.

.

martedì 26 febbraio 2013

Assicurazioni senza parole

Ho ricevuto una telefonata da una Assicurata incazzatissima. Trentacinque minuti e passa, le sarà costato un botto. Poi ho messo giù e ho cercato per tutto l’ufficio i microfoni nascosti di “Scherzi a parte”, convinta che le Ragazze, visto il periodo nero che sto affrontando, avessero organizzato questa cosa carina per tirarmi su. E mi sono anche un po’ depressa, perché non ho trovato niente, e quindi vuol dire che la telefonata era vera.
La Signora, gentilissima e cordiale peraltro, mi dice che ha deciso di disdettare tutte le Polizze che ha da me (per inciso, una casa, una grossa macchina e una moto, non roba da gridare al miracolo ma neanche da lasciare andare via senza fiatare) perché recentemente aveva avuto un sinistro e non le abbiamo dato un servizio all’altezza. Fermi tutti! Questa è la motivazione che mi fa andare più in bestia: se perdo un Cliente perché se il premio è troppo alto non è colpa mia, se non ho nel mio listino un prodotto che possa risolvere le sue esigenze al meglio non è colpa mia, al limite anche se un sinistro non viene pagato bene (dall’Ispettorato Sinistri, e nessuno mi ha detto niente affinchè potessi intervenire) non è colpa mia, ma sul servizio non transigo assolutamente. Ci distinguiamo proprio per quello, io e le mie Ragazze. Siamo bravissime e preparatissime. E anche molto carine, con tutti.
Poi ho scavato un po’ più a fondo ed ho capito come erano davvero andati i fatti.
La Signora stava salendo come passeggero sulla moto del marito, FERMA e con il MOTORE SPENTO. Troppa foga o un po’ di incertezza, fatto sta che è caduta dall’altra parte. Hop, splat! Come in un vecchio film muto, con il primo piano del cavallo già sellato che sghignazza, e la musichetta sotto. La capisco, eh! Anche io sono imbranatissima su queste cose; adesso abbiamo venduto tutte le moto (l’ultima è stata una Honda Transalp, che dicono non farebbe paura nemmeno ad un bambino di tre anni), ma finchè ci sono state erano tra i miei incubi ricorrenti, salire e soprattutto scendere. No, un incubo in generale, adesso che ci penso. La velocità, il vento, la sensazione di essere appesa al niente… io sono proprio un tipo da macchina. Datemi una bella macchina solida, e io sono contenta. Comunque le mie figuracce le ho fatte, mio marito si posizionava negli angoli più nascosti del condominio quando doveva farmi salire, per evitare che finissi su Youtube. E aveva tutto il punto vita pieno di lividi, poverino, perchè io quando sentivo che il vento cominciava a fare un rumore un po' più forte del normale (di solito avveniva attorno agli ottanta all'ora), per la paura mi attaccavo a lui come un velociraptor, conficcandogli le dita nella carne. Funzionavo perfettamente come limitatore di velocità, con una precisione quasi elettronica, praticamente non poteva mai buttare dentro una marcia che fosse oltre la terza. No, non sono proprio tipo da due ruote, bici a parte, quello è un altro mondo (lì il vento non morde, lì respira, e tu con lui).
Torniamo a noi. Un sinistro del genere, per quanto male tu ti possa essere fatta (e mi dispiace, credimi, e ti capisco, credimi), NON è risarcibile. NON è un danno da circolazione. NON c’è responsabilità civile del veicolo. Sei un’imbranata, e non c’è altro da dire; anche se sono certa che le mie Ragazze te l’hanno detto in modo più cortese.
Ma la mancata centaura non se l’è messa via tanto facilmente. Mi dice che una sua vicina di casa è caduta IN CASA, poi ha dichiarato all’assicurazione di essersi fatta male in macchina, come trasportata, ed ha preso quindicimila Euro (Signora mia, tutto è possibile, sa, da noi la chiamiamo TRUFFA, non so da lei. Se la beccano non se la cava così facilmente). E che lei era disposta anche a mentire, se solo glielo AVESSIMO SUGGERITO!!! Non so se mi spiego. Ricapitolo: non solo ormai è prassi che gli assicurati tentino la truffetta da due soldi, io magari lo sospetto ma taccio e chiudo ora uno ora due occhi, tanto la denuncia me la fai e me la firmi tu. Adesso siamo arrivati al punto che io ti dovrei dare indicazioni su come fregare… me stessa! Perché se ti beccano e niente niente tu gli dici che te l’ho suggerito io, poi preparati perché vengo a mangiare a casa tua. O alla Caritas, dipende se sei brava a cucinare oppure no. Ho cercato invano di farglielo capire, per mantenermi calma mi si è perforato il duodeno, ma non c'è stato niente da fare: lei ha continuato imperterrita a ripetermi, pur lodando la gentilezza e la professionalità delle mie Ragazze, che visto che è nostra Cliente da molti anni si aspettava un trattamento diverso. Si aspettava, in soldoni, che io truffassi spudoratamente la Compagnia per cui lavoro, redigendo una denuncia falsa che lei avrebbe firmato ("seppure controvoglia"... ha aggiunto "seppure controvoglia"!! "Perchè, sa, io non dico le bugie, ma se serviva per prendere i soldi delle spese..." mi ha detto. Ergo: lei non dice le bugie e io devo finire in galera). E per questo ha deciso di andarsene, ha già in mano tre-quattro altri preventivi, sicuramente di Compagnie a cui avrà precisato, nel malefico Questionario di Adeguatezza, alla domanda su quali  coperture desidera, "voglio che mi paghiate i sinistri non risarcibili, e facendo in modo che sembri un'idea vostra, non mia, perchè io non dico le bugie".
Ovviamente noi l'abbiamo presa in ridere, molto ridere, cosa che mi ha fatto stare meglio, viste le recenti difficoltà. Le ho anche promesso un po' di sconto extra sulla RCA, per compensare il terribile torto subito, e magari questa anche decide di restare, sono pur sempre soldi sotto altra forma. Ma non posso fare a meno di pensare a come si sta evolvendo la nostra società, la gente, le idee. Ho ripensato ai primi tentativi di sinistri fasulli che qualche - raro, rarissimo! - Cliente ci tirava una quindicina d'anni fa. Goffi, li beccavi subito, pieni di vergogna. Adesso si incavolano se non sei tu a proporglielo, bisognerebbe studiare una Condizione Particolare con sovrappremio, come la rinuncia alla rivalsa per la guida in stato d'ebbrezza, o i danni subiti dai trasportati quando il trasporto non avviene in modalità conforme alla carta di circolazione, o il bonus protetto. Condizione Particolare Z: "Bidoni". Ma si lamenterebbero dell'aumento, mi sa. Chissà se è così anche negli altri campi (“Buongiorno, qui è l'Anonima Sequestri, siamo incazzatissimi perchè vostro figlio si è molto agitato e non si è fatto rapire con calma, ci ha anche strappato un giubbotto e rotto un paio di occhiali, oltre al riscatto vorremmo che ci risarciste i danni”).

