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venerdì 25 dicembre 2015

Oggi parla.../22

... Giuseppe Ungaretti:

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui 
non si sente 
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

(Natale, 1916)


Ritorno al silenzio - seconda parte

Per i coraggiosi che si sono sorbiti tutta la prima parte, finendo a parlare di zampette tolte, viro subito sull'argomento "Arte", perchè anche lui ha subito le sue belle trasformazioni, negli ultimi quattro anni della mia vita. La rompo io, la seconda zampetta del tavolino, stavolta. Penso a Paolino Orler e alla sua fatidica domanda: "Avete già avuto il rigetto?", e mi chiedo se intendesse davvero "l'Arte" oppure se, per lui che ne ha fatto un lavoro, l'arte non coincida, in realtà, con il mercato. 
Ho un bisogno estremo, impellente, assoluto, di recuperare l'aspetto silenzioso, ovattato, da Museo, dell'Arte; l'aspetto contemplativo. E trovo una sinistra similitudine tra ciò che vedo diventato, negli ultimi tempi, il Circo Mediatico dell'Arte, e il mondo del calcio. Inteso come il diffusissimo sport in cui dieci scalmanati muscolosi vestiti uguali corrono dietro ad un pallone su e giù per un campo erboso, ostacolati da altrettanti scalmanati vestiti di colori diversi, per cercare di far finire il suddetto pallone dentro ad una porta retata difesa dall'undicesimo compagno, che se ne sta lì fermo in attesa del suo momento. Più o meno, ovviamente; in realtà ci sarebbe da definire ruolo per ruolo i dieci, perchè non tutti corrono nello stesso modo, anzi, alcuni vanno avanti ed altri no, ma l'ho detto per semplificare le cose. Mi piacerebbe leggere i primi trattati sul gioco del calcio, rigorosamente in inglese visto che il calcio (come migliaia di altre cose utili ed interessanti, nonchè di sport praticati a livello mondiale, nonchè le stesse assicurazioni) l'hanno inventato loro, spocchiosi ma geniali, per vedere come veniva descritto tecnicamente lo scopo originario.
Per un lungo periodo, io e mio marito siamo stati veri appassonati di calcio. Non di certo ultras, anche se io, personalmente, complice l'Infame che era uno dei capi ultras a Venezia, ho provato l'ebbrezza, negli anni della Serie A, di due incontri al Penzo nella curva dei pazzi scatenati, e per chi sa com'era fatta la curva del Penzo (vale a dire una struttura ondeggiante fatta di soli tubi in metallo, alta una ventina di metri, senz'ombra di pietre, cemento o altro materiale che ispiri una certa solidità) è facile capire che urlare, saltare, staccare i piedi dal seggiolino e farsi trascinare a mezz'aria dal mare di folla per novanta minuti è davvero un'esperienza al limite del mistico. Nel senso che ti rendi vagamente conto di cosa può essere la morte in agguato, ma non hai tempo di rifletterci sopra. 
Io, juventina giurata in eterno, e mio marito, interista midollare, eravamo appassionati nel senso del termine, che deriva da "passione". Varie esperienze di stadio tranquillo (il primo colpo d'occhio dell'immensità di San Siro gremito all'inverosimile non si scorda mai), panini al bar dotato di maxischermo tutti i fine settimana finchè il colesterolo ringrazia, successivo abbonamento a Telepiù e Stream (Sky ancora non esisteva), con ripristino dei livelli di colesterolo ottimali ma perdita del pathos dato da esultanza da bar con abbraccio a muratori sconosciuti di provenienza Est Europa, ma juventini.

Ricordo che ne avevo parlato anche qui, si vede che l'abbraccio al muratore era un ricordo "intenso":
http://trecose.blogspot.it/2012/03/normalita-e-quando-la-juve-batte-linter.html

Poi, col passar degli anni, ti rendi conto che qualcosa non va: si guarda sempre meno al bel gesto tecnico, al gioco di squadra, alle esultanze, e si parla, si parla, si parla.
A far da contraltare ai ventidue muscolosi scalmanati (che, nel frattempo, sono anche loro sempre meno "sportivi" e sempre più divinità mediatiche, tra tatuaggi, fidanzate, auto di lusso, biografie eccetera eccetera) ha messo radici una vera e propria orda di commentatori, procuratori, opinionisti, esperti, per non parlare delle Gnocche del Calcio (ogni programma di calcio deve necessariamente avere per contratto almeno una Gnocca, la quale anche se parla di calcio - magari leggendo da un foglietto, mi ricordo che all'inizio sbagliavano anche i nomi - è palesemente lì per tutt'altri motivi, in quanto se fosse un cozza terrificante non avrebbe mai ottenuto quel ruolo). E noi ci siamo disamorati del calcio, un po' alla volta. 
E' stata prima una leggera nausea, poi dei lievi conati, e il resto è da lasciare all'immaginazione di ciascuno. Certo, resto juventina nel profondo, sono e sarò sempre preda di una sottile esultanza ogni qualvolta la Vecchia Signora vince: domenica scorsa, ad esempio, stavamo facendo la spesa in Ipermercato sotto ora di pranzo per evitare la folla alle casse, e dagli altoparlanti invece delle solite musichette o delle loro offerte trasmettevano Juventus-Carpi (Ipermercato scelto con cura e dopo mesi di ricerche...). Al goal del 2 a 1 ho avuto un moto di gioia, il classico YESSS con il pugnetto chiuso, e ho spaventato una signora, nella corsia dei detersivi. Che discorsi, al cuor non si comanda. Però preferiamo di gran lunga concentrarci sul tennis, ad esempio, che resiste ancora con quell'aura vagamente da "tempio" (soprattutto Wimbledon o Parigi/RG), dove è impossibile assistere a scene da film gangster, i tifosi più scalmanati sono quelli che si lasciano scappare un estasiato OOOOHHH (mentre gli altri invece osservano in ossequioso silenzio), i commentatori sono a farla grande due, e quando era in servizio attivo la coppia formidabile Clerici-Tommasi ti facevi anche qualche sana ghignata. Grande il Gianni Clerici, lui lo odia il calcio, non mancava mai di ripeterlo, con qualche insulto non sempre velato al becerismo del tifoso-tipo del pallone con gli esagoni e i pentagoni.
Me compresa, se parlava di Juve.
Ebbene, con l'arte io sono arrivata più o meno allo stesso punto. Vorrei esistesse un Wimbledon anche per lei. Mi rendo conto che l'aver sdoganato - tramite da un lato Musei e Fiere di livello, e dall'altro dosi sempre più massicce di televendite - l'arte contemporanea in maniera totale e nazional-popolare (cosa che è assolutamente, di fondo, un bene, perchè il bello e lo studio dello stesso eleva le masse dal succitato becerismo) in realtà ha fatto sì che ora chiunque si senta autorizzato a parlare di arte con cognizione di causa. Anche se è un meccanico, un infermiere, o un impiegato del catasto. Tutte figure, intendiamoci, per cui io ho la massima stima nei rispettivi lavori, ma che a volte dimenticano che, come non ci si può improvvisare meccanici, non ci si può neanche improvvisare esperti d'arte. Bisogna STUDIARE, a fondo, e per anni. Perchè la comprensione dell'arte contemporanea arriva solo dopo la conoscenza approfondita di tutta la storia che l'ha preceduta, e questo è un dato di fatto. Inoltre, lo sviluppo spropositato dei social network e di tutte le piattaforme internet degli ultimi anni, ha fatto sì che chiunque sia in grado di usare un computer si possa infilare ovunque per dire la sua, a volte in modo corretto sia nella forma che nella sostanza, a volte sparando baggianate colossali, oppure (spesso) offendendo, o semplicemente cercando la polemica a tutti i costi, così come l'ultras cerca lo scontro in curva. 
E' successo anche a me su Trecose, molte, moltissime volte. Ci sono stati commenti gentili e costruttivi, condivisione piena di stati d'animo oppure scambi di vedute; e poi ci sono stati, fortunatamente rari, perchè io la polemica la smorzo in partenza, interventi rissosi e assurdi. Ma passi chi mi dice che detesta i pittori che io amo, per carità, siamo in un Paese libero, spero ancora per un po' (anche se non capisco come fanno certuni a dire che Marcello Scuffi è ripetitivo e, contemporaneamente, ad ammirare Morandi). Io non accetto che ci sia chi perde del suo tempo per entrare nel mio Blog per criticare, ad esempio, solo ed esclusivamente il fatto che io scrivo troppo, cosa che peraltro è assolutamente vera! Viste le miriadi sconfinate di gente che scrive nella blogosfera, ritengo logico che chi ama la sintesi si iscriva per commentare abitualmente scrittori di haiku. Ma perchè venire a rompere le balle a me rintuzzando la prosa sciolta, neanche fossi una che lega alla sedia la gente! Libertà, gente, libertà.
E questo lo noto, ripeto, sinistramente, tra i sedicenti appassionati d'arte, non tra gli altri. Tra i miei Lettori Fissi c'è il carissimo Tra Cenere e Terra, che gestisce in maniera mirabile e rarefatta il suo Blog di poesia. Non lo commenta mezzo mondo, ma chi lo fa generalmente è per un pensiero di condivisione, o un apprezzamento, o una nota gentile. Nessun poeta, nessun appassionato di poesia si sognerebbe mai di loggarsi per insultarlo, per dirgli che i suoi pensieri fanno schifo. Se qualcuno mai lo pensasse, semplicemente se ne andrebbe su altri Blog, più consoni al proprio modo di essere, vedere, vivere, sentire. E invece nell'arte contemporanea no, si creano le fazioni, si cerca lo scontro.
