tag:blogger.com,1999:blog-69805394902628509972024-03-24T16:25:27.758+01:00TRE cose che soASSICURAZIONI, ARTE e UOMINI
(il mio lavoro, la mia passione, e l'inevitabile).MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.comBlogger238125tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-36975761266399768292016-12-31T22:29:00.000+01:002017-01-13T15:58:56.511+01:00Una finestra aperta e subito richiusa<div style="text-align: justify;">
E' la storia che si ripete, non ci si può fare niente. Capita, con i suoi fatti e i suoi antefatti, e noi ci adattiamo sorridendo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Ci voleva ancora una volta Marcello Scuffi, con la sua pittura sognante e la sua spontaneità al limite della gaffe, per farmi aprire e richiudere immediatamente una finestrella su Trecose, giusto in Zona Cesarini di questo 2016 che ha segnato cambiamenti così importanti nella mia vita. E, come già avvenuto oltre quattro anni fa (che nella blogosfera sono un lasso di tempo mostruosamente lungo, pari a intere generazioni), c'è un Antefatto. </div>
<div style="text-align: justify;">
A Febbraio di quest'anno il Tè da Ristori è stato dedicato a Marcello, prima e unica volta senza la presenza di Giovanni Faccenda, che non aveva potuto/voluto intervenire (gli artisti e i critici d'arte, è evidente a crescere verso i più bravi, sono tutti nel profondo un po' primedonne: meno si indaga sulle loro cose e meglio è). Marcello aveva proposto di sostituirlo con una studiosa che stava approntando una sua futura Mostra, in terra veneta tra l'altro, ma le occhiatacce di Franco Ristori non avevano lasciato spazio a dubbi: la presentazione doveva farla la sottoscritta, cascasse il mondo. Poco importava sia che la sottoscritta avesse lo stomaco ingarbugliato a farsi riprendere dai microfoni e dalle telecamere di Toscana TV, sia che Marcello (come già la prima volta nel 2012, il famoso sguardo scettico di fronte all'Emerita Sconosciuta che avrebbe dovuto scrivere di lui) tutto sommato temesse un buco nell'acqua. E a ragione, devo dire: essere bravini e fluidi nello scrivere mica equivale automaticamente ad esserlo nel parlare. Mai e poi mai ai livelli di Giovanni, che pur con tutti i suoi difetti è e resta un vero e proprio principe dell'eloquio critico, non conosce intoppi, fila liscio come un treno anche quando improvvisa, ed è sempre piacevolissimo da ascoltare. Ma come già nelle mie precedenti occasioni verbali (due!) su Claudio Cionini, sembra che sia filato più o meno tutto liscio anche alla sottoscritta, al punto che la sera stessa Marcello mi ha chiesto un contributo per il Catalogo della futura Mostra veneta. Eccome, a fine mese era già pronto.</div>
<div style="text-align: justify;">
Poi, si sa, son cose che accadono: la mia incapacità tecnologica in invio, unita ad altrettanta imbranataggine in ricezione da parte di Scuffi, ha fatto sì che glielo consegnassi solo in forma cartacea; nel frattempo la Mostra slittava di qualche mese, e insieme ai più cari auguri di buona fine e buon principio proprio oggi mi veniva in mente di chiedere a Marcello se dopo tutto non fosse meglio averlo anche sotto forma di file, il contributo. Giusto per sentirmi rispondere, con la sua usuale genuinità condita con acca, nell'ordine:</div>
<div style="text-align: justify;">
a) che il Catalogo era ormai alle stampe, </div>
<div style="text-align: justify;">
b) che per questioni tipografiche (e per Ubi Maior, aggiungo io con effettiva deferenza, sentendo i nomi degli altri presenti in forma scritta) il mio testo non sarebbe stato pubblicato per intero bensì estrapolato in vari punti, e </div>
<div style="text-align: justify;">
c) che comunque il mio nome sarebbe apparso insieme a quello dei Maior di cui al punto b). </div>
<div style="text-align: justify;">
Marcello, adorabile testone. Hai anche fissato, per sbaglio, la data dell'inaugurazione in contemporanea a quella di una Mostra di Gianfranco Meggiato, costringendo gli appassionati di entrambi ad un'impossibile salomonica scelta. Testone, con quel talento cristallino che ti ritrovi per le mani, quando prendi su i pennelli. </div>
<div style="text-align: justify;">
Ma accidenti.</div>
<div style="text-align: justify;">
Che dolore.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ecco la finestrella che arriva.</div>
<div style="text-align: justify;">
Non scrivendo io per professione o a pagamento, il fatto che appaia o meno il mio nome passa in secondo piano. Traducendo: frega poco. In questo lungo, interminabile anno di passaggio dalla prima alla seconda parte della mia vita, ho continuato a scribacchiare cose più o meno riuscite, sempre per il semplice gusto di farlo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Un intervento per Paolo Orler, ad esempio, per il Catalogo di una Mostra di soli tappeti antichi, e anche lì da qualche riga di contributo chiesto a vari collezionisti è diventato un mezzo paginone di emozioni dopo aver passeggiato in solitaria e senza scarpe in una Galleria Orler che trasudava storia annodata e meraviglie da ogni angolo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Oppure un paio di articoli (tre, per la precisione) apparsi nelle pagine di cultura de La Nazione in occasione di altrettanti Tè da Ristori, anche quelli senza firma (credo in effetti che non sia nemmeno possibile, visto che non sono giornalista), ma chi se ne importa, lo so io e lo sa chi mi vuole bene. Articoli costruiti come interviste, per dare un taglio commerciale all'Evento, dal momento che non è sempre carino che Franco tiri fuori un tot di quattrini per farsi pubblicità e poi si ritrovi a leggere bellissimi sbrodolamenti sul pittore di turno, senza manco un accenno alla Bottega foraggiante, al fatto che chi viene a vedere le opere sarebbe bene che, a volte, le comprasse anche. Con un occhio alle cornici, la parte speciale dell'acquisto.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma il ricordo più bello di questo Duemilasedici da scrittrice senza firma è legato indubbiamente al Maestro Antonio Possenti, se ci penso mi viene il nodo in gola, e mi sa tanto che mi ci verrà ogni volta. Una delle sue ultime apparizioni pubbliche prima di concludere questo viaggio ed iniziarne uno nuovo, ben più importante e più lungo; il Tè di Maggio. Dal momento che Franco Ristori non ha un'automobile ma un'astronave, per il Maestro già molto sofferente e provato risultava estremamente difficoltoso salire e scendere, e quindi avevo messo a disposizione la mia macchina, assai più terrena, per il tragitto Firenze-Lucca-Firenze. Solo perchè la possiedo, ovviamente, non certo perchè io la guidi, anzi, in tre anni non l'ho mai guidata una volta salvo una prova in stile neopatentata in un parcheggio deserto, giusto per ribadire che una roba così bassa e lunga dotata di quell'assurdo arnese denominato "cambio automatico" per me resterà sempre un mistero. Panda a pedali, forever.</div>
<div style="text-align: justify;">
Io quindi me ne stavo seduta dietro, buona buona, ad ascoltare gli aneddoti e i ricordi del Maestro, e già solo per questo mi sentivo una privilegiata. Poi lui ha cominciato a raccontare come era nata l'idea della Mostra sull'Orlando Furioso che si sarebbe inaugurata di lì a breve nella Fortezza di Mont'Alfonso, una Mostra tanto desiderata a cui lui avrebbe presenziato fino alla fine dalle sommità dei Cieli, ma quel giorno non lo sapeva ancora. Spiegava che era un progetto nato solo dalla sua passione per il disegno, ne spiegava il titolo, raccontava come l' "<em>altrove</em>" fosse per lui, a volte, un'esigenza impellente (al pari del mio "<em>oltre</em>"), e io - totalmente folle e senza un pelo di umiltà, in quell'occasione - avevo detto che lo capivo, perchè per me scrivere era uguale, quasi una necessità fisica, foss'anche solo per me stessa. Invece di ignorarmi come si fa con un essere palesemente inferiore (perchè tale ero, di fronte a lui, alla sua intelligenza, alla sua cultura, alla sua arguzia, al suo talento, alla sua storia, alla sua infinita passione per ogni cosa), si era interessato e mi aveva chiesto di che scrivessi. E, scoprendo che avevo scritto di lui due anni prima (<a href="http://trecose.blogspot.it/2014/04/bambini-e-maestri.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2014/04/bambini-e-maestri.html</a> ), aveva voluto ascoltare. Detto/fatto, dallo smartphone. E' proprio vero che scrivo tanto, perchè poi a leggerlo bene, con le pause giuste, ci si mette un sacco di tempo, con la macchina ormai in vista della Bottega che girava e rigirava intorno alle viuzze circostanti pur di farmi finire con calma, e gli occhi del Maestro Possenti che sorridevano guizzanti, la sua testa piegata di lato in lievi cenni di approvazione, e infine la richiesta: "Potrei averne, per favore, una copia?" che mi ha fatto tremare le gambe. Taci che ero seduta. Una stampante, il mio regno per una stampante subito, quella sera!</div>
<div style="text-align: justify;">
Ecco. Non sapeva come mi chiamassi, non l'ha più saputo (ora sì, lo sa, ora sa tutto). Però sapeva leggerti dentro come nessuno, e l'abbiamo riportato a Lucca, dopo la serata in suo onore, con tre fogli fitti fitti dentro una tasca, scritti da una Sconosciuta non estrapolata.</div>
<div style="text-align: justify;">
Finestrella che si apre e subito si richiude. Solo per me. Non per coloro che amavano Trecose, e che mi mancano tanto, nè per alimentare le penne velenose che non l'amavano, e che alla fine mi hanno fatto gustare il puro piacere di ignorarle e lasciarle nel limbo dei Commenti-non-pubblicati (guizzi di sadismo, verso chi cerca notorietà aggredendo).</div>
<div style="text-align: justify;">
Giusto perchè mi piace l'idea di poterlo rileggere per intero se ne ho voglia. </div>
<div style="text-align: justify;">
Giusto perchè, quando scrivo delle mie emozioni, è come se da un taglietto sul cuore uscisse fuori un fiume. Non puoi estrapolare un fiume, al limite posso farlo io che ne conosco ogni singola onda.</div>
<div style="text-align: justify;">
Giusto perchè quel titolo, "Alchimie di un'identità ricorrente", ci ho messo un po' a trovarlo, ed è un bel titolo pure per un post, non solo per un saggio da Catalogo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Giusto perchè all'inizio c'è una citazione di Kahlil Gibran, e davanti alla poesia di Gibran, cari signori, tanto di cappello.<br />
<br />
<br />
<span style="font-family: "calibri";">Aggiornamento in data astrale
