui che ha l’occhio lungo, tanto lungo, e mi protegge, sempre, a volte anche da me stessa.
Perchè mi sto facendo tutti questi ragionamenti interni. Perchè - Dio non voglia - temo di aver conosciuto qualcuno pericolosamente simile a lui. Ballista uguale, senza rendersene neanche conto, o forse sì, ma crede che la gente non se ne accorga, oppure lo fa solo per compiacere chi lo ascolta. Quel giusto di presuntuoso ed egoista che basta. Puttaniere uguale, neanche lo sa di piacere alle donne, figuriamoci, di quelli che fanno le crocette sul calendario, e possono anche permettersi di scegliere. Stesso modo di guardarti ed ascoltarti, di farti sentire indispensabile per dieci infiniti minuti, e di dimenticarsi completamente della tua esistenza per un mese subito dopo. E ovviamente sento che c'è qualcosa che non va, mi prende troppo di pancia, è come la teoria degli iceberg che ti spiegano in tutti i corsi di comunicazione: noi esseri umani siamo come iceberg che galleggiano a mollo nell'acqua gelida. Ne affiora solo una minima parte, la nostra parte sotto il pelo dell'acqua è enorme rispetto al resto. Quindi quando due iceberg  si "avvistano" (con la parte affiorante), in realtà la loro parte sommersa si è già toccata da un pezzo. C'è già stato un contatto di fondo, qualcosa di inconscio, che con la testa non comprendi (anzi, quando arrivi a comprenderlo sei ben già oltre l'urto frontale). Tutte cose che un buon comunicatore, un buon venditore, deve saper sfruttare sul lavoro, ma sono metafore che vanno bene anche più semplicemente nella vita di tutti i giorni, nei rapporti umani ordinari e straordinari.
Visto che sono passati quasi vent’anni, visto che adesso sono più grande, meno istintiva e tre cose - solo tre, almeno tre - le so, questa volta vedrò di allontanarmene, in fretta e di corsa, con la pancia e con la testa. E non lo farò per rispettare il mio matrimonio, o mio marito, o il nostro “per sempre”.
Lo farò per rispettare ME.

sabato 24 novembre 2012

Omaggio ad Armando Cheri

(Scritto a quattro mani con l’amico Giovanni Faccenda, che conosce e comprende tutto il mondo celato dietro ad una virgola, inevitabile)

Esiste una Sardegna che vive di mare cristallino, di salsedine, di spiagge bianche ed incontaminate, o di roccia a strapiombo sui fondali. Ma esiste anche un’altra Sardegna, aspra, isolata, montana: cuore di Sardegna, la Barbagia che respira aria di mirto, di ginepro, di sasso e di secoli di storia. Una Sardegna scoscesa, inaccessibile ai più, che nulla sa dell’immenso blu che la circonda, ed è colorata solo di rossi accesi, resinosi, e di marroni profondi, di terra.
Esiste una Venezia che vive di sfarzo, di ostentazione, di ricchezza, di celebrità, d’oro di Bisanzio, di folle brulicanti che la pretendono, unica e sola al mondo. Ma esiste anche un’altra Venezia, minore, sottomessa, silenziosa: la Venezia dei rii, dei ponti ovattati dalle nebbie, degli squeri ove, tra profumi di legno e vibrare di assi, poche mani ancora capaci forgiano, ferme ed immutate nei secoli, le geometrie dei suoi simboli, le gondole e le forcole.
Esiste un uomo che riflette queste due anime sconosciute, che sa camminare come un funambolo fa sul suo filo d’acciaio, teso fra due mondi così diversi, lasciandoci a guardarlo stupiti per tanta maestria. Un uomo che ha costruito un ponte, forgiato nell’elemento comune fra questi due mondi – il legno – per accompagnarci per mano all’interno della sua storia, e ci invita a percorrerla insieme.
Un uomo, Armando Cheri.
Un nome, Armando, che significa "uomo d’arme", uomo ardito, uomo forte; un nome che evoca solidità, sincerità, ambizione, fedeltà, profondo senso della famiglia. Famiglia di Sardegna, famiglia di Barbagia, dove egli nasce nel 1962, e dove fin da bambino respira il profumo del legno ed impara ad amarlo ed a forgiarlo direttamente dalla sapienza delle mani di padri, zii, fratelli.
Un amore che si porta dentro quando decide di partire verso Venezia, un amore che debitamente amalgamato, emulsionato con gli umori lenti della laguna, lo porta a creare dal legno dapprima perfette forcole, e poi, mano a mano che riemerge il calore della terra che porta nel cuore, forme mitologiche, evocazioni religiose, guerrieri armati, divinità e misteriose lune. La forma slanciata ed immortale della forcola, per sua natura destinata alla sofferenza, al peso del remo, allo scricchiolio della voga, simbolo di una Venezia umile e secolare, muta nel tempo sotto le sapienti mani di Cheri, sotto la sua nostalgia di un altro cielo. E diventa slancio, diventa ricordo, diventa corpo o unione di corpi, astrazione forse, per certo poesia in movimento.
Non cerca un solo legno, Armando Cheri, perché "legno" è parola quasi astratta per chi lo vive pienamente, per chi lo ama e ne respira le nervature ed i più piccoli segni. E’ come dire "donna". Generico, indefinito. Amore per tutte le donne, ma per nessuna in particolare.
L’albero è la figura simbolicamente più diffusa in tutte le tradizioni esoteriche perché è presente in tre livelli (cielo, terra ed inferi): le sue radici a contatto con la morte, il tronco a contatto con la vita terrena, rami e foglie a contatto con la vita spirituale e futura. Alberi come uomini, diverse facce, diversi mondi, diverse fedi. Ben conosce gli alberi Armando Cheri che ne è intimo fratello, che è cresciuto con le loro carezze, osservando come il vento di Barbagia li modella, ora abbracciati e nodosi, ora lisci e tristi, ora silenti d’orgoglio.
E allora ecco il legno di noce, albero solitario, glorificato come dispensatore di doni e nutrimento; il legno di quercia, simbolo di forza e giustizia, robusta e regale. Il legno d’ulivo, severo e sottile, simbolo di pace e purificazione, emblema di calore e fuoco; l’abete, uno degli alberi più antichi, vitale e battagliero; il tiglio, Morfeo degli alberi. Ecco il ginepro ed il mirto, non più solo alberi vivi, non più solo legni, ma preziosi amici officinali.
Cheri li lavora con rispetto, senza piegarli alla propria volontà, ma quasi accondiscendente alla loro, e ne crea forme scultoree vitali, sospese in un movimento senza tempo.
Una grande alleata ha Armando Cheri in questa sua infinita ricerca plastica, ed è la Natura stessa. Poiché nel momento stesso in cui decide, ormai pronto, sicuro di sé, pregno di valori, di abbandonare la semplice esperienza artigianale e di approdare, di diritto, ad una vera maturità artistica, è Lei che gli presenta la materia prima, permettendogli una lavorazione sempre meno invasiva, e lasciandogli il compito, terso e nitido, di interpretare solamente, e minuziosamente raccontare, a chi ne ha perso la vista e l’ascolto.
Ben ebbe a dire infatti Pablo Picasso: "La scultura è l’arte dell’intelligenza": di più, arte ed intelligenza insieme, perché diventa scelta, raccolta, levigatura. Di più, perché diventa attesa. Cheri torna alle origini per la ricerca della materia, ed è il cuore di Sardegna, terra millenaria e misteriosa, a fornirgli radici affioranti, rami spezzati, braccia che diventano altari, dita che diventano animali alati, nei quali la Natura ha voluto conficcare pietre, ora dolci ora aguzze, segnate anch’esse da fori, graffi, scritture antiche.
Non sono inserimenti artificiali e meramente estetici quelli che vediamo nel legno di Cheri: sono lì per diritto di natura e storia, inglobati nelle venature in un eterno abbraccio, rocce antiche plasmate dal vento che diventano arte eterna. Armando Cheri cammina nel silenzio terso, sceglie, sveglia dal sonno la Natura dormiente, la porta con sé dalla montagna aspra alla laguna, affinchè per settimane, mesi, a volte anni d’attesa respiri l’unione dei due mondi, i sapori salmastri, riposi, diventi pienezza, pronta per essere levigata e trasformata in arte. Forme sospese nel tempo eppure dinamiche, concrete, pure, in materia viva.
Un unico errore commette, forse, Armando Cheri. Allorquando, nel presentarsi al mondo silenziosamente con le carezze delle sue creature ("da buon sardo" – dice – "con un doveroso inchino ed il cappello in mano"), indugia nel pensiero di un confronto con illustri predecessori: un gioco all’aperto, un nascondino, un acqua-fuoco-fuocherello, un tiro alla fune con Balla, Boccioni, Brancusi, Giacometti, Ernst. No. Cheri ha Madre Natura, Sorella Natura, Compagna Natura che vivono nel suo istinto, nessun paragone è possibile. L’inchino, è vero, è doveroso al cospetto di cotanti nomi, ma il cappello può restare al capo, mentre il sole di Sardegna gli scalda il cuore, mentre gli occhi guardano oltre l’infinito del mirto e dei ginepri, mentre Venezia attende il suo ritorno, in quella dimensione che è solo sua.


(Questa foto è stata scattata in Sardegna, l'ultima estate, da qualcuno che non sono io, ma che come me ama dare eternità ad immagini particolari. Per un po' ha atteso, silenziosa anche lei; poi è arrivato questo brano, sono arrivate le emozioni date dalla storia e dal lavoro di Armando Cheri, ed ho pensato che questo fosse il suo posto. Non sono solo due alberi: io ci vedo ricerca, ci vedo resistenza, ci vedo un abbraccio immenso, per sempre) 

mercoledì 21 novembre 2012

Di palo in frasca (su diritti e doveri...)