Ormai è storia la ben nota polemica ferragostana (con tanto di strascico legale) tra i supporters di Carlo Vanoni e quelli di Giovanni Faccenda, su pagine Facebook che anch'io posso leggere, pur non essendo iscritta a Facebook, perchè lasciate maliziosamente pubbliche. 
Io non entro nel merito di chi è più bravo di chi, ci mancherebbe! Il mio parere personale, comunque, è che 1) una polemica del genere fa male, a prescindere, all'Azienda che entrambi rappresentano, ed alimentarla o quanto meno non impedirla è sicuramente poco etico dal punto di vista dell'appartenenza ad un'unica organizzazione; 2) Giovanni Faccenda fa quello per cui lo pagano: vende quadri in televisione. Ne vende a bancali. Cosa poi dica o faccia per raggiungere lo scopo, ciascuno lo deve valutare e filtrare secondo le proprie attitudini, conoscenze o competenze (il famoso discorso di prima...); è evidente che chi mastica un pochino di pittura vede da sè la differenza tra un nome e un altro. Ma da Orler lo pagano per vendere, e lui vende. Se Carlo Vanoni è pagato per fare gradevoli lezioni di storia dell'arte e non per vendere quadri, questo io non lo so e non lo posso sapere; 3) perchè diamine ci cacciamo tutti ogni volta in questo bouchon? Cosa siamo diventati tutti, dei tifosi che saltano su tubi di metallo? 4) Il mio telecomando ha un tasto che permette di cambiare canale, stando peraltro comodamente seduti, se ciò che vedo in televisione non mi soddisfa... credevo che questa invenzione avesse varcato i confini del Veneto, evidentemente sono una privilegiata.
Recentemente mio marito è stato invitato da un nostro caro amico friulano a far parte di una Chat Whatsapp di gruppo sull'arte; a parte qualche commento estasiato iniziale, gli interventi sono pochissimi, giusto qualche segnalazione di Mostre in corso, tant'è che il mio sociologo scalpita un pochino. Abbiamo cercato di darci una spiegazione in merito, che prescindesse dalla ben nota pragmaticità al limite del mutismo dei nostri cugini friulani, e crediamo di averla trovata nel fatto che, dalle immagini postate, parrebbe che tutte queste persone non conoscano granchè di arte contemporanea (diciamo di viventi, ma anche di post-war, o addirittura semplice Novecento). Sono innamorati della classicità, del Rinascimento, del grande Settecento, e davanti a queste cose non c'è nulla da dire. Si sta zitti. Bocca chiusa, e contemplazione. Storia, tradizione, cultura eterne.
Anche perchè, attenzione attenzione, non esiste alcuno al mondo - neanche il plurinominato "magnate arabo" - in grado di acquistare un'opera di Michelangelo (per indisponibilità economica sua e per indisponibilità di vendita di opere di Michelangelo), e quindi qualunque giudizio non sarà mai falsato dall'aspetto del MERCATO. Dove invece esiste mercato, stravolge tutto. Parliamo di SOLDI, ragazzi miei, soldi, che fanno potere, che fa altri soldi, che fanno altro potere. L'Arte non c'entra un tubo se tutto deve girare intorno ai soldi. Ci sono svariate Gallerie, dotate o meno di canali televisivi (e quindi con più o meno visibilità a livello basico), ci sono svariati venditori, come in qualunque organizzazione che venda merce. E c'è quella immane schifezza che è - da questo punto di vista - internet, dove chiunque sia dotato di un modem si sente una divinità perchè può dire la sua al pari di chiunque altro (anche se uno è, puta caso, un professore universitario con anni di ricerca alle spalle, e uno invece vende automobili, o fa il geometra, o l'assicuratore, mi ci metto in mezzo anch'io, come vedete). 
Se facciamo la somma di tutti questi fattori ci troviamo davanti a uno stadio urlante, curva nord contro curva sud, infiammate solo dal tifo e dagli istinti più bassi. Ben che vada, se non ci sono tifosi, ci sono polemiche fra donnicciole. Artisti che vengono osannati da mandrie di fruitori solo perchè il venditore preferito li osanna, altri invece bistrattati o addirittura insultati per colpire l'imbonitore. 
Sputo un rospo grosso: va bene,  il Giovanni Faccenda venditore può non risultare simpatico a tutti, lo ammetto. Anche io lo preferisco in altre vesti. E' esagerato, istrionico (soprattutto se paragonato alla calma piatta di tanti altri), mi ha anche fatto andare per traverso i tenorini de Il Volo per tutte le volte che li ha fatti ascoltare. Ma che per colpire lui si dica che Armodio non è un pittore straordinario, per favore! Trovatemi chi sa dipingere come Armodio! Parliamo di bravura, solo di quella, non di mercato, di investimenti, di quotazioni. 
Oppure Marcello Scuffi: lo si potrà trovare malinconico nei soggetti, oppure ad alcuni potrà far storcere il naso come persona (politicamente di sinistra e sportivamente interista...), ma come non apprezzare la sua tecnica? Secondo me è uno dei pittori più completi e preparati tra i viventi in Italia, ma visto che è targato Orler, se sei contro Orler sei contro di lui. Se gli eredi di Salvatore Emblema non avessero fatto la cazzata di entrare nell'universo corbelliano, da sempre oggetto di strali, probabilmente oggi si vedrebbero contendere le tele detessute a palate di dollari. E potrei continuare per giorni. Che schifo. Un circo, un circo pompato mediaticamente, dove si grida, ci si agita, ci si insulta, affannandosi alla ricerca del colpaccio e perdendo di vista l'obiettivo dell'arte: bellezza. BELLEZZA. Serenità, pace, estasi, contemplazione, riflessione, emozione. Certo, anche linguaggio, innovazione e comunicazione (diamo ragione anche a Carlo Vanoni!), ma mai curva nord, mai istinti beceri, mai. 
Ecco, io ho bisogno di questo: ho bisogno di recuperare silenzio, di uscire dalle Fiere e dalle televendite, di entrare nei Musei, di aprire di nuovo i miei libri di Storia dell'Arte che sono in garage, nello scatolone post-trasloco con la scritta "Libri università". Non posso fare zapping e scoprire che hanno creato una specie di TeleGaudio, un canale (che in realtà si chiama TV Art Live) dove a qualunque ora del giorno ti sintonizzi c'è sempre e solo lui, G.G., di certo invecchiato ma ancora molto fascinoso, che spazia dal quadro al tappeto al gioiello usando sempre le stesse frasi! Una di queste notti devo provare ad accendere la televisione all'improvviso, io, che fino a pochi mesi fa non mi svegliavo neanche col terremoto; ma sto attraversando quella fastidiosa fase della vita femminile nella quale, durante le notti, sperimento escursioni termiche che il deserto di Atacama se le sogna. Mi alzerò, già nervosa del mio, e troverò G.G. in pigiama che presenta un'opera fondamentale, di un genio che è in tutti i musei del mondo, che non possiamo perdere. Mi fa paura, paura tanta. Chissà come lo alimentano, se ci sono dei sondini endovena nel microfono, se dorme direttamente dietro le quinte, o se ha una serie di cloni numerati in gradazione di abbronzatura. Per questo rompo la seconda zampetta. Non possiamo usare le stesse parole per Paul Jenkins e per il diciottesimo estroflessore; e poi ci sarà chi ha comprato il diciottesimo estroflessore che dà dell'idiota incompetente a qualcun altro perchè solo lui ha in mano il lume della verità, quello che permette l'arricchimento sicuro, quello che non commette errori.
Io so solo questo: Franco Ristori ha iniziato per una nuova stagione la sua serie di Tè, di appuntamenti mensili. L'ultima volta ero lì con lui (era appena scoppiato il Bubbone Banche), e sono entrati due signori un po' attempati che volevano adocchiare qualcosa - per quanto ho capito io, che cercavo di stare discretamente in disparte visto che parlavano di cifre, ma nel frattempo friggevo perchè volevo intervenire e ricordare come a breve la mania cinetica sparirà (è scritto) e torneremo al figurativo, come una ruota che gira eccetera eccetera. Volevano una sorta di bene rifugio, che piacesse e che contestualmente non facesse buttare nel cesso il poco salvato dal disastro-Banca. Mi sono passati davanti i miei lunghi quattro anni di Blog, i venditori di Telemarket, i venditori di Orler, di Vecchiato, di Elite, tutte le Fiere, tutti i Forum più o meno mal/educati. Friggevo, ho taciuto e ho ascoltato.
Ristori non parla tanto, anzi, a volte bisogna tirargli fuori le parole con le pinze, ed è un difetto che gli sottolineo spesso, perchè è importante comunicare, non puoi dare per scontato (o, peggio ancora, sperare) che la gente ti capisca - telepaticamente? - se non lo fai a fondo. A quei signori, però, lui ha detto solamente questo: "Per non sbagliare, intanto scegliete un nome che sia nella storia, che ci sia già nei libri. E poi, qualcosa che vi piaccia da guardare."
Tutto qui.
Smetto di parlare, perchè so che prima o poi, da qualche parte, altre Trecose rispunteranno fuori. Io le troverò, e voi mi troverete.