13/01/2017. Tutto in onore di PNV, uno dei miei ultimi lettori in ordine temporale
(primo per sagacia), che mi ha chiesto di lasciare semichiusa la finestra. Del
resto, oggi è un venerdì 13, quindi - se tanto mi dà tanto - un pochino la sua
festa.</span><br />
<span style="font-family: "calibri";">Non so se il tutto viene da
Marcello in persona (improbabile), o dalla curatrice della Mostra (meno
improbabile, ma più impossibile, visti gli strafalcioni), o dal grafico. Con
tutto il rispetto per la categoria di professionisti, preferirei che si
occupassero della forma e non dei contenuti (virgole e corsivi compresi).</span><br />
<span style="font-family: "calibri";">Fatto sta che il mio saggio non è
solo stato tagliato e sminuzzato come la pasta per il brodino, ma anche
modificato, e questo non si fa. Non fa solo male all'anima, è decisamente
deplorevole, soprattutto se ci si lascia la firma sotto. Andiamo da errorini di
trascrizione anche banali, ma che cambiano senso alle frasi (esempio
"edifici sabbiosi lambiti da darsene blu, intensi come pensieri tristi",
quando invece erano le darsene ad essere "intense", ovvio, non gli edifici),
ad altri piccoli particolari da categoria <em>l'italiano-questo- sconosciuto,</em> a
cose più importanti tipo l'omissione di un semplice "non" che
stravolge tutto. Perchè io vedo le barche di Marcello, così irreali ed
appiattite, quasi fluttuanti sopra un mare di marmo, e quindi dire
"barche che riuscivano a penetrare quelle (...) acque" non è esattamente
come dire "non riuscivano"...</span><br />
<span style="font-family: "calibri";">La dolce anima che mi aveva
mandato via Whatsapp gli scatti in anteprima di quelle pagine sentiva i miei
ululati a duecento-e-passa chilometri di distanza, e cercava di blandirmi dicendo che -
in fondo - nessuno legge davvero gli scritti dei cataloghi. A parte il fatto che, se
fosse realmente così, perchè cavolo ce li domandate, e pagandoli a volte fior
di quattrini ai critici veri, mi chiedo, allora metteteci direttamente solo le
figure; a parte questo, dicevo, li leggono di sicuro le persone a cui tengo, i
miei amici collezionisti con i quali mi ritrovo in giro per l'Italia in
occasione di Mostre di Scuffi & Co. E leggere il mio nome sotto una
tiritera da scuola elementare come questa: "Fabbriche vuote barche treni e
grandi tendoni di circhi immaginari eterno realismo scuffiano", così,
senza punteggiatura nè altro, quando l'originale era "Fabbriche vuote e
barche addormentate: eterno realismo scuffiano", mi fa agitare. Che poi
nemmeno lo penso, che i circhi di Marcello siano immaginari: sono reali,
realissimi! Al limite è solo la loro apertura - così scura, misteriosa ed
evocativamente triangolare - che ti trasporta all'interno, in un mondo
immaginario. E mai e poi mai userei un aggettivo così banale e piatto come
"grandi", quando la nostra meravigliosa lingua ci permette l'uso di
incredibili sinonimi quali <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>immensi,
imponenti e così via. </span><br />
<span style="font-family: "calibri";">Insomma, mi sono sentita
incompresa. Mio marito mi ha detto di non esagerare, ma se la passione è tanta
io mi ci alimento (come sa bene il carissimo Tra Cenere e Terra, che ha commentato
un mio post a riguardo invitandomi a non cambiare <a href="http://trecose.blogspot.it/2012/10/six-weeks-ago-psicologia-sotto-un.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2012/10/six-weeks-ago-psicologia-sotto-un.html</a> ). </span><br />
<span style="font-family: "calibri";">Quindi farò così: porterò
uno dei miei acquerelli di Scuffi (uno di quelli che ho da lui ricevuto in
regalo, dal cuore, non quelli che ho pagato a Orler) da un corniciaio. Ma mica da Re Ristori, lo porto dall'ultimo degli
scalzacani. E gli dirò di togliere tutta la parte alta, perchè dove lo devo
appendere non ci sta. E poi se per cortesia mi ci aggiunge qualche alberello,
che leghi bene mi raccomando con le barchette davanti, proprio sopra la firma.</span><br />
<span style="font-family: "calibri";">Poi tornerò a casa con lo stomaco
capovolto. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><br />
<br /></div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-56112786453743678022016-12-31T21:25:00.000+01:002016-12-31T22:30:42.695+01:00Alchimie di un'identità ricorrente<div align="RIGHT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;"><i>"L'aspetto
delle cose varia secondo le emozioni;</i></span></div>
<div align="RIGHT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;"><i>e
così noi vediamo magia e bellezza in loro,</i></span></div>
<div align="RIGHT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;"><i>ma,
in realtà, magia e bellezza sono in noi"</i></span></div>
<div align="RIGHT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div align="RIGHT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;"><i>Kahlil
Gibran</i></span></div>
<div align="RIGHT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Ci
sono cose, nella vita, che non stancano mai. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Cibi.
Visi. Percorsi. Gesti quotidiani. Li hai fatti migliaia di volte, e
già sai che per milioni di volte li rifarai, provando ogni volta
quel sottile piacere, quel senso di appagamento così conosciuto,
eppure ogni volta così nuovo e fresco.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">La
sigaretta dopo il caffè. Il profumo del caffè. La nutella sul pane.
</span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Il
mare, d'inverno. Le lenzuola, d'estate. Le montagne, sempre. Alcune
di queste sono universali; poi, ciascuno conosce molto bene le
proprie (quella della nutella sul pane, ad esempio). Per me, crema di
nocciole a parte, tutto ciò ha da anni un nome e un cognome:
Marcello Scuffi, pittore.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Di
Marcello, di lui come persona, di parlare di lui, di scrivere di lui,
dei suoi dipinti, di toccarli, sfiorarli, ammirarli, io non mi
stancherò mai. L'ho già fatto e so già che continuerò a farlo, a
volte ripetendo alcuni concetti, altre volte trovandone di nuovi, ma
sempre e comunque felice e appagata. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Come
collezionista sono un vero disastro, non ragiono, non rifletto,
agisco sempre e solo d'istinto: quell'istinto che, quando mi trovo in
mezzo ai quadri di Marcello, fa sì che me ne torni a casa con un
nuovo chiodo da occupare. Ogni volta, alla faccia della
diversificazione. O alla faccia della regola basilare non scritta:
"Meglio un quadro da diecimila che dieci da mille". Però
la colpa è sua, mica mia. Migliora negli anni, come il vino buono,
toscanaccio. Ogni volta che ritengo abbia definitivamente raggiunto
il suo culmine, lui sorprende e lo supera.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Sorprende
per quella sorta di pervicace coraggio con cui da oltre quarant'anni
si dedica esclusivamente alla <i>pittura</i>, e pittura di
figurazione per di più. Non si lascia inquadrare, non si lascia
travolgere, non ha mai imboccato nè mai imboccherà l'autostrada a
cento corsie, tutte a pedaggio, degli innumerevoli "ismi"
degli anni Settanta, Ottanta, Novanta e oltre. Niente pop, niente op,
niente body, o land. Ma nemmeno concettuale, o gestuale, o informale:
pervicace e fedele a un modello, a una tradizione. Mentre c'è chi
accende neon o mortifica animali di ogni specie, lui ritrae case
solitarie, ama immobili orizzonti, vive di mare. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Sorprende
e supera tecnicamente, con quelle tele grezze, testimonianze di
viaggi lontani, di sudore, di sole e lavoro, che ricopre di una nuova
vita, fatta di colle e di gessi, una vita così bianca e così liscia
da non crederci. Una vita da toccare, con i polpastrelli,
delicatamente; io l'ho fatto, ho toccato ad occhi chiusi le sue tele
ancora vuote, ferme in piedi, in gruppo, negli angoli più reconditi
del suo studio, allineate in attesa della materia. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Va
fatto, con certi pittori, con quelli bravi quanto meno, per i quali
non vi è distinzione tra l'importanza del <i>cosa </i>dipingono e
quella del <i>come </i>dipingono, perchè il supporto è parte
fondamentale del soggetto. Quante gradazioni può avere il liscio?
Quanto calore può sprigionare il puro bianco? Una sinestesia di
emozioni, che culmina allorquando il colore, abbondante, pieno, viene
poi spalmato via, strisciato, graffiato, quasi trascinato, un
tutt'uno con la superficie sottostante, e prende forma, una forma
ferma: barche immote, piani orizzontali a rincorrersi uno sull'altro
fino al mare, oppure costruzioni geometriche, rigorosamente
squadrate, cupe, con improvvise e profonde aperture scure. Teli
pesanti, che celano mondi misteriosi, o reti impalpabili e
trasparenti, leggere come ragnatele madide di rugiada. Vecchi vagoni,
abbandonati nei depositi, con le ruote crocifisse ad un binario
zoppo: le estremità bloccate per l'eternità, e il cuore libero di
far volare con la fantasia chi, ancora, di nascosto li accarezza e
sussurrando sogna. Pali ritti al cielo come lance aguzze, come una
mano aperta, a incrociare una scia luminosa, una pennellata sola,
decisa. Ed è tutto così fermo nel tempo, così immobile da
trattenere il fiato, per non increspare la linea perfetta dell'acqua:
che sia essa darsena chiusa o mare infinito, riflette
ininterrottamente come specchio, purissima nella sua solidità. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Ovunque,
si scoprono minuscoli anfratti come capocchie di spillo, crettature
volute, piccolissimi graffi alla ricerca di un sapore antico. Una
realtà parallela, una consistenza solo sua, di pittore che vuole
sentirsi appellare come realista e mai come metafisico, lo ribadisce
spesso, corrucciato: "Dipingo solo ciò che vedo". </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Si
nasconde, Scuffi, dalla pittura metafisica, che pure lo insegue,
lentamente agli esordi, e poi via via prepotentemente, per farlo
andare <i>oltre</i>, per trasportare - lui e chi lo guarda - in
un'altra dimensione, e ci riesce solamente a metà. Lui le resiste.
Non metafisico, allora: niente enigmi mitologici, niente statue e
manichini, una prospettiva regolare e vera. Ma nemmeno realismo,
nemmeno! C'è troppa magia per definirlo tale, troppo incanto, troppa
eternità in quei soggetti reali ed evocativi di un mondo umile.