venerdì 22 febbraio 2013

Oggi parla.../7

... Karl Kraus:

"La solitudine sarebbe una condizione ideale se si potessero scegliere le persone da evitare"



giovedì 21 febbraio 2013

Mille (circoli viziosi)

Io, si sa, all'Università ho frequentato la facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea in Lettere, indirizzo Letteratura Italiana (aggiungiamoci pure anche il Dipartimento: Italianistica e Filologia Romanza, che peraltro ha sede in uno dei palazzi storici più belli di Venezia). Odiavo l'economia, la finanza e i calcoli; anche adesso, a dirla tutta, nonostante un mestiere che bene o male con la finanza e i calcoli c'entra, questi ultimi non mi appassionano quanto i libri, l'arte, la poesia.
Nella mia assoluta ignoranza e semplicità, ma solo dall'osservazione di vent'anni di "popolazione media" che entra ed esce dal mio ufficio, raccontandomi chi più chi meno la propria vita, le proprie vittorie e le proprie sconfitte, le aspirazioni, i sogni, i dolori, posso dire di aver compreso un concetto basico, che dirò con parole altrettanto basiche non essendo il mio campo: la ricchezza di un Paese cresce in maniera direttamente proporzionale a quanto velocemente il denaro passa di mano in mano.
Se io assicuratore tiro la cinghia (perchè ormai tra tasse varie, balzelli di ogni tipo, contributi assurdi e chi più ne ha più ne metta, mi stanno chiedendo anche il sangue) e non vado più a mangiare la pizza, il proprietario della pizzeria come prima cosa licenzierà il pizzaiolo e un paio di camerieri, e come seconda cosa rimanderà il rifacimento del bagno (lavoretto al quale sua moglie teneva tanto, e per il quale lo stresserà a morte rendendolo assai nervoso, con alta probabilità di licenziamento anche della cassiera). L'idraulico ed il piastrellista, che dovevano rifare il bagno al proprietario della pizzeria, forse a questo punto non andranno in ferie. I due albergatori allora (due, perchè mica vanno in ferie insieme, l'idraulico e il piastrellista, eh!) rimanderanno entrambi l'acquisto dell'auto nuova per il figlio. Il titolare della concessionaria d'auto, oltre a mettere in strada un paio di meccanici e tre segretarie, fatti i suoi conti valuterà che è meglio chiudere baracca e burattini per evitare di arrivare al punto-di-non-ritorno oltre il quale cominci a dover ipotecare anche la casa di famiglia, e lavori solo per coprire gli interessi passivi del fido in Banca. Verrà da me assicuratore e me lo comunicherà tristemente, e io - comprendendolo bene, per quanto mi scocci - stornerò tutte le sue Polizze, decrementando i miei già magri incassi. E la ruota riprende. Si ripete con chi taglia i capelli in casa ai figli, con buona pace di barbieri e parrucchieri. O chi si fa l'orto in terrazzino, alla faccia di chi ha la bottega di frutta e verdura. E tutto per cosa? Per poi invitare tutti a comprare BOT o altri titoli di Stato, gocce minuscole con le quali lo Stato non solo non ripianerà mai l'enorme buco che fagocita miliardi e miliardi (perchè è lui stesso il buco, con i suoi consulenti, i suoi corrotti ed i suoi corruttori), ma tanto meno darà aria alle piccole imprese che stanno morendo asfissiate: il concessionario, l'idraulico, l'albergatore. E conseguentemente a tutti i privati che ci lavorano dentro e fuori.
Forse semplifico troppo, o forse addirittura sbaglio del tutto, del resto a me piace leggere Montale, mica occuparmi di economia.
Ma sono discorsi che, ad esempio, mi girano e mi rigirano in testa ogni volta che qualcuno mi entra in ufficio e vuole pagare una Polizza da Euro 1.023,00 con foglietti colorati di vario taglio denominati "Euro", valuta in corso legale peraltro, e io sono costretta a dirgli no-bricconcello-non-si-può: vai in Banca a farmi un assegno circolare, oppure apriti un Conto Corrente che ti costerà l'iraddiddio, perchè non li posso accettare, i tuoi foglietti colorati. E sono discorsi che, sempre in testa, mi girano vorticosamente quando sento che qualcuno vorrebbe abbassarlo ulteriormente, questo limite di utilizzo dei foglietti.
Adesso dico cosa penso, e poi qualcuno verrà a bussare alla mia porta; a chi mi vuol bene ricordo che le arance (come la frutta in generale) non mi piacciono, pensate a qualcos'altro quando verrete a trovarmi.
L'evasione fiscale è sbagliata. Le tasse vanno pagate. Chi dichiara dodicimila Euro l'anno e poi va in giro in Panamera è un idiota. Ma la microeconomia (per lo meno in Italia, fuori non so, anche se mi sa che tutto il mondo è paese) si regge sul "nero". Finiamola di fare gli ipocriti! Un vestito dalla sarta. Un taglio di capelli. Una bella mangiata in agriturismo ogni tanto. Ogni tanto anche un quadro, piccolo magari (qui parlo per me). L’amico giardiniere. La signora che ti dà una mano a stirare. Per piacere. Non si risana un Paese calandolo in una fossa di cemento, ingessandolo, bloccandolo in una morsa. Fate tutti i controlli sui numeri "grossi", che sono quelli che portano alle casse dello Stato tanta bella liquidità, e giustificano le spese dei controlli stessi, tra l'altro. Verificate castelli, panfili, scuderie. Ma questo limite dei mille Euro è una stronzata che ci sta portando tutti verso un finale già scritto. E sapete perchè, a mio inutile parere? Perchè parliamo del SUPERFLUO, ma di quel piccolo superfluo che ci fa vivere. Mi sta bene un bel limite, un bel controllo invasivo, su movimenti di altra caratura (penso alle vecchie soglie della normativa antiriciclaggio, la schedatura dei movimenti superiori ai quindicimila Euro): vuoi la Ferrari? Vuoi la barca? Vuoi tenere a nero quattro operai? Continuando a dire che non hai un centesimo? Meglio che tu stia attento, e se vuoi rischiare sai cosa rischi (io sotto sotto spero anche che ti becchino, visto che sto tra quelli che pagano caterve di tasse). Ma sulle stronzate, pardon, sulle piccolezze, sulle quisquilie, sulle minuzie, non va bene, perchè alla minuzia la gente, per paura o per pigrizia, rinuncia senza problemi, non rischia. Prima ci rinuncia e poi ci si ABITUA. Si abitua a NON spendere. Il denaro spiccio non circola.
Si può vivere senza un nuovo paio di scarpe? Certo che sì. Si può vivere senza andare al ristorante? Certo che sì. Si può vivere senza un acquerello di Marcello Scuffi appeso in casa? Certo che sì (io no, personalmente, ma sono un caso patologico). E tutto si ferma. L'Italia si paralizza. Le famiglie si impoveriscono. Compriamo tutti tanti BOT, e adesso venite pure ad arrestarmi.