Stavo riflettendo su un episodio di qualche settimana fa.
Mi arriva in ufficio una signora per pagare la Polizza dell’appartamento, e mi chiede se, visto che ha terminato di pagare il mutuo, è "ancora obbligatoria". Premetto che è una signora simpatica e in gamba, per cui ci si può anche scherzare; in una frazione di secondo ho eliminato dalla mente l’idea – che pure mi era balenata, per dovere professionale – di iniziare il classico discorsetto circa il fatto che, in realtà, in caso di mutuo l’unica garanzia obbligatoria è l’Incendio (assieme ai cuginetti Fulmine, Esplosione e Scoppio, come Qui-Quo-Qua), e tra l’altro solo per il Fabbricato, che è il bene che interessa alla Banca. Lei invece con questa Polizza si tutelava anche da un sacco di altra roba (Danni da fuoriuscita d'acqua, Spese di ricerca e riparazione, Eventi atmosferici, Atti vandalici, varie opzioni di Responsabilità Civile, addirittura anche il Furto, che non costa proprio poco, eccetera eccetera), sia sul Fabbricato dato in ipoteca alla Banca, sia sul Contenuto, cioè tutte le cose sue che stanno dentro alla casa, dopo che hai varcato la porta. Ma non importa, probabilmente non ero molto in vena di attaccare la solita solfa.
Quindi le ho solo detto, sorridendo, che di obbligatorio in questa vita non c’è nulla se non morire, a parte ovviamente - per quanto ci riguarda da vicino – la R.C. Auto. Se non aveva più in essere il mutuo tanto meglio, voleva dire che in caso di incendio i soldi del danno li avremmo dati a lei, invece che alla Banca. Che poi è una cosa di una banalità senza fine, tra l’altro mortificante per il Cliente perché dicendo cose ovvie si tende a dargli – inconsciamente – come minimo del poco sveglio; se l’avesse detta una delle mie Ragazze l’avrei linciata con lo sguardo, imponendole di partire con la tiritera di tutte le coperture presenti oltre all’Incendio.
Questa signora mi ha guardato stupefatta, come se le avessi rivelato in gran segreto i codici di lancio di un paio di missili nucleari. Ha anche voluto che glielo ripetessi, per essere sicura di aver capito bene, e a quel punto ci ho aggiunto anche qualche corollario che è sempre bene non trascurare, come ad esempio il fatto che se ci hai messo una vita a pagarti l’unico straccio di casa che hai, sarà il caso che tu investa una cifra minima - davvero minima - per tutelarti nel caso un evento accidentale ed improvviso te la porti via! Insomma, quando in Gennaio ho scritto il post "Assicurazioni imprescindibili" (vale anche per il "Vita e Morte" di Dicembre) non era certo per farmi pubblicità professionale fra i cultori dell’arte che visitano questo blog: sono davvero cose in cui credo profondamente, altrimenti non farei questo lavoro.
Il punto fondamentale è solo uno: quando la smetteremo, tutti, di considerare le coperture assicurative come dei DOVERI e cominceremo finalmente a vederle quali esse realmente sono, cioè dei DIRITTI? Gli inglesi ci sono arrivati da un pezzo, del resto le hanno inventate loro, ma insieme agli inglesi ci metto vari altri europei progrediti, Paesi dove le coperture assicurative costano davvero poco, perchè hanno imparato a sfruttarle per quello a cui davvero devono servire, cioè una grande mano quando il cittadino normale non ci può arrivare del suo. Qui invece abbiamo da un lato tutto il mondo dei media (stampa, televisione, web) che ipnoticamente trasmette in continuazione alle menti semplici lo stesso messaggio: l'assicuratore ti frega, l'assicurazione non serve a niente, ti tocca farla ma se puoi fanne a meno, cerca di spendere il meno possibile, è solo un fastidioso obbligo, come il canone RAI. Dall'altro lato abbiamo strutture intere specializzate nelle truffe assicurative, perchè le assicurazioni sono cose da evitare come la peste, ma visto che esistono perchè non approfittarne? Sono passati ormai parecchi anni, ma l'ho vista con i miei occhi una perizia medico-legale di parte, consegnata da una Cliente all'Ufficio Sinistri, dalla quale la Cliente (genio n. 01!) aveva dimenticato di tirare via la letterina accompagnatoria del Dottore (genio n. 02!) che diceva più o meno così: "Cara Signora, Lei di invalidità permanente non ha un tubo, sia chiaro, ma visto che c'è di mezzo l'assicurazione io le scrivo che ha sette punti, così se il suo Avvocato è bravo a transare ne dovrebbe tirare tre o quattro. Si ricordi che l'aspetto qui in studio quando le arriverà l'assegno". Per fortuna che "le assicurazioni non pagano mai"!
Mi rendo conto che sarebbe bellissimo vivere in un mondo privo di incendi ed accidenti vari, ma è pura utopia. Sarebbe altrettanto bello pensare ad un mondo in cui la salute sia tutelata, gli ospedali funzionino bene e senza costi, non ci siano mai infortuni (nè sul lavoro, nè altrove) e nel malaugurato caso ci siano, esistano pronte ed adeguate soluzioni da parte dello Stato Sociale. Un mondo in cui i contributi versati nel corso di una vita ti siano resi sotto forma di una giusta pensione e non spariscano per sempre in una delle tante voragini. Lo sappiamo tutti che pure questo è utopia, anche se è terribilmente seccante. Tanti miei Assicurati dicono: "Ma deve pensarci lo Stato!"... e se lo Stato NON ci pensa? Guarda che è la TUA salute, la TUA pelle, la TUA casa, il TUO futuro! Se lo Stato (o chi per lui) non ci pensa, e appare chiaro credo ormai a tutti che non ci pensa e non ci penserà mai, tu hai il sacrosanto diritto/dovere di pensarci da solo. Fallo! Le assicurazioni private servono esattamente a questo: a farci dormire più sereni, perchè alle cose nostre ci abbiamo pensato NOI, e non qualche politicante cialtrone. Io ho il diritto di essere risarcita se mi va a fuoco l'appartamento, cosa che tra l'altro costa anche pochissimo. Di sicuro meno dell'IMU, e dico IMU non a caso, perchè la mia gentile e simpatica signora, parlando del più e del meno DOPO aver scoperto che la Polizza della SUA casa serviva principalmente a LEI e non alla Banca, mi ha accennato a tutte le spese che aveva avuto recentemente, a causa delle quali stava valutando di annullare, appunto, la Polizza. Tra le quali l'IMU (e due mesi di ferie in montagna, aggiungo io, e vuoi mai anche un nuovo cellulare, di quelli che fanno di tutto, anche la pastasciutta, tanto che poi diventa difficile capire come fare per telefonare e finisci che chiami dal fisso più di prima).
Ora, che l'IMU sia una tassa fastidiosa non sarò certo io a negarlo, anche se a dire il vero non è quella che odio di più. Per esempio, trovo molto più detestabile l'IVA, che la gentile signora neanche considera perchè come molti privati è abituata a guardare il prezzo lordo di tutte le cose che tocca; forse in gran segreto dovevo confidarle anche quello, e cioè che ben un quinto (più un punto) della spesa per i detersivi, i vestiti, l'automobile, l'appartamento, le ferie, il telefonino in realtà è solo una tassa che lo Stato incamera. Tutti soldi che potremmo tenerci ed usare per le nostre cose, assicurazioni comprese. E poi, diciamolo francamente, l'IMU dà tanto fastidio solo perchè è stata ri-creata di recente nel tentativo di salvare un Paese allo sbando, e criticarla è come sparare sulla Croce Rossa: è diventata un simbolo.
Non ci sono segreti, basta andare all'Agenzia del Territorio: io sono proprietaria al 100% di un appartamento grande un centinaio di metri quadri (inutili terrazze comprese!), non ho figli per cui mi sono giocata tutte le ulteriori detrazioni, ed a Giugno ho pagato la bellezza di 95 Euro. Che, per carità, mi sarebbe piaciuto tenere in tasca, magari mi ci compravo un paio di pantaloni, che ne so, o una scarpa (una sola). Ma se mi dicono che versando questa cifra si può salvare l'Italia, la verso (incrociando le dita che la seconda tranche non sia una sorpresa troppo grossa, ma che sia limitata all'equivalente dell'altra scarpa). Il fatto è che c'è gente che di IMU ha pagato dieci, cento, mille volte quello che ho pagato io, il che corrisponde a molte case e/o molto grandi. E se è QUESTA la gente che si lamenta, non mi sta più bene. Perchè io sono la prima a voler strozzare con le mie mani tutta la classe politica, tutta quella pletora inutile di amici-consulenti-portaborse pagata a peso d'oro, tutti i componenti della famosa Casta che ci succhia il sangue per poi tenerselo invece che ridistribuirlo (la conosciamo bene tutti, la famosa tiritera dei servizi mancati, quelli che invece hanno nei Paesi del Nord Europa, dove pagano tantissime tasse ma funziona tutto perfettamente, dalla sanità alla scuola alle infrastrutture alle pensioni eccetera eccetera eccetera). Ma attenzione, con le stesse mani strozzerei volentieri anche chi - dall'altra parte - in questa situazione ci sta marciando un pochino troppo, e con una mano critica il Governo mentre con l'altra licenzia, distrugge, affama, occulta, e porta alla disperazione.