Ritorno al silenzio - prima parte

All'inizio mi era balenata per la testa l'idea di cominciare con qualcosa tipo "Cari amici vicini e lontani"; insomma, suppergiù. Però è pur sempre la frase famosa di un morto, magari non mi porta bene, e io invece voglio tanto che questo ultimo post abbia una buona, bella stella sopra, una stella con la coda luminosa, che fa tanto natalizio. 
Ultimo, sì, almeno per questa prima parte della mia vita, anche perchè non aveva senso lasciare Trecose lì tutto solo a languire, in uno stagno d'inedia, dopo quell'estivo post fugace con le fotografie dei cartelli strani. Io sono una molto meticolosa, mi piacciono le cose fatte bene: dopo tutto, Trecose è nato il giorno di Natale di quattro anni fa, per permettere alla mia vena scrittoria di lacerarsi e fluire fuori impetuosamente, portando con sè, fuori, anche qualche chilo di malinconie, tristezze, delusioni & affini. Trovo particolarmente simbolico riuscire a pre-pensionarlo (di questi tempi, una vera fortuna!) esattamente un nuovo giorno di Natale.
Che poi, a dirla tutta, visto che sono partita a ruota libera e parlo col cuore in mano, è come un cerchio che si chiude, in tutti i sensi ed i segnali del caso: l'avevo aperto a causa di una persona a cui avevo dato molto e che mi aveva ferito molto (scusate se rido, ero IO un'altra persona all'epoca,  se mi ricapitasse adesso la stessa situazione farei spallucce e lustrerei la corazza... anche se non sono sicura che sia un bene, per quanto inevitabile, diventare così cinici con l'età), e che da quel momento lì non avevo più rivista nè sentita. Fino a poche settimane fa. 
C'è stato giusto un rapido scambio di messaggi via Whatsapp (nemmeno Whatsapp esisteva diffusamente qua da noi, quattro anni fa) perchè la sua vita è giunta ad una svolta, ed evidentemente ha ancora il mio numero, come del resto io ancora ho il suo, senza fare gli ipocriti. Quattro frasi di convenienza (usa ancora sempre le stesse parole, ho notato, "ti" abbraccio, "ti" bacio, così personali e probabilmente così copia/incolla), quattro in croce, sul tempo, su figli e nipoti, sul futuro, che mi hanno fatto passare davanti agli occhi quattro anni in un attimo, velocissimi: li ho proprio visti a fotogrammi, come una pellicola da film sfumata sui bordi, come raccontano quelli che sono stati dichiarati clinicamente morti per un momento e poi sono stati acciuffati per i capelli e ricondotti alla vita. Il male cane che provavo, la decisione di mettermi a scrivere in un diario on-line, io che il computer lo odio e a parte Word e poco altro neanche so come si usa, la mia anima che ne esce fuori, i primi lettori incuriositi, le prime condivisioni, e poi improvvisamente quel lieve rigagnolo è diventato un fiume in piena, dentro di me. 
Dal punto di vista professionale, pian pianino è iniziata una mezza catastrofe (mica solo mia, è la stessa che ha colpito tutti i professionisti dei servizi negli ultimissimi anni, dopo che nei precedenti erano stati colpiti produzione e commercio, ma del resto è una ruota e si sapeva che doveva arrivare anche a noi, mica siamo l'oasi felice). Una mezza catastrofe che ha portato ad uno sprofondamento drastico e a decisioni importanti, dolorose. 
Dal punto di vista della mia passione per l'arte, al contrario, un'impennata vorticosa: Giovanni Faccenda che scopre che so scrivere, che pubblica roba scritta da me, che mi fa conoscere Armodio (ad esempio, ma non solo), l'Annamaria Brizzi che in diretta TV dice che mi sente come un'amica pur non conoscendomi, e poi quel famigerato post sulla mia avventura con Cagnola, che ha fatto un gran  casino in giro per mezza Italia, e per chi continua a chiedersi se hanno sporto denuncia: no, non hanno sporto denuncia, almeno non fino ad ora, ma dubito che possano farlo visto che ho scritto verità inconfutabili e comprovate. L'importante è cercare di essere corretti e divertenti, e mai polemici o rancorosi, comunque. La polemica e il rancore attirano gli avvocati come topolini sul grana grattugiato. Di sicuro un po' mi dispiace, perchè hanno avuto cosette interessanti, nel tempo, da Cagnola, ma non me la sono più sentita di alzare il telefono per farmi portare a casa qualcosa, credo che il mio nome sia finito in cima alla loro Lista Nera, come quella che hanno ben in vista i ragazzi dei tappeti da Orler, per la gente che ti fa andare dal Veneto fino in Provincia di Agrigento per poi dirti che "il tappeto è troppo blu" oppure "no, grazie, ma in salotto non ci sta" (misurarlo sempre prima, il salotto, magari!). 
L'arte che diventa la tua vita, la tua vita che diventa arte. Conoscere gente che mai avresti pensato, uno fra tutti il Maestro Franco Ristori da Firenze, uno generoso, uno che è in grado di cambiartela, la vita, se glielo lasci fare, con un filino di follia. E poi tanti commenti, veramente tanti, sia da gente sensibile e preparata come da chi non sa dove abiti il rispetto (e i congiuntivi), ma se ci siamo incrociati in un determinato punto e in un determinato momento delle nostre vite, anche con gli sgrammaticati, un motivo c'era, ed è stato bello così. Conservo il libro sulla vita di Schifano che mi ha regalato, facendomelo arrivare a sorpresa in ufficio, il primo Natale, Michele (che ora immagino chissà dove all'estero, come quasi tutti quei bei cervelli italiani di trent'anni), così come i tre libri del fine pensatore Antimo Mascaretti, che un pochino invidio, perchè anche se con sofferenza lui può davvero (per età, possibilità, situazioni) scegliere di isolarsi dal mondo e vivere di pittura e di rose, mentre io no, almeno così dice la Busta Arancione.
Anche se io e la persona dei Quattro Anni e delle Quattro Frasi, con ogni probabilità, non ci risentiremo più (quanto meno per i prossimi quattro, questo è sicuro), a quel punto ho realizzato che era ora di chiudere una porta. Non è detto che non ne aprirò un'altra, un giorno, anzi, direi per certo che lo farò, sotto un'altra veste. Ma questa qui andava chiusa, principalmente per due motivi che voglio spiegare bene a chi mi legge e ha pazienza, per capire che non è una decisione presa con leggerezza, ma ci ho riflettuto sopra. 
Innanzitutto, premetto che non potrei mai lasciare Trecose in mano ad altri. Dico questo perchè qualche mese fa si è aggiunta tra i miei Lettori Fissi una signora incredibile che si chiama Nella Crosiglia, di cui io peraltro non sapevo manco l'esistenza (e ci mancherebbe, noi blogger siamo milioni, e presumo che abbiamo tutti vite molto impegnate); è tipica del mondo dei blogger 'sta cosa: tu mi incroci, mi commenti, ti iscrivi tra i miei lettori, mi inviti a leggere il tuo Blog, e io ricambio e mi iscrivo tra i tuoi. Di solito la cosa finisce più o meno qua. Ma siccome io sono curiosa e testarda come una scimmietta, il "di solito" mica mi basta. Sono andata a cercare per il web chi cavolo fosse Nella Crosiglia, lei e il suo smodato amore per i cani, soprattutto quelli soli e tristi nei canili, e per la musica di ogni tempo (un connubio pazzesco e intrigante, e parla una che scrive di assicurazioni e di arte!), lei che ha ben oltre millecinquecento - vederlo scritto per esteso fa un certo effetto, eh - Lettori Fissi, che non sono propriamente come gli amici virtuali di Facebook, sono gente-che-legge-e-scrive-e-pensa. E lo fa CON TE. Un numero impressionante, meritava accurate ricerche; ho così scoperto che il suo Blog in realtà non era suo fin dall'inizio. L'ha "ereditato" da un'altra signora che non lo poteva/voleva portare avanti, che lo stava insomma lasciando morire d'inedia, che lo trascurava, perchè sono cose che capitano, se non hai una minima quantità di ore al giorno da dedicarci. 
Nella l'ha preso con sè, come un cucciolo da un canile, l'ha fatto crescere in maniera spaventosa, e senza cambiargli nome; semplicemente, travasando se stessa dentro quel che già c'era. Se da un lato ammiro il suo risultato, dall'altro mi fa tremare: io non potrei mai, e sottolineo mai, lasciare la mia creatura in mani altrui. Chissà se sono io che sbaglio, magari anche sì. 
Però è giusto il ragionamento: se non lo coltivi, o lo lasci a qualcuno o lo chiudi. E qui veniamo al punto: come tenere aperto un Blog che si chiama TRE-Cose-che-so se sparisce la prima delle tre? Impossibile. 
Notizia bomba, ad ogni modo; pare che ci stia riuscendo, e lo dico incrociando le dita, perchè non abbiamo ancora firmato niente, però direi che siamo a buon punto. Lo sviluppo della cosa è stato strano e buffo: era ben oltre un anno che avevo ufficialmente chiesto alla mia Mandante se aveva bisogno di un Agente da qualche altra parte, perchè valutavo seriamente l'idea di andarmene da questo Veneto uggioso, arrabbiato, perennemente di corsa e insoddisfatto, ma il mio Ispettore Commerciale - che non è più Zelig, per chi si ricorda dei miei post con Zelig, ma un distinto, pacato signore dalle tempie bianche e dal cuore gentile - credo ritenendo di farmi complimento gradito, mi aveva risposto che preferiva non perdermi - io Agente così bravo e onesto - dalla sua zona operativa (alle tempie bianche e ai cuori gentili noi Agenti perdoniamo qualche pietosa bugia). 
A volte le Mandanti non riflettono bene sul fatto che, se ti chiedo di trasferirmi altrove e mi dici di no, finisce che vado via lo stesso e magari sotto un'altra Mandante. Io sono andata ben oltre: non voglio più sentir parlare di assicurazioni. Misura colma, strabordante. Direi che si capiva abbondantemente, dai miei ultimi post in materia: potrei tirare avanti un annetto o due, ma visto che la mia Busta Arancione pone l'asticella diciamo tra più o meno un ventennio, dovevo dire basta. 
Basta a un mondo di iper-burocrati che ti spalma dieci circolari in ostrogoto a settimana, e ti parla e ti aiuta solo ed esclusivamente via ticket informatici. Basta a un settore in cui l'Assicuratore è sempre il cattivo e il Cliente sempre il buono, che anche per una questione di statistica non è possibile, o suvvia! Basta alle Compagnie, da un lato, che straripano di soldi per eventi, sponsorizzazioni e pubblicità, e poi cavillano sui cento Euro di un sinistro che ti fa perdere il Cliente. E basta, dall'altro lato, al Cliente che pur non capendo un'emerita cippa di assicurazioni (me lo tatuerei col sangue e lo ripeto: il 90% delle persone con cui parlo di assicurazioni e che crede di sapere tutto di assicurazioni in realtà infila una boiata dietro l'altra, un luogo comune dietro l'altro) si erge a so-tutto-io e rifiuta di affidarsi a un professionista serio. Basta all'Esperto. Basta a quelli della tiritera "c'è la crisi" per lacrimare sui dieci Euro di sconto, che poi trovi nel resort di lusso. Basta a chi si lamenta che i figli non trovano lavoro, ma poi fa tutto on-line (allora i tuoi figli falli assumere da Amazon e stai zitta, bella mia). Basta ai cialtroni, che quando ti sei sbattuta tre giorni di telefonate e un richiamo formale dal tuo Ufficio Sinistri per incaricare il Perito la notte di Natale, neanche capiscono di cosa parli e ti dicono che il carrozziere si è appena trasferito dall'altra parte della città. Basta alla cultura del risparmio a tutti i costi, che uccide la cultura della previdenza e della prevenzione.
Se tutto va come deve, tra due-tre mesi la mia Agenzia verrà accorpata in un'unica, grande realtà, assieme ad altre due. Mi do un anno di tempo, dodici-mesi-dodici, l'ho promesso ad una persona che se lo merita, una persona che ha ancora dei valori come i miei: una faccia di cui non vergognarsi e da mettere sempre sul piatto, unitamente all'impegno, e alla serietà. Una persona che, pur non conoscendomi, mi ha detto: "Lo faccio perchè credo che se io ti aiuto a realizzare questo tuo sogno, forse un giorno incontrerò qualcuno che mi aiuterà a realizzare il mio", e a quel punto io gli avrei messo in mano le chiavi di casa, non solo dell'Agenzia.
Il prossimo, sarà un anno in cui cercherò di fare in modo che i miei Clienti più cari si affezionino a queste persone nuove, e possano - un domani - dimenticarmi, anche se in fondo solo a pensarlo mi fa venire da piangere. Un anno in cui cercherò di trasmettere tutto lo scibile che ho maturato in venticinque anni di gestione agenziale (uno scibile molto prezioso, di questi tempi, un sapere che va oltre la mera vendita) ad una decina di signorine volonterose ma disorganizzate, per vedere se magari, tra di loro, trovo un paio di "me" da far crescere. Che sfida. Mi stancherò come una bestia ma probabilmente mi divertirò anche. E poi si vedrà, se dovesse tornarmi la voglia potrei anche decidere di ripensarci e restare. Per ora la vedo dura, e se togliamo una zampetta delle tre al tavolino di Trecose quello viene giù. 
E adesso passiamo alla seconda zampetta.

domenica 30 agosto 2015

Oggi parla.../21

... il Cartello Buffo:



Beh, qui partiamo col botto. E' relativamente vicino a casa mia, ma vi assicuro che io non c'entro niente. 
Un classico, classicissimo del Comune dove abito, vengono a fotografarlo dalle Regioni vicine (un consiglio: quello a Nord, in ingresso verso Venezia, è molto meno sbiadito di quello a Sud, in direzione Treviso), all'epoca ci siamo fatti ridere dietro da mezza Italia ed è stato ripetutamente pubblicato un po' ovunque, da Quattroruote a Famiglia Cristiana alla Rivista della Bocciofila Laziale. Varcando i confini comunali sud, quindi entrando nella ridente terraferma veneziana, il divieto sparisce: lo si capisce dagli assembramenti nei parcheggi e dietro gli alberi, impossibile sbagliarsi. 
Concepito (ops, che verbo!) per togliere dalla famosa Via Terraglio la lunga fila di signorine, una per albero (nota geo-biologica: c'è un albero ogni venti metri), mi sono sempre chiesta perchè non avessero precisato che il divieto vale solo per le "discussioni stradali". Già mi immagino l'intimità dei talami dei miei concittadini: "Caro, non stasera, ho mal di testa... però se mi prometti che domani porti tu fuori il cane potrebbe passarmi" e zac! Il Vigile salta fuori dall'armadio e sono cinquecento Euro che se ne vanno. 
Per inciso, io non ho il cane.




Dopo il clic all'imbocco di questa bella, liscissima Piazza in un noto Comune toscano, ho chiesto lumi ad un passante, ignaro, che ne ha fermato un altro, e poi un altro, e un altro ancora. Arrivati a circa una dozzina, oltre a prenotare un tavolo in pizzeria già che c'eravamo conosciuti, abbiamo fatto ricorso a Google scaricando il Codice della Strada. Non che la Piazza pullulasse illegalmente di Tavole a Vela, comunque... (l'ho scritto solo perchè mi piaceva il congiuntivo).



Non so voi, ma io conosco almeno una dozzina di gatti che avrebbero qualcosa da ridire.
O da inorridire.



Questa è facile da intuire, quindi niente suggerimenti o battutine, ci dovete arrivare da soli. Mi piaceva anche il tentativo di rima.




Sono andata a trovare una mia amica e questo era affisso nella bacheca; ho cercato di tagliare la parte bassa, per rispetto al nome dell'Amministratore che l'aveva scritto e firmato, visto che lo conosco perchè ho in portafoglio due-tre Polizze di Condomìni amministrati dal suo Studio. 
Anzi, la prossima volta che lo sento mi devo ricordare di chiedergli (giacchè mi risulta, in questo mondo in continua evoluzione e movimento, che la sintassi italiana sia sempre la stessa da quando frequentavo le elementari) come fa lui a tenere al guinzaglio uno spazio comune condominiale. 
Lunghi anni di pratica.  

AGGIORNAMENTO del 03/09/2015:
La mia mamma ha visto questo post, e mi ha mandato una chicca via sms.
Pare che durante la Seconda Guerra Mondiale mio nonno Tano (sempre lui, proprio lui, quello nato a Palermo e bravo a disegnare) tra le tante destinazioni sia passato anche per Cuneo, dove c'era un capitello dedicato alla Beata Vergine recante questo cartiglio: Maria Assunta In Cielo A Spese Del Comune (lo ammetto, non tutto di seguito, ma su due righe). Ovviamente niente foto, ed è un peccato, ma era un'immagine troppo bella per non concretizzarla qui con voi.  
Vuoi mai che ci sia qualche amico da Cuneo o dintorni che mi sappia dire se il capitello comunale esiste ancora, o mi mandi una foto "di una volta" ...  