lunedì 18 febbraio 2013

Noi che sulle note di Jannacci

Noi che siamo orfani del vecchio palinsesto Orler, oh yes.
Noi che ci telefoniamo disperati da Nord a Sud, perchè da lunedì a mercoledì moriamo di fame, e da giovedì a domenica moriamo di indigestione, oh yes.
Noi che è vero che Carletto Vanoni è tanto bellino, ma l'arte col computer in mano ci fa ancora un po' freddo, oh yes.
Noi che non è più venerdì sera senza Dario, oh yes.
Noi che Orler vuol dire famiglia, oh yes.
Noi che amiamo le emozioni a prescindere, e dei risultati d'asta ce ne frega un po' meno, oh yes.
Noi che sappiamo sognare ad occhi aperti anche su capolavori che non potremo mai avere, oh yes.
Noi che non guardiamo il Festival di Sanremo, e ci piace quando a Dario scappa la parolaccia in diretta, perchè ci stava ci stava eccome se ci stava, oh yes.
Noi che Marcello Scuffi sbanca alle dieci di mattina, non alle dieci di sera, oh yes.
Noi che la pittura vera è quella che dà ancora i brividi, oh yes.
Noi che apprezziamo Carlo quando spiega la storia dell'arte, ma un po' meno quando gioca a fare l'attore, oh yes.
Noi che soprattutto apprezziamo Giovanni Faccenda qualunque cosa faccia da Orler, magliette comprese, oh yes.
Noi che per fortuna Davide Basilico con i tappeti antichi è una certezza, oh yes.
Noi che non siamo mica tutte regine, ci sono anche i re, oh yes.
Noi che meglio la crisi che restare soli con Alessandro Orlando che ti fissa, oh yes.

domenica 17 febbraio 2013

E poi

Quando scopri che una persona che ami (o hai amato) molto ti ha mentito, ti ha mentito nella maniera peggiore, vale a dire negandoti la verità su se stessa, irridendo il tuo bisogno di verità, usandolo - forse/quasi - per farne strumento di sottile presa in giro con chi ti conosce, la conseguenza non può che essere una sola: tu muori.
Fuori o dentro, non importa, dipende da quanto forte sei, ma muori.
In tutto o in parte, ma muori.
E qui si apre un bivio: se sei davvero morto fuori, non c'è molto da dire. O da fare.
Se invece sei morto solo dentro, fa un male bestia, ma prima o poi, inevitabilmente, troverai il modo di trasformare la morte in rabbia, e poi in forza, e poi in certezza di essere rabbia e forza insieme. E sarà una forza tale che prima ti spaventerà, e poi comincerà a piacerti. La coltiverai, la luciderai ogni giorno, facendola splendere come un’armatura medievale, pezzo dopo pezzo: elmo, schiniere, bracciali, corazza. Sorriderai sarcasticamente, al pensiero che “armatura” deriva da “armare”, al pensiero di quella erre di troppo, forse fuori posto, o forse no.
Il tuo amico del brindisi di inizio anno non aveva tutti i torti: sarà un anno speciale. Importante. Diverso, comunque. Un anno di scelte drastiche, prima subite, e poi gestite, quando non provocate. Perchè due sole cose contano per te: la verità e l'amore. Te ne nutri come di latte materno. Sono per te quasi un’ossessione. E non puoi fare altro che continuare a cercare chi le voglia, eternamente indivisibili.