venerdì 16 novembre 2012

Chi cerca non sempre trova

Oggi mi va di sdrammatizzare un po’, rincorrendo la mia vena ironica; ultimamente sono stata troppo seria, per quanto pervasa dal sacro fuoco dell’arte!
Ho raccontato più volte come gestire il blog sia stata esperienza che mi ha arricchito ed in parte anche trasformato: mi ha fatto bene come persona (non facciamo gli ipocriti, i complimenti hanno sempre un ruolo cruciale per l’autostima!), ed ha reso più fluida e completa la mia scrittura, anch’essa in fase di evoluzione. Mi ha permesso di entrare in “contatto” con persone che posso dire tranquillamente di ammirare molto per la loro profondità ed umanità;  devo virgolettare perché il contatto non è diretto, avviene sempre tramite pagine on-line, ma ciò non toglie nulla alla sensibilità dei pensieri. Ed ha permesso che approfondissi la conoscenza – questa volta sì, con abbracci veri – di un paio di persone che, per questa nuova “me”, stanno diventando cardini emotivi.
Quello che non ho mai detto è che, alla fin fine, è anche esperienza particolarmente divertente, che in più di un’occasione mi strappa qualche risata, e si merita un plauso, visto che di questi tempi un sorriso spontaneo o una risata di gusto sono un toccasana ai pensieri del “domani” (quello di cui “non v’è certezza”, come diceva in altri tempi un fiorentino molto famoso).
Lo dico per i profani, visto che chi gestisce un blog a sua volta lo sa benissimo: su Blogger, quando mi identifico come Sovrano Indiscusso Del Mio Blog, ho accesso alle “Statistiche”. In un clic io posso vedere in tempo reale quali post sono stati letti dagli utenti nell’arco dell’ultima ora, dell’ultimo giorno, dell’ultima settimana eccetera. Posso vedere tramite quale strada i lettori bussano alla mia porta (se usando Google, o altri motori di ricerca, o tramite la propria posta elettronica se qualcuno  manda loro un link), e soprattutto posso vedere COSA è stato digitato per poi planare su Trecose.
Mi spiego meglio: è evidente che molti di voi mi leggono volontariamente (ancora grazie a tutti, i “miei” otto che sono già usciti allo scoperto ed anche tutti quelli a cui piace mantenere l’alone di mistero!), quindi collegandosi direttamente a “trecose.blogspot.it”. Ma c’è in realtà un sacco di altra gente che mi legge PER CASO, ad esempio digitando qualcosa di specifico sulla barra di ricerca di Google, e leggendo un pezzetto di me solo perché Google mi schiaffa tra i primi dieci, venti o cinquanta risultati della ricerca, a seconda della pazienza di ciascuno.
E qui inizia la parte divertente.
E’ evidente che molti, moltissimi devo dire, utenti che digitano “Marcello Scuffi” prima o poi mi incontrano. Idem dicasi per tutte le ricerche su “Scuffi pittore”, “quadri Scuffi”, “mostre Scuffi” eccetera eccetera: tutta gente che gode della mia stima, gli amici di Scuffi sono miei amici! C’è anche un’infinità di gente che cerca informazioni sulla famiglia Orler, sui loro collaboratori, su Giovanni Faccenda, o su questioni assicurative, e chiaramente prima o poi io esco fuori.
Google serve a quello: tu digiti un nome e lui ti butta lì in una frazione di secondo tutti i milioni di siti possibili ed immaginabili in cui – nel Grande Web – quel nome si trova. Poi sta a te guardarteli uno per uno, e vedere cosa ti interessa e cosa no, cosa è realmente pertinente e cosa invece è pubblicità quando non spazzatura; lo facciamo tutti, quando vogliamo cercare qualcosa, dall’organizzare le ferie agli acquisti su Ebay.
Ma sempre tenendo presente che è un computer, non una segretaria personale! Non avrebbe senso digitare, ad esempio (mi invento io), “quanto pesa Marcello Scuffi”, perché (a meno che questo curioso numero non sia stato pubblicato da qualcuno) al di là della tastiera c’è solo un enorme mare di dati informatici in cui pescare, e non certo una solerte signorina che telefona a casa Scuffi, chiede a Marcello di salire sulla bilancia e poi ti risponde: “Guarda, mi ha detto così, ma mi sa che mente…”.
Oggi quindi farò una mia personale classifica di tutte le frasi che il Popolo degli Utenti Web ha REALMENTE digitato sulla barra di ricerca Google (tutto rigorosamente vero, io lo vedo come "Origine del traffico"), così ci scherziamo sopra insieme, anche se la migliore di tutte resta sempre quella che ho già citato più volte, e mi è capitata quand’ero ancora agli inizi. Parlo della persona che aveva cercato “come togliere l’argento dalle cornici”: io trovo che ci sia tutto un universo dietro, un universo di pazzia, disperazione o forse solo semplice stupidità. E’ probabile che  io ad un certo punto mi metta a singhiozzare, se penso che la direzione comune di tutte le ultime disposizioni di legge nel mio settore – il mondo assicurativo - è quella di lasciare sempre più autonomia web ai Clienti (e molti Clienti QUESTI sono!). Ma voi offritemi una delle vostre spalle, ed io mi sentirò subito meglio.
a) Il web non è l’anagrafe, e neanche i Carabinieri, la CIA o l’FBI. Quindi non ha senso chiedere “numero di cellulare di Giuliana Orler Favaro Veneto”, perché difficilmente qualcuno vi risponderà “Ehi bello sono proprio io, eccoti il mio numero privato”. Però che palati fini che siete, tutti a chiedere il numero della Giuliana, mai di Giuseppe o di Paolino…
b) Io trovo normale che ci sia gente che cerca “Catone Biasioli”, “Franco/Franchino Raccioppo”, “Dario Olivi” o “Carlo Vanoni”. Sono ricerche come “Carlo Vanoni che passione” che mi inquietano nel profondo.
c) Mi inquieta parecchio anche vedere che c’è gente desiderosa di sapere “come diventare venditore Telemarket”. Quale essere umano sano di mente dovrebbe avere questa come massima aspirazione nella vita? Comunque è semplice: vai da loro, indica un quadro di Faccincani a caso, afferma con convinzione che sai che tra quarantotto giorni varrà duecentosettantaseimila Euro, e vieni assunto.
d) Il mondo dell’idraulica è un mondo a sé, meriterebbe un libro, anzi, un giorno o l’altro lo scrivo sul serio a quattro mani con mio marito, che di aneddoti ne ha per dieci vite. E sicuramente uno spazio molto ampio verrà dedicato a quel grandissimo bastardo che ha chiesto “come non pagare l’idraulico” (io spero che licenzino te, domani, subito!). O, in alternativa, a quei due-tre burloni che vogliono sapere cosa fanno le “donne sole in casa con l’idraulico”, sempre per la serie che il web è il web, e non la CIA, l’FBI o una rivendita di filmini porno di terz’ordine.
e) Il mio post di Gennaio “Psicologia dei maleducati” è quello su cui casca sempre chi digita “mio marito è sgarbato”, “marito maleducato” e moltissime frasi equivalenti. Faccio la seria per un momento e dico che, in certi casi, mi si stringe il cuore. Chiunque voi siate, care amiche con questi problemi, non attaccatevi a Internet: leggete Trecose solo per passare due minuti in leggerezza, già che ci siete arrivate sopra, ma poi cercate qualcuno che possa aiutarvi, qualcuno di VERO, vivo, che vi stringa le mani e vi ascolti, che vi incoraggi e vi indirizzi al meglio.
f) Sempre in Gennaio, devo aver fatto centro con i post sugli usi ed abusi del Curriculum Vitae… Molti li leggono, e spero davvero servano, soprattutto a chi poi porta quello stesso curriculum a ME. Soprattutto a chi digita su Google frasi come “cv so navigare in Internet”, o “curriculum uso internet”. Ribadisco: anche le scimmie sanno navigare in Internet, oggigiorno. Non scrivetelo, non scrivetelo MAI (a meno che non abbiate DAVVERO delle competenze specifiche, e allora indicate pure tutti i programmi che sapete usare, ma tenendo presente che l’uso di Facebook o di Twitter non ricade tra i preferiti), non scrivetelo a chi vi mette un computer in mano sperando che lo usiate per lavorare, e non per i comodi vostri.
g) Le assicurazioni restano come è giusto che sia un importantissimo oggetto di ricerca. E poi ultimamente Internet aiuta in molte cose. Ma se volete sapere “quanto costa la RCA di una Fiat Punto” non basta scriverlo così com’è su Google, eh no! Bisogna usare i siti appositi, i comparatori, i preventivatori, metterci tutti i dati personali più una serie di altre informazioni utili (una ventina circa di domande/risposte), e soprattutto bisognerebbe RAGIONARE, oltre al clic! Lo dico anche a chi scrive come ricerca “pago tanto di RCA?”, con il punto di domanda! Ma cosa pretendi, che salti fuori Mr. Generali, o Mr. Reale Mutua, e ti dica: “Sì, vieni da me che ti faccio meno”? Ma che dico, intendevo Mr. Direct Line o Mr. Genialloyd, perché spessissimo i Geni del Web sono convinti che esistano SOLO le Compagnie dirette. Una volta sono entrata in un Forum di motociclisti (io navigo spesso anonimamente nei Forum in cui si parla di assicurazioni, perché mi interessa capire cosa pensa la gente, che nozioni realmente ha o crede di avere, ed imparare a rapportarmi con chi non si fida di me per principio, visto che preferisce un mouse ai miei grandi occhi verdi). Questi si scambiavano informazioni sulle assicurazioni, con tanto di dati tecnici (cilindrate, classi di merito, CAP di residenza…), si davano consigli circa le Compagnie meno care e più affidabili, tutte on-line ovviamente; io mi sono tolta lo sfizio, già che c’ero, di fare un conticino su uno di loro, di Genova. Ebbene, da me avrebbe speso più o meno metà, e a tariffa piena, senza un filo di sconto. Ma mi sono guardata bene dal dirlo, pareva che lo offendessi.
Cari assi-navigatori, lo sapete che non basta dire “Fiat Punto”, bisogna scavare un po’ più a fondo… Se proprio non ne avete voglia, perché non entrate in un’Agenzia di assicurazioni e lo chiedete a loro? Sarebbero lì apposta, ed il più delle volte sono anche un pelino più ferrati di voi sull’argomento. Senza contare che, se il preventivo non va a buon fine, difficilmente vi tempesteranno di altre offerte via mail, perché vi chiedono solo i dati che effettivamente servono per la copertura assicurativa, e non anche se vi piace l’olio spremuto a freddo o se leggete romanzi d’avventura, per completare il Database del Marketing.
h) Un capitolo tutto particolare merita il carissimo Giovanni Faccenda, devo dire molto gettonato su Internet (quasi più di Giuliana Orler!). Ora, mi sta bene la classica ricerca “nome + cognome”, oppure con tutti gli orpelli tipo “critico d’arte”, “professore” e simili, ma se volete sapere cosa lui ha detto esattamente durante una diretta Orler sarà molto difficile trovarlo con Google. Ad esempio scrivendo “quali sono i tre artisti preferiti da Giovanni Faccenda” in molte sue varianti: non esiste un sito in cui lui l’abbia scritto esplicitamente; di recente li ha citati durante l’ultimo Speciale Scuffi, e se non vi riguardate quella registrazione è impossibile arrivarci. Ma io sono magnanima, e voglio rivelarvelo, perché sono curiosità sane che è bene soddisfare, così la cultura vera si diffonde: sono Armodio (da lui definito testualmente “sommo ed inarrivabile”, parole direttamente dal Vangelo secondo Giovanni), Claudio Bonichi e Giuseppe Modica. Adesso partite pure con una bella ricerca, e non dimenticate Scuffi, che si è beccato la medaglia di legno, ma mi sa che con cotanto confronto è contento lo stesso.
Tuttavia, continuando il discorso che il web non è l’anagrafe (e qui si parla di curiosità meno sane), vedo difficile che qualcuna possa trovare risposta a domande disperate e ricorrenti del tipo “chi è la moglie del Professor Faccenda” o “con chi è sposato Giovanni Faccenda”, ragazzacce indiscrete! E non vi posso neanche aiutare, perché per quanto io sappia il nome della moglie di Giovanni, trovo carino rispettare la privacy della gente, e su questo Internet ci sta abituando davvero malissimo. Però vi do una dritta: mi sa tanto che a lui piacciano rigorosamente le bionde. Per cui, se siete more, mettetevela via; o, quanto meno, valutate l’idea della tinta.