Fabbriche vuote e barche addormentate: eterno realismo scuffiano. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Sorprende
noi, e supera se stesso: c'è sempre più anima negli oli di Marcello
Scuffi, un'anima che risale in superficie come una bolla carsica da
tempi lontani, che richiama nomi importanti: Masaccio, Piero della
Francesca, Carrà, Sironi, de Chirico. Richiama e risale, certamente,
perchè c'è un'innegabile origine comune, un'unica visione di certi
luoghi, di tempi, di forme, luci ed ombre; tuttavia Marcello Scuffi
ha saputo farla propria, quella bolla d'anima, ed arricchirla. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Il
matrimonio si è consumato da tempo, direi: Scuffi ormai non si rifà
più ai grandi del passato. Scuffi ormai <i>è. </i>Piero in Scuffi,
Carrà in Scuffi, Sironi in Scuffi: come una coppia rodata, che ha
trascorso insieme più di quanto poteva immaginare e sperare nel
lontano momento in cui è stato pronunciato il "sì". </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">"Così
che non sono più due, ma una carne sola" (Mt. 19,6): una cosa
sola, un'anima sola, quaranta estati e quaranta inverni, con il
tramonto dal terrazzo, con la Gorgona che appare e scompare alla
vista, con la sabbia e il vento, ed è bellissimo così. Il
matrimonio tra Lia e Marcello è molto affollato, davvero! Forse dire
"Lia Mantellassi in Scuffi" è più naturale che dire
"Piero della Francesca in Scuffi"? Sono scelte per la vita,
fatte e rispettate! Lia ha lo sguardo paziente di chi sa, e capisce;
comprende che, sposando Marcello, ha accettato questa inusuale
convivenza d'anime ispiratrici.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Come
ogni artista dotato d'anima vera, anche Marcello Scuffi ha i suoi
detrattori. E' giusto, guai ai tiepidi! Meglio amore e odio, sempre
in coppia: entrambi nutrono, generano, stimolano al miglioramento. La
critica più ricorrente che gli viene mossa è la monotonia dei
soggetti, dimenticando tuttavia che il Novecento ci ha fatto toccare
con mano l'immensità in un soggetto ricorrente, contemplando il
rigore del vetro nelle nature morte di Giorgio Morandi. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Io
guardo i dipinti di Marcello Scuffi, e non ci vedo monotonia, mai: ho
visto quello stesso mare, quella sabbia, quel cemento, quei monti,
mutare, negli ultimi dieci anni, come mai avrei potuto immaginare. Ho
visto edifici sabbiosi lambiti da darsene blu, intense come pensieri
tristi, a sorreggere barche che non riuscivano a penetrare quelle
dense, drammatiche acque. Li ho rivisti, sempre loro, dissolversi in
un vortice di grafite grigia, diventare lastre di ardesia, intere
tele sfumate tutte su strati di un unico colore-non-colore, dove gli
oggetti non hanno più forme: tutto è acqua, tutto è molo, tutto è
barca, tutto è vela. Tutto, dolce malinconia. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">Li
ho visti, ancora e ancora, infuocarsi di rosso, di mattone e di
ruggini, ardere pur rimanendo di ghiaccio, immersi in un'acqua che
finalmente si liquefa, e subito sprofonda, luminosa. E, infine,
proprio ieri li ho visti riapparire in mille sfumature di azzurri,
lungo un bagnasciuga friabile; ho visto barche levitare su sabbie
violacee, ho visto cieli indaco e ho sentito il calore emanare dalla
tavolozza dei freddi. Ho voluto essere lì dentro, ho desiderato
essere, anch'io, barca sotto la luna. Magari fosse per sempre, se il
suo nome è monotonia!</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "tahoma" , sans-serif;">"Meglio
un quadro da diecimila che dieci da mille" è una delle tante,
giuste regole dell'investimento per il futuro. Delle scelte oculate,
da lasciare ai figli, ai nipoti. Quelle che ti permettono di essere
ricordato, in famiglia, come uno che aveva saputo prevedere e capire,
e magari ti fanno guadagnare un sommesso ringraziamento, dopo i fiori
freschi di Novembre. Ma esiste anche un'altra regola, una regola
folle, senza fiori, senza nipoti; una regola che è investimento per
il presente, che è solo intuito, perchè il presente è solo tuo:
"Anch'io, barca sotto la luna", <i>adesso</i>.</span></div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-84586901684219105182015-12-25T20:23:00.001+01:002015-12-25T20:23:59.971+01:00Oggi parla.../22... Giuseppe Ungaretti:<div>
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Non ho voglia</div>
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di tuffarmi</div>
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in un gomitolo</div>
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di strade</div>
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Ho tanta</div>
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stanchezza</div>
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sulle spalle</div>
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Lasciatemi così</div>
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come una</div>
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cosa</div>
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posata</div>
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in un</div>
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angolo</div>
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e dimenticata</div>
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Qui </div>
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non si sente </div>
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altro</div>
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che il caldo buono</div>
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Sto</div>
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con le quattro</div>
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capriole</div>
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di fumo</div>
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del focolare</div>
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<i>(Natale, 1916)</i></div>
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MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-36438303397990115252015-12-25T20:00:00.000+01:002016-01-01T10:05:08.570+01:00Ritorno al silenzio - seconda parte<div style="text-align: justify;">
Per i coraggiosi che si sono sorbiti tutta la prima parte, finendo a parlare di zampette tolte, viro subito sull'argomento "Arte", perchè anche lui ha subito le sue belle trasformazioni, negli ultimi quattro anni della mia vita. La rompo io, la seconda zampetta del tavolino, stavolta. Penso a Paolino Orler e alla sua fatidica domanda: "Avete già avuto il rigetto?", e mi chiedo se intendesse davvero "l'Arte" oppure se, per lui che ne ha fatto un lavoro, l'arte non coincida, in realtà, con il mercato. </div>
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Ho un bisogno estremo, impellente, assoluto, di recuperare l'aspetto silenzioso, ovattato, da Museo, dell'Arte; l'aspetto contemplativo. E trovo una sinistra similitudine tra ciò che vedo diventato, negli ultimi tempi, il Circo Mediatico dell'Arte, e il mondo del calcio. Inteso come il diffusissimo sport in cui dieci scalmanati muscolosi vestiti uguali corrono dietro ad un pallone su e giù per un campo erboso, ostacolati da altrettanti scalmanati vestiti di colori diversi, per cercare di far finire il suddetto pallone dentro ad una porta retata difesa dall'undicesimo compagno, che se ne sta lì fermo in attesa del suo momento. Più o meno, ovviamente; in realtà ci sarebbe da definire ruolo per ruolo i dieci, perchè non tutti corrono nello stesso modo, anzi, alcuni vanno avanti ed altri no, ma l'ho detto per semplificare le cose. Mi piacerebbe leggere i primi trattati sul gioco del calcio, rigorosamente in inglese visto che il calcio (come migliaia di altre cose utili ed interessanti, nonchè di sport praticati a livello mondiale, nonchè le stesse assicurazioni) l'hanno inventato loro, spocchiosi ma geniali, per vedere come veniva descritto tecnicamente lo scopo originario.</div>
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Per un lungo periodo, io e mio marito siamo stati veri appassonati di calcio. Non di certo ultras, anche se io, personalmente, complice l'Infame che era uno dei capi ultras a Venezia, ho provato l'ebbrezza, negli anni della Serie A, di due incontri al Penzo nella curva dei pazzi scatenati, e per chi sa com'era fatta la curva del Penzo (vale a dire una struttura ondeggiante fatta di soli tubi in metallo, alta una ventina di metri, senz'ombra di pietre, cemento o altro materiale che ispiri una certa solidità) è facile capire che urlare, saltare, staccare i piedi dal seggiolino e farsi trascinare a mezz'aria dal mare di folla per novanta minuti è davvero un'esperienza al limite del mistico. Nel senso che ti rendi vagamente conto di cosa può essere la morte in agguato, ma non hai tempo di rifletterci sopra. </div>
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Io, juventina giurata in eterno, e mio marito, interista midollare, eravamo appassionati nel senso del termine, che deriva da "passione". Varie esperienze di stadio tranquillo (il primo colpo d'occhio dell'immensità di San Siro gremito all'inverosimile non si scorda mai), panini al bar dotato di maxischermo tutti i fine settimana finchè il colesterolo ringrazia, successivo abbonamento a Telepiù e Stream (Sky ancora non esisteva), con ripristino dei livelli di colesterolo ottimali ma perdita del pathos dato da esultanza da bar con abbraccio a muratori sconosciuti di provenienza Est Europa, ma juventini.<br />
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Ricordo che ne avevo parlato anche qui, si vede che l'abbraccio al muratore era un ricordo "intenso":<br />
<a href="http://trecose.blogspot.it/2012/03/normalita-e-quando-la-juve-batte-linter.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2012/03/normalita-e-quando-la-juve-batte-linter.html</a><br />
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Poi, col passar degli anni, ti rendi conto che qualcosa non va: si guarda sempre meno al bel gesto tecnico, al gioco di squadra, alle esultanze, e si parla, si parla, si parla.<br />
A far da contraltare ai ventidue muscolosi scalmanati (che, nel frattempo, sono anche loro sempre meno "sportivi" e sempre più divinità mediatiche, tra tatuaggi, fidanzate, auto di lusso, biografie eccetera eccetera) ha messo radici una vera e propria orda di commentatori, procuratori, opinionisti, esperti, per non parlare delle Gnocche del Calcio (ogni programma di calcio deve necessariamente avere per contratto almeno una Gnocca, la quale anche se parla di calcio - magari leggendo da un foglietto, mi ricordo che all'inizio sbagliavano anche i nomi - è palesemente lì per tutt'altri motivi, in quanto se fosse un cozza terrificante non avrebbe mai ottenuto quel ruolo). E noi ci siamo disamorati del calcio, un po' alla volta. </div>
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E' stata prima una leggera nausea, poi dei lievi conati, e il resto è da lasciare all'immaginazione di ciascuno. Certo, resto juventina nel profondo, sono e sarò sempre preda di una sottile esultanza ogni qualvolta la Vecchia Signora vince: domenica scorsa, ad esempio, stavamo facendo la spesa in Ipermercato sotto ora di pranzo per evitare la folla alle casse, e dagli altoparlanti invece delle solite musichette o delle loro offerte trasmettevano Juventus-Carpi (Ipermercato scelto con cura e dopo mesi di ricerche...). Al goal del 2 a 1 ho avuto un moto di gioia, il classico YESSS con il pugnetto chiuso, e ho spaventato una signora, nella corsia dei detersivi. Che discorsi, al cuor non si comanda. Però preferiamo di gran lunga concentrarci sul tennis, ad esempio, che resiste ancora con quell'aura vagamente da "tempio" (soprattutto Wimbledon o Parigi/RG), dove è impossibile assistere a scene da film gangster, i tifosi più scalmanati sono quelli che si lasciano scappare un estasiato OOOOHHH (mentre gli altri invece osservano in ossequioso silenzio), i commentatori sono a farla grande due, e quando era in servizio attivo la coppia formidabile Clerici-Tommasi ti facevi anche qualche sana ghignata. Grande il Gianni Clerici, lui lo odia il calcio, non mancava mai di ripeterlo, con qualche insulto non sempre velato al becerismo del tifoso-tipo del pallone con gli esagoni e i pentagoni.<br />
Me compresa, se parlava di Juve.</div>