sabato 29 agosto 2015

Fotografie di vita

Di solito, io in Agosto cazzeggio. Tecnologicamente parlando.
Per riprendere la coda del mio ultimo post, mi comporto davvero come quei surfisti destinatari di tutta la mia più viscerale antipatia: nel mio tempo libero, che improvvisamente ad Agosto si impenna (gli piace vincere facile, comunque, visto che di norma nei restanti undici mesi rasenta lo zero... a quel punto anche due misere orette giornaliere rappresentano una folle impennata), saltello da un sito all'altro senza una meta come una capretta al pascolo. 
Siti di libri, siti di autori di libri, l'immancabile Ebay per vedere cosa combinano i collezionisti delusi di arte contemporanea, siti di viaggi, di località che vorrei visitare, siti di alberghi a quattordici stelle nelle predette località (man mano che invecchio, divento sempre più sensibile all'albergo di lusso; campeggi e ostelli mi facevano un po' schifo anche in gioventù, ma ora è diventato proprio un piacere carnale soggiornare, anche una notte sola, in un hotel come si deve). Siti di curiosità, di assicurazioni, e di scarpe, che per un essere umano di sesso femminile sono come la droga. Blog di gente che conosco e frequento, o che ho conosciuto tempo fa e non frequento più, i blog e i siti di chi mi legge. Siti di Gallerie d'Arte in genere. Video di cuccioli di cane. Di cuccioli di tigre. Di cuccioli di orso. Video di donne imbranate a parcheggiare (mi sento lievemente condannabile per poca solidarietà, ma mi piacciono proprio, e di materiale ce n'è fino alla prossima glaciazione).
A volte digito cose a caso, anche senza senso se capita, per vedere che fa Google, cosa mi presenta. Lo faccio ogni estate, per vedere com'è cambiata la rete da un anno all'altro, e cambia sempre.
Tre anni fa era stato proprio durante una di queste surfate che avevo conosciuto il Blog di poesia del carissimo Tra Cenere e Terra; avevo digitato "Rilke", ci sono cascata dentro ed era bellissimo. Mi sono iscritta subito, e lui da me, gentilmente ricambiando. Avere un blog aiuta il saltellamento, perchè siamo tutti legati, io e i miei lettori fissi (quelli ufficiali e quelli nascosti), e i lettori fissi dei miei lettori fissi, in un unico abbraccio che gira intorno ad un'emozione.
Questo Agosto ho fatto un'altra scoperta, e dal momento che questo è un post da cazzeggio in un mese da cazzeggio ve ne parlo. E ve ne parlo bene, come di tutte le persone che, in vari modi, mi colpiscono. Avevo digitato "non voglio più fare questo lavoro" (d'istinto e senza pensare), che detto così rivolto a Google è un obbrobrio, di quelli che nelle Statistiche dei Blog fanno quanto meno ridere; intanto manca un minimo di punteggiatura (cos'è: un'affermazione o la ricerca di una domanda?), e poi cosa vuoi che ti mostri un motore di ricerca, a parte - se sapesse ragionare - un generico: "e allora??". Cos'è che vuoi sapere, esattamente?? "Questo lavoro" quale?? 
Google non sa che questa frase (così, secca, senza punti particolari) è un tormentone tra me e mio marito a casa, tra me e le mie Ragazze in ufficio, da molti mesi ormai. E' un tormentone velato di tristezza. E' una decisione che ho preso, che ha preso il mio corpo per me prima di farmi scoppiare, che ha preso la mia mente, il mio cuore, il mio spirito. Credo fosse abbastanza evidente, trapelasse da molti dei miei ultimi post ad argomento assicurativo. Dispiace, in effetti, che io voglia smettere, perchè sono ancora convinta di essere proprio brava, nel mio lavoro. Infatti sto facendo le cose con tutta la calma del mondo, non ho bisogno di chiudere baracca e burattini dopodomani. Ma sono convinta che sia diventato un lavoro a termine, con tempi medio-lunghi, ma a termine. 
Da una parte ci sono stati questi ultimi anni (odio dire "di crisi", perchè è dare un alibi a decisioni globali, a mutazioni che con la crisi non c'entrano un tubo, ma per lo meno identificano un periodo definito nel tempo), che hanno visto sgretolarsi l'idea stessa di prevenzione, hanno visto sparire una certa cultura assicurativa che si era formata con fatica in cinquant'anni, dal boom economico dei Sixties in qua. Ora come ora alla gente non importa un accidente di assicurarsi. Minimo del minimo del minimo. Clienti miei, benestanti, proprietari di SVARIATE CASE, che non le assicurano più, così, senza motivo, giusto per risparmiare quei duemila Euro che servono per un pieno di gasolio alla barca. Padri di famiglia, con bambini piccoli e mogli che non lavorano, che quando li implori di sottoscrivere una Puro Rischio del costo di EURO 118 ANNUI ti rispondono "ci devo pensare, sono bei soldi, ne parliamo quando torno dalle ferie". Società che, con il cambio generazionale, vedono arrivare nelle stanze dei bottoni i rampolli tecnologici, che non hanno quel senso etico, quella dirittura morale che deve possedere chi governa un'Azienda che fattura milioni: i dipendenti sono persone, e diventano numeri, l'assicuratore è il consulente di fiducia (come l'avvocato e il commercialista), e finisce che uno vale l'altro. Sei "al loro servizio", e pretendono di trattarti da SERVO. Perchè al servizio, in realtà, nessuno dà più valore, e questo lo vedo in generale: nessuno vuol pagare per qualcosa DI PIU' che non sia tangibile. Il pane lo mangio, va bene. Le sigarette le fumo, vanno bene. I pantaloni fighi li esibisco, vanno bene. Pagare per una persona di fiducia non ha più un senso compiuto (neanche pagare le spese condominiali, comunque, neanche quelle si toccano con mano). 
Dall'altra parte ci sono queste nuove Compagnie, nate da fusioni di fusioni di fusioni, che non mi rappresentano più, non sono la mia faccia. E io, di sicuro, non sono la loro. Buttano via palate di denaro in campagne pubblicitarie, sponsorizzazioni, giochini e gadgets di ogni tipo, e poi perdono Clienti da migliaia e migliaia di Euro perchè i liquidatori non hanno una flessibilità da duecento Euro su un sinistro "col dubbio". Sono sorridenti, gentili, disponibili, danno del tu a tutti - atteggiamento molto americano che a me, personalmente, dà un po' fastidio, ma in genere piace - ma di assicurazioni (clausole, tecnica, a mio modesto parere neanche un minimo di marketing assicurativo di base) non capiscono granchè. 
Vedete bene che non ho parlato per nulla della concorrenza, che sia di Colleghi in carne ed ossa piuttosto che di telefoni, computer o altri supporti: non c'entrano. 
Il mio è un disagio che nasce dalla pancia. Sono un assicuratore palombaro, non ce la faccio ad adeguarmi alla mutazione che svilisce ogni forma di professionalità (e anche di EDUCAZIONE: quest'anno una persona che si straprofessava mia amica ha cambiato Compagnia senza dirmi niente, l'ho saputo dal Database dell'ANIA. Nessun messaggio, neanche una mail, un sms. Ma costa davvero così tanto? Vogliamo permettere ad un Decreto Legge di annullare ogni tipologia di rapporto umano, anche la semplice gentilezza?). 
Secondo me, a naso, nel corso dei prossimi dieci anni e non di più, assisteremo allo stravolgimento delle Agenzie di Assicurazione, che sostanzialmente spariranno (uh, sai quanta gente a spasso, poi!): ne rimarranno poche, e molto grosse, che gestiranno principalmente poli aziendali (piccole e medie aziende artigianali e commerciali, qualche azienda produttiva grossa che non si fida dei Broker, grandi professionisti con cui fare accordi di scambi "commerciali"). La massa dei privati farà tutto direttamente on-line, perchè il loro "tutto" sarà principalmente la RCA obbligatoria nuda e cruda (e non perchè on-line costi meno, ma perchè è indubbiamente, per molti, più comodo), vuoi perchè non hanno soldi da destinare ad altre coperture, vuoi perchè li hanno ma non hanno la minima intenzione di destinarli a questo. E' più figo fare altro.
Ma non voglio tediare ulteriormente il lettore agostano con i miei patemi professionali. Succederà, prima o poi. Se non sarà l'anno prossimo sarà quello dopo, o quello dopo ancora. Farò altro, che sia vendere quadri di paesaggi ai turisti nel centro storico, o supportare mio marito nel sogno di aprire un Circolo Biliardi tutto suo. O magari prendo un franchising e imparo a fare i gelati. Nel frattempo, ecco che esce il tormentone, come un bip, ogni volta che lo spirito ne ha bisogno e vuole essere sicuro che non cambi idea, magari solo per questioni economiche, che hanno sempre il loro appeal. 
Digitando la mia frase-tormentone sono caduta in un Sito di un ingegnere di Pavia, Ingegnere Elettrico per la precisione, nel quale ho ritrovato tante delle mie sensazioni. Dopo qualche breve piluccamento qua e là, visto che mi stava simpatico ho fatto diligentemente quello che il carissimo Roberto da Bisceglie ha fatto con me e Trecose: ho cominciato dall'inizio e l'ho accompagnato fino ad oggi. Magari è per il fatto che ha più o meno la mia età (un pochino meno in verità, ma POCO meno!), e quindi il background è più o meno lo stesso (siamo stati adolescenti negli anni Ottanta, siamo cresciuti nei Novanta eccetera), ma l'ho trovato immediatamente intelligente, ironico, acuto. Non è che ci abbia tanto in comune, sotto sotto, visto che lui essendo Ingegnere Elettrico espertissimo di IT parla una lingua per me pressochè incomprensibile. Ha cambiato una valanga di posti di lavoro, scalando sempre in meglio, come tipico di un bravo Ingegnere esperto di IT in un mondo che ha fatto dell'IT uno dei suoi fondamentali pilastri. Altro che una Laurea in Lettere ancorchè ottimamente conseguita, che ti apre la mente, ti insegna a pensare, ti prepara a qualunque contatto umano, ma vale molto-ma-molto-meno di un diploma da pasticcere per trovare un lavoro OGGI. Ha anche due bei bambini, altra cosa che io non ho. 
Cosa ha combinato questo benedetto ragazzo: niente di stratosferico, tutto di stratosferico. 
Ad un certo punto della sua vita, ha sentito che dodici ore di lavoro, il panino al posto del pranzo, le riunioni alle ore più assurde, otto aerei da prendere nel giro di una settimana, salutare la famiglia solo via Skype lo stavano facendo morire dentro. Ha mollato tutto e si è messo a fare il fotografo professionista. C'è da dire che la fotografia era una sua passione anche prima, intendo dire che sapeva fotografare a livello professionale per hobby, perchè non è che uno si improvvisa fotografo dal nulla, altrimenti mi do la zappa sui piedi da sola, a predicare la professionalità. Un conto è provare un certo piacere a tenere una macchina fotografica in mano, come la sottoscritta (che comunque mantiene un buon livello di empatia con i fotografi, soprattutto i ritrattisti, probabilmente perchè sanno "leggere" anche loro l'anima delle persone dentro agli occhi, come i pittori bravi), avere un minimo di quel che si dice "l'occhio" (sì, mi piace immaginare di fermare l'attimo, QUELL'attimo, in un rettangolo), sapere che se inquadri il soggetto nel centro della foto invece che in uno dei terzi laterali molto probabilmente la foto farà schifo, e un conto è fare il fotografo per lavoro. La mia ultima reflex andava ancora a pellicola, tanto per capirsi. Lui per hobby parlava una lingua digitale.
Ha però trasformato l'hobby in un lavoro, aprendosi la Partita IVA, e facendo un percorso in cui, con somma tenerezza, io ho letto il mio, tal quale. I primi tentativi di farsi pubblicità col banchetto e la musichetta nei Centri Commerciali (pagando, anzi, cercando di pagare anche la SIAE, che nemmeno la SIAE sa come fare...), con risultati zero. La passione, quella vera, che ti fa lavorare quindici ore al giorno invece delle dodici di prima. I guadagni miserrimi all'inizio, poi sempre meglio (beh, su questo la mia parabola è stata inversa...). L'approccio al Cliente, uguale uguale spiaccicato al mio, che ho in ufficio il frigobar, e le caramelle, e la macchina del caffè Dolce Gusto, non le schifezze con la chiavetta da grande distribuzione. Il lasciarsi coinvolgere dai sorrisi dei Clienti, dalle loro vite, dalle loro storie. I matrimoni, i ritratti, i corsi. Le iniziative commerciali, i passaparola. La ricerca di collaboratori a cui piaccia lavorare, possibilmente dotati di macchina fotografica (sembra assurdo, ma come lo capisco, cielo, se lo capisco!). L'essere obiettivamente felice del fatto che la fotografia non sia più appannaggio di pochissimi eletti, e che molti giovani, tra smartphone e compatte, usino dilettarsi in scatti al gatto di casa o alla morosa nel parco, così saranno in grado di capire e di gustare la prestazione di un professionista appassionato. La mia stessa pia illusione, in questo: bene, dicevo, che la materia assicurativa sia ovunque in rete, così la gente non si farà più fregare, avrà un minimo di informazione di base in più, e apprezzerà al meglio il mio lavoro di consulenza. Col cavolo. La gente, la massa, non vuole questo. Vuole una prestazione basica, e che costi poco. Una sveltina, insomma! E' come sostengo io, nel mio settore: ci trattano come donnine allegre, a quello serviamo. Donnine in Social, tra l'altro, perchè solo lì c'è il passaparola, qualunque altra forma di pubblicità non serve. In ufficio a volte capita che non riusciamo a rintracciare un Cliente per qualche comunicazione urgente (arretrati, sinistri, scadenze, qualunque cosa), non risponde alle mail, ha cambiato cellulare: lo contatti su Facebook e risponde in tre secondi. Io non sono su Facebook, non lo sopporto. Sarò costretta a cambiare idea, a uniformarmi a questo enorme contenitore? Davvero un ragazzino americano brufoloso ha tracciato il futuro della comunicazione dell'intera umanità?
Tornando al mio eroe, ha tenuto botta quattro anni, meravigliosi per chi se li fa scorrere sotto al mouse tutti d'un fiato. Fa, peraltro, fotografie bellissime, a mio personalissimo gusto. Odia le schifezze finte tipo Photoshop. COGLIE, o quanto meno ti fa sembrare che abbia colto, con un gran lavoro sotto, che per me che guardo è lo stesso, anzi, anche meglio, così apprezzi l'inventiva. Cose, tante, che piacerebbe fare anche a me. Ha un po' le sue manie, come abbiamo tutti: fare foto alle scarpe delle spose, per esempio. E riprendere, nei ritratti, spesso dall'alto. Averlo scoperto prima, avrei pagato volentieri quel niente che chiedeva per una serie di scatti personalizzati, in qualche bel posto, con tanto di trucco e parrucco. Bravissimo, anche se non gli piace lavorare in seppia, chissà perchè (io lo trovo affascinante, sa tanto da deserti lontani e fumo in qualche angolo dell'anima).
Dopo quattro anni, ha mollato; l'anno scorso ha fatto nuovamente una firma su un contratto con mansioni del tipo che serve una traduzione da parte di un appassionato di informatica, quindi non guardate me. Forse i ricordi della tangenziale di Milano paralizzata dalle code erano ormai un ricordo troppo sbiadito, o non gli si strizzava più lo stomaco al pensiero di strisciare il badge. L'ansia si autoelimina, col tempo. Chi lo sa. E' la sua vita, e lui la vive, la condivide, perchè il Sito l'ha tenuto, anche se lo aggiorna di rado (e gli dispiace pure, un po' come a me per Trecose, vorrei essere ancora tutta qui, e invece il "poco e spesso" non sembra appartenermi). Secondo me tra un po' scoppia di nuovo, anche se ammetto che due bocche da sfamare possono, all'occorrenza, rendere improvvisamente pragmatici. 
Io mi ci sono rivista tutta in un colpo, con le mie insofferenze, i miei sogni così e così (intendo, non così assurdi da non poter essere realizzati, ma non così semplici da potersi realizzare subito e in breve tempo), il mio sentire dentro che c'è ancora una strada lunga davanti, e non posso solo "vivacchiarla" aspettando qualcosa di indefinito. La consapevolezza che non è facendo sempre le stesse cose che facciamo cambiare le cose. Certo, torniamo al fatto che lui è un Ingegnere Elettrico in gamba, e in certi casi basta mettere il naso fuori della porta, adattandosi un po', trovi subito chi ti piglia. Nel mio caso, se mollo l'Agenzia, indietro non si torna; e figuriamoci se un domani torno a fare la dipendente per chi, adesso, è mio Collega, e magari anche deficiente. Sempre posto che non salti tutto il sistema, come dicevo prima. Però 'sta voglia di cambiamento è devastante, accidenti.
Insomma, se vi va, andate a salutare Massimo su www.ciccio.it; sì, lo so che il Sito ha un nome un po' che non diresti (tanto valeva che scegliesse Goldrake o roba simile), ma ne vale la pena, soprattutto se amate la fotografia fatta bene. Lui è simpatico, è perso per sua moglie e i suoi bambini, scrive che ogni tanto strappa la risata, ed è pure carino (questo lo dico solo perchè sono più vecchia, quel POCO che basta perchè non sembri un interesse personale). Ditegli che lo saluto, perchè a modo suo ha reso migliore il mio cazzeggio del Duemilaquindici.