martedì 13 novembre 2012

Celebrazione

Non sono mai stata così ricca dentro da quando sono diventata povera fuori! Intendo – visto che dire “povera” in una situazione come la mia, comunque libera professionista con entrate sommariamente interessanti e soprattutto abbastanza sicure, è un insulto alla povertà vera - intendo senza uno straccio di centesimo da parte. Famiglia monoauto. Con mutuo che terminerà quando sarò già in pensione, forse (forse la pensione, non la fine del mutuo). Tutto ciò che entra esce per l’arte, niente di nuovo sotto il sole; ma ripeto che lo rifarei, daccapo, senza il minimo dubbio, perché mi fa stare bene con me stessa e con il mondo. E, ne sono sicura, fa di me una persona migliore.
Un nuovo Speciale Orler per Marcello Scuffi; vi avevo invitato, avete volato con me? Giornata di risa e lacrime, che mi ha fatto tra l’altro capire una cosa fondamentale, mi ha chiarito un piccolo dubbio che mi rosicava da quando avevo scritto il brano “Emozioni condivise” per il Catalogo Mondadori. Io infatti mi chiedevo: ma questi grandi nomi, la Somma Acidini, il Professor Zecchi, Giovanni Faccenda e tutta la crème-de-la-crème, come fanno a scrivere tre, quattro, dieci volte delle stesse persone, degli stessi artisti, delle stesse cose?! Come fanno a non ripetersi? Come fanno a restare “veri” affrontando, bene o male suvvia, sempre lo stesso argomento? Io non ci riuscirei mai… Quel che ho detto su Scuffi, qui nel blog ed anche su carta, mica lo posso voltare e girare dieci volte, l’emozione è sempre quella, cosa ci posso aggiungere? Mi dicevo. Ma mi sbagliavo, e adesso faccio ammenda davanti a tutti.
Intanto c’è da fare una premessa: dipende dall’artista, eh! Perché è ovvio che se uno deve scrivere di un “artista” che fa sempre la stessa roba, identica anno dopo anno, magari – sparo a caso - cappuccino e biscotti versati così come sono su una tela ed incorniciati ancora caldi, capisco bene che scriverci qualcosina di nuovo diventi problematico. O forse no, basterebbe affrontare un discorso sulla profondità concettuale dell’”alba del giorno”, “vitale come l’energia”, ma nel contempo con la “cupezza dell’imbrunire” (del resto, il cappuccino che sbrodola è marrone) e ci riempi subito una bella cartella. Ma la riempi di schifezze, si vede bene che è puro esercizio di vocabolario, di aggettivi ed avverbi, ce la fa anche la sottoscritta (ho virgolettato, ma è roba inventata di sana pianta adesso da me). E difatti la crème non scrive di cappuccini (la piramide, in cima, è stretta!).
Marcello Scuffi invece si sta evolvendo, quindi lo si può osservare e descrivere con anima rinnovata; si sta raffinando come un gioiello raro, forgiato a mano in un crogiolo: smettiamo di guardare COSA dipinge, guardiamo COME dipinge. Perchè chiediamo ancora il Circo, o la Piazza d'acqua? Non c'è più differenza: l'aia ed il mare scompaiono, sono un unico specchio. Guardiamo come riesce, con una sola linea ed una sola barca, a riempire una superficie intera di sentimento. Con una sola arcata, a farti respirare malinconia. A farti annusare il mare. A farti sentire come dentro una chiesa, con la stessa muta devozione.
Sta diventando sempre più definitivamente "Scuffi", non si rifà ad alcuno, non vediamo più citazioni dei suoi eccellenti Maestri: è lui, lui solo. Ed è tanto merito suo, ed un po’ anche merito nostro, di chi lo ama, lo segue e lo incoraggia, rendendolo quindi più sicuro di sé e dei suoi mezzi, portandolo all’attenzione di chi, appunto, scrive al vertice, e dice di no ai cappuccini con i biscotti, a parte al bar.
Poi, dipende da chi c’è dietro l’artista. E gli Orler, tutti loro e chi con loro collabora, sanno fare la differenza, anche nelle emozioni, e qui l’ammenda diventa ingente. Credevo di averne vissute, di dirette Orler, di aver fatto già il pieno di emozioni irripetibili, ed invece riescono a sorprendermi sempre. Riescono a fare in modo che l’emozione sia ogni volta nuova e diversa, cosicché scriverne ancora (e ancora) riesce facile e spontaneo come un abbraccio. Non siamo ipocriti, dagli Orler si vendono quadri, c’è una scaletta da seguire, tempi da rispettare, prezzi da applicare. C’è gente che ci deve mangiare ogni mese, con questo lavoro. Ma se vedi Dario Olivi che, in tre ore di diretta, non prende in mano neanche una volta la cartelletta da venditore (quella del gelo dei numeri: le misure, il costo, il cartellino di riferimento, quella che io detesto veder sbandierare perchè uccide il cuore), ed unisce all’usuale professionalità un fervore da predicatore “black”; se vedi Giuseppe Orler che, pur restando la praticità fatta persona (poche chiacchiere con Giuseppe…), si aggira lieve per gli studi, quasi temendo di spezzare la sacralità dell’atmosfera, e dirige le operazioni con la soavità con cui si dirige un coro; se vedi spettatori che trattengono il fiato, e Lia Scuffi piangere davanti alle immagini di quel compagno di un’intera vita arrivato dove meritava con l’umiltà del primo giorno… capisci che non è più una televendita, è una celebrazione. E io di Messe me ne intendo!
Rivediamola tutta così, questa mattinata memorabile, in onore di un toscano puro che dal seminario ha voluto fuggire, ma che ne rivive paradossalmente ancora i lenti gesti, in un gioco di opposti che profuma di sigaro ed incenso. Facciamoci il segno della croce entrando (ed è già la seconda volta che mi succede, con Scuffi!) perché gli studi sono già pronti con un colpo d’occhio da volta affrescata. Grande ormai, sublime, la tecnica di Marcello, profondo conoscitore della sua materia, plasmata con le mani come fosse scultura d’argilla, con le mani lisciata e ricoperta di veli, pittura che è in realtà poesia, è canto, è musica. E’ essenza d’arte, secondo quella comune radice “artes” che fa suo anche l’artigianato della pittura (attenzione: della Pittura, non l’artigianato delle cannucce, delle farfalle o degli estintori che abbondavano a Verona come ho scritto in “Barcollo ma non mollo”, parliamo di due cose diverse, con Marcello siamo a Messa, con le cannucce ad un rave party abusivo).
Accomodiamoci in prima fila, o magari in seconda, se la prima fa ancora un po’ specie a chi non va in chiesa tutte le domeniche (io invece ci vado, e quindi non ho timori di sorta a fiondarmi davanti per gustarmi tutto in primo piano). Ascoltiamo il saluto del celebrante, e le letture ricche di significato, perché quando Giovanni Faccenda è in forma ce ne sono pochi che possono stargli dietro (o, se vogliamo continuare con le metafore evangeliche, che sono degni di "abbassarsi e slacciargli i sandali”, e qui chiudiamo il cerchio perchè il Battesimo di Gesù l'ha dipinto anche Piero!), e non sono mica balle, non c’è MoMA, non c’è Musée D’Orsay, c’è Palermo, c’è Milano, sono tangibili e vere, c'è un’Italia che plaude e batte un’esterofilia assente. Ascoltiamo l’omelia di Dario, che così si riscatta un pochino per aver fatto manca a Fiesole.
E poi arriva il clou, arrivano gli sms di stima, commozione ed amicizia, quando alle tele di Marcello si sovrappone, prima in silenzio e poi via via in crescendo, la voce delle Stelle della Tosca, con le immagini della Versilia d’inverno così forti che senti il naso che pizzica, senza sapere se sono lacrime o il mare stesso, con la sua salsedine, che ti è entrato dentro. E’ la consacrazione, quel momento in cui il pane, umile elemento della terra, trasmuta; un momento in cui i sensi si fondono tra loro, e non vi è più vista, non vi è udito, o tatto, o odorato: puoi riuscire ad ascoltare le barche, a toccare il mare e sentirlo liquido davvero, a chiudere occhi ed orecchie ed ancora vedere poesia ed ascoltare pittura. Grande aria di Puccini, sempre ad effetto, anche se a dire il vero io ho vibrato di più sul promo infrasettimanale, con quell'accostamento così ardito tra Marcello e le note dei Pink Floyd, solo note, niente voci, solo lampi scanditi sul pizzicato di una corda. Ho pur sempre avuto vent'anni negli anni Ottanta, io, ed erano in tanti, tutti gli amici della mia compagnia, in barca nel Bacino di San Marco, quella notte - terribile per una Venezia sfigurata, ma indimenticabile - di ventitre anni fa. Tranne me. Io ero a casa, ad aspettare la telefonata delle otto del fidanzatino allievo ufficiale alla Cecchignola, perchè mica esistevano ancora i cellulari, e se volevi sentire una voce dovevi rinunciare a qualcosa. Mi hanno dato della scema tutti, quella sera, ma ho rinunciato all'evento del secolo per una voce. Non sono cambiata più di tanto negli anni, quindi; l'importanza delle voci, dei contatti... L'importanza di mettere l'amore "prima", a prescindere.
Ancora adesso quando sento i Pink Floyd penso allo struggimento di una scelta, penso ad un amore lontano, penso a qualcosa che - tutto sommato - non è così distante dalle morbide vele abbandonate di Scuffi, che attendono un rinnovato soffio. Dipende dai punti di vista. 
Comunque, io la mia Comunione l’ho fatta, sono andata all’altare ed ho avuto il nono Scuffi, un regalo come un bacio leggero per il mio compagno di vita che per primo ha amato i silenzi di Marcello e mi ha portato fino a lui. Ci sentiamo molto simili agli Scuffi, io e mio marito; coppie senza figli, coppie strette, che hanno vissuto tanto, tutto, insieme, proteggendosi e difendendosi, che si cercano sempre con gli occhi anche quando sono seduti distanti. 
Questo nuovo, piccolo Scuffi è l’esatto opposto del “monocromo di grafite” che ho descritto in "Fermo immagine": ove quello è essenza di grigi, di marmi, di acque ferme nel ghiaccio, con una sola lieve vela gialla, come un fiore reciso che però mantiene il suo colore caldo, questo invece è esplosione di rossi, di crete, di mattoni infuocati, di tramonto, con la medesima vela che è diventata blu, fredda quindi, perché dopo il tramonto arriva la notte. E’ già ritto al muro, vicino al suo gemello, a vegliare le mie dieci, dodici ore giornaliere, in un gioco di contrasti ed opposti, che saluterò, l’uno al mio arrivo al mattino, e l’altro alla sera, prima di spegnere la luce e tornare a casa.
Ogni celebrazione termina con benedizione e saluto, e quello è stato un momento solo mio, perchè Dario Olivi sul finale mi ha dedicato ben otto minuti! Io in verità gli avevo lanciato un assist irripetibile alla Pirlo, andandogli a riferire del mio "Emozioni condivise" prima del fischio d'inizio, certa che lui - che è sveglio e bravo a vendere - non avrebbe perso l'occasione di rimarcare la novità, prima volta solo per Marcello, della persona qualunque che scrive accanto ai critici di mestiere. Ma che gran gol mi ha fatto! Mi ha confortato e fatto dimenticare per un po’ le tre sberle che avevamo preso dall'Inter giusto la sera prima, tanto per restare in tema. Non si è limitato a quello, anzi, forse l'aspetto della "novità" su cui puntavo io da suggeritore è rimasto marginale; in compenso mi ha riempito di complimenti, leggendo e trasmettendo empatia. E già in tre hanno chiesto una mia dedica sul Catalogo! Vuoi vedere che è la volta che comincio a crederci sul serio, che non è solo Scuffite (questa generosa patologia che insegna a sognare e, soprattutto, a mantenere i sogni), che davvero Trecose è destinato a crescere? Un passo alla volta, piano piano, solo con il cuore. E con voi, tutti.