"...io ti conosco da sempre
e ti amo da mai..."
(Gino Paoli, Una lunga storia d'amore)

Una lettera che non è necessario spedire

Sottotitolo n. 1: In questo Duemilatredici non facciamoci mancare niente. Decisamente.
Sottotitolo n. 2: Perché le amicizie femminili sono molto più complicate di quelle maschili. Anche per chi è donna.

Cara Amicizia Finita,
mi dispiace. Mi dispiace tanto, ma credimi, è meglio così.
Mi dispiace perchè so che stai male, e non lo vorrei, nonostante quello che adesso tu pensi di me (che sono una persona orribile, che sarebbe stato meglio se non ci fossimo mai incontrate). Il punto è proprio questo, cara Amicizia Finita: ultimamente stavamo male un po' troppo. Io, quanto meno. E non è questo il senso dell'amicizia: l'amicizia deve far stare bene, deve essere sole, stelle, prato, fiori, torrenti d'acqua fresca, odore di pane caldo, profumo di caffè. Come era, infatti, ed è stato bello, come saranno belli i ricordi, quelli li difenderò con prepotenza, non me li rovinare, non me li strappare via.
Ma lo sai anche tu, cara Amicizia Finita, che da tempo così non era più, vedersi era quasi uno strazio, finivamo per fare sempre gli stessi discorsi. Sentirsi forse era ancora peggio. Il punto è che tu mi hai mentito alla grande, ti sei mostrata come non eri, eppure sapevi bene quanto io odi profondamente la menzogna. Sei stata troppo egoista, cara Amicizia Finita, perchè un pochino di egoismo lo tollero ed in fondo mi piace anche, perchè così posso giocare ad occuparmi di te, ma senza esagerazioni. E' impensabile che tu stia sempre male, che io debba sempre asciugarti le lacrime e trovare cento modi per farti sorridere, e poi quando sto male io tu nemmeno te ne accorga, o peggio ancora te ne accorgi ed hai la scusa pronta per defilarti. Ma non è questo il punto, io in fondo non ho bisogno di un fazzoletto altrui. Mai avuto. E' che non riesco più a gestire i tuoi colpi di testa. Non riesco più a trovare divertenti i tuoi cambi d'umore.
Tu sai bene che lavoro faccio, non puoi telefonarmi quando ti pare e piace e pretendere che io ti risponda sempre: non rispondo se sono impegnata con riunioni, con Clienti, con la Direzione, oppure rispondo ma solo per dirti che ti richiamo dopo, mettitela via. Sono cose che non puoi cambiare. E' inutile che richiami dieci volte. E' inutile che mi intasi il telefono di sms, o il computer di mail. Cara Amicizia Finita, il mio lavoro sfibra parecchio, l'hai visto bene anche tu. Incontrare gente, parlare, spiegare, telefonare, parlare e parlare ancora. Rensponsabilità, decisioni. E' così difficile da capire che alla sera io sono stanca? Voglio solo farmi una doccia calda, che lavi via la stanchezza di tutte le parole, e riposare profumata e pulita in divano abbracciata a lui. Non esiste uscire a cena se non ne ho voglia, hai tutte le pause pranzo che vuoi. Alla sera voglio il silenzio più totale, voglio buio, o al limite voglio libri.
Tu non hai mai capito, cara Amicizia Finita, quanto io - che pure parlo tanto, tantissimo - ami profondamente il silenzio. Uno sguardo silenzioso dice molto, e io e i libri sappiamo guardarci in silenzio. Per non parlare dei quadri. E' inutile che tu mi dica che è assurdo, che così facendo affatico troppo la mente, che dovrei praticare uno sport o frequentare una palestra, come tutti coloro che fanno lavori non manuali. Odio le palestre, l'hai sempre saputo, è inutile che torniamo sull'argomento. A venticinque anni si può cambiare, forse, a quarantacinque no di certo. E io sono così. 
Magari hai ragione, con te sono stata una persona orribile, ma poco. Quel poco che basta per riconoscere quando un'amicizia finisce; ma sai perchè ci riesco? Perchè riconosco ancora l'Amicizia Vera.
Un'ultima cosa: riciclare i miei regali è stato veramente stupido, soprattutto se li fai avere a gente che mette on-line foto grandi così, e me li sbatte davanti. Mi fa male vederlo, soprattutto le cose che ho creato io per te, oppure ho cercato solo per te, inconfondibili. La mia mania dei regali, farli, più che riceverli; il tuo Gary Chapman non avrebbe alcun dubbio, su quale linguaggio affibbiarmi. Ti ho pensato mentre li sceglievo, ti ho pensato mentre ti arrivavano, affidandoli ai corrieri più impensati, ti ho pensato mentre li aprivi: sono lunghe ore, o giorni, croce e delizia nell’attesa, neanche lontanamente paragonabili all’immediatezza di Internet che tanto ti piace e che a me non dice granchè. Così facendo hai riciclato anche le mie emozioni, come si fa con il vetro, e il vetro taglia. Non avresti dovuto, ma in fondo fa parte di come sei. Un’Amicizia Falsa. Doppiogiochista. Finita.

giovedì 14 febbraio 2013

Valentine

Si era fatto tutto un gran parlare di baci, ultimamente.
Tutto nato, tra l’altro, da un post natalizio scritto per caso, più per scherzare che per discutere. E allora mettiamo un punto: un punto d’inizio, un punto esclamativo, un punto a capo. Questa è, per la mia anima, una delle più belle liriche di Pedro Salinas, ed inevitabilmente mi riporta alla mente momenti molto lontani, quando leggerla nel suo idioma originale rendeva più profumate tutte le cose. Chi me lo ha insegnato e fatto amare, quell’idioma, ha rappresentato per me molto più di un’amicizia: un confronto continuo, un affetto profondo e diverso, un diverso modo di affrontare le scelte della vita. Paradossalmente, la decisione di diventare imprenditrice di me stessa, abbandonando la via sicura del lavoro dipendente (perché all’epoca lo era ancora, una via sicura…), l’ho presa proprio nel suo terrazzino, sotto un enorme albero, in una torrida estate di ormai dieci anni fa.
Volti che vanno e vengono, man mano che la vita ti cambia.
Volti nuovi, anche, che mi insegnano che amare la poesia è amare la vita, saper andare oltre.
Alla fine, tutto il resto ti scivola davvero giù dalle spalle, e rimane solo ciò che conta sul serio.