domenica 16 agosto 2015

Se lo dice l'Esperto

Esperienza:
Conoscenza diretta, personalmente acquisita con l'osservazione,
l'uso o la pratica, di una determinata sfera della realtà
(def. Vocabolario Treccani)


In fondo, sono convinta sia del tutto normale. Come ci sono parole che mi piacciono, che amo, che cerco (per la loro sonorità, per come la voce scorre via quando le pronunci, per la forma che prendono le labbra, e ovviamente per il loro significato, per ciò che rappresentano in se stesse e nella mia personale esperienza di vita), ce ne sono altre che non sopporto, in modo viscerale. Roba da innervosirmi di brutto quando sento che qualcuno le sta pronunciando.
Ultimamente, una di queste ultime è "esperto". Già a vederla scritta, da me, ringhio un pochino. 
Parte tutto dalle mie fissazioni per la pubblicità, che sia su carta stampata, in radio o in video. Devo averne fatto accenno in più di un post dei primi, quando indugiavo nel raccontarmi, un po' alla volta: se non avessi fatto l'assicuratore credo mi sarei buttata nel mondo della pubblicità. Che poi sarebbe stato un mestiere assolutamente fattibile per una con la mente sveglia ed una laurea in Lettere agli albori degli anni Novanta, intendo, non si limitava ad essere il solito sogno stile "farò l'arredatrice di interni" - diciamo che io non sono mai stata tipo nè da astronauta nè da ballerina, chè sul primo soffro di vertigini e sul secondo non ci ho il fisico. Prima dell'Università confabulavo di giornalismo o affini, ad esempio. Più prosaicamente ho anch'io tentato (in modo del tutto furtivo, quasi in incognito) la strada dell'insegnamento, in coda dietro a centinaia di nomi con la stessa Laurea, fin quando la momentanea futura suocera, che lavorava appunto in un'Agenzia di Assicurazioni, non ebbe bisogno di me per riordinare qualche archivio. Il più classico degli "in attesa di..." che diventa la vita reale. Niente arredamento d'interni su settimanali patinati, dunque, anche se sospettavo che arrivarci sarebbe stato un po' complicato, ma niente anche al mondo della pubblicità, che continua a popolare e a pungolare la mia mente, sia per un interesse personale sia perchè, avendo io sposato un sociologo dilettante, grazie a lei il dialogo non langue. Anzi, ci sorprende sempre. Che siano pubblicità orribili o ben fatte, storie assurde o ben congegnate, con un testimonial che valga il suo ruolo oppure pagato per niente, è indubbio che dalla pubblicità si ricava un profondo spaccato mica da ridere della realtà quotidiana. Dei giovani, degli anziani. Di dove la gente mette i soldi. Di cosa cerca, di cosa detesta. E' pazzesco quanto bravi siano, certi pubblicitari, ad interpretare "la massa", addirittura, in alcuni casi, ad anticiparla, a muoverla, a condurla dove vogliono loro.
Torniamo alla mea con l'"esperto". L'Esperto è dappertutto, indipendentemente dalla categoria merceologica. Per quanto riguarda il mio settore, l'Esperto se ne sta tutto incellofanato nel portabollo, pronto all'uso in caso di incidente. L'avrete pur vista, no, la pubblicità di una nota (e tra l'altro ottima, intendiamoci, non denigro il suo Esperto per concorrenza!) Compagnia diretta (per i profani vuol dire che non ha Agenzie, cioè di quelle contattabili solo via telefono o via computer), la quale tra i suoi servizi sottolinea come compreso nel prezzo ci sia l'Esperto Incidenti da svegliare dal coma della sua bustina ventiquattr'ore su ventiquattro. Tu hai cannato uno Stop alle due di notte, sei entrato nella portiera di quel povero disgraziato che ha avuto la sfiga di passare di là a quell'ora, e dal buio si materializza l'Esperto. Davvero, puoi telefonare, anche a quell'ora, per sentirti dire che hai torto marcio. Oppure, se sei tu il povero disgraziato della portiera sfondata, sentirti dire che hai ragione, ma muoviti a compilare la Constatazione (o in extremis ad annotarti la targa del colpevole), perchè altrimenti se questo se ne va non si combina un tubo. Grande Esperto. In fondo la Constatazione Amichevole è un foglio con delle caselle da riempire, basta rispondere, può farlo anche un bambino delle elementari; il problema viene dopo, cioè sull'interpretazione di quei dati, ma nella pubblicità si vede solo la prima parte della faccenda, con l'Esperto alla luce fioca dei lampioni che sorride indicando i punti d'urto e dicendo "tu hai ragione, tu no, mi dispiace, hai torto". Godrei nel sapere cosa ti rispondono alle due di notte se chi ti ha sfondato la portiera è un'auto con targa straniera che magari non risulta nemmeno assicurata. 
Ma mica solo di assicurazioni si occupa l'onnisciente Esperto, figuriamoci. Ci sono valanghe di Esperti di roba di Banca, in pubblicità di tutte le sponde, e sorridono tutti come dei matti. C'è l'Esperto per lavarsi i denti (secondo me va in stocca con l'Esperto di Banca, visto il suo sorriso smagliante). C'è una marea di Esperti di automobili, o meglio di motori in genere. Sono sicura che, da qualche parte, c'è un Esperto anche per scegliere il melone al supermercato, così la smettiamo di portarci a casa robaccia che quando la apri è dura, ancora verde, e non sa di niente. Esperti di animali, esperti di profumi per l'ambiente. 
Quello che mi punge, e mi punge, e mi punge, è PERCHE'. Posto che io ho una venerazione per i pubblicitari, visto che l'imbroccano sempre, do per scontato che questa cosa dell'Esperto sia effettivamente quello che "la massa" vuole, e non posso che chiedermi perchè. Perchè c'è bisogno del cartellino "esperto", innanzitutto.
Anche io, personalmente, ricorro a PERSONE CHE ABBIANO ESPERIENZA (detto così suona un po' diverso) in un determinato settore se devo fare una scelta, è ovvio. Ma la citata esperienza la giudico a occhio, in base alla MIA, di esperienza, sul genere umano: se uno è realmente o no esperto di qualcosa lo vedo da come ne parla, da come approfondisce l'argomento, dalla varietà di esempi con i quali lo correda, magari - mica sempre, non voglio sembrare prevenuta - se ha o meno le tempie grigie (salvo su argomenti di tecnologia informatica, lì degli sbarbini mi fido ciecamente). Insomma, non ho bisogno di un cartellino! Non me ne frega niente della qualifica, perchè l'esperienza è, in fondo, esattamente l'opposto... o no? 
Si può essere "esperti per definizione"? 
Comprare l'esperienza? 
Faccio un mero esempio: quand'ero ragazza ho assistito al nascere e al proliferare dei primi Centri Commerciali, quelli enormi, luminosi, dove andare a passeggiare col moroso quando non si sapeva dove altro andare per passare il tempo. Per quanto anonimi e devastanti per il piccolo commercio locale, hanno dato lavoro a un sacco di gente. Una volta, all'interno di uno store che poteva essere l'antenato degli attuali Castorama, Leroy Merlin, Brico Center e così via (il moroso dell'epoca era un patito del bricolage, motivo per cui io ora lo detesto con tutta me stessa - il bricolage, non lui), ho fermato un giovanotto per chiedergli informazioni sulle tende alla veneziana. Era una carognata, in verità, perchè io non avevo assolutamente idea di comprare tende, nè veneziane nè di altra provenienza, e quindi alla fin fine sapevo che gli avrei fatto solo perdere tempo, ma ero estasiata dalla corsia delle tende, di tantissime forme, materiali e colori, quando fino ad allora (sfido chiunque tra i miei coetanei a dimostrare il contrario) le lamelle delle veneziane di tutte le case del mondo erano solo verdi pisello, e larghe quel tot che bastava per stare tra la persiana e l'infisso. Il cuore dell'arredatrice di interni batteva all'impazzata. Il baldo giovanotto (cioè l'Esperto di Tende) ha iniziato un discorsetto mandato platealmente a memoria, e quando l'ho interrotto con una domanda chiusa (facile, basta rispondere o sì o no) l'ha ripreso esattamente dal punto in cui si era fermato (tra l'altro senza il verbo, che stava nel tronco di frase pre-domanda, quindi senza un po' di memoria da parte mia rischiavo comunque di non capire niente). L'allegro siparietto si era poi ripetuto più di una volta (ho già ammesso che era una carognata, tanto valeva farla completa). Questo perchè il giovanotto non era per niente un Esperto, ma semplicemente un Addetto al reparto tende. Mica c'è di che crocifiggerlo, è solo che le parole hanno un loro peso. E vanno rispettate. Il fatto di prendere un ragazzino appena uscito dalle Scuole Superiori, volonteroso quanto basta, inculcargli a memoria un pistolotto sulle nuove tende, non lo rendeva automaticamente esperto. 
Mi si può obiettare che era moooolto tempo fa, sono passati tanti anni (tanti, sì, veleggiamo quasi verso i trenta), adesso è tutto diverso, c'è più concorrenza, c'è più attenzione. Col cavolo. Ditelo a mia sorella, che qualche mese fa è andata da Mediaworld perchè le serviva una macchina fotografica con un teleobiettivo degno di questo nome, e si è trovata ad interloquire con una bella ragazza (addetta e/o esperta di macchine fotografiche, visto che stava al reparto) che alla sua richiesta della Tal Apparecchiatura con il Tal Tele le ha detto, testualmente: "E perchè invece non si compra questa, che è pure in offerta, e ha un bel grandangolo?". Mia sorella ha imparato negli anni ad incenerire con lo sguardo, generalmente lo fa un attimo dopo aver puntualizzato che, in fotografia, il grandangolo è esattamente il contrario del teleobiettivo.
Non massacriamo i poveri Addetti, tutti abbiamo cominciato e abbiamo avuto bisogno di tempo per arricchire il nostro bagaglio di conoscenze, professionali ed extra. Torniamo invece agli Esperti, al perchè "la massa" li cerca, li vuole, si affida a loro come a novelli Angeli Custodi versione 2.0.
Ragionando, io mi sono data due possibili spiegazioni. La prima è che, appunto, quando si PARLA, si interagisce con le persone, tendenzialmente si finisce per capire se uno è davvero esperto di quello di cui dice di essere esperto, oppure se è un fanfarone. Posso ben immaginare di non essere l'unica ad avere il dono di sgamarli ad occhio.
Il problema è che, oggigiorno, la percentuale di acquisti non solo di beni ma anche di servizi su Internet sta raggiungendo numeri impressionanti, e acquistare su Internet è sempre un terno al lotto. Con i beni è solo questione di attendere il Corriere con il pacchettino, lo apri e vedi subito se hai beccato la fregatura o se hai fatto un affare. Con i servizi (assicurativi, bancari, ma anche oltre... parliamo di Arte?? Eh??) è in effetti un po' più problematico, e allora ecco il bisogno dell'etichetta. Hai un Esperto, ci mancherebbe, non hai buttato i tuoi soldi nel cesso, dai! E' evidente che se/quando chiamerai (nel nostro caso, ad esempio, non è sempre detto che serva, anzi, in teoria l'ideale sarebbe che non succedesse mai) non avrai modo di vedere se ti stai davvero confrontando con uno che fa quel mestiere da vent'anni e sa di cosa parla, piuttosto che un ragazzino che ha appena finito le Superiori, piuttosto che uno che è il quinto call-center che gira, e su quello di prima vendeva le pentole. L'importante è crederci, o meglio ancora poter dire agli amici (rigorosamente su Facebook o Twitter, MAI di persona mi raccomando) "il mio assistente bancario è un vero Esperto", così l'amico di Facebook manda giù fiele pensando "Ehi che invidia, invece il mio è un completo deficiente". Forse lo scopo è quello: fare invidia. Mostrarsi fighi, perchè si sa scegliere. Il meglio di tutto a pochi soldi, come avviene di norma su Marte, no? Sulla Terra invece come si fa lo sa solo lui, il Furbo.
Io, a naso, direi che considerando gli enormi problemi che attanagliano il mondo del lavoro in Italia, considerando tutto quello che si sente in giro, considerando il fiume n. 1 di ragazzi che si arrangiano a fare qualunque lavoro pur di fare qualcosa (e hanno la mia massima stima e il mio totale rispetto), considerando il fiume n. 2 di ragazzi che non fanno assolutamente niente perchè tanto il-lavoro-non-si-trova e vengono mantenuti da genitori ottusi (una volta a me una mamma ha detto che suo figlio cercava un lavoro "mentre attendeva di sfondare come bassista"!!!), ripeto direi che gli Esperti, quelli veri, devono essere merce rarissima. Di recente, un signore che lavora presso un'Azienda che io assicuro, mi ha chiesto un consiglio assicurativo nonostante, in effetti, lui non sia mio Cliente; però, ha detto, "so che tu sei Superesperta". Meglio dell'omino sotto cellophane, quindi. Ho sorriso, all'idea di questa nuova definizione. Ma del resto, se l'Esperto alla lunga si rivelasse un idiota totale, dovremmo pur catalogare una nuova razza geneticamente modificata per identificare i Veri Esperti che, essendo tali, sappiano.   
La seconda spiegazione invece è meno elucubrata, e, forse, proprio per questo finisce che la azzecco. Ho già parlato di una cosa che ho sentito in un corso di formazione sull'apprendimento, cioè di come tendenzialmente la popolazione venga suddivisa tra i PALOMBARI (quelli che si informano a fondo di ogni argomento, e quindi tendenzialmente conoscono poche cose, visto il tempo che ci vuole appunto per "andare a fondo": poche ma molto bene) e i SURFISTI. Questi ultimi, nei quali sta la quasi totalità degli under 40, sono quelli che passano nei discorsi da un argomento all'altro, nelle ricerche da un Sito all'altro, e così via. Infarinatura generale di un po' di tutto, conoscenza vera di niente di niente. Mi aveva depresso parecchio ascoltare il docente, che avrà avuto più o meno la mia età e che io immaginavo, come me, una sorta di Re dei Palombari, mentre raccontava la sua punta di invidia per la giovane figlia surfista, "una che non perde tempo nella vita". Capirai, poi finisce che si fida dell'Esperto di Banca su Internet che le garantisce la sicurezza del Trading-On-Line (anzi, in quattro lezioni fa diventare direttamente lei la Esperta di Trading!), così mangia fuori al papà invidioso la casa, le mutande e anche lo scafandro per le immersioni. Che tristezza, io no, per carità, mi tengo stretto e con orgoglio il mio gagliardetto da Palombaro. 
Comunque, il punto potrebbe essere che tutti questi surfisti abbiano in realtà un bisogno estremo di qualcosa di certo a cui aggrapparsi. Bisogno di punti di riferimento, bisogno di certezze, magari poche, ma forti, bisogno di qualcuno che SAPPIA. Bisogno di risposte. Bisogno di credere che l'Italia non sarà svenduta a pezzi all'estero, bisogno di sapere che non ci saranno (di qui a breve) decine e decine di Botteghe Artigiane costrette a chiudere perchè nessuno raccoglie il testimone di mestieri antichi, da tramandare con sofferenza, orgoglio e impegno. Un bisogno inconscio, ma insopprimibile, di qualcosa che riempia il vuoto della non-conoscenza. E la pubblicità un po' ci marcia, e glielo soddisfa in modo deviante, e deviato. Serve direttamente l'Esperto su un piatto d'argento: basta crederci. Io voto contro.