giovedì 8 novembre 2012

Una storia

Ai più attenti non è sfuggito il mio accenno alla gomma-pane di Armodio. Perché mai un’assicuratrice per quanto infaticabile – al limite con una laurea in Lettere e Filosofia, ma nulla di artistico - dovrebbe aver dimestichezza con la gomma-pane? Sapere com’è fatta, conoscere la sua essenza modellabile, quasi come una piccola scultura che cambia forma nelle mani, trait d’union con il disegno, uso a cui nasce destinata? Sapere che nasce bianca, vive nutrendosi di grafite e carbone, senza consunzione alcuna, e muore nera, dopo una vita di segni, di chiaroscuri, di macchie assorbite o volutamente depositate?
La risposta a questo perché mi riporta bambina, ancora un volta sprofondata nei ricordi del mio ramo palermitano; perché a casa mia, carissimi, la gomma-pane c’era, assieme alle matite, quelle più morbide, con tantissime “B”, da appuntire - operazione quasi sacra, gesto tramandato e meticoloso - rigorosamente con il coltellino e la carta vetrata fine, misteriosi oggetti vietati ai più piccoli. 
Perché a casa mia SI AMA IL DISEGNO. Arte semplice e tuttavia inarrivabile ai più, istinto dalle radici millenarie, base solida per qualunque vetta di successiva pittura. Io, in seguito, ci ho aggiunto tutto il mio essere veneta sprofondando nell’amore più assoluto per il colore, ma se ci fermiamo alla generazione che mi precede leggiamo intere vite di matite nere e carboncino, o di sanguigna e grossa carta porosa: vediamo una bambina paffuta (proprio quella della foto di Ottobre, con gli occhi sgranati) in braccio ad una donna forte e volitiva, che diventa improvvisamente dolcissima quando traccia segni veloci con la mano, e da quei segni fa nascere infinite storie, di gatti, di fate, di alberi.
Questo è un disegno a mano libera fatto dalla mia mamma quando non aveva ancora sedici anni.




Soprattutto, a lei piaceva far rivivere nel grigio di mille sfumature di grafite famosi affreschi, quasi per riportarli ad un bianco/nero originario ed ancestrale, come questi particolari dall’Ultima Cena del Perugino e dal Trionfo della Gloria tra le Virtù del Tiepolo.




Ma non è questa la storia che voglio raccontare oggi.
La storia di oggi risale indietro di una generazione ancora, la generazione del mio nonno Gaetano detto Tano che vi ho presentato in “Gente di Palermo”, nato nel 1897, mente acutissima appassionata del vivere, innamorato della musica, dei violini (e anche dei gatti, come me), anche lui come sua figlia in grado di narrare cento fiabe solo con una mano ed una matita. Un uomo che, come molti della sua epoca, visse l’orrore di due guerre, combattute entrambe in prima persona, la prima ancora ragazzino ma già al comando di uomini fatti (e raccontava delle sue lacrime segrete, per dover impartire duri ordini ad occhi e mani semplici, dell’età del proprio padre), la seconda da adulto, con la maturità data dall’essere padre a sua volta.
Il 12 Settembre 1943 il mio nonno Tano cadde prigioniero delle truppe tedesche; ritornò a casa nel 1945, dopo aver vissuto sulla propria pelle l’esperienza di sette diversi campi di prigionia tra Croazia, Polonia e Germania, dei quali ho ascoltato negli anni i racconti. Storie di uomini spaventati ma non piegati, storie di fame e di atti di coraggio, racconti di fratellanza, racconti di viaggi eterni stipati in piedi nella promiscuità di un carro merci. E mai mi stancherei di ascoltarle anche ora, se ci fosse qualcuno a tramandare queste esperienze di vita, vita di appena un attimo fa ma che a molti sembra solo un vecchio film in bianco e nero. Mi arrabbio quando penso ai nuovi ragazzini, che non hanno un passato, che sono nati già con il cellulare in una mano ed internet nell’altra: che futuro vuoi costruirti se non conosci cos’è successo POCO PRIMA di te?
A parte questo (non voglio iniziare la mia polemica infinita sul valore della storia, dell’ascolto degli anziani eccetera eccetera, già lo faccio abbastanza fuori da Trecose), la cosa buffa e che pochi sanno è che i tedeschi consegnavano ad ogni prigioniero un grosso sacco di cartone telato, da conservare, che poi altro non era che il loro sudario, il sacco in cui sarebbero stati infilati una volta morti. Mio nonno evidentemente non era interessato tanto al futuro quanto al presente, preferì infischiarsene della sorte del proprio cadavere ed utilizzare il sacco, tagliato in tanti pezzi quadrati, per disegnare. Come ufficiale italiano aveva diritto a qualche piccolo privilegio tipo non vedersi requisire carta e penna, e ritornò in Italia portando con sé una sessantina di disegni, di schizzi, di abbozzi: vita di campi sorvegliati, baracche di legno, uomini sempre più magri, teste abbandonate allo sconforto ma con ancora addosso una divisa da rispettare. E orti. E pali. E terra.
E poi l’esterno, il mondo oltre la recinzione, così come lui vedeva da recluso la Polonia degli anni Quaranta: un cielo gonfio di nubi, alberi, vento, polvere e ciottoli. Sanguigna su cartone, matita su carta telata: due anni di vita da riportare alla moglie ed alle tre figlie - anche alla più piccola e più amata, che al ritorno nemmeno lo riconobbe - coinvolgendo per non sprofondare nell’abbrutimento i commilitoni più sensibili, raccogliendo anche delicate testimonianze ad acquerello.
Perché sto qui a dire queste cose: perché quando io e mio marito siamo andati a trovare Armodio a Piacenza (così chiudo il cerchio della gomma-pane), abbiamo approfittato per visitare una straordinaria esposizione di tavolette di Matteo Massagrande, pittore che adoro, anche lui senza dubbio alcuno tra quelli che fanno Pittura Vera, con i suoi interni decadenti falciati da livide albe.
Con l’assistente di Biffi Arte, parlando del più e del meno, è venuto fuori il discorso del nonno prigioniero, e questo signore, appassionato di quelle anonime storie di vita e grafite, mi ha chiesto di poter avere via mail un paio di disegni. Mentre scaricavo le immagini mi sono detta che non era giusto; se stavo condividendo una fetta del mio passato, del mio sangue, dell’intimità profonda del mio albero familiare con uno sconosciuto, volevo farlo anche con voi, che – mi pare il minimo – occupate nel mio cuore un posto ben più importante dell’assistente da Biffi. Attenzione, vi sto mettendo in mano un pezzetto di anima, ma non è solo la mia storia, la storia della mia famiglia, la tradizione che ha portato un’assicuratrice a sapere com’è fatta la gomma-pane: è la storia di un’Italia che è sopravvissuta, che grazie ai suoi valori si è rialzata, e che ancora vive nelle mani di chi sa ed ama disegnare.