Lo troveremo, sì.
Il nostro bacio. Sarà
su di un letto di nubi,
di cristalli o di braci?
Sarà
fra un minuto,
o domani, o nel secolo
futuro, o proprio all’estrema
soglia del mai?
Vivi, morti? Lo sai?
Con la tua carne e la mia,
con il mio nome ed il tuo?
O forse dovrà essere con altre
labbra, con altri nomi
e dopo secoli, ciò
che oggi vuole essere,
qui, sin da ora?
Non lo sappiamo.
Sappiamo che sarà.
Che in qualcosa, sì, e in qualcuno
si dovrà realizzare
questo amore inventato
senza terra né data
dove posarsi ora:
il grande amore sospeso.
E che forse, dietro
cortine di anni,
un bacio sotto i cieli
che mai abbiamo visto,
sarà, senza che lo sappia
chi crederà di darlo
trasceso alla sua gloria,
il compimento, infine,
di quel bacio impaziente
che ti vedo aspettare,
palpitante sulle labbra.
Oggi
il nostro bacio, il suo letto,
stanno nella fede soltanto.

(Da “La voce a te dovuta”)

lunedì 11 febbraio 2013

Oggi parla.../6

... un proverbio africano:

"Chi vuole sul serio qualcosa trova una strada, gli altri una scusa"