domenica 28 giugno 2015

Tre punti in solitudine

Punto primo: io sono un tipo abbastanza curioso, detto in senso positivo come si fa con i bambini quando cominciano a fare diecimila domande (se va bene, quando va male iniziano direttamente a smontare gli oggetti) perchè è arrivata quella smania di conoscere, di imparare, di sapere il perchè di tutto ciò che li circonda. 
Difficilmente è una smania che abbandona. 
Certo, arriva il punto in cui hai capito come si forma il ghiaccio o come nasce la pianta dal fagiolo (o, se sei compassionevole, hai capito che gli adulti a cui rivolgi le domande sono sul punto di collassare) e passi ad altro, con l'aiuto di tante enciclopedie, e abbondanza di libri di storia, di scienze, o anche solo di pura avventura (si imparavano un sacco di cose - dalla geografia all'usare i coltelli - dai libri di avventura), questo ovviamente nell'era pre-Internet in cui il bambino o l'adolescente curioso formavano il loro sapere dai libri. Adesso presumo che il web dia una grande mano, con tutti i suoi limiti (adesso è tutto troppo, come dire, "pronto all'uso"). Basta usarlo con intelligenza, quella che si presume abbia l'adolescente curioso.
Io amo curiosare nei Siti, nei Forum e nei Blog di argomenti che mi interessano, più ne trovo più sono contenta, soprattutto se ci leggo opinioni diverse dalle mie, giusto per mettermi un po' in discussione; conseguentemente la parte del leone, tra viaggi, libri, arredamento d'interni e un quid di sport, la fa l'arte (con tante scuse a tutte cose utilissime come il giardinaggio e la cucina, ad esempio, che lascio ad altri appassionati: io amo andare al ristorante e farmi regalare mazzi di fiori, passo direttamente alla fase finale senza avvertire alcun richiamo da parte di quella intermedia). 
Casco e ricasco spesso all'interno del Forum di Finanza On Line, FOL per gli amici, un Sito che definire sterminato è riduttivo: spazia con dovizia di informazioni e cognizione di causa all'interno di qualunque argomento di Finanza & Mercati. In effetti più o meno equiparabile al giardinaggio, per la sottoscritta. Ma poi ha il suo Forum, nel quale, insieme a discussioni su Mercati Europei, Forex, Immobiliare, Modelli di trading operativo (aaarghhh!) c'è quel piccantissimo "Investimenti in arte e collezionismo" che ha sempre discussioni intelligenti nelle quali piluccare, e questo indipendentemente dal fatto che, all'epoca del mio post su Cagnola, mi abbiano linkato dando a Trecose, piccolo Blog di provincia, una visibilità pazzesca, cosa per cui li ringrazierò ancora e ancora per molti anni a venire. 
Molte delle loro discussioni vertono, di riffa o di raffa, sulle televendite in generale e sugli Orler in particolare: sono tutti fan scatenati, al limite della venerazione, di Carletto Vanoni, di ciò che fa, che dice, e che presenta (e quindi, indirettamente, di Marco Orler, che è la sponda aziendale pro-Carlo). Spesso critici nei confronti di Dario Olivi, al quale riconoscono onestamente l'empatia persuasiva ma del quale detestano gli amori "artistici"; molte volte cattivelli verso Giovanni Faccenda, gli riservano epiteti poco piacevoli, senza considerare che invece, nell'ambito dell'azienda-Orler, Giovanni ha fatto il suo dovere come un bravo scolaretto e con un'umiltà mista a tenacia che nemmeno immaginavo possedesse: ha portato qualche nuovo nome che la famiglia aveva in mente di corteggiare da tempo, ha mosso un po' le acque della rivalità interna tra venditori (basilare per un'azienda commerciale, che nella calma piatta va a picco), ha riportato sulla bocca dei telespettatori alcuni nomi di scuderia caduti nel dimenticatoio, e ha venduto come un dannato cose quanto meno discutibili, facendo eufemisticamente molto spazio per roba nuova sugli scaffali. Forse a breve tornerà a fare quello per cui è nato e cresciuto (cioè lo studioso, per se stesso e per chi lo ascolta, del resto anch'io non ho mai fatto mistero di quanto preferissi il Faccenda "di prima"), ma di certo non ha rubato lo stipendio.
Poi, oltre ai "miei" Orler, i forumisti del FOL sono a dir poco scatenati su qualunque televenditore dell'etere italiano, da Willy Montini a Franco Boni, passando per ogni via intermedia percorribile. Tutto viene passato al dettaglio: frasi fatte, posture, tic ricorrenti e chi più ne ha più ne metta, culminando ovviamente con osservazioni a base di soda caustica sulle indicazioni di mercato e le opere proposte dalle varie televendite. In più di un'occasione, quando stava ancora da Cagnola, avevano fatto partire l'embolo a Roberto Porcelli, che li aveva ripresi pubblicamente, in diretta. Dei bambini dispettosi, insomma, alcuni sicuramente preparati (in senso storico ed artistico), altri solo appassionati, e comunque a me tutto sommato simpatici rispetto a coloro che li attaccano senza pietà (li attaccano perchè, per lo meno la maggior parte di loro, parla senza aver mai "rischiato del suo", senza aver scucito soldini per opere d'arte, lo si intuisce dai discorsi, e questo atteggiamento in effetti può non piacere, sa da troppa teoria e poca pratica). 
Però, cari signori, il loro Forum recita "Investimenti in arte e collezionismo", non si intitola "Parliamo di bei quadri che ci piacciano e ci emozionino"! E' un sito di Finanza, accidenti! C'è anche il sottotitolo della discussione che dice "Forum che raccoglie discussioni su forme di investimento alternative come collezionismo, opere d'arte", parlano anche di diamanti e orologi, ed è evidente che con queste premesse il monumento a Carlo Vanoni va fatto. Perchè Carlo Vanoni, spalleggiato da Marco Orler, è effettivamente l'unico televenditore in circolazione che si concentra sull'aspetto spudoratamente dell'investimento di mercato delle opere, corredato da dati tecnici, affinchè chi compra possa avere non dico la certezza (quella non c'è mai) ma almeno la speranza di non buttare via i propri soldi. Parla di linguaggi, di mercati esteri, di tendenze, esattamente come i forumisti del FOL, che spesso fanno nomi per me incomprensibili, tutti di gente che probabilmente non ha mai preso in mano un pennello in vita sua, ma che può muovere milioni di Euro semplicemente apponendo una firma su un cubo di plastica o sventrando animali morti.