lunedì 5 novembre 2012

Tra realtà e incanto

Di natura io sono testarda. Come un mulo, forse peggio. E' decisamente uno dei miei peggiori difetti, ma confesso che in fondo mi piace considerarlo come un pregio; molte cose che sono riuscita a fare nella vita, molte decisioni perseguite strenuamente, molte scelte, molti incontri anche, vengono tutti da lì. Sia nel lavoro che nella vita privata, in casa o fuori. Un esempio scemo: mi piace avere la casa in ordine, anche se è indubbiamente più piacevole riposare in divano con un buon libro o una bella rivista piuttosto che affrontare una pila di roba da stirare, o pulire i bagni, o lavare il pavimento (chi realmente ama lavare il pavimento?); ma se va fatto, si fa. Si dice che la casa rispecchi chi la abita, la sua mente, il suo cuore, ed in effetti conosco più di una persona che vive nel caos più totale in casa, perchè è solo caos quello che ha in testa (quando non pura sporcizia). A me piace pensare di essere una persona limpida, pulita, trasparente ed accogliente come un caldo abbraccio, come è la mia casa per chiunque ci entri.
Testarda fuori casa, anche, visto che non amo lasciare nulla di incompiuto, voglio finire tutti i discorsi iniziati, a costo di mandare mail a mezza Italia pur di procurarmi un determinato indirizzo solo per chiudere una frase. O iniziare un mondo. Sul lavoro neanche a parlarne, con un lavoro come il mio gli esempi sono talmente scontati che non vale neanche la pena di citarli: a volte mi vedo un po' suonata da sola, quando insisto a rialzarmi ogni volta, come su un ring, a non darmi mai per vinta, mai, chiunque sia l'interlocutore. Insomma, se credo profondamente in qualcosa divento pericolosa come un rullo asfaltatore in movimento: lento, ma inesorabile! 
Chiarito questo lato del mio carattere si può capire meglio perchè a mio marito siano caduti precocemente tutti i capelli; non è stato l'esaurimento nervoso, o i sei mesi di trasferta in Francia a lavorare undici ore al giorno sei giorni su sette: in realtà è il peso dell'aureola.
Si sa dai miei post più recenti che in Settembre siamo stati a Palermo per la Mostra di Armodio, ed in quella occasione abbiamo potuto conoscere personalmente - entusiasti - il Maestro. Lui, gentilissimo, nell'accomiatarsi ci aveva salutato con un generoso: "Ci vediamo a Piacenza, vi aspetto". Senza sapere che con me lanciare certi sassi è molto rischioso, infatti non è passato giorno senza che io mi svegliassi dicendo al mio Sant'Uomo: "Quando andiamo a trovare Armodio?"; idem prima di dormire: "Quando andiamo a trovare Armodio?". Considerando che anche mio marito è rimasto molto colpito dall'opera del Maestro, con un mesetto di attesa la fibrillazione aveva raggiunto livelli di guardia, e prima delle nebbie micidiali abbiamo espugnato Piacenza insieme.
In questo caso non vale ciò che ho scritto per la Fiera di Verona, le reminiscenze leopardiane, il piacere dell'attesa ieri e la delusione dell'oggi.
Armodio non delude, non delude mai, è sempre l'eccezione che conferma ogni possibile regola. Un mese di attesa lo vale tutto, fai a tempo a liberarti da ogni condizionamento mentale, da tutto quello che credi di sapere (anche proprio su di lui), ed a presentarti lì come un bambino al primo giorno di scuola: occhi ed orecchie aperte, e solo tanta voglia di vedere, ascoltare, imparare. Come già con Marcello Scuffi, abbiamo avuto conferma di quanto coinvolgente sia conoscere di persona un artista nel "suo" ambiente, poterci parlare davanti ai "suoi" oggetti, ascoltare dalla sua voce aneddoti e spiegazioni; arrivi a conoscere l'opera attraverso la conoscenza dell'ANIMA del pittore, ed è un'esperienza emozionante, soprattutto per noi che non compriamo opere un tanto a peso per poi chiuderle in qualche caveau e contare i dollari, ma ci sudiamo ogni singolo quadro ogni santo giorno con la sveglia alle 5.40. Sono conscia che affezionarci alla pittura di artisti ancora vivi ha indubbiamente aiutato questo tipo di percorso, ma al di là della facile battuta anche tra i viventi ci sono i simpatici ed i meno simpatici, ed ho già detto parlando di Palermo che bella persona sia il Maestro Armodio, oltre che impareggiabile pittore. Un bravo artista umanamente insopportabile alla lunga finisce per sembrare meno bravo.
Armodio ci ha comunque giocato un bello scherzetto dei suoi; noi siamo andati lì per stringergli la mano, farci due chiacchiere, magari buttare l'occhio sul tavolo da lavoro, ben sapendo che dipinge pochissimo e tutta la sua produzione è blindata, chissà dove, una Mostra dopo l'altra in direzione dell'Empireo. Avevamo anche comprato la classica bottiglia, che ci siamo dimenticati a casa come due deficienti (l'avanza, Maestro, promesso). Invece lui ci ha accolto, oltre che con il suo tipico sorriso furbo (mi aspetto sempre un qualche indovinello, una sciarada, un gioco di parole da risolvere per passare al livello successivo, che ti devi meritare, perchè lui non è assolutamente per tutti), con una domandina: "Volete vedere qualche quadro? Ne ho giusto qui qualcuno di inedito che andrà nelle prossime Mostre".
A quel punto era fatta, perchè un conto è vedere venti soggetti di Armodio appesi in una enorme sala di un Palazzo sede di una Regione, insieme ad un centinaio di altre persone, tra luci, macchine fotografiche, personalità varie, sapendo più o meno cosa aspettarti visto che ci sei andato apposta. E già lì stai male perchè sapevi che erano perfetti, ma così perfetti non era possibile crederlo. Un conto invece è accovacciarti a terra nel suo studio, tra vecchie misteriose statue che ti sussurrano la soluzione degli indovinelli, scaffali di libri dai quali ochieggiano occhiali che ti scrutano (Chi sei, sconosciuto? Che vuoi? Non dare ascolto alle statue!), enigmatiche scritte, vecchi smisurati cavalletti, l'antica lanterna da ferroviere - ricordo del suo mentore - con un po' di nebbia piacentina in testa, mentre lui ridacchia e ti tira fuori praticamente tutti i quadri delle sue prossime due Mostre, due anni di lavoro, e come se non bastasse te li spiega uno per uno. A quel punto capisci che il tempo si può fermare, che non te ne frega più niente del lavoro, di casa, del luogo mortale da dove provieni: torni bambino e ti gusti il miracolo.
Nella mia città, un tempo ormai molto lontano, c'era vicino al palazzo delle Poste un negozio di giocattoli che aveva avuto la trovata del secolo: all'esterno, ad altezza bambino, c'erano quattro grossi pulsanti (rossi e panciuti, uno per ogni vetrina, come rassicuranti mammelle) che si potevano premere a qualunque ora, anche se il negozio era chiuso, ed azionavano un meccanismo all'interno per cui le vetrinette dei giocattoli giravano, e tu da fuori li vedevi sfilare. Potrei giurare che non esiste uomo o donna della mia età, cresciuto a Mestre, che non abbia costretto i genitori a lunghe estenuanti attese in piedi, con la pioggia, la neve in Gennaio o il caldo d'Agosto alle due di pomeriggio, mentre lui - bambino - con il naso sul vetro e la manina sul pulsante, guardava e sognava. C'erano giorni in cui si formavano code bibliche di bimbi in attesa del proprio turno; andare al negozio era il premio per i buoni voti a scuola, più desiderato ancora dell'eventuale acquisto di un giocattolo, perchè in realtà con il pulsante li avevi - per un attimo - per te tutti quanti, vivi. Altro che l'attuale crisi! Non nego che ci sia, anzi, ma il problema è che ci siamo talmente abituati al benessere degli ultimi anni ed ora siamo incapaci di concepire la minima rinuncia (anche i bambini, con le loro scarpette griffatissime), tutto ci sembra un sacrificio insostenibile. A metà degli anni Settanta i giocattoli veri arrivavano raramente, ed i genitori monoreddito come i miei, con tre figli da tirar su e far studiare, si inventavano soluzioni alternative, come portarli alle vetrine girevoli (la mamma) oppure a veder decollare gli aerei veri dalla rete dell'aeroporto (il papà). Non possedevi niente, ma imparavi a sognare.