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Ebbene, con l'arte io sono arrivata più o meno allo stesso punto. Vorrei esistesse un Wimbledon anche per lei. Mi rendo conto che l'aver sdoganato - tramite da un lato Musei e Fiere di livello, e dall'altro dosi sempre più massicce di televendite - l'arte contemporanea in maniera totale e nazional-popolare (cosa che è assolutamente, di fondo, un bene, perchè il bello e lo studio dello stesso eleva le masse dal succitato becerismo) in realtà ha fatto sì che ora chiunque si senta autorizzato a parlare di arte con cognizione di causa. Anche se è un meccanico, un infermiere, o un impiegato del catasto. Tutte figure, intendiamoci, per cui io ho la massima stima nei rispettivi lavori, ma che a volte dimenticano che, come non ci si può improvvisare meccanici, non ci si può neanche improvvisare esperti d'arte. Bisogna STUDIARE, a fondo, e per anni. Perchè la comprensione dell'arte contemporanea arriva solo dopo la conoscenza approfondita di tutta la storia che l'ha preceduta, e questo è un dato di fatto. Inoltre, lo sviluppo spropositato dei social network e di tutte le piattaforme internet degli ultimi anni, ha fatto sì che chiunque sia in grado di usare un computer si possa infilare ovunque per dire la sua, a volte in modo corretto sia nella forma che nella sostanza, a volte sparando baggianate colossali, oppure (spesso) offendendo, o semplicemente cercando la polemica a tutti i costi, così come l'ultras cerca lo scontro in curva. </div>
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E' successo anche a me su Trecose, molte, moltissime volte. Ci sono stati commenti gentili e costruttivi, condivisione piena di stati d'animo oppure scambi di vedute; e poi ci sono stati, fortunatamente rari, perchè io la polemica la smorzo in partenza, interventi rissosi e assurdi. Ma passi chi mi dice che detesta i pittori che io amo, per carità, siamo in un Paese libero, spero ancora per un po' (anche se non capisco come fanno certuni a dire che Marcello Scuffi è ripetitivo e, contemporaneamente, ad ammirare Morandi). Io non accetto che ci sia chi perde del suo tempo per entrare nel mio Blog per criticare, ad esempio, solo ed esclusivamente il fatto che io scrivo troppo, cosa che peraltro è assolutamente vera! Viste le miriadi sconfinate di gente che scrive nella blogosfera, ritengo logico che chi ama la sintesi si iscriva per commentare abitualmente scrittori di haiku. Ma perchè venire a rompere le balle a me rintuzzando la prosa sciolta, neanche fossi una che lega alla sedia la gente! Libertà, gente, libertà.</div>
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E questo lo noto, ripeto, sinistramente, tra i sedicenti appassionati d'arte, non tra gli altri. Tra i miei Lettori Fissi c'è il carissimo Tra Cenere e Terra, che gestisce in maniera mirabile e rarefatta il suo Blog di poesia. Non lo commenta mezzo mondo, ma chi lo fa generalmente è per un pensiero di condivisione, o un apprezzamento, o una nota gentile. Nessun poeta, nessun appassionato di poesia si sognerebbe mai di loggarsi per insultarlo, per dirgli che i suoi pensieri fanno schifo. Se qualcuno mai lo pensasse, semplicemente se ne andrebbe su altri Blog, più consoni al proprio modo di essere, vedere, vivere, sentire. E invece nell'arte contemporanea no, si creano le fazioni, si cerca lo scontro.</div>
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Ormai è storia la ben nota polemica ferragostana (con tanto di strascico legale) tra i supporters di Carlo Vanoni e quelli di Giovanni Faccenda, su pagine Facebook che anch'io posso leggere, pur non essendo iscritta a Facebook, perchè lasciate maliziosamente pubbliche. </div>
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Io non entro nel merito di chi è più bravo di chi, ci mancherebbe! Il mio parere personale, comunque, è che 1) una polemica del genere fa male, a prescindere, all'Azienda che entrambi rappresentano, ed alimentarla o quanto meno non impedirla è sicuramente poco etico dal punto di vista dell'appartenenza ad un'unica organizzazione; 2) Giovanni Faccenda fa quello per cui lo pagano: vende quadri in televisione. Ne vende a bancali. Cosa poi dica o faccia per raggiungere lo scopo, ciascuno lo deve valutare e filtrare secondo le proprie attitudini, conoscenze o competenze (il famoso discorso di prima...); è evidente che chi mastica un pochino di pittura vede da sè la differenza tra un nome e un altro. Ma da Orler lo pagano per vendere, e lui vende. Se Carlo Vanoni è pagato per fare gradevoli lezioni di storia dell'arte e non per vendere quadri, questo io non lo so e non lo posso sapere; 3) perchè diamine ci cacciamo tutti ogni volta in questo bouchon? Cosa siamo diventati tutti, dei tifosi che saltano su tubi di metallo? 4) Il mio telecomando ha un tasto che permette di cambiare canale, stando peraltro comodamente seduti, se ciò che vedo in televisione non mi soddisfa... credevo che questa invenzione avesse varcato i confini del Veneto, evidentemente sono una privilegiata.</div>
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Recentemente mio marito è stato invitato da un nostro caro amico friulano a far parte di una Chat Whatsapp di gruppo sull'arte; a parte qualche commento estasiato iniziale, gli interventi sono pochissimi, giusto qualche segnalazione di Mostre in corso, tant'è che il mio sociologo scalpita un pochino. Abbiamo cercato di darci una spiegazione in merito, che prescindesse dalla ben nota pragmaticità al limite del mutismo dei nostri cugini friulani, e crediamo di averla trovata nel fatto che, dalle immagini postate, parrebbe che tutte queste persone non conoscano granchè di arte contemporanea (diciamo di viventi, ma anche di post-war, o addirittura semplice Novecento). Sono innamorati della classicità, del Rinascimento, del grande Settecento, e davanti a queste cose non c'è nulla da dire. Si sta zitti. Bocca chiusa, e contemplazione. Storia, tradizione, cultura eterne.</div>
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Anche perchè, attenzione attenzione, non esiste alcuno al mondo - neanche il plurinominato "magnate arabo" - in grado di acquistare un'opera di Michelangelo (per indisponibilità economica sua e per indisponibilità di vendita di opere di Michelangelo), e quindi qualunque giudizio non sarà mai falsato dall'aspetto del MERCATO. Dove invece esiste mercato, stravolge tutto. Parliamo di SOLDI, ragazzi miei, soldi, che fanno potere, che fa altri soldi, che fanno altro potere. L'Arte non c'entra un tubo se tutto deve girare intorno ai soldi. Ci sono svariate Gallerie, dotate o meno di canali televisivi (e quindi con più o meno visibilità a livello basico), ci sono svariati venditori, come in qualunque organizzazione che venda merce. E c'è quella immane schifezza che è - da questo punto di vista - internet, dove chiunque sia dotato di un modem si sente una divinità perchè può dire la sua al pari di chiunque altro (anche se uno è, puta caso, un professore universitario con anni di ricerca alle spalle, e uno invece vende automobili, o fa il geometra, o l'assicuratore, mi ci metto in mezzo anch'io, come vedete). </div>
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Se facciamo la somma di tutti questi fattori ci troviamo davanti a uno stadio urlante, curva nord contro curva sud, infiammate solo dal tifo e dagli istinti più bassi. Ben che vada, se non ci sono tifosi, ci sono polemiche fra donnicciole. Artisti che vengono osannati da mandrie di fruitori solo perchè il venditore preferito li osanna, altri invece bistrattati o addirittura insultati per colpire l'imbonitore. </div>
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Sputo un rospo grosso: va bene, il Giovanni Faccenda venditore può non risultare simpatico a tutti, lo ammetto. Anche io lo preferisco in altre vesti. E' esagerato, istrionico (soprattutto se paragonato alla calma piatta di tanti altri), mi ha anche fatto andare per traverso i tenorini de Il Volo per tutte le volte che li ha fatti ascoltare. Ma che per colpire lui si dica che Armodio non è un pittore straordinario, per favore! Trovatemi chi sa dipingere come Armodio! Parliamo di bravura, solo di quella, non di mercato, di investimenti, di quotazioni. </div>
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Oppure Marcello Scuffi: lo si potrà trovare malinconico nei soggetti, oppure ad alcuni potrà far storcere il naso come persona (politicamente di sinistra e sportivamente interista...), ma come non apprezzare la sua tecnica? Secondo me è uno dei pittori più completi e preparati tra i viventi in Italia, ma visto che è targato Orler, se sei contro Orler sei contro di lui. Se gli eredi di Salvatore Emblema non avessero fatto la cazzata di entrare nell'universo corbelliano, da sempre oggetto di strali, probabilmente oggi si vedrebbero contendere le tele detessute a palate di dollari. E potrei continuare per giorni. Che schifo. Un circo, un circo pompato mediaticamente, dove si grida, ci si agita, ci si insulta, affannandosi alla ricerca del colpaccio e perdendo di vista l'obiettivo dell'arte: bellezza. BELLEZZA. Serenità, pace, estasi, contemplazione, riflessione, emozione. Certo, anche linguaggio, innovazione e comunicazione (diamo ragione anche a Carlo Vanoni!), ma mai curva nord, mai istinti beceri, mai. </div>
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Ecco, io ho bisogno di questo: ho bisogno di recuperare silenzio, di uscire dalle Fiere e dalle televendite, di entrare nei Musei, di aprire di nuovo i miei libri di Storia dell'Arte che sono in garage, nello scatolone post-trasloco con la scritta "Libri università". Non posso fare zapping e scoprire che hanno creato una specie di TeleGaudio, un canale (che in realtà si chiama TV Art Live) dove a qualunque ora del giorno ti sintonizzi c'è sempre e solo lui, G.G., di certo invecchiato ma ancora molto fascinoso, che spazia dal quadro al tappeto al gioiello usando sempre le stesse frasi! Una di queste notti devo provare ad accendere la televisione all'improvviso, io, che fino a pochi mesi fa non mi svegliavo neanche col terremoto; ma sto attraversando quella fastidiosa fase della vita femminile nella quale, durante le notti, sperimento escursioni termiche che il deserto di Atacama se le sogna. Mi alzerò, già nervosa del mio, e troverò G.G. in pigiama che presenta un'opera fondamentale, di un genio che è in tutti i musei del mondo, che non possiamo perdere. Mi fa paura, paura tanta. Chissà come lo alimentano, se ci sono dei sondini endovena nel microfono, se dorme direttamente dietro le quinte, o se ha una serie di cloni numerati in gradazione di abbronzatura. Per questo rompo la seconda zampetta. Non possiamo usare le stesse parole per Paul Jenkins e per il diciottesimo estroflessore; e poi ci sarà chi ha comprato il diciottesimo estroflessore che dà dell'idiota incompetente a qualcun altro perchè solo lui ha in mano il lume della verità, quello che permette l'arricchimento sicuro, quello che non commette errori.</div>
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Io so solo questo: Franco Ristori ha iniziato per una nuova stagione la sua serie di Tè, di appuntamenti mensili. L'ultima volta ero lì con lui (era appena scoppiato il Bubbone Banche), e sono entrati due signori un po' attempati che volevano adocchiare qualcosa - per quanto ho capito io, che cercavo di stare discretamente in disparte visto che parlavano di cifre, ma nel frattempo friggevo perchè volevo intervenire e ricordare come a breve la mania cinetica sparirà (è scritto) e torneremo al figurativo, come una ruota che gira eccetera eccetera. Volevano una sorta di bene rifugio, che piacesse e che contestualmente non facesse buttare nel cesso il poco salvato dal disastro-Banca. Mi sono passati davanti i miei lunghi quattro anni di Blog, i venditori di Telemarket, i venditori di Orler, di Vecchiato, di Elite, tutte le Fiere, tutti i Forum più o meno mal/educati. Friggevo, ho taciuto e ho ascoltato.</div>
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Ristori non parla tanto, anzi, a volte bisogna tirargli fuori le parole con le pinze, ed è un difetto che gli sottolineo spesso, perchè è importante comunicare, non puoi dare per scontato (o, peggio ancora, sperare) che la gente ti capisca - telepaticamente? - se non lo fai a fondo. A quei signori, però, lui ha detto solamente questo: "Per non sbagliare, intanto scegliete un nome che sia nella storia, che ci sia già nei libri. E poi, qualcosa che vi piaccia da guardare."<br />
Tutto qui.<br />
Smetto di parlare, perchè so che prima o poi, da qualche parte, altre Trecose rispunteranno fuori. Io le troverò, e voi mi troverete.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-51580460470060867502015-12-25T18:54:00.000+01:002016-01-01T10:02:34.598+01:00Ritorno al silenzio - prima parte<div style="text-align: justify;">
All'inizio mi era balenata per la testa l'idea di cominciare con qualcosa tipo "Cari amici vicini e lontani"; insomma, suppergiù. Però è pur sempre la frase famosa di un morto, magari non mi porta bene, e io invece voglio tanto che questo ultimo post abbia una buona, bella stella sopra, una stella con la coda luminosa, che fa tanto natalizio. </div>