domenica 10 febbraio 2013

I Maya hanno sbagliato i conti

Mi inquieto quando riscontro sinistre applicazioni di verità nei proverbi e nei detti popolari. Non dovrebbe essere affatto così, dovremmo ripeterli solo per mantenere vive certe tradizioni, e non crederci mai, soprattutto; penso ad esempio al classico “Sposa bagnata sposa fortunata”, che è di un’idiozia colossale, inventato solo perché la poverina di turno non abbia un travaso di bile quando apre la finestra alla mattina del giorno tanto atteso ed improvvisamente si rende conto che i capelli le staranno da schifo, le foto verranno malissimo e qualcuno le strapperà inevitabilmente il vestito cercando di domare l’ombrello che si rovescia per il vento (e poi, come dicono sempre mio marito e i suoi amici da taverna, nel caso di specie, stante così la sposa, è più fortunato lo sposo).
In questi giorni sto pensando a quel che si dice sugli anni bisestili. A parte l’ultimo, i miei ricordi si perdono in attimi di terrore. Dal Duemila in poi ogni anno bisesto è realmente stato funesto, per la mia vita, per molte piccole cose e per alcune di grosse, tipo la Grande Bestia che più volte si è divertita ad entrare nel cuore e nella testa di mio marito per distruggere qualunque cosa vi trovasse, puntualissima, ogni quattro anni (con una piccola puntatina extra subito rintuzzata nel 2007). Tranne l’anno scorso. Incredibilmente, l’anno scorso è stato normale: con le sue gioie ed i suoi dolori, certamente, siamo tutti adulti ed è impensabile che su 366 giorni qualche nuvola di passaggio non ci sia. Ma nessuna cosa grave, nonostante la crisi, tutti problemi affrontabili, risolvibili, anzi direi risolti sempre brillantemente. Gran pieno di eventi d’arte, con tutte le emozioni annesse e connesse. Nuove amicizie, soprattutto una, che mi hanno illuminato gli occhi per molto, molto tempo. E dato linfa e grinta nuove, alla faccia dell’economia.
Mi sa tuttavia che c’è qualcosa che non va, forse hanno fatto male i conti ed il bisesto è questo qui. Il mio duemilatredici è partito come uno schiacciasassi, e comincio ad averne davvero paura, visto che ne manca ancora parecchio. Mi sa che qualcuno mi ha portato sfiga, non oso pensarlo; ad inizio anno ero a pranzo con un caro, carissimo amico, e abbiamo fatto cin-cin col Chianti (io faccio follie dopo un buon Chianti). Lui con i suoi occhioni tristi ha brindato a me – ma che gentile - dicendo che era più che certo che per me sarebbe stato un duemilatredici stratosferico, meraviglioso, pieno di sorprese. Lo strozzerei. Taci che gli ho reso il brindisi, così per lo meno dovremmo essere pari, ma io – si sa – sono fortunella e porto bene a coloro a cui voglio bene, infatti a lui le cose nel duemilatredici sono partite sprintose. In tutti i sensi, 'sto fetente. Via la saudade del fado e vai con la samba. E io qua ad impiccarmi.
Avevo già prenotato l’albergo per andare a Pisa a metà Gennaio: due giorni fuori a fare i fidanzatini con mio marito, ovviamente con tappa alla Mostra di Kandinskij e magari con un saluto a casa Scuffi durante il rientro, ed ecco che mi si rompe la macchina: frizione andata, cambio rovinato, e quasi duemila Euro di conto. Più il noleggio di una Bravo di m/da, con su le gomme estive, che rumoreggiava come un furgone da rottamare. Da notare che io da brava assicuratrice previdente l’Assistenza Stradale per la Delta ce l’ho, con tanto di auto sostitutiva gratis in caso di qualunque guasto, ma sono quelle cose di cui ci si dimentica quando il capo officina ti dice che ti deve trattenere la macchina sei giorni, con un conto di quelle dimensioni, e non ha la loro auto di cortesia a disposizione subito. La mente ti si affolla di un turbinio di pensieri (appuntamenti da spostare, Pisa che salta perché non mi faccio gli Appennini con una Bravo che monta i sandaletti, e duemila Euro da tirar fuori sull’unghia eccetera); ti ricordi che potevi sfruttare la mitica Card con numero verde quando hai già in mano il conto dell’AVIS.
Sono tre settimane che ho una mezza bronchite che mi gira intorno, tra febbre, raffreddore, mal di gola e tosse da cortisone nell’aerosol, che puntualmente ci passiamo a vicenda con mio marito, e gira e rigira stiamo sempre male. Malanni di stagione, dicono, ma è dura aspettare il 21 Marzo col naso che cola ininterrottamente e la tosse che non ti fa dormire (e se lavori dodici ore al giorno, almeno sette devi riuscire a dedicarle al riposo, o schiatti). Il medico dice che devo stare chiusa in casa almeno una settimana, che fine umorista, probabilmente viviamo su due pianeti diversi (mi piace il suo! Dovrò informarmi...).
Ho accettato con entusiasmo di far parte di un interessante progetto che prevede una determinata spesa annua, un po’ (un po’ tanto) fuori dal mio normale budget. Ma per fortuna c’è altra gente che lo trova interessante e mi garantisce che coprirà la parte dove io non arrivo; gente fidata, gente sicura. Gente che ti telefona il giorno prima della firma per defilarsi (e sono quelli più corretti!), quando non il giorno dopo (della serie: come finisce un’amicizia tra due maschi dopo oltre quarant’anni, senza che ci siano donne di mezzo). Sono venuta fuori dalla m/da molte volte in vita mia, so come si fa e non mi spaventa, per certo ci riuscirò anche questa volta, ma mi secca perché il tuffo è sempre sgradevole, io ci tengo alla pulizia.