Come in tutte le cose sono fette di cielo e poesia che si perdono per sempre: adesso in quelle vetrine c'è l'ennesimo anonimo negozio di telefonia tecnologica, senza pulsanti e senza più sogni.
Giusto per capirsi, io, accovacciata da Armodio, tra una statua sussurrante ed un cavalletto che mi scrutava dall'alto, sono tornata così, bambina ricca solo dei suoi sogni, con la mano su un pulsante. Intanto il Maestro è stato un drittone (ma lo sa, ridacchia sempre proprio per questo), perchè ci ha tirato fuori prima tutte le tecniche miste. Altrimenti se tirava fuori prima le tavolette con le tempere finiva come a Palermo, guardavo solo quelle. Invece così è stato meglio, perchè abbiamo potuto apprezzare l'immenso lavoro sui cartoncini che la prima volta a Palermo avevamo trascurato, con tutte le sfumature, i segni del tempo fatti ad arte, le macchioline, le tracce lasciate dalla gomma-pane: ho visto la SUA gomma-pane! Neanche l'avevo riconosciuta come tale perchè è tutta nera, chissà quanta grafite ha mangiato nel tempo, da farci sopra un'intera storia di scorpacciate (come la Somma Acidini ha fatto per le caffettiere nel Catalogo di Palermo); e poi il carboncino, il pastello, me li ha buttati lì come niente fosse, e io mi sentivo immersa in un'atmosfera magica, li ho visti irrigidirsi sul tavolo, tremare e guardarmi con sospetto, mentre lui li accarezzava e li tranquillizzava, perchè la bambina non vi tocca, non preoccupatevi, anche se vi guarda come se lo volesse. Meravigliose queste tecniche miste, così lievi eppure così intense, una sull'altra (ancora, e ancora!) da perderci la testa, ne vedi una talmente perfetta che pensi non possa essere superata ed ecco che lo spirito folletto te ne appoggia sopra una ancora più bella. Bulimia pura, volente o nolente.
Finite quelle sono arrivate le tempere. Io l'ho scritto nel post su Palermo l'accenno alla soffitta ed al baule magico, e giuro che allo studio di Armodio non c'ero mai stata, era un'invenzione scaturita dall'osservare la sua persona, il suo modo di parlare e muoversi, la polvere che aleggia sui suoi soggetti, il tempo fermo in un attimo infinito. Ebbene, lì è così! C'è DAVVERO quell'atmosfera! Manca solo lo sciame luminoso che scende dall'alto (come coda di cometa con suono di minuscole campanelle), e che io ad un certo punto ho creduto di vedere, ma mi sono guardata bene dal dirlo per non passare per matta. Lo studio è lungo, alto, con spazi vuoti: lo vedi che dopo la libreria finisce! Invece Armodio scompare dietro uno scaffale, e riappare con in mano meraviglie su meraviglie, tante, tantissime, ma dove stavano? Maestro, fammi vedere il baule! Mi ci chiudo dentro per un poco, solo qualche settimana, un mesetto magari, giusto per respirare la tua grandezza ed uscire ritemprata. Dimmi, Maestro, se davvero è un baule, o se invece è una porta magica che dà su un'altra dimensione, su quella dimensione di incanto dalla quale estrai tutti questi tuoi gioielli privi di errori, uguali per dimensioni ma differenti in ogni particolare, in ogni impercettibile minuzia: tessuti pizzicati, capelli come rami, carta velina ed erosioni di marmo, pentolini neri di peltro o ferro, scavati dalla ruggine, che ti espongono le loro vene come su delicati polsi! E tanto bianco ovunque in questa serie di tempere, affinchè l'occhio scopra che ciò che credeva solo "il bianco" in realtà è un'intera scala di colore, a gradini addirittura, bianchi in rilievo, bianchi lisci, bianchi vertiginosi ed indefiniti di luce. Infinite sfumature di puro bianco.
Le ho toccate, ancora, le sue tavolette, come già a Palermo: per me il contatto con la bellezza è fondamentale. Non ci resisto. E' come con le persone: quando amo qualcuno cerco la fisicità, ma senza malizia, parlo di una carezza sul viso, di un bacio sulle mani o sulla punta delle dita, di quei gesti estremamente lievi che tuttavia realizzano la profondità del legame. Le tempere di Armodio per me sono calamite, le ho sfiorate una ad una, ora con la punta delle dita, ora con il dorso della mano (sono due maniere diverse di sfiorare, due intimità diverse, a seconda di quanto ciascuna mi colpiva), come per assorbirne la metafisica, alzare quel velo, fare mia quella vertigine.   
Come due bravi scolaretti con gli occhi sgranati, frastornati da tanta bellezza, Armodio ci ha fatto fare con lui il gioco dei titoli, e questa è stata un'altra sorpresa. Avevamo già visto come lui gioca con i suoi soggetti, lo sapevamo bene che quelle caffettiere in realtà non sono caffettiere, ma - chi lo sa - ora damine in passeggiata sorprese da un incontro galante, ora invece innamorati fragili, o famigliole di primavera. Sapevamo che quello che sembra, con Armodio può essere o non essere. Ma quello che non immaginavamo è che, in fondo, non lo sapesse bene NEANCHE LUI. Lui tira fuori il quadro e lo guarda, ci parla, attende una risposta, lo scruta, lo accarezza, ride. Ride molto, il Maestro Armodio, ed è bellissimo vedere quanto bene stia tra le sue creature, ti mette a tuo agio anche se hai trenta sms dall'ufficio che ti chiedono di tornare sulla Terra. Ti mette in mano la tavoletta e dice: "Qui è successo qualcosa!", oppure "Qui fate attenzione!", e tu ti butti a cercare lo spillo che manca, o a controllare dove la balaustra di marmo sta cedendo. Oppure ti dice il titolo, e tu gli chiedi perchè, e lui di rimando: "E perchè no?!", e insieme a guardare PERCHE' NO. E' come se qualcuno - un immenso del passato non più vivente, o direttamente un divino - avesse usato la sua mano per dipingere, i suoi occhi per vedere, e poi l'avesse lasciato libero, rinato in sè, per il tempo del gioco. Un talento straordinario, unico, fuori dal mondo umano, un talento immortale.
E ti si racconta volentieri, perchè a noi quello piace, oltre al piacere di avere un'opera in casa, oltre al collezionismo di PITTURA, piace collezionare ricordi, avvenimenti, visi, attimi di PITTORE. Perchè è arrivato lì passando per di là? Come ha iniziato? Parti chiaramente dall'essere un predestinato, come tutti coloro che hanno un dono del genere, ma perchè voler provare il disegno, e non - piuttosto - l'impeto del pennello e del colore? Tu chiedi, incalzi, e lui ti apre la sua memoria, regalo incomparabile, incomparabile risata. Infine ti fa vedere dove effettivamente dipinge (un asettico tavolo da geometra, lui sì senza occhi, senza linguaccia, unica concessione "reale" in un mondo da fiaba), e ci vedi sopra una tavoletta triste, come in castigo, che trattiene una lacrima. E ti spiega che l'aveva fatta, ma poi si è arrabbiato perchè non era venuta bene, e quindi l'ha grattata tutta via e adesso la dovrà rifare, e lei colpevole lo aspetta, con un abbozzo di disegno sopra e tante scuse. Non era venuta bene... Avrei voluto vederla, prima che sparisse per sempre. Non credo esista un quadro di Armodio "venuto male". Magari è vero che lui seleziona con attenzione, certo è che finora non ne ho visti: non esiste il minimo errore, non esiste nulla che possa anche solo lontanamente essere definito brutto. Dalle sue mani, dalla sua anima, solo bellezza che stordisce, fino allo sfinimento se troppa, e lo spirito folletto lo sa.
Quando poi lo stordimento passa, dopo un'ora o due, e riesci a connettere bene, a realizzare cosa hai visto, cosa hai vissuto, a cosa hai avuto accesso - privilegio per pochi - l'unica cosa che riesci a provare, ferma in gola, davanti agli occhi, è "la riconoscenza". E' stato un onore, Maestro, davvero.