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Ultimo, sì, almeno per questa prima parte della mia vita, anche perchè non aveva senso lasciare Trecose lì tutto solo a languire, in uno stagno d'inedia, dopo quell'estivo post fugace con le fotografie dei cartelli strani. Io sono una molto meticolosa, mi piacciono le cose fatte bene: dopo tutto, Trecose è nato il giorno di Natale di quattro anni fa, per permettere alla mia vena scrittoria di lacerarsi e fluire fuori impetuosamente, portando con sè, fuori, anche qualche chilo di malinconie, tristezze, delusioni & affini. Trovo particolarmente simbolico riuscire a pre-pensionarlo (di questi tempi, una vera fortuna!) esattamente un nuovo giorno di Natale.</div>
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Che poi, a dirla tutta, visto che sono partita a ruota libera e parlo col cuore in mano, è come un cerchio che si chiude, in tutti i sensi ed i segnali del caso: l'avevo aperto a causa di una persona a cui avevo dato molto e che mi aveva ferito molto (scusate se rido, ero IO un'altra persona all'epoca, se mi ricapitasse adesso la stessa situazione farei spallucce e lustrerei la corazza... anche se non sono sicura che sia un bene, per quanto inevitabile, diventare così cinici con l'età), e che da quel momento lì non avevo più rivista nè sentita. Fino a poche settimane fa. </div>
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C'è stato giusto un rapido scambio di messaggi via Whatsapp (nemmeno Whatsapp esisteva diffusamente qua da noi, quattro anni fa) perchè la sua vita è giunta ad una svolta, ed evidentemente ha ancora il mio numero, come del resto io ancora ho il suo, senza fare gli ipocriti. Quattro frasi di convenienza (usa ancora sempre le stesse parole, ho notato, "ti" abbraccio, "ti" bacio, così personali e probabilmente così copia/incolla), quattro in croce, sul tempo, su figli e nipoti, sul futuro, che mi hanno fatto passare davanti agli occhi quattro anni in un attimo, velocissimi: li ho proprio visti a fotogrammi, come una pellicola da film sfumata sui bordi, come raccontano quelli che sono stati dichiarati clinicamente morti per un momento e poi sono stati acciuffati per i capelli e ricondotti alla vita. Il male cane che provavo, la decisione di mettermi a scrivere in un diario on-line, io che il computer lo odio e a parte Word e poco altro neanche so come si usa, la mia anima che ne esce fuori, i primi lettori incuriositi, le prime condivisioni, e poi improvvisamente quel lieve rigagnolo è diventato un fiume in piena, dentro di me. </div>
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Dal punto di vista professionale, pian pianino è iniziata una mezza catastrofe (mica solo mia, è la stessa che ha colpito tutti i professionisti dei servizi negli ultimissimi anni, dopo che nei precedenti erano stati colpiti produzione e commercio, ma del resto è una ruota e si sapeva che doveva arrivare anche a noi, mica siamo l'oasi felice). Una mezza catastrofe che ha portato ad uno sprofondamento drastico e a decisioni importanti, dolorose. </div>
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Dal punto di vista della mia passione per l'arte, al contrario, un'impennata vorticosa: Giovanni Faccenda che scopre che so scrivere, che pubblica roba scritta da me, che mi fa conoscere Armodio (ad esempio, ma non solo), l'Annamaria Brizzi che in diretta TV dice che mi sente come un'amica pur non conoscendomi, e poi quel famigerato post sulla mia avventura con Cagnola, che ha fatto un gran casino in giro per mezza Italia, e per chi continua a chiedersi se hanno sporto denuncia: no, non hanno sporto denuncia, almeno non fino ad ora, ma dubito che possano farlo visto che ho scritto verità inconfutabili e comprovate. L'importante è cercare di essere corretti e divertenti, e mai polemici o rancorosi, comunque. La polemica e il rancore attirano gli avvocati come topolini sul grana grattugiato. Di sicuro un po' mi dispiace, perchè hanno avuto cosette interessanti, nel tempo, da Cagnola, ma non me la sono più sentita di alzare il telefono per farmi portare a casa qualcosa, credo che il mio nome sia finito in cima alla loro Lista Nera, come quella che hanno ben in vista i ragazzi dei tappeti da Orler, per la gente che ti fa andare dal Veneto fino in Provincia di Agrigento per poi dirti che "il tappeto è troppo blu" oppure "no, grazie, ma in salotto non ci sta" (misurarlo sempre prima, il salotto, magari!). </div>
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L'arte che diventa la tua vita, la tua vita che diventa arte. Conoscere gente che mai avresti pensato, uno fra tutti il Maestro Franco Ristori da Firenze, uno generoso, uno che è in grado di cambiartela, la vita, se glielo lasci fare, con un filino di follia. E poi tanti commenti, veramente tanti, sia da gente sensibile e preparata come da chi non sa dove abiti il rispetto (e i congiuntivi), ma se ci siamo incrociati in un determinato punto e in un determinato momento delle nostre vite, anche con gli sgrammaticati, un motivo c'era, ed è stato bello così. Conservo il libro sulla vita di Schifano che mi ha regalato, facendomelo arrivare a sorpresa in ufficio, il primo Natale, Michele (che ora immagino chissà dove all'estero, come quasi tutti quei bei cervelli italiani di trent'anni), così come i tre libri del fine pensatore Antimo Mascaretti, che un pochino invidio, perchè anche se con sofferenza lui può davvero (per età, possibilità, situazioni) scegliere di isolarsi dal mondo e vivere di pittura e di rose, mentre io no, almeno così dice la Busta Arancione.</div>
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Anche se io e la persona dei Quattro Anni e delle Quattro Frasi, con ogni probabilità, non ci risentiremo più (quanto meno per i prossimi quattro, questo è sicuro), a quel punto ho realizzato che era ora di chiudere una porta. Non è detto che non ne aprirò un'altra, un giorno, anzi, direi per certo che lo farò, sotto un'altra veste. Ma questa qui andava chiusa, principalmente per due motivi che voglio spiegare bene a chi mi legge e ha pazienza, per capire che non è una decisione presa con leggerezza, ma ci ho riflettuto sopra. </div>
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Innanzitutto, premetto che non potrei mai lasciare Trecose in mano ad altri. Dico questo perchè qualche mese fa si è aggiunta tra i miei Lettori Fissi una signora incredibile che si chiama Nella Crosiglia, di cui io peraltro non sapevo manco l'esistenza (e ci mancherebbe, noi blogger siamo milioni, e presumo che abbiamo tutti vite molto impegnate); è tipica del mondo dei blogger 'sta cosa: tu mi incroci, mi commenti, ti iscrivi tra i miei lettori, mi inviti a leggere il tuo Blog, e io ricambio e mi iscrivo tra i tuoi. Di solito la cosa finisce più o meno qua. Ma siccome io sono curiosa e testarda come una scimmietta, il "di solito" mica mi basta. Sono andata a cercare per il web chi cavolo fosse Nella Crosiglia, lei e il suo smodato amore per i cani, soprattutto quelli soli e tristi nei canili, e per la musica di ogni tempo (un connubio pazzesco e intrigante, e parla una che scrive di assicurazioni e di arte!), lei che ha ben oltre millecinquecento - vederlo scritto per esteso fa un certo effetto, eh - Lettori Fissi, che non sono propriamente come gli amici virtuali di Facebook, sono gente-che-legge-e-scrive-e-pensa. E lo fa CON TE. Un numero impressionante, meritava accurate ricerche; ho così scoperto che il suo Blog in realtà non era suo fin dall'inizio. L'ha "ereditato" da un'altra signora che non lo poteva/voleva portare avanti, che lo stava insomma lasciando morire d'inedia, che lo trascurava, perchè sono cose che capitano, se non hai una minima quantità di ore al giorno da dedicarci. </div>
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Nella l'ha preso con sè, come un cucciolo da un canile, l'ha fatto crescere in maniera spaventosa, e senza cambiargli nome; semplicemente, travasando se stessa dentro quel che già c'era. Se da un lato ammiro il suo risultato, dall'altro mi fa tremare: io non potrei mai, e sottolineo mai, lasciare la mia creatura in mani altrui. Chissà se sono io che sbaglio, magari anche sì. </div>
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Però è giusto il ragionamento: se non lo coltivi, o lo lasci a qualcuno o lo chiudi. E qui veniamo al punto: come tenere aperto un Blog che si chiama TRE-Cose-che-so se sparisce la prima delle tre? Impossibile. </div>
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Notizia bomba, ad ogni modo; pare che ci stia riuscendo, e lo dico incrociando le dita, perchè non abbiamo ancora firmato niente, però direi che siamo a buon punto. Lo sviluppo della cosa è stato strano e buffo: era ben oltre un anno che avevo ufficialmente chiesto alla mia Mandante se aveva bisogno di un Agente da qualche altra parte, perchè valutavo seriamente l'idea di andarmene da questo Veneto uggioso, arrabbiato, perennemente di corsa e insoddisfatto, ma il mio Ispettore Commerciale - che non è più Zelig, per chi si ricorda dei miei post con Zelig, ma un distinto, pacato signore dalle tempie bianche e dal cuore gentile - credo ritenendo di farmi complimento gradito, mi aveva risposto che preferiva non perdermi - io Agente così bravo e onesto - dalla sua zona operativa (alle tempie bianche e ai cuori gentili noi Agenti perdoniamo qualche pietosa bugia). </div>
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A volte le Mandanti non riflettono bene sul fatto che, se ti chiedo di trasferirmi altrove e mi dici di no, finisce che vado via lo stesso e magari sotto un'altra Mandante. Io sono andata ben oltre: non voglio più sentir parlare di assicurazioni. Misura colma, strabordante. Direi che si capiva abbondantemente, dai miei ultimi post in materia: potrei tirare avanti un annetto o due, ma visto che la mia Busta Arancione pone l'asticella diciamo tra più o meno un ventennio, dovevo dire basta. </div>
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Basta a un mondo di iper-burocrati che ti spalma dieci circolari in ostrogoto a settimana, e ti parla e ti aiuta solo ed esclusivamente via ticket informatici. Basta a un settore in cui l'Assicuratore è sempre il cattivo e il Cliente sempre il buono, che anche per una questione di statistica non è possibile, o suvvia! Basta alle Compagnie, da un lato, che straripano di soldi per eventi, sponsorizzazioni e pubblicità, e poi cavillano sui cento Euro di un sinistro che ti fa perdere il Cliente. E basta, dall'altro lato, al Cliente che pur non capendo un'emerita cippa di assicurazioni (me lo tatuerei col sangue e lo ripeto: il 90% delle persone con cui parlo di assicurazioni e che crede di sapere tutto di assicurazioni in realtà infila una boiata dietro l'altra, un luogo comune dietro l'altro) si erge a so-tutto-io e rifiuta di affidarsi a un professionista serio. Basta all'Esperto. Basta a quelli della tiritera "c'è la crisi" per lacrimare sui dieci Euro di sconto, che poi trovi nel resort di lusso. Basta a chi si lamenta che i figli non trovano lavoro, ma poi fa tutto on-line (allora i tuoi figli falli assumere da Amazon e stai zitta, bella mia). Basta ai cialtroni, che quando ti sei sbattuta tre giorni di telefonate e un richiamo formale dal tuo Ufficio Sinistri per incaricare il Perito la notte di Natale, neanche capiscono di cosa parli e ti dicono che il carrozziere si è appena trasferito dall'altra parte della città. Basta alla cultura del risparmio a tutti i costi, che uccide la cultura della previdenza e della prevenzione.</div>
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Se tutto va come deve, tra due-tre mesi la mia Agenzia verrà accorpata in un'unica, grande realtà, assieme ad altre due. Mi do un anno di tempo, dodici-mesi-dodici, l'ho promesso ad una persona che se lo merita, una persona che ha ancora dei valori come i miei: una faccia di cui non vergognarsi e da mettere sempre sul piatto, unitamente all'impegno, e alla serietà. Una persona che, pur non conoscendomi, mi ha detto: "Lo faccio perchè credo che se io ti aiuto a realizzare questo tuo sogno, forse un giorno incontrerò qualcuno che mi aiuterà a realizzare il mio", e a quel punto io gli avrei messo in mano le chiavi di casa, non solo dell'Agenzia.<br />
Il prossimo, sarà un anno in cui cercherò di fare in modo che i miei Clienti più cari si affezionino a queste persone nuove, e possano - un domani - dimenticarmi, anche se in fondo solo a pensarlo mi fa venire da piangere. Un anno in cui cercherò di trasmettere tutto lo scibile che ho maturato in venticinque anni di gestione agenziale (uno scibile molto prezioso, di questi tempi, un sapere che va oltre la mera vendita) ad una decina di signorine volonterose ma disorganizzate, per vedere se magari, tra di loro, trovo un paio di "me" da far crescere. Che sfida. Mi stancherò come una bestia ma probabilmente mi divertirò anche. E poi si vedrà, se dovesse tornarmi la voglia potrei anche decidere di ripensarci e restare. Per ora la vedo dura, e se togliamo una zampetta delle tre al tavolino di Trecose quello viene giù. </div>