Dulcis in fundo, lunedì scorso il mio Subagente, il mio unico Subagente, mio fido collaboratore da quanto mi sono messa per conto mio (ed ex-collega per qualche anno precedente, quando timbravamo entrambi il cartellino), mi chiede con una faccia strana se può parlarmi. Era sera, stavo per andare a casa. Ho sentito un brivido giù per la schiena, un po’ come quando il Lurido Verme mi aveva chiesto se potevamo prendere su la macchina per PARLARE (ehi, come cambiano gli epiteti, da un anno solare all’altro). Abbiamo parlato nel mio ufficio, invece, piangendo tanto ed abbracciandoci di più. Ma il succo non cambia: mi ha dato le dimissioni.
E per me è stata la mazzata finale dopo trenta giorni in cui mi cominciavo a chiedere dove cavolo era finito il mio Angelo Custode (torna dalle ferie bello mio, mi servi qui). Ha ricevuto un’offerta stratosferica (che mi auguro per lui sia vera e mantenuta dall’inizio alla fine), di quelle che non puoi rifiutare, e in coscienza neanche io al suo posto l’avrei fatto. Adesso è entrato negli “anta”, con tre bimbi, è giusto che spicchi il volo anche lui nel grande cielo dell’imprenditoria, cercando di non essere abbattuto immediatamente da qualche norma sulla Privacy, o sulla Sicurezza nei Luoghi di Lavoro, o da vertenze sindacali. Però il succo è che se ne va, e questo mi devasta per due motivi: mi devasta personalmente, perché per me L. è un fratello, forse più di un fratello. Abbiamo lavorato assieme quattordici anni, ogni giorno. Sono diventata il suo Capo e non è cambiato niente, anzi. L’ho visto disperato perché la morosa storica l’aveva piantato, l’ho visto innamorarsi pian piano della ragazzina dagli enormi occhi celesti che poi è diventata sua moglie, e a dirla tutta so anche della famosa loro prima volta in cui lui ha fatto clamorosamente cilecca per l’emozione, perché la mattina dopo è venuto in ufficio con un muso che toccava terra come un cane bastonato (ma sono proprio emozioni come quelle che fanno sì che nascano i legami veri, tant’è che dopo la seconda uscita è arrivato che camminava a due metri da terra, e non si sono più lasciati). Ho avuto la telecronaca in diretta delle nascite di tutti e tre i bimbi. Ho ascoltato infiniti racconti di folli vacanze. Ci siamo confrontati spesso sul senso della vita, sul senso dell’amore, del matrimonio, dei tradimenti (fisici e/o mentali). Professionalmente l’ho portato pian piano – me ne assumo gran parte del merito, e guai a chi osa contraddirmi – ad essere quello che è: un professionista come lo intendo io, con dei valori al posto della Carta di Credito  ed un metro di misura umano al posto degli obiettivi di produzione.
E adesso lui diventa “la concorrenza”. E questo mi devasta professionalmente, perché purtroppo così funziona il nostro lavoro, anche se cercheremo di essere civili (ce lo siamo ripromessi) e magari di dividerci già la Clientela come con le figurine (Caio a me, Tizio a te), senza dirlo alle nostre reciproche Mandanti che già sognano laghi del nostro sangue sparso in cui pescare chissà quali ghiotte opportunità di vendita. So già che ci scontreremo, è inevitabile; a volte vincerò io, a volte lui, e sulla pelle di Clienti che fino a ieri ci avevano sempre considerato una cosa sola, e magari dovranno anche scegliere quale dei due tradire. E’ molto probabile che mi porti via una cospicua fetta di portafoglio, perché nel nostro lavoro chi gioca all’attacco (con una Compagnia piccola ed affamata, disposta a sconti folli pur di acquisire) è sempre favorito rispetto a chi sta in difesa (con una Compagnia che si sta ancora leccando le ferite e vorrebbe vedere incrementi, non decrementi; ma va da sé che se vuoi che il Cliente resti il premio va calato per forza!). E saranno perdite che, in questa congiuntura economica, per me sarà estremamente difficile ripianare. E’ molto probabile che io debba nuovamente sforbiciare l’orario già molto ossuto delle mie Ragazze, spremendo ancora la mia coscienza (e i loro stipendi) in dubbi e valutazioni.
In ogni caso mi aspettano, oltre ai miei impegni di tutti i giorni,  lunghi mesi di corsa, di corsa, di corsa, per dare un volto a molte voci, associare a molti nomi una storia, una vita, e picchiare giù duro perché diano fiducia alla mia professionalità ed al mio impegno piuttosto che a quelli di una persona a cui io stessa li ho insegnati. Anche se, in fondo, è una soddisfazione, per quanto piccola, perché vuol dire che ho lavorato bene, se hanno scelto lui.
Mi sento come se mi fosse passata sopra una bisarca carica. Mi sento schifosamente sola. Sono vuota di energie, vuota di pensieri, vuota di voglia di fare qualunque cosa. E tanto, tanto spaventata. 
Vorrei addormentarmi adesso, subito, e svegliarmi tra un anno, quando molti tasselli saranno andati a posto perché avrò trovato, come faccio sempre, tutte le soluzioni (perché so già che le troverò, è che mi secca doverci pensare, mi secca dovermi concentrare, anche se passare le notti a piangere e vomitare non è un gran passatempo).
Però non va bene, mi perderei troppe cose: mi perderei i prossimi Speciali Orler, mi perderei le Mostre di Armodio e di Scuffi già decise per tutto l’anno, mi perderei tante Fiere d’Arte. Mi perderei un anno intero di emozioni, di amicizie ed abbracci, e magari anche la fiorentina che avanzo, in qualche osteria del Valdarno. Accidenti, non per portar sfiga a mia volta, ma non vorrei proprio perdermi lo scudetto numero Trentuno che tanto ci stiamo meritando…
Allora muovi il culo e smettila di frignare, cretina. Reagisci!
E la prossima volta impara anche tu a ballare la samba, visto che fa così bene, c/zo.