giovedì 1 novembre 2012

Ancora sottili Sfumature

Quanto mi piace Lorella Pagnucco Salvemini. Non la conosco di persona, ma da come scrive ed appare me la immagino una tosta tosta. Mi piace proprio, anche se mi ha costretto a cestinare un post intero già scritto e pronto, visto che sull’ultimo numero di ArteIn (l'Editoriale è anche sul sito, leggetelo!) lei dice esattamente le stesse cose che avrei scritto io, va a finire che mi becco anche della copiona. La prossima volta mi sveglio prima, e non li tengo lì a dormire in cassetto; del resto si sa, le donne toste e intelligenti hanno spesso idee simili…
Dire la mia su tutto il turbinio che c’è/c’è stato attorno alla misera trilogia delle porno-casalinghe, magari associato a certa corrispondente "pochezza" nel campo dell’arte (che con la letteratura va a braccetto), era da tempo che mi frullava per la testa. Per l’esattezza da questa estate, quando io e mio marito siamo andati a Campiglio da Paolo Orler; ad un certo punto dell’autostrada abbiamo fatto la classica fermata "caffè-brioche-bagno" in autogrill, e stranamente il bancone era semideserto. In compenso in un punto imprecisato dell’autogrill c’era una calca mai vista, prevalentemente femminile, tant’è che ho pensato ci fosse il belloccio un po’ passato di turno, magari per promuovere qualche iniziativa benefica (anche se calvo e con la pancetta, un autografo di qualche mito da cinepanettone anni Ottanta fa ancora scena tra le porno-casalinghe). Invece c’era una pila informe di questi libri di E.L. James, che come dice la Lorella sono scritti da schifo oltre che senza una trama ("editing pressoché inesistente", "linguaggio per metà ingenuo, per metà da bordello"), tanto che ti viene voglia di regalare all’autrice quanto meno il Dizionario dei Sinonimi e dei Contrari. E tutte queste donne sudate e un po’ sciatte che squittivano e si agitavano aprendoli a caso e dandosi di gomito nel leggere frasi qua e là, tra risatine finte e occhiatacce verso i mariti/compagni sicuramente troppo poco perversi per loro.
Ecco, credo sia stato quello il momento in cui ho maturato definitivamente la decisione di NON leggere Erika Leonard (così in realtà si chiama), nessuno dei suoi tre faticosi parti tricolori. Certo, tranne i lunghi brani che ormai sono ovunque, dalle riviste alla rete, quelli li ho letti anche io tanto per farmi un’idea e capire (poi presumo che basti fare un copia/incolla e cambiare giusto qualche verbo per poter fingere di averli letti tutti almeno due volte), con la conclusione che evidentemente non ci capisco niente. Sul serio. Poi, dal momento che sono cattolica, l’ironia è ancora più facile: se niente niente ne parli in giro, esprimendo qualche sano dubbio sulla qualità dell'opera, ti becchi pure della povera frustrata che non si è saputa emancipare, che non si sa godere la vita, che non conosce il proprio corpo fin nei più intimi dettagli.
Scusate, io credo di conoscere bene il mio corpo (e come una donna conosce il corpo di una donna non c’è nessun altro, fate uno più uno e anche due più due, grazie). Credo anche di essermi "emancipata" (in questo contesto è parola orrenda, che mi dà fastidio usare, ma mi è stata effettivamente detta) quanto mi bastava per essere felice, emancipata tanto o poco non importa, dipende da quello che uno vuole dalla propria vita. La mia vita è probabilmente stata un inferno di assoluta perdizione oppure al pari della clausura di un convento, dipende da chi la guarda. Già il fatto di non essermi sposata con il primo fidanzatino, quello dei vent'anni, per la mia mamma non era una bella cosa, che lei temeva mi avrebbe marchiata in eterno; in compenso ho conosciuto gente che mi trova tuttora di un’ingenuità disarmante. E sono sempre io, probabilmente sono solo normale; posso dirmi sessualmente soddisfatta anche senza aver mai provato bondage, sadomasochismo, dominazione ed altre stranezze estreme. In vita mia ho "fatto sesso" alcune volte (perchè mi andava, perchè era la serata giusta, anche per pura curiosità o per farmi "guidare" in qualcosa di nuovo), ed è indubbiamente sempre stata esperienza divertente e gradevole; ma le volte in cui ho "fatto l'amore" con qualcuno che andasse oltre la serata, la curiosità eccetera eccetera, qualcuno che, oltre a piacermi fisicamente, mi coinvolgesse emozionalmente e mentalmente (volte che - per mia fortuna - in quanto a numero sono ben superiori alle prime), beh, non c'è paragone. Figuriamoci poi se ci mettiamo anche un filino di sentimento: quanto sembra banale, dirlo così, quanto mi fa apparire elementare, ma nell'era in cui "fa figo" atteggiarsi a provocatori io continuo in silenzio a tessere l'elogio alla semplicità, anche in camera da letto. O sul divano. O in doccia, o sulla scrivania dell'ufficio. Tranquillamente in due, senza firme e senza gadgets. E vi dirò che conosco pure persone che ne fanno uso, di attrezzi di ogni genere, che amano dominare o essere dominati, e davanti a questi tre ridicoli volumi sghignazzano, perché pare che in realtà ci sia tutto un discorso dietro che va oltre il mero uso dello strumento di costrizione, quindi come a dire che la ninfomane-vergine Anastasia ed il maniaco-fintissimo Grey sono imbranati né più né meno della sottoscritta. Della serie: una manetta non fa primavera.
Appurato che sono normale, è proprio perché sono normale che non mi va giù tutto il successo planetario di questa trilogia da porno-ritardate. E’ come dice la Lorella: la sporcizia nel mondo - in tutti i settori - c’è sempre stata, come il brutto, le cafonerie, il cattivissimo gusto, ma almeno una volta c’era la decenza di riconoscerli come tali. Invece adesso li si ostenta, li si esalta, li si espone con fierezza, li si impone come norma. Del resto, come ho già avuto modo di sottolineare in più di un precedente post, in Italia ci sono pur sempre sei-sette milioni di persone che guardano "Il Grande Fratello" (format che in altri più civilizzati Paesi si è fermato alla seconda o terza edizione, visto che non dovrebbe interessare a nessuno spiare h24 le giornate di gente che non fa assolutamente nulla perché nulla sa fare, dire, pensare), o altri fintissimi reality; aggiungo che il mio edicolante di fiducia mi ha confermato (ho condotto in merito un'indagine scientifica) che quasi il 70% del suo fatturato viene dalle riviste di gossip. C'è quindi un sacco di gente che vuole vivere vite altrui, e già questo fa un po' pena; ciò che deprime definitivamente è che più sono zozze queste vite meglio è.
Torno ai tre patetici tomi. A parte la storia, assurda, inconcludente e direi anche un po’ fuori dal mondo reale (magari tra le insulse, rosee, bruttine signore di mezza età inglesi può sembrare credibile, ma qui siamo in Italia, confido che non siano in molti a cascarci), mi voglio concentrare solo sullo stile: questi libri sono scritti proprio da cani, e non voglio mica escludere il genere erotico in partenza, che ha avuto comunque fulgidi esempi. Va bene l’erotismo, ma qua non ci siamo, non c’è niente di poetico, di eccitante, di nascosto per poi essere scoperto. Un po’ di eros nella vita è la ciliegina sulla torta di meringhe, ma qui siamo di fronte a palate di panna montata andata a male, di quella che fa il rivoletto giallino e rancido.
Ricordo bene la volta in cui ho scoperto l’esistenza della pornografia di bassa lega; avevo sedici anni, era la classica festina di Carnevale tra compagni di classe. C’è sempre uno dei maschietti con gli ormoni più alle stelle che tira fuori il filmino, e neanche un VHS era, ma di quelli anteguerra con il proiettore e il telo bianco da montare, quindi tutta la preparazione richiedeva un po' di tempo. Io ce ne ho messo parecchio a capire (certo che ero proprio torda). Un gruppetto misto di compagni e compagne si era già educatamente alzato ed era andato a chiacchierare in un’altra stanza, e io mi chiedevo come mai. Poi sono apparse le prime immagini di due donne (vestite) con pettinatura fuori moda, e io che continuavo a farmi le stesse domande fino a quando sullo schermo sono comparsi due aitanti giovanotti, di cui uno di colore che rammento molto ben fatto devo dire, i quali hanno iniziato a fare il loro mestiere come bravi scolaretti. A quel punto anche io mi sono alzata e sono andata nella stanza degli educati frustrati-e-non-emancipati (tra gli applausi dei compagni sovreccitati, ma presumo che essere la più brava della classe che - secondo loro - aveva stoicamente resistito lo meritasse), e ricordo esattamente che ero indignata non tanto per quello che avevo visto/intravisto, quanto perché avrei voluto che fosse una scelta MIA. Checchè ne credano tutti i genitori del mondo, e per quanto cerchino di impedire o ritardare la cosa il più possibile, tutti i figli prima o poi arrivano a contatto con sesso & pornografia. Io, a sedici anni (e non avevo ancora mai visto un uomo adulto nudo!), speravo che il mio momento sarebbe stato diverso, magari io sola con le amiche del cuore per ridere o impararci qualcosa, oppure con il futuro moroso/marito per una serata da ricordare. Non avevo digerito per niente quelle enormi vagine in primo piano, imposte in gruppo misto durante una anonima festa di Carnevale.
La porno-trilogia mi fa lo stesso effetto: te la spacciano come una panacea per coppie (ma per piacere! Come se bastassero quattro salti ammanettati o una frusta per rischiarare le notti di chi si è sposato senza un'idea, senza saper costruire un rapporto di amore vero), come il prossimo Nobel per la letteratura e la psichiatria messi insieme, tutti ne parlano con aria d’intesa dividendo il mondo tra chi SA e HA LETTO, e chi invece ancora rifiuta l'Illuminazione. E invece sono solo brutti libri, scritti male, che raccontano storie irreali e senza senso. Così va a finire che se capitano in mano ai giovani o ai giovanissimi, sempre che ce ne siano ancora, di limpidi e puliti dentro (delle cinquantenni che squittiscono me ne frega un po' meno, detto papale papale), questi mi credono che l'eros sia fatto così. Che la poesia sia quella. E magari la volta che capita loro davvero tra le mani qualcosa di scritto come va scritto, che ti sveli l’erotismo un po’ alla volta, che ti porti a desiderare di leggerne ancora e ancora e ancora, affamato e bramoso, finisce che lo catalogano come il cugino povero della Leonard e neanche lo cominciano. Magari nemmeno un romanzo o un racconto, perchè la prosa è sempre un pochino terra-terra, è la sua caratteristica, dice le cose come stanno, infatti i romanzi erotici di una volta, da Lady Chatterley in poi, adesso che siamo tutti un po' più scafati fanno anche tenerezza. Penso invece alla poesia, a quell'arte infinita e somma che può trasmettere con una sola parola, un solo fremito, dall'amore più puro all'eros più sfrenato (dico eros, non pornografia, quindi eccitazione, desiderio, immaginazione, appagamento finale, non enormi vagine in primo piano!); anche il Cantico dei Cantici è stato a lungo considerato una poesia erotica - e a suo modo lo è - eppure sta nella Bibbia. Penso a Saffo, a Catullo, ed a tutti i secoli dopo di loro. Tutti buttati giù per lo scarico, perle in piena fogna, da gente sciatta come la Leonard, e soprattutto da chi la compra invece di usare quei quattro soldi per mangiarsi una pizza (se qualcuno controbatte che non ci viene, una pizza intera, con i soldi di un libro che ha oltre cinquecento pagine, si faccia prima una domanda).