Punto secondo: giusto un piccolo intermezzo prima di giungere al punto terzo, perchè c'è investimento e investimento, belli miei. Una cosa è un quadro che raddoppia il suo valore in qualche anno (e magari, eh, magari!), altra cosa è il colpaccio che ti permette di non lavorare più e di fare la bella vita per il resto dei tuoi giorni, cioè quello che, sotto sotto, se non è ipocrita spera ogni persona che va a caccia dell'"investimento". Se parliamo di persone normali, ovvio, non certo del Monsieur Pinault di turno o del Super Emiro che possiede ettari di deserto sopra a mari di petrolio, di quelli che basta soffiare via un po' di sabbia per veder affiorare la robaccia nerastra e appiccicosa. 
In questi ultimi periodi ci si riempie tanto la bocca (lo fanno tutti, lo facciamo tutti, e non ammetto repliche) dei vari exploit targati Boetti, Bonalumi, o anche Schifano, lui già qualche annetto fa. E parlo solo di Italia, perchè confesso la mia estrema e totale ignoranza su tutto ciò che sta fuori. Per esempio, guardiamo i "boettini" (i cinque per cinque lettere, o giù di lì), gli arazzetti che negli anni Novanta venivano venduti più o meno a cinque milioni di lire e adesso sui ventimila Euro. Sicuramente per chi li ha presi è stato un investimento da metterci la firma, parliamo di otto volte tanto, difficile trovare uno strumento finanziario simile. Ma, alla fin fine, ti ritrovi con una cosina da ventimila Euro (ti ci compri una Golf, e neanche tanto accessoriata). Per la mappona meravigliosa tre metri per due che in asta adesso fa il botto grosso dovevi comunque scucire bei soldi anche negli anni Novanta, ma dai! Comunque l'equivalente di un miniappartamento, magari non in centro, ma per uno che vive di stipendio e sogna il botto sono tanti, tantissimi soldi. 
Idem per gli Schifano quelli veri, storici, pensati e studiati, non le schifezze fatte a catena di montaggio in una notte, che si trovano in giro ora. 
Idem per i Bonalumi importanti, per anno e dimensione: Dario Olivi, in una trasmissione di poche settimane fa, commentava il caso di un risultato d'asta molto importante (vado a memoria, non crocifiggetemi se sbaglio, ma mi pare cifre sui duecentomila), per un pezzo che era passato da Orler agli albori dell'Euro a quarantamila. Ma quarantamila Euro nel 2002-2003 erano una paccata di soldi per un comune mortale, parliamo dai quattro ai cinque anni di stipendio. Al di là del rischio di comprare qualcosa che poteva un domani valere ma anche no, bisognava averli!
Per non parlare della variabile del mercato pazzo (o dei pazzi che lo manovrano, o dei pazzi come noi che ci credono), che - forse a causa di un sovraccarico di informazioni, di un cortocircuito di tecnologie, di una sovraesposizione di media più o meno virtuali - non storicizza più. Il nome consolidato, che ha una storia, una storia indubbia, una storia che non mente (potrei farne a decine), improvvisamente crolla, mentre sale a dismisura, ad esempio, "la terza scelta di un movimento artistico", per citare con deferenza Sua Maestà Mazzoleni quando ha rifiutato Turi Simeti. Non che io abbia nulla contro Turi Simeti, anzi, mi intrigano gli estroflessori, tutti quanti, sono lavori che mi piacciono anche esteticamente e non solo dal punto di vista della ricerca, ma sinceramente ero convinta che dopo Castellani e Bonalumi in quanto a mercato ci saremmo fermati. Ora arriva pure il quarto, allora di questo punto mi metto pure io a estroflettere, arriverò ottantasettesima ma un piatto di pasta lo porto a casa, mi evito la Caritas. 
Oppure tutta questa mania cinetica dilagante. A me sta bene che, nel ventunesimo secolo (ma già nel ventesimo), ci siano tanti nuovi linguaggi su cui puntare, ci siano espressioni artistiche che hanno rinnegato la pittura da considerare. Ma almeno, guardiamo a chi ha INVENTATO qualcosa, non a chi la ripete... Anche io mi arrabbio quando sento l'Eterno Ignorante (ci sarà sempre l'Eterno Ignorante) criticare Lucio Fontana e dire "potevo farlo anche io": il fatto è che l'ha fatto lui, però, non tu. E il mondo è cambiato, parliamo di circa sessant'anni fa. Un genio. Non bello da vedere in senso stretto (una tela monocolore con dei buchi?? Ehi!), ma un GENIO. Basta al concetto di arte=bello, parliamo d'altro, parliamo d'OLTRE. Un genio. Ma che senso avrebbe fare qualcosa di simile, ancora, ADESSO??
E poi, quello stesso mercato che, spesso a tavolino, porta a fare Dama sulla scacchiera chi vuole lui (la Dama, quella che può andare sia avanti che indietro, occhio!), quante pedine sacrifica per strada?

Punto terzo: cancellate cortesemente i punti Uno e Due. A parte i ragazzi del FOL, che mi stanno simpatici, e chi vive di Mercato per lavoro, e se ne ha davvero le competenze è giusto e sacrosanto che cerchi di consigliare al meglio i suoi ricchi clienti che vogliono veder crescere i loro ricchi capitali, anche facendo comprare sconosciuti artisti dell'Idaho o delle Isole Vanuatu come investimento alternativo alla Borsa. 
Vi prego, rassicuratemi: ma c'è ancora qualcuno in Italia, la culla dell'arte tradizionale, il paese del bello assoluto (di Caravaggio, di Michelangelo, di Raffaello, di Tiziano, ma anche di Modigliani o di Boldini, giusto per fare un balzo in avanti di qualche secolo), che compra quadri solo per il piacere di averli in casa, senza sperare necessariamente di farci i milioni? Che vuole avere un PEZZO DI PITTURA (altrimenti tanto vale prendersi un bel poster), fatto da uno bravo, perchè lo fa star bene e basta? Uno che preferisca destinare un importo diciamo equivalente a quanto spenderebbe per fare due settimane di vacanza in pieno Ferragosto, per poter sorridere, respirare e sognare per tutte le altre cinquanta settimane?
Fermo il discorso del Mercato Pazzo di prima, io sono convinta che praticamente tutto ciò che ho comprato, negli ultimi sei anni, in arte, non mi cambierà la vita. Non ho nulla che possa fare il colpaccio, diciamo che sono abbastanza sicura che alcuni pezzi terranno il loro valore, perchè parliamo di artisti veri, artisti di come io, in modo assolutamente personale e passibile di critica, intendo l'essere ARTISTA per il tempo in cui viviamo: uno che abbia inventato qualcosa, per primo, e abbia superato lo scoglio di diventare "globale". 
Gianfranco Meggiato per esempio, meraviglioso (non mi ripeto, basta leggere qui http://trecose.blogspot.it/2014/08/meggiato-istinto-e-ragione.html). Ma ho una sfera da ventisette, mica una sberla da due metri. 
Anche Rabarama, a suo modo, per quanto in Italia tanti giochino al massacro con lei (invidia perchè è donna e pure gnocca?); secondo me ha intrapreso la strada giusta e si sa promuovere alla grande, con le partecipazioni nei luoghi che "contano", le campagne in difesa dell'oceano e dei delfini, piuttosto che la lotta all'omofobia, che tanta presa hanno nei cuori dei grandi filantropi americani (noti collezionisti). E poi per prima ha dipinto il bronzo, con un'armonia unica di forme e colori, e una ricerca sull'identità scritta sulla pelle che nessuno aveva mai affrontato. Ieri sera era presente da Orler all'evento in onore di Cesare Berlingeri, era seduta proprio dietro di me, e le ho mostrato le foto delle sue tre bambine che sono diventate mie, da anni. Le riconosce ancora, le chiama per nome! 
A proposito, anche in Cesare Berlingeri credo moltissimo, un altro grande, di immenso talento e immensa cultura (http://trecose.blogspot.it/2012/12/serata-di-stelle.html). Ma ciò che ho di suo non sarà mai il pezzo museale che mi eviterà di lavorare fino alla lontanissima e magra pensione decisa dai nostri legislatori. Neanche Salvatore Emblema, che però - lo ammetto - oggi mi ha già dato un'enorme soddisfazione e si è preso la giornata, perchè per la prima volta è apparso, un unico pezzo solitario, nella diretta di Dario Olivi, l'ultima prima delle ferie, ed è stato preso subito, a una cifra che non faceva spavento, ma nemmeno ridere. Emblema da Orler: è caduto un muro, adesso sono davvero curiosissima...   
E gli altri? Che dire di Armodio, in assoluto la mano divina nè più nè meno di come Messi nel suo ne è il piede, cesello puro, perfezione suprema, ma troppo di nicchia, troppo settoriale (soprattutto finchè continuerà ad evitare le aste come la peste, e a preferire le Mostre, meravigliose Mostre dove gli ammiratori vanno per dire ooooh, ma non per comprare). A mio parere il botto non lo farà mai, e magari è giusto così, perchè sarebbe un uniformarsi alla massa di chi ci prova, lui che massa non è. E allora? Perdersi in una sua tavoletta è come abbeverarsi alla fonte della giovinezza. 
Che dire di Celiberti, della sua storia dolorosa e profonda, che dire di Licata, di Xavier Bueno? Basta, per una volta, parlare di denaro! 
Io nella stanza da bagno, quella grande, dove mi faccio la doccia quando ho voglia di un po' di spazio in più (perchè anche lì ci sono quadri, a casa mia, il bello non lo puoi limitare), ho una marina di Marcello Scuffi, che è un caro amico e anche uno dei pittori tecnicamente più completi che l'Italia abbia tra i viventi. Ha raggiunto con costanza, passione e umiltà negli anni quel suo coefficiente quattro (mi fa orrore solo dirlo) che regge anche nelle aste di Ebay, ma di certo i ragazzi del FOL ci ridono sopra. Giustamente, dal loro punto di vista, credo; nemmeno io lo consiglierei se uno mi deve smobilitare delle azioni. A fianco a quella marina c'è un quadro di Nino Tirinnanzi, con una luce di meriggio spaventosa, che profuma da solo. Un altro che di certo non diventerà mai il Warhol de noantri, nonostante gli sforzi. Però io, quando esco dalla doccia, prima ancora di prendere l'asciugamano, per una frazione di secondo posso decidere se appoggiare i piedi nudi sulla sabbia della Versilia piuttosto che sull'erba della campagna del Chianti, appena tagliata magari, che ancora sprigiona quell'odore particolare, e lo faccio davvero, ad occhi chiusi. Mi ci perdo dentro, ad occhi chiusi, senza asciugamano. 
E NON HA PREZZO.

domenica 31 maggio 2015

Oggi parla.../20

... San Francesco d'Assisi:

"Chi lavora con le sue mani è un operaio. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani, la sua testa e il suo cuore è un artista"


A dirla tutta, io non sono così sicura sicura che questa frase possa davvero essere attribuita a San Francesco, come fa il Grande Web con una certa sicumera. A naso non me lo vedo, per quanto Santo tostissimo e poliedrico, affrontare questo tipo di argomenti, e, anche restando in tema di studi più che di "naso" (per quanto affinato da anni e anni e anni di catechismi e parrocchie), non penso che ai tempi suoi fosse già concepibile la differenza tra artigiano e artista (lo stesso termine "artista" credo sia molto più tardo). Insomma, la lingua italiana era ancora in germe, stava sbocciando dal volgare proprio lì lì, se non ricordo male. Credo sia più probabile che affibbiarne la paternità a lui le dia un lustro del tutto particolare (certo che, se fosse davvero sua, ci sarebbe un motivo in più per ammirarlo); e comunque sotto sotto non mi importa chi l'ha detta realmente, facciamo che vorrei averla detta io perchè è esattamente in sintonia con quello che penso io.
Mi andrebbe anche di fare un giochetto un filo polemico, perchè tra tutti i sedicenti "artisti" che conosco (di persona o sulla carta) in effetti alcuni sono ARTISTI, altri sono artigiani (più o meno bravi, a questo punto), altri operai, per quanto di tutto valore rispetto ad altri ancora che non sono neanche quello, perchè non se le sporcano nemmeno, le mani. Non saprei, poi, dove andare a parare con certi "provocatori" che, in effetti, la testa la usano (e bene anche, ci muovono intere masse!), ma la cosa si ferma lì. 
Tuttavia, mi sa che sarebbe un giochetto pericoloso...