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E adesso passiamo alla seconda zampetta.</div>
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MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-89823841938773451632015-08-30T17:37:00.001+02:002015-09-03T18:45:13.889+02:00Oggi parla.../21... il Cartello Buffo:<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdnfwDf6kg6rbDIIWkhog843uV3ISKel0ndsmjLm7uGKz54Xz4GFRfzcvlF_LKZqTyWY_BBqMQSwiwEiG8Il5jJaEHNqiE05Dx00ORrHohTuYz9EaSpogOZ7XGUW9rH0vBV6xWxAWcvUi1/s1600/Sex.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="195" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdnfwDf6kg6rbDIIWkhog843uV3ISKel0ndsmjLm7uGKz54Xz4GFRfzcvlF_LKZqTyWY_BBqMQSwiwEiG8Il5jJaEHNqiE05Dx00ORrHohTuYz9EaSpogOZ7XGUW9rH0vBV6xWxAWcvUi1/s320/Sex.JPG" width="320" /></a></div>
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Beh, qui partiamo col botto. E' relativamente vicino a casa mia, ma vi assicuro che io non c'entro niente. </div>
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Un classico, classicissimo del Comune dove abito, vengono a fotografarlo dalle Regioni vicine (un consiglio: quello a Nord, in ingresso verso Venezia, è molto meno sbiadito di quello a Sud, in direzione Treviso), all'epoca ci siamo fatti ridere dietro da mezza Italia ed è stato ripetutamente pubblicato un po' ovunque, da Quattroruote a Famiglia Cristiana alla Rivista della Bocciofila Laziale. Varcando i confini comunali sud, quindi entrando nella ridente terraferma veneziana, il divieto sparisce: lo si capisce dagli assembramenti nei parcheggi e dietro gli alberi, impossibile sbagliarsi. </div>
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Concepito (ops, che verbo!) per togliere dalla famosa Via Terraglio la lunga fila di signorine, una per albero (nota geo-biologica: c'è un albero ogni venti metri), mi sono sempre chiesta perchè non avessero precisato che il divieto vale solo per le "discussioni stradali". Già mi immagino l'intimità dei talami dei miei concittadini: "Caro, non stasera, ho mal di testa... però se mi prometti che domani porti tu fuori il cane potrebbe passarmi" e zac! Il Vigile salta fuori dall'armadio e sono cinquecento Euro che se ne vanno. </div>
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Per inciso, io non ho il cane.</div>
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Dopo il clic all'imbocco di questa bella, liscissima Piazza in un noto Comune toscano, ho chiesto lumi ad un passante, ignaro, che ne ha fermato un altro, e poi un altro, e un altro ancora. Arrivati a circa una dozzina, oltre a prenotare un tavolo in pizzeria già che c'eravamo conosciuti, abbiamo fatto ricorso a Google scaricando il Codice della Strada. Non che la Piazza pullulasse illegalmente di Tavole a Vela, comunque... (l'ho scritto solo perchè mi piaceva il congiuntivo).<br />
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Non so voi, ma io conosco almeno una dozzina di gatti che avrebbero qualcosa da ridire.<br />
O da inorridire.</div>
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Questa è facile da intuire, quindi niente suggerimenti o battutine, ci dovete arrivare da soli. Mi piaceva anche il tentativo di rima.</div>
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Sono andata a trovare una mia amica e questo era affisso nella bacheca; ho cercato di tagliare la parte bassa, per rispetto al nome dell'Amministratore che l'aveva scritto e firmato, visto che lo conosco perchè ho in portafoglio due-tre Polizze di Condomìni amministrati dal suo Studio. </div>
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Anzi, la prossima volta che lo sento mi devo ricordare di chiedergli (giacchè mi risulta, in questo mondo in continua evoluzione e movimento, che la sintassi italiana sia sempre la stessa da quando frequentavo le elementari) come fa lui a tenere al guinzaglio uno spazio comune condominiale. </div>
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Lunghi anni di pratica. <br />
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AGGIORNAMENTO del 03/09/2015:<br />
La mia mamma ha visto questo post, e mi ha mandato una chicca via sms.<br />
Pare che durante la Seconda Guerra Mondiale mio nonno Tano (sempre lui, proprio lui, quello nato a Palermo e bravo a disegnare) tra le tante destinazioni sia passato anche per Cuneo, dove c'era un capitello dedicato alla Beata Vergine recante questo cartiglio: Maria Assunta In Cielo A Spese Del Comune (lo ammetto, non tutto di seguito, ma su due righe). Ovviamente niente foto, ed è un peccato, ma era un'immagine troppo bella per non concretizzarla qui con voi. <br />
Vuoi mai che ci sia qualche amico da Cuneo o dintorni che mi sappia dire se il capitello comunale esiste ancora, o mi mandi una foto "di una volta" ... </div>
<br />MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-9029409929711497352015-08-29T23:05:00.000+02:002015-08-31T08:27:38.088+02:00Fotografie di vita<div style="text-align: justify;">
Di solito, io in Agosto cazzeggio. Tecnologicamente parlando.</div>
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Per riprendere la coda del mio ultimo post, mi comporto davvero come quei surfisti destinatari di tutta la mia più viscerale antipatia: nel mio tempo libero, che improvvisamente ad Agosto si impenna (gli piace vincere facile, comunque, visto che di norma nei restanti undici mesi rasenta lo zero... a quel punto anche due misere orette giornaliere rappresentano una folle impennata), saltello da un sito all'altro senza una meta come una capretta al pascolo. </div>
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Siti di libri, siti di autori di libri, l'immancabile Ebay per vedere cosa combinano i collezionisti delusi di arte contemporanea, siti di viaggi, di località che vorrei visitare, siti di alberghi a quattordici stelle nelle predette località (man mano che invecchio, divento sempre più sensibile all'albergo di lusso; campeggi e ostelli mi facevano un po' schifo anche in gioventù, ma ora è diventato proprio un piacere carnale soggiornare, anche una notte sola, in un hotel come si deve). Siti di curiosità, di assicurazioni, e di scarpe, che per un essere umano di sesso femminile sono come la droga. Blog di gente che conosco e frequento, o che ho conosciuto tempo fa e non frequento più, i blog e i siti di chi mi legge. Siti di Gallerie d'Arte in genere. Video di cuccioli di cane. Di cuccioli di tigre. Di cuccioli di orso. Video di donne imbranate a parcheggiare (mi sento lievemente condannabile per poca solidarietà, ma mi piacciono proprio, e di materiale ce n'è fino alla prossima glaciazione).</div>
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A volte digito cose a caso, anche senza senso se capita, per vedere che fa Google, cosa mi presenta. Lo faccio ogni estate, per vedere com'è cambiata la rete da un anno all'altro, e cambia sempre.</div>
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Tre anni fa era stato proprio durante una di queste surfate che avevo conosciuto il Blog di poesia del carissimo Tra Cenere e Terra; avevo digitato "Rilke", ci sono cascata dentro ed era bellissimo. Mi sono iscritta subito, e lui da me, gentilmente ricambiando. Avere un blog aiuta il saltellamento, perchè siamo tutti legati, io e i miei lettori fissi (quelli ufficiali e quelli nascosti), e i lettori fissi dei miei lettori fissi, in un unico abbraccio che gira intorno ad un'emozione.</div>
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Questo Agosto ho fatto un'altra scoperta, e dal momento che questo è un post da cazzeggio in un mese da cazzeggio ve ne parlo. E ve ne parlo bene, come di tutte le persone che, in vari modi, mi colpiscono. Avevo digitato "non voglio più fare questo lavoro" (d'istinto e senza pensare), che detto così rivolto a Google è un obbrobrio, di quelli che nelle Statistiche dei Blog fanno quanto meno ridere; intanto manca un minimo di punteggiatura (cos'è: un'affermazione o la ricerca di una domanda?), e poi cosa vuoi che ti mostri un motore di ricerca, a parte - se sapesse ragionare - un generico: "e allora??". Cos'è che vuoi sapere, esattamente?? "Questo lavoro" quale?? </div>
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Google non sa che questa frase (così, secca, senza punti particolari) è un tormentone tra me e mio marito a casa, tra me e le mie Ragazze in ufficio, da molti mesi ormai. E' un tormentone velato di tristezza. E' una decisione che ho preso, che ha preso il mio corpo per me prima di farmi scoppiare, che ha preso la mia mente, il mio cuore, il mio spirito. Credo fosse abbastanza evidente, trapelasse da molti dei miei ultimi post ad argomento assicurativo. Dispiace, in effetti, che io voglia smettere, perchè sono ancora convinta di essere proprio brava, nel mio lavoro. Infatti sto facendo le cose con tutta la calma del mondo, non ho bisogno di chiudere baracca e burattini dopodomani. Ma sono convinta che sia diventato un lavoro a termine, con tempi medio-lunghi, ma a termine. </div>
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Da una parte ci sono stati questi ultimi anni (odio dire "di crisi", perchè è dare un alibi a decisioni globali, a mutazioni che con la crisi non c'entrano un tubo, ma per lo meno identificano un periodo definito nel tempo), che hanno visto sgretolarsi l'idea stessa di prevenzione, hanno visto sparire una certa cultura assicurativa che si era formata con fatica in cinquant'anni, dal boom economico dei Sixties in qua. Ora come ora alla gente non importa un accidente di assicurarsi. Minimo del minimo del minimo. Clienti miei, benestanti, proprietari di SVARIATE CASE, che non le assicurano più, così, senza motivo, giusto per risparmiare quei duemila Euro che servono per un pieno di gasolio alla barca. Padri di famiglia, con bambini piccoli e mogli che non lavorano, che quando li implori di sottoscrivere una Puro Rischio del costo di EURO 118 ANNUI ti rispondono "ci devo pensare, sono bei soldi, ne parliamo quando torno dalle ferie". Società che, con il cambio generazionale, vedono arrivare nelle stanze dei bottoni i rampolli tecnologici, che non hanno quel senso etico, quella dirittura morale che deve possedere chi governa un'Azienda che fattura milioni: i dipendenti sono persone, e diventano numeri, l'assicuratore è il consulente di fiducia (come l'avvocato e il commercialista), e finisce che uno vale l'altro. Sei "al loro servizio", e pretendono di trattarti da SERVO. Perchè al servizio, in realtà, nessuno dà più valore, e questo lo vedo in generale: nessuno vuol pagare per qualcosa DI PIU' che non sia tangibile. Il pane lo mangio, va bene. Le sigarette le fumo, vanno bene. I pantaloni fighi li esibisco, vanno bene. Pagare per una persona di fiducia non ha più un senso compiuto (neanche pagare le spese condominiali, comunque, neanche quelle si toccano con mano). </div>
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Dall'altra parte ci sono queste nuove Compagnie, nate da fusioni di fusioni di fusioni, che non mi rappresentano più, non sono la mia faccia. E io, di sicuro, non sono la loro. Buttano via palate di denaro in campagne pubblicitarie, sponsorizzazioni, giochini e gadgets di ogni tipo, e poi perdono Clienti da migliaia e migliaia di Euro perchè i liquidatori non hanno una flessibilità da duecento Euro su un sinistro "col dubbio". Sono sorridenti, gentili, disponibili, danno del tu a tutti - atteggiamento molto americano che a me, personalmente, dà un po' fastidio, ma in genere piace - ma di assicurazioni (clausole, tecnica, a mio modesto parere neanche un minimo di marketing assicurativo di base) non capiscono granchè. </div>
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Vedete bene che non ho parlato per nulla della concorrenza, che sia di Colleghi in carne ed ossa piuttosto che di telefoni, computer o altri supporti: non c'entrano. </div>
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Il mio è un disagio che nasce dalla pancia. Sono un assicuratore palombaro, non ce la faccio ad adeguarmi alla mutazione che svilisce ogni forma di professionalità (e anche di EDUCAZIONE: quest'anno una persona che si straprofessava mia amica ha cambiato Compagnia senza dirmi niente, l'ho saputo dal Database dell'ANIA. Nessun messaggio, neanche una mail, un sms. Ma costa davvero così tanto? Vogliamo permettere ad un Decreto Legge di annullare ogni tipologia di rapporto umano, anche la semplice gentilezza?). </div>
