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domenica 1 marzo 2015

Limbo

A volte, scrivere è un po' come partorire. E' una gravidanza. Che poi, detto da una che figli non ne ha avuti, suona strano. Cosa ne sa, questa, di nausee, di mal di testa, cosa ne sa della pancia che cresce, dell'attesa che cala, di quel dolore, del sudore, di... 
Quindi rettifico, con un piccolo punto a ricciolo: scrivere è un po' come partorire?
So che dentro di me c'è qualcosa. Me ne accorgo dalle risposte che lascio a chi mi scrive, a chi mi commenta. Lo sento, ogni volta che apro il computer e il ticchettio della tastiera è fluido. Non fa paura, proprio per niente. So che c'è ancora un mare di emozioni da vivere. Lo sento dall'esterno.
Però non esce fuori, come se non fosse pronto.
Mi sento io come imprigionata in una pancia, a testa in giù. Attorno, tutto buio.
Riesco solo a pensare al lavoro, non faccio altro, da mesi, quasi quattro, ormai. Di giorno e di notte. Penso a questi pazzi che hanno letteralmente giocato con le nostre vite, con il nostro futuro, con la nostra sopravvivenza. Che ci hanno spinto a testa in giù nell'imbuto senza darci la minima indicazione, sapendo perfettamente che sarebbe diventato un mors-tua-vita-mea. Che assistono senza muovere un muscolo al lento sgretolarsi di piccole realtà imprenditoriali con lunghe storie alle spalle, anni e anni di impegno, di generazioni intere. Penso ai miei colleghi che ho visto di recente in riunione, alcuni dimagriti di un numero sinistro di chili, altri ingrassati, dello stesso numero. Visi pallidi, visi calvi. Penso a certi sguardi di chi non dorme da troppe notti, a chi mi ha confidato di aver già avuto bisogno di un paio di ricoveri. A chi ha cominciato a non pagare uno stipendio a fine mese, a turno, finchè regge. A chi non capisce più quale mestiere fa. A chi non ha più il coraggio di guardare in faccia i propri Clienti perchè non sa cosa dire.
A me, anche e soprattutto a me, penso, che tutto sommato continuo a cavarmela meglio di tanti, ma imprigionata in una pancia, come una pentola che bolle. 
Monotematica. Non piango, non rido. 
Lavoro e basta, e non mi importa di niente altro, e poichè anche del lavoro, quando sei saturo a questi livelli, non t'importa, in fondo non mi importa di niente di niente. E mi stupisco anche, del fatto che nessuno dei miei Clienti, finora, si sia accorto di quanto siano finti, tutti questi sorrisi.   
IO MI RIVOGLIO.
Quasi quattro mesi. Arriviamo a nove. C'è qualcosa che vuole uscire. Qualcosa di colorato, qualcosa che profumerà di nuovo. E di pane.  
Ho uno spaventoso bisogno di qualcuno che mi aiuti a tirarla fuori.