venerdì 8 febbraio 2013

Oggi parla.../5

... Lucio Anneo Seneca:

"Si può capire il carattere di una persona dal modo in cui accoglie le lodi"



venerdì 1 febbraio 2013

Buona la prima

Sabato scorso ho fatto un salto a Bologna, per Artefiera, in compagnia del mio inseparabile scudiero.
Siamo partiti guardinghi perché spulciando in giro qua e là on-line avevamo raccolto giudizi al limite del disastroso, ma poi fortunatamente abbiamo avuto conferma che il pessimismo e gli spari ad alzo zero sono solo l’ultimo grido in fatto di sport nazionali (forse anche comprensibili visto il periodo economico, ma mai – e sottolineo mai – giustificati, altrimenti è meglio che ci tagliamo le vene subito e la finiamo qui).
Che dire? A noi è piaciuta. Nella nostra ignoranza, ci è piaciuta. Nel nostro essere collezionisti piccoli, piccolissimi, direi quasi microscopici, ma ancora alla ricerca di un’emozione, ci è piaciuta. Per carità, devo aggiungere che per noi era la prima volta; da buoni provinciali, preferiamo per esempio l’ambiente più raccolto di Arte Padova, che resta la mia Fiera preferita per distacco. Per non parlare del ricordo della prima Artexpo di Arezzo due anni fa, che mi era sembrata un gioiellino fuori dal mondo. Ma quando ci si incammina per certi sentieri non ci si può voltare indietro, e vedere Bologna con i miei occhi diventava un obbligo (prima o poi arriveranno anche Torino e Milano, ma devo andare per gradi o mi spavento).
Per mia natura e anche un pochino per deformazione professionale, io cerco sempre di mettermi nei panni e nella testa di chi mi parla, per meglio comprendere i punti di vista altrui. In effetti, a giudicare dall’imponenza delle strutture, capisco i molti musi lunghi di chi dice di ricordarla immensa, fastosa, ricca (di proposte di ogni genere – nazionali e non - in primis, e di denaro anche, che non guasta mai), e ora la vede come una nobile matrona decaduta, alla quale noti solamente la ruga in più ogni anno che passa. Ma in fondo non è poi così male neanche adesso, la vecchietta: si sente che ha una storia dietro, l’organizzazione è ottima, e non si moriva neanche di freddo, aspetto non trascurabile.
Lo dico agli addetti ai lavori, lo dico ai galleristi, lo dico ai critici, lo dico alla stampa: a me piccolo collezionista innamorato del bello dell’arte sono piaciute molte cose. Guardate avanti, non indietro. Come me ce ne sono molti, e siamo ancora disposti a raschiare il fondo del barile per un’emozione in più. Non smontateci a prescindere, perché vi gira così, e non fate di ogni erba un fascio: non potete essere incazzati in ugual misura per la penuria di Gallerie presenti e perché i parcheggi costano. E’ vero, venti Euro a testa non sono proprio un nonnulla (trovare biglietti-invito per Bologna è impossibile per i comuni mortali, infatti il giro di Padova ci piace anche per questo…), più il parcheggio da oncia di platino, il pranzo, il gasolio e l’autostrada ti partono oltre cento Euro. Ma è una volta l’anno, e va bene così. Non rinuncio ai miei sogni per un pedaggio autostradale. E se c’è qualcuno che lo fa allora non potete di certo contare su di lui per rilanciare il settore, è evidente. Guardate agli altri. Guardate oltre!
Quali i sogni questa volta: un bel mix, ma davvero bello, tra le vecchie glorie ed il nuovo che avanza. Fotografia sì, ma non troppa, e tutta mediamente di ottima qualità e con intensa ricerca dietro (ho riscoperto Sandy Skoglund, ad esempio). Tanto pubblico (e non era ancora domenica!), dall’esperto con l’occhio lungo alla coppietta di ragazzini incantati con la macchinetta fotografica delle patatine, e questo fa stare bene per due motivi: promette bene per il futuro, perché l’interesse c’è e continua ad esserci, e soprattutto permette di godere della vista delle opere esposte in santa pace, perché quando sei l’unico essere umano presente in un raggio di venti metri i galleristi ti saltano addosso in cinque alla volta con la cartelletta dei prezzi in mano prima ancora che tu possa far finta di parlare solo l’olandese. Tra l’altro, pubblico in gamba, che non subisce per nulla la presenza del vip di turno (industriali famosi, politici ancor più noti): io odio quando la massa acefala si accalca attorno ad un essere vivente solo per via di un cognome, non ho mai patito la fama e detesto chi la patisce. Anche gli artisti presenti (e che artisti: il Maestro Licata, per esempio, o Tino Stefanoni, tanto per citarne due di quelli che conosco di persona, ed ai quali mi pregio di poter stringere la mano anno dopo anno), ben mescolati ad un’umanità viva, incuriosita ed attenta ma non uniformata a slogan di mercato.
Vedere finalmente, diamanti dal vivo, due opere di Julian Opie, e confermare a me stessa quanto è davvero interessante (del resto, se mi affascinano il tratto e la ricerca di Valerio Adami, Opie secondo me sta solo un pochino più in là da qualche parte nello stesso sentiero).
Ritrovarsi insieme con volti noti ed amici da Roma, tutti lì per lo stesso ideale; mi hanno anche presentato uno dei più attivi forumisti di Antonio Nunziante, e devo ancora capire se fa parte di quelli poco-fuori-di-testa o di quelli tanto-fuori-di-testa (ma visto che era interessato ad una bella carta di Paul Jenkins mi sa che sta tra i savi).
E ancora: lo stand di Mazzoleni di dimensione doppia rispetto al solito, così oltre ai suoi “classici da Fiera” (l’Afro sui toni di terra, Ettore e Andromaca di De Chirico, il Burri…) sono saltate fuori altre cose mai viste prima, tra le quali un Hartung spettacolare, da perderci veramente il fiato. Perché da Mazzoleni è così: non ci sono solo i nomi che contano, ma i pezzi davvero esplosivi dei nomi che contano, non le schifezzine che a volte ti vengono spacciate per il miracolo dell’anno solo perché hanno sopra una firma stanca, molto stanca. Io voglio emozioni, non firme.
Insomma, che Hartung. Da stare a bocca aperta per quindici minuti buoni. Io e un distinto signore (che ovviamente mi era sconosciuto e tale è rimasto) ci siamo avvicinati in silenzio e poi ci siamo scambiati uno sguardo d’intesa. Lui ha sospirato ed ha detto: “Adesso posso tornare a Genova contento”. Per me uguale, solo che vado a est. Ma questa è l’arte, questo è il miracolo del bello a prescindere: per un attimo, la condivisione di un qualcosa di superiore che ha unito me e un anonimo genovese. Questo non si compra, e questo è ancora ciò che tanti di noi cercano quando staccano il biglietto di una Fiera d’Arte. Poi, ovvio, io mi devo allontanare dall’Hartung museale per andare più prosaicamente a caccia di un affresco di Celiberti alla mia portata; e tutto sommato c’è chi comincia a capire che se l’economia riprenderà a girare non sarà per l’apporto del grosso fiume solitario, ma per quei tanti piccoli testardi rivoletti.  
Lo spettacolo dell’Hartung è stato argomento di discussione a pranzo tra me e mio marito, che ha candidamente ammesso che non c’è più nulla al mondo che lo “riempia dentro” come un’opera d’arte; forse, ma proprio forse, qualche spettacolo naturale tra quelli più grandiosi (canyon o cascate). Io volo più basso, mi bastano anche le Tre Cime di Lavaredo contro il cielo più terso, oppure l’immensità del grigio orizzonte del mare a Capodanno, a sovrastare una spiaggia finalmente selvatica e muta.
Lui intende “arte” in ogni senso, dal quadro 20 x 20 alla cattedrale: il concetto è che le bavette che una volta perdeva davanti ad una bella donna adesso la perde davanti ad una tavoletta di Armodio, e indietro non si torna, mi sa. Più passa il tempo, più odia il genere femminile ed ama i pittori. Devo ancora capire se ho contribuito a creare un santo o un mostro.
Infine, lo stand dove ho trovato l’arretrato di Arte In che mi mancava (quello su Armodio, a me mancava proprio quello con Armodio in copertina!), e dove ho acquistato in anteprima il numero che in edicola non c’è ancora, con buona pace del mio fornitore ufficiale che si rifarà vendendo qualche giornalino di gossip in più (tanto con quelli ci guadagna tanto quanto l’intero PIL del Burkina Faso).
Su Arte In ho avuto due gradevoli sorprese: un omaggio al Maestro Possenti con Luciano Caprile che lo accomuna a Bosch, come avevo fatto io (senza aver mai letto o approfondito alcunchè su Possenti) nel mio post su Lisbona del Luglio 2012, scusandomi nel timore di attirarmi le ire dei critici di professione per l’accostamento troppo ardito. Evidentemente comincio ad affinarmi, allora, vorrà dire che se mi salta l’Agenzia ho speranze di riciclo. Come l'alluminio.
E poi, l’Editoriale della Santa Lorella che punzecchia la nuova Generazione di Fenomeni: i “curators”, ancora una volta da sottoscrivere parola per parola con il poco sangue che mi resta (visto che non riesco a mettermi un freno). Vi-prego-vi-prego-vi-prego: leggetelo! E’ un condensato di Via, Verità e Vita. Quanto adoro quella donna!