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Secondo me, a naso, nel corso dei prossimi dieci anni e non di più, assisteremo allo stravolgimento delle Agenzie di Assicurazione, che sostanzialmente spariranno (uh, sai quanta gente a spasso, poi!): ne rimarranno poche, e molto grosse, che gestiranno principalmente poli aziendali (piccole e medie aziende artigianali e commerciali, qualche azienda produttiva grossa che non si fida dei Broker, grandi professionisti con cui fare accordi di scambi "commerciali"). La massa dei privati farà tutto direttamente on-line, perchè il loro "tutto" sarà principalmente la RCA obbligatoria nuda e cruda (e non perchè on-line costi meno, ma perchè è indubbiamente, per molti, più comodo), vuoi perchè non hanno soldi da destinare ad altre coperture, vuoi perchè li hanno ma non hanno la minima intenzione di destinarli a questo. E' più figo fare altro.</div>
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Ma non voglio tediare ulteriormente il lettore agostano con i miei patemi professionali. Succederà, prima o poi. Se non sarà l'anno prossimo sarà quello dopo, o quello dopo ancora. Farò altro, che sia vendere quadri di paesaggi ai turisti nel centro storico, o supportare mio marito nel sogno di aprire un Circolo Biliardi tutto suo. O magari prendo un franchising e imparo a fare i gelati. Nel frattempo, ecco che esce il tormentone, come un bip, ogni volta che lo spirito ne ha bisogno e vuole essere sicuro che non cambi idea, magari solo per questioni economiche, che hanno sempre il loro appeal. </div>
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Digitando la mia frase-tormentone sono caduta in un Sito di un ingegnere di Pavia, Ingegnere Elettrico per la precisione, nel quale ho ritrovato tante delle mie sensazioni. Dopo qualche breve piluccamento qua e là, visto che mi stava simpatico ho fatto diligentemente quello che il carissimo Roberto da Bisceglie ha fatto con me e Trecose: ho cominciato dall'inizio e l'ho accompagnato fino ad oggi. Magari è per il fatto che ha più o meno la mia età (un pochino meno in verità, ma POCO meno!), e quindi il background è più o meno lo stesso (siamo stati adolescenti negli anni Ottanta, siamo cresciuti nei Novanta eccetera), ma l'ho trovato immediatamente intelligente, ironico, acuto. Non è che ci abbia tanto in comune, sotto sotto, visto che lui essendo Ingegnere Elettrico espertissimo di IT parla una lingua per me pressochè incomprensibile. Ha cambiato una valanga di posti di lavoro, scalando sempre in meglio, come tipico di un bravo Ingegnere esperto di IT in un mondo che ha fatto dell'IT uno dei suoi fondamentali pilastri. Altro che una Laurea in Lettere ancorchè ottimamente conseguita, che ti apre la mente, ti insegna a pensare, ti prepara a qualunque contatto umano, ma vale molto-ma-molto-meno di un diploma da pasticcere per trovare un lavoro OGGI. Ha anche due bei bambini, altra cosa che io non ho. </div>
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Cosa ha combinato questo benedetto ragazzo: niente di stratosferico, tutto di stratosferico. </div>
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Ad un certo punto della sua vita, ha sentito che dodici ore di lavoro, il panino al posto del pranzo, le riunioni alle ore più assurde, otto aerei da prendere nel giro di una settimana, salutare la famiglia solo via Skype lo stavano facendo morire dentro. Ha mollato tutto e si è messo a fare il fotografo professionista. C'è da dire che la fotografia era una sua passione anche prima, intendo dire che sapeva fotografare a livello professionale per hobby, perchè non è che uno si improvvisa fotografo dal nulla, altrimenti mi do la zappa sui piedi da sola, a predicare la professionalità. Un conto è provare un certo piacere a tenere una macchina fotografica in mano, come la sottoscritta (che comunque mantiene un buon livello di empatia con i fotografi, soprattutto i ritrattisti, probabilmente perchè sanno "leggere" anche loro l'anima delle persone dentro agli occhi, come i pittori bravi), avere un minimo di quel che si dice "l'occhio" (sì, mi piace immaginare di fermare l'attimo, QUELL'attimo, in un rettangolo), sapere che se inquadri il soggetto nel centro della foto invece che in uno dei terzi laterali molto probabilmente la foto farà schifo, e un conto è fare il fotografo per lavoro. La mia ultima reflex andava ancora a pellicola, tanto per capirsi. Lui per hobby parlava una lingua digitale.</div>
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Ha però trasformato l'hobby in un lavoro, aprendosi la Partita IVA, e facendo un percorso in cui, con somma tenerezza, io ho letto il mio, tal quale. I primi tentativi di farsi pubblicità col banchetto e la musichetta nei Centri Commerciali (pagando, anzi, cercando di pagare anche la SIAE, che nemmeno la SIAE sa come fare...), con risultati zero. La passione, quella vera, che ti fa lavorare quindici ore al giorno invece delle dodici di prima. I guadagni miserrimi all'inizio, poi sempre meglio (beh, su questo la mia parabola è stata inversa...). L'approccio al Cliente, uguale uguale spiaccicato al mio, che ho in ufficio il frigobar, e le caramelle, e la macchina del caffè Dolce Gusto, non le schifezze con la chiavetta da grande distribuzione. Il lasciarsi coinvolgere dai sorrisi dei Clienti, dalle loro vite, dalle loro storie. I matrimoni, i ritratti, i corsi. Le iniziative commerciali, i passaparola. La ricerca di collaboratori a cui piaccia lavorare, possibilmente dotati di macchina fotografica (sembra assurdo, ma come lo capisco, cielo, se lo capisco!). L'essere obiettivamente felice del fatto che la fotografia non sia più appannaggio di pochissimi eletti, e che molti giovani, tra smartphone e compatte, usino dilettarsi in scatti al gatto di casa o alla morosa nel parco, così saranno in grado di capire e di gustare la prestazione di un professionista appassionato. La mia stessa pia illusione, in questo: bene, dicevo, che la materia assicurativa sia ovunque in rete, così la gente non si farà più fregare, avrà un minimo di informazione di base in più, e apprezzerà al meglio il mio lavoro di consulenza. Col cavolo. La gente, la massa, non vuole questo. Vuole una prestazione basica, e che costi poco. Una sveltina, insomma! E' come sostengo io, nel mio settore: ci trattano come donnine allegre, a quello serviamo. Donnine in Social, tra l'altro, perchè solo lì c'è il passaparola, qualunque altra forma di pubblicità non serve. In ufficio a volte capita che non riusciamo a rintracciare un Cliente per qualche comunicazione urgente (arretrati, sinistri, scadenze, qualunque cosa), non risponde alle mail, ha cambiato cellulare: lo contatti su Facebook e risponde in tre secondi. Io non sono su Facebook, non lo sopporto. Sarò costretta a cambiare idea, a uniformarmi a questo enorme contenitore? Davvero un ragazzino americano brufoloso ha tracciato il futuro della comunicazione dell'intera umanità?</div>
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(Ero ai miei albori: <a href="http://trecose.blogspot.it/2012/01/mai-su-facebook.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2012/01/mai-su-facebook.html</a> )<br />
(Poi ci ho anche ripensato:<br />
<a href="http://trecose.blogspot.it/2012/12/evoluzioneinvoluzione.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2012/12/evoluzioneinvoluzione.html</a> )</div>
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Tornando al mio eroe, ha tenuto botta quattro anni, meravigliosi per chi se li fa scorrere sotto al mouse tutti d'un fiato. Fa, peraltro, fotografie bellissime, a mio personalissimo gusto. Odia le schifezze finte tipo Photoshop. COGLIE, o quanto meno ti fa sembrare che abbia colto, con un gran lavoro sotto, che per me che guardo è lo stesso, anzi, anche meglio, così apprezzi l'inventiva. Cose, tante, che piacerebbe fare anche a me. Ha un po' le sue manie, come abbiamo tutti: fare foto alle scarpe delle spose, per esempio. E riprendere, nei ritratti, spesso dall'alto. Averlo scoperto prima, avrei pagato volentieri quel niente che chiedeva per una serie di scatti personalizzati, in qualche bel posto, con tanto di trucco e parrucco. Bravissimo, anche se non gli piace lavorare in seppia, chissà perchè (io lo trovo affascinante, sa tanto da deserti lontani e fumo in qualche angolo dell'anima).</div>
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Dopo quattro anni, ha mollato; l'anno scorso ha fatto nuovamente una firma su un contratto con mansioni del tipo che serve una traduzione da parte di un appassionato di informatica, quindi non guardate me. Forse i ricordi della tangenziale di Milano paralizzata dalle code erano ormai un ricordo troppo sbiadito, o non gli si strizzava più lo stomaco al pensiero di strisciare il badge. L'ansia si autoelimina, col tempo. Chi lo sa. E' la sua vita, e lui la vive, la condivide, perchè il Sito l'ha tenuto, anche se lo aggiorna di rado (e gli dispiace pure, un po' come a me per Trecose, vorrei essere ancora tutta qui, e invece il "poco e spesso" non sembra appartenermi). Secondo me tra un po' scoppia di nuovo, anche se ammetto che due bocche da sfamare possono, all'occorrenza, rendere improvvisamente pragmatici. </div>
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Io mi ci sono rivista tutta in un colpo, con le mie insofferenze, i miei sogni così e così (intendo, non così assurdi da non poter essere realizzati, ma non così semplici da potersi realizzare subito e in breve tempo), il mio sentire dentro che c'è ancora una strada lunga davanti, e non posso solo "vivacchiarla" aspettando qualcosa di indefinito. La consapevolezza che non è facendo sempre le stesse cose che facciamo cambiare le cose. Certo, torniamo al fatto che lui è un Ingegnere Elettrico in gamba, e in certi casi basta mettere il naso fuori della porta, adattandosi un po', trovi subito chi ti piglia. Nel mio caso, se mollo l'Agenzia, indietro non si torna; e figuriamoci se un domani torno a fare la dipendente per chi, adesso, è mio Collega, e magari anche deficiente. Sempre posto che non salti tutto il sistema, come dicevo prima. Però 'sta voglia di cambiamento è devastante, accidenti.</div>
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Insomma, se vi va, andate a salutare Massimo su www.ciccio.it; sì, lo so che il Sito ha un nome un po' che non diresti (tanto valeva che scegliesse Goldrake o roba simile), ma ne vale la pena, soprattutto se amate la fotografia fatta bene. Lui è simpatico, è perso per sua moglie e i suoi bambini, scrive che ogni tanto strappa la risata, ed è pure carino (questo lo dico solo perchè sono più vecchia, quel POCO che basta perchè non sembri un interesse personale). Ditegli che lo saluto, perchè a modo suo ha reso migliore il mio cazzeggio del Duemilaquindici.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-90067082803335856622015-08-16T22:13:00.000+02:002015-08-16T22:24:33.029+02:00Se lo dice l'Esperto <div style="text-align: right;">
<i>Esperienza:</i></div>
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<i>Conoscenza diretta, personalmente acquisita con l'osservazione,</i></div>
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<i>l'uso o la pratica, di una determinata sfera della realtà</i></div>
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<i>(def. Vocabolario Treccani)</i></div>
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In fondo, sono convinta sia del tutto normale. Come ci sono parole che mi piacciono, che amo, che cerco (per la loro sonorità, per come la voce scorre via quando le pronunci, per la forma che prendono le labbra, e ovviamente per il loro significato, per ciò che rappresentano in se stesse e nella mia personale esperienza di vita), ce ne sono altre che non sopporto, in modo viscerale. Roba da innervosirmi di brutto quando sento che qualcuno le sta pronunciando.</div>
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Ultimamente, una di queste ultime è "esperto". Già a vederla scritta, da me, ringhio un pochino. </div>