domenica 24 maggio 2015

Carpe diem (privilegi quotidiani)

L'altra mattina, sul presto, commentavo al telefono con una persona che condivide un po' d'anima con me giorno per giorno, il mio post "Io e Van Gogh" (http://trecose.blogspot.it/2012/01/io-e-van-gogh.html), scritto una vita fa, e vissuto due. In realtà lo spunto della discussione era venuto fuori dalla Metamediale di Antonio Nunziante, che questa persona non conosceva; io accennavo all'episodio in cui ero stata "ospite" dell'organizzazione di Nunziante, giusto per spiegare la mia esperienza diretta con loro, e da lì alla rilettura di quel vecchio post il passo è stato breve. 
Mi capita spesso di ritornare sui miei post più datati, giusto per darmi una spolveratina personale al percorso emotivo che ha visto Trecose nascere e svilupparsi; devo dire che alcuni mi piacciono ancora parecchio (un minimo di autocompiacimento è fondamentale, altrimenti smetterei di scrivere), altri decisamente meno, ma comunque rappresentano una parte di me, il filo conduttore di una crescita importante, e non mi sognerei mai e poi mai di andare a modificarli, correggerli, o peggio ancora farli sparire. 
Rileggendo "Io e Van Gogh" ho sorriso di me, direi nello stesso identico modo con cui sorrido guardando le mie foto da bambina, o i primi disegni, o i pensierini delle elementari, cioè cosa che mi capita abbastanza spesso perchè grazie alla pazienza maniacale di mia mamma (unita alla sua caparbietà senza pari che ho avuto la fortuna di ereditare direttamente per via genetica, ed alla fissazione per le tradizioni di famiglia che abbiamo un po' tutti noi imbevuti del ramo materno) sono in possesso di tutti i miei quaderni delle scuole elementari dalla prima alla quinta, di buona parte dei temi delle scuole medie, e di una quantità innumerevole di disegni di ogni tipo, dall'asilo in poi. Per non parlare degli album di fotografie di trentacinque anni di vita della mia famiglia, dal matrimonio dei miei in poi, che occupano un intero scaffale di uno dei miei profondissimi armadi guardaroba (ci starebbero un sacco di scarpe e di borse!), e che ho voluto portare via con me quando me ne sono andata di casa, facendo sorbire anche a loro ben cinque traslochi. Arrivano fino ai matrimoni dei miei fratelli, quegli album, e poi basta, perchè a quel punto il fiume della nostra famiglia si è diviso in quattro piccoli ruscelletti per lo più digitali, alimentati da nuove vite e nuove esperienze; all'arrivo del digitale io ho cominciato ad avvertire una certa insofferenza, quasi come se quel tipo di testimonianza non fosse degno di essere raccolto e conservato, e mi sono rivolta all'indietro con tutta me stessa, alla ricerca di un passato ancor più passato. Ricordo di aver anche raccontato, in un altro post sulle mie tradizioni familiari, quanto facessi la tira allo scatolone delle foto degli avi che mia zia ultraottantenne aveva in casa, non me ne importava un tubo di nient'altro di "ereditabile". Invece la cara zietta, che ci seppellirà tutti, sta invecchiando a braccetto con Herr Alzheimer, e nonostante sia guardata a vista da badanti di varia provenienza pian pianino sta saccheggiando il mio patrimonio genetico: ormai lo scatolone è sparito, e mia mamma casualmente rinviene qua e là, in cassetti sparsi, in frigorifero, mischiati al terriccio delle piante, ritagli di vecchie foto, pezzettini, collages e strappi come esperimenti alla Frankenstein: il volto con l'elegante cappellone di una bisnonna incollato sul corpo di un bisnonno, bambini di fine Ottocento incatenati per manina a genitori non loro, e via così. Il mio sangue che se ne va a rivoli, mi sento un po' come chi ha assistito al rogo dei libri nella Bebelplatz del '33. 
Comunque, giusto per tornare a bomba e ai miei sorrisi, rileggermi in quel post mi ha fatto tenerezza. E non parlo di come scrivevo (post tutto sommato molto brevi, perchè il mio percorso era ancora all'inizio e sviscerarmi non era per niente facile: sapevo, sentivo di avere dentro un mare di emozioni e di aggettivi, di palpiti e di avverbi, ma trovare la via per farli uscire sembrava, all'epoca, un'impresa); parlo proprio del contenuto. Se chiudo gli occhi e ripenso a quella serata ricordo perfettamente ogni passo, ogni gesto, e ciò mi dà conferma di quanto fosse stata PROFONDA, in effetti, l'emozione di cui parlo; però la sento lontana lontana, e, contemporaneamente, mi vedo così ingenua e così limpida (a dirla tutta anche di Nunziante, posso dire ora con una punta di malizia, parlo troppo ingenuamente).
Si vede nettamente che i miei contatti con il mondo dell'arte, fino ad allora, erano stati principalmente i Musei e i libri di storia (in effetti frequentavo pochissimo anche le Fiere). Non era ancora iniziato quell'incredibile viaggio che, nei mesi e negli anni seguenti, mi ha poi portato a conoscere di persona, nel bene e nel male, galleristi, critici e artisti. Nel bene, sicuramente, perchè è stato proprio grazie agli Orler e all'incontro, nei loro studi, con Giovanni Faccenda, che Trecose è uscito allo scoperto, che sono stata pubblicata, che ho potuto crescere e conoscere di persona, nel tempo e in diversi luoghi, artisti come Scuffi, Armodio, Cargiolli, Stefanoni, Licata, Meggiato, Possenti, Cionini, Celiberti, Berlingeri, Rabarama, Cinzia Pellin, Luciano Pasquini, Massimiliano Cacchiarelli Principi (e non nomino chi mi è stato solamente presentato con stretta-di-mano-e-via: parlo di persone vere, che ho incontrato più volte, che ho ascoltato, a cui ho fatto domande, che ho abbracciato!). Con alcuni il rapporto è andato oltre la semplice conoscenza ed è diventato stima ed amicizia, ma anche solo il fatto di poter comprendere più a fondo, di poter ascoltare qualcuno a cui la vita ha concesso un tale DONO (la capacità di CREARE qualcosa, la volontà di raccontartene la nascita e l'evoluzione, la condivisione di visione, impegno, pensiero) non è cosa da tutti. E nel male (e non mi riferisco di certo agli "antipatici", che pure ovviamente ci sono, nel mucchio di galleristi, critici ed artisti, come in tutto ciò che si compone di umanità), nel male perchè, a volte, alla fine si tende a dare tutto un po' troppo per scontato.
Scrivo di domenica sera, di ritorno da Firenze per uno degli usuali (e non dovrebbe mai diventare tale, proprio per non perdere di fascino!) Tè da Franco Ristori. Il terzo dedicato a Nino Tirinnanzi. E sento dentro questa cosa tanto prepotentemente, che la devo buttar giù, a costo di andare a letto tardi e poi domani cominciare la settimana con le occhiaie. 
La sento addosso, stasera, la fortuna di poter frequentare certe persone così SPECIALI, e mi rendo conto che, probabilmente, dovrei ringraziare più spesso chiunque sia il "ringraziabile" (in cielo o in terra) per aver permesso tutto ciò. Perchè non è per niente "normale", non è per niente "usuale" essere di casa in quella Bottega, anche se per me è così, da tempo. Non è la NORMA, per la gente di tutti i giorni, spostare con nonchalance un De Chirico da un banco ad uno scaffale. Dare una pulitina al vetro di un Antonio Bueno lasciandolo disteso, perchè è così grande che in piedi pesa. Compilare il modulo dell'assicurazione da chiodo a chiodo per un Soffici da piangerci sopra mentre parte per una Mostra museale, giusto perchè Ristori ha il polso in gesso e non può farlo lui. Tenere in mano capolavori del Novecento come se fosse la cosa più naturale dell'universo, tipo, che ne so, allacciarsi le scarpe o lavarsi i denti. Andare a mangiare un boccone di corsa e trovarsi spalla a spalla con Giuliano Vangi, tanto per dirne una pazzesca di oggi a pranzo, che se ne accorge (LUI!) e viene a stringere la mano a Franco Ristori. 
Tirinnanzi è profondamente "sentito" a Firenze, è stato molto amato. C'è in moltissime case, e ancora lo cercano, lo coccolano, lo ammirano (cosa che con gran mio stupore - io vengo da fuori, e vedo tutto con l'occhio di "fuori" - non avviene per nulla, ad esempio, con Vinicio Berti, che ha goduto della stessa "riscoperta" grazie al lavoro certosino di Giovanni Faccenda e alla potenza televisiva di Orler TV, ma che a Firenze fa fare a molti, ancora, la boccuccia storta). Mi colpisce da morire, più di tante altre cose che riguardano Tirinnanzi, quanto sia amato appunto dalla gente comune. Io me ne sto lì intere ore, un po' perchè non mi va di stare in albergo, un po' perchè mi piace da matti, e queste persone entrano, si guardano intorno, chiedono timidamente informazioni anche a me, perchè evidentemente al posto del cuore tengo appiccicato il cartellino della Bottega. Giovani, meno giovani, adulti, anziani, normali. Tre signore, amiche. Un pensionato con il figlio. Una coppia di anziani. Due signori soli soletti alla chetichella. Quattro amici un filo spocchiosi. Un tipo che avrà avuto più o meno la mia età, che aveva accompagnato la moglie e il gatto con una zampetta rotta dal veterinario, e doveva aspettare che uscisse. Gente di tutti i giorni, insomma, gente che magari deve fare i conti con il fine mese, il più delle volte; il pensionato mi ha quasi commosso, perchè si vedeva lontano chilometri che avrebbe voluto prendersene uno, magari piccolino (gli sorrideva, mi ha anche chiesto un parere tra due, uno con le nuvole primaverili, e uno con un'atmosfera di ghiaccio invernale che sapeva di freddo ma aveva una luce unica sullo sfondo, lattiginosa, chissà dove l'aveva vista Tirinnanzi una luce così), ma deve prima tornare a casa e valutare quanto può esporsi, perchè poi ci sono le bollette da pagare e le spese da fare. In compenso con il figlio ho parlato di Licata. E poi l'uomo del gatto, che non ama i quadri con i personaggi colorati e preferisce le campagne con i casolari, e quindi ha esattamente i miei gusti per quanto riguarda i soggetti di Tirinnanzi (infatti gli ho fatto subito guardare il mio, che sta a pagina 205 del Catalogo Generale, per vedere cosa diceva), con il quale ho chiacchierato a lungo di quanto bello sia poter comprare qualcosa che ti piace e ti emoziona, senza dover pensare al fatto che possa valere, domani, oggi, o mai, dal punto di vista economico. Un altro tipo di valore, incommensurabile.
Tutta gente che ha condiviso con me qualcosa, ha accarezzato i dipinti ora con gli occhi, ora con le dita, timidamente, ed è tornata alla sua vita "normale" con in gola un sospiro, mentre io me ne stavo "normalmente" con in mano il listinello dei prezzi, in mezzo ad un girotondo di Tirinnanzi che regge il confronto con quelli esposti a Palazzo Pitti. 
Lo so che questo post sta venendo fuori un po' senza senso, di quelli senza capo nè coda, e probabilmente la prossima volta che mi verrà voglia di scrivere unitamente al sonno ed alla stanchezza del viaggio sarà il caso di rimandare l'esperienza. Ma volevo darmi un compito, subito subito, un obbligo morale, quanto meno per i prossimi giorni, finchè qualcuno dei miei assicurati non mi farà saltare i nervi (cosa che non accade raramente, di questi tempi): sentirmi una privilegiata. Non lamentarmi. Ripensare a ciò che provava la "me" di qualche anno fa solo perchè era stata invitata in un Museo senza l'allarme. Essere conscia di aver avuto, negli ultimi quattro anni, una vita molto, molto fortunata. Che valeva e vale la pena di vivere al mille per cento.