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Parte tutto dalle mie fissazioni per la pubblicità, che sia su carta stampata, in radio o in video. Devo averne fatto accenno in più di un post dei primi, quando indugiavo nel raccontarmi, un po' alla volta: se non avessi fatto l'assicuratore credo mi sarei buttata nel mondo della pubblicità. Che poi sarebbe stato un mestiere assolutamente fattibile per una con la mente sveglia ed una laurea in Lettere agli albori degli anni Novanta, intendo, non si limitava ad essere il solito sogno stile "farò l'arredatrice di interni" - diciamo che io non sono mai stata tipo nè da astronauta nè da ballerina, chè sul primo soffro di vertigini e sul secondo non ci ho il fisico. Prima dell'Università confabulavo di giornalismo o affini, ad esempio. Più prosaicamente ho anch'io tentato (in modo del tutto furtivo, quasi in incognito) la strada dell'insegnamento, in coda dietro a centinaia di nomi con la stessa Laurea, fin quando la momentanea futura suocera, che lavorava appunto in un'Agenzia di Assicurazioni, non ebbe bisogno di me per riordinare qualche archivio. Il più classico degli "in attesa di..." che diventa la vita reale. Niente arredamento d'interni su settimanali patinati, dunque, anche se sospettavo che arrivarci sarebbe stato un po' complicato, ma niente anche al mondo della pubblicità, che continua a popolare e a pungolare la mia mente, sia per un interesse personale sia perchè, avendo io sposato un sociologo dilettante, grazie a lei il dialogo non langue. Anzi, ci sorprende sempre. Che siano pubblicità orribili o ben fatte, storie assurde o ben congegnate, con un testimonial che valga il suo ruolo oppure pagato per niente, è indubbio che dalla pubblicità si ricava un profondo spaccato mica da ridere della realtà quotidiana. Dei giovani, degli anziani. Di dove la gente mette i soldi. Di cosa cerca, di cosa detesta. E' pazzesco quanto bravi siano, certi pubblicitari, ad interpretare "la massa", addirittura, in alcuni casi, ad anticiparla, a muoverla, a condurla dove vogliono loro.</div>
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Torniamo alla mea con l'"esperto". L'Esperto è dappertutto, indipendentemente dalla categoria merceologica. Per quanto riguarda il mio settore, l'Esperto se ne sta tutto incellofanato nel portabollo, pronto all'uso in caso di incidente. L'avrete pur vista, no, la pubblicità di una nota (e tra l'altro ottima, intendiamoci, non denigro il suo Esperto per concorrenza!) Compagnia diretta (per i profani vuol dire che non ha Agenzie, cioè di quelle contattabili solo via telefono o via computer), la quale tra i suoi servizi sottolinea come compreso nel prezzo ci sia l'Esperto Incidenti da svegliare dal coma della sua bustina ventiquattr'ore su ventiquattro. Tu hai cannato uno Stop alle due di notte, sei entrato nella portiera di quel povero disgraziato che ha avuto la sfiga di passare di là a quell'ora, e dal buio si materializza l'Esperto. Davvero, puoi telefonare, anche a quell'ora, per sentirti dire che hai torto marcio. Oppure, se sei tu il povero disgraziato della portiera sfondata, sentirti dire che hai ragione, ma muoviti a compilare la Constatazione (o in extremis ad annotarti la targa del colpevole), perchè altrimenti se questo se ne va non si combina un tubo. Grande Esperto. In fondo la Constatazione Amichevole è un foglio con delle caselle da riempire, basta rispondere, può farlo anche un bambino delle elementari; il problema viene dopo, cioè sull'interpretazione di quei dati, ma nella pubblicità si vede solo la prima parte della faccenda, con l'Esperto alla luce fioca dei lampioni che sorride indicando i punti d'urto e dicendo "tu hai ragione, tu no, mi dispiace, hai torto". Godrei nel sapere cosa ti rispondono alle due di notte se chi ti ha sfondato la portiera è un'auto con targa straniera che magari non risulta nemmeno assicurata. </div>
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Ma mica solo di assicurazioni si occupa l'onnisciente Esperto, figuriamoci. Ci sono valanghe di Esperti di roba di Banca, in pubblicità di tutte le sponde, e sorridono tutti come dei matti. C'è l'Esperto per lavarsi i denti (secondo me va in stocca con l'Esperto di Banca, visto il suo sorriso smagliante). C'è una marea di Esperti di automobili, o meglio di motori in genere. Sono sicura che, da qualche parte, c'è un Esperto anche per scegliere il melone al supermercato, così la smettiamo di portarci a casa robaccia che quando la apri è dura, ancora verde, e non sa di niente. Esperti di animali, esperti di profumi per l'ambiente. </div>
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Quello che mi punge, e mi punge, e mi punge, è PERCHE'. Posto che io ho una venerazione per i pubblicitari, visto che l'imbroccano sempre, do per scontato che questa cosa dell'Esperto sia effettivamente quello che "la massa" vuole, e non posso che chiedermi perchè. Perchè c'è bisogno del cartellino "esperto", innanzitutto.</div>
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Anche io, personalmente, ricorro a PERSONE CHE ABBIANO ESPERIENZA (detto così suona un po' diverso) in un determinato settore se devo fare una scelta, è ovvio. Ma la citata esperienza la giudico a occhio, in base alla MIA, di esperienza, sul genere umano: se uno è realmente o no esperto di qualcosa lo vedo da come ne parla, da come approfondisce l'argomento, dalla varietà di esempi con i quali lo correda, magari - mica sempre, non voglio sembrare prevenuta - se ha o meno le tempie grigie (salvo su argomenti di tecnologia informatica, lì degli sbarbini mi fido ciecamente). Insomma, non ho bisogno di un cartellino! Non me ne frega niente della qualifica, perchè l'esperienza è, in fondo, esattamente l'opposto... o no? </div>
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Si può essere "esperti per definizione"? </div>
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Comprare l'esperienza? </div>
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Faccio un mero esempio: quand'ero ragazza ho assistito al nascere e al proliferare dei primi Centri Commerciali, quelli enormi, luminosi, dove andare a passeggiare col moroso quando non si sapeva dove altro andare per passare il tempo. Per quanto anonimi e devastanti per il piccolo commercio locale, hanno dato lavoro a un sacco di gente. Una volta, all'interno di uno store che poteva essere l'antenato degli attuali Castorama, Leroy Merlin, Brico Center e così via (il moroso dell'epoca era un patito del bricolage, motivo per cui io ora lo detesto con tutta me stessa - il bricolage, non lui), ho fermato un giovanotto per chiedergli informazioni sulle tende alla veneziana. Era una carognata, in verità, perchè io non avevo assolutamente idea di comprare tende, nè veneziane nè di altra provenienza, e quindi alla fin fine sapevo che gli avrei fatto solo perdere tempo, ma ero estasiata dalla corsia delle tende, di tantissime forme, materiali e colori, quando fino ad allora (sfido chiunque tra i miei coetanei a dimostrare il contrario) le lamelle delle veneziane di tutte le case del mondo erano solo verdi pisello, e larghe quel tot che bastava per stare tra la persiana e l'infisso. Il cuore dell'arredatrice di interni batteva all'impazzata. Il baldo giovanotto (cioè l'Esperto di Tende) ha iniziato un discorsetto mandato platealmente a memoria, e quando l'ho interrotto con una domanda chiusa (facile, basta rispondere o sì o no) l'ha ripreso esattamente dal punto in cui si era fermato (tra l'altro senza il verbo, che stava nel tronco di frase pre-domanda, quindi senza un po' di memoria da parte mia rischiavo comunque di non capire niente). L'allegro siparietto si era poi ripetuto più di una volta (ho già ammesso che era una carognata, tanto valeva farla completa). Questo perchè il giovanotto non era per niente un Esperto, ma semplicemente un Addetto al reparto tende. Mica c'è di che crocifiggerlo, è solo che le parole hanno un loro peso. E vanno rispettate. Il fatto di prendere un ragazzino appena uscito dalle Scuole Superiori, volonteroso quanto basta, inculcargli a memoria un pistolotto sulle nuove tende, non lo rendeva automaticamente esperto. </div>
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Mi si può obiettare che era moooolto tempo fa, sono passati tanti anni (tanti, sì, veleggiamo quasi verso i trenta), adesso è tutto diverso, c'è più concorrenza, c'è più attenzione. Col cavolo. Ditelo a mia sorella, che qualche mese fa è andata da Mediaworld perchè le serviva una macchina fotografica con un teleobiettivo degno di questo nome, e si è trovata ad interloquire con una bella ragazza (addetta e/o esperta di macchine fotografiche, visto che stava al reparto) che alla sua richiesta della Tal Apparecchiatura con il Tal Tele le ha detto, testualmente: "E perchè invece non si compra questa, che è pure in offerta, e ha un bel grandangolo?". Mia sorella ha imparato negli anni ad incenerire con lo sguardo, generalmente lo fa un attimo dopo aver puntualizzato che, in fotografia, il grandangolo è esattamente il contrario del teleobiettivo.</div>
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Non massacriamo i poveri Addetti, tutti abbiamo cominciato e abbiamo avuto bisogno di tempo per arricchire il nostro bagaglio di conoscenze, professionali ed extra. Torniamo invece agli Esperti, al perchè "la massa" li cerca, li vuole, si affida a loro come a novelli Angeli Custodi versione 2.0.</div>
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Ragionando, io mi sono data due possibili spiegazioni. La prima è che, appunto, quando si PARLA, si interagisce con le persone, tendenzialmente si finisce per capire se uno è davvero esperto di quello di cui dice di essere esperto, oppure se è un fanfarone. Posso ben immaginare di non essere l'unica ad avere il dono di sgamarli ad occhio.</div>
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Il problema è che, oggigiorno, la percentuale di acquisti non solo di beni ma anche di servizi su Internet sta raggiungendo numeri impressionanti, e acquistare su Internet è sempre un terno al lotto. Con i beni è solo questione di attendere il Corriere con il pacchettino, lo apri e vedi subito se hai beccato la fregatura o se hai fatto un affare. Con i servizi (assicurativi, bancari, ma anche oltre... parliamo di Arte?? Eh??) è in effetti un po' più problematico, e allora ecco il bisogno dell'etichetta. Hai un Esperto, ci mancherebbe, non hai buttato i tuoi soldi nel cesso, dai! E' evidente che se/quando chiamerai (nel nostro caso, ad esempio, non è sempre detto che serva, anzi, in teoria l'ideale sarebbe che non succedesse mai) non avrai modo di vedere se ti stai davvero confrontando con uno che fa quel mestiere da vent'anni e sa di cosa parla, piuttosto che un ragazzino che ha appena finito le Superiori, piuttosto che uno che è il quinto call-center che gira, e su quello di prima vendeva le pentole. L'importante è crederci, o meglio ancora poter dire agli amici (rigorosamente su Facebook o Twitter, MAI di persona mi raccomando) "il mio assistente bancario è un vero Esperto", così l'amico di Facebook manda giù fiele pensando "Ehi che invidia, invece il mio è un completo deficiente". Forse lo scopo è quello: fare invidia. Mostrarsi fighi, perchè si sa scegliere. Il meglio di tutto a pochi soldi, come avviene di norma su Marte, no? Sulla Terra invece come si fa lo sa solo lui, il Furbo.</div>
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Io, a naso, direi che considerando gli enormi problemi che attanagliano il mondo del lavoro in Italia, considerando tutto quello che si sente in giro, considerando il fiume n. 1 di ragazzi che si arrangiano a fare qualunque lavoro pur di fare qualcosa (e hanno la mia massima stima e il mio totale rispetto), considerando il fiume n. 2 di ragazzi che non fanno assolutamente niente perchè tanto il-lavoro-non-si-trova e vengono mantenuti da genitori ottusi (una volta a me una mamma ha detto che suo figlio cercava un lavoro "mentre attendeva di sfondare come bassista"!!!), ripeto direi che gli Esperti, quelli veri, devono essere merce rarissima. Di recente, un signore che lavora presso un'Azienda che io assicuro, mi ha chiesto un consiglio assicurativo nonostante, in effetti, lui non sia mio Cliente; però, ha detto, "so che tu sei Superesperta". Meglio dell'omino sotto cellophane, quindi. Ho sorriso, all'idea di questa nuova definizione. Ma del resto, se l'Esperto alla lunga si rivelasse un idiota totale, dovremmo pur catalogare una nuova razza geneticamente modificata per identificare i Veri Esperti che, essendo tali, sappiano. </div>
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La seconda spiegazione invece è meno elucubrata, e, forse, proprio per questo finisce che la azzecco. Ho già parlato di una cosa che ho sentito in un corso di formazione sull'apprendimento, cioè di come tendenzialmente la popolazione venga suddivisa tra i PALOMBARI (quelli che si informano a fondo di ogni argomento, e quindi tendenzialmente conoscono poche cose, visto il tempo che ci vuole appunto per "andare a fondo": poche ma molto bene) e i SURFISTI. Questi ultimi, nei quali sta la quasi totalità degli under 40, sono quelli che passano nei discorsi da un argomento all'altro, nelle ricerche da un Sito all'altro, e così via. Infarinatura generale di un po' di tutto, conoscenza vera di niente di niente. Mi aveva depresso parecchio ascoltare il docente, che avrà avuto più o meno la mia età e che io immaginavo, come me, una sorta di Re dei Palombari, mentre raccontava la sua punta di invidia per la giovane figlia surfista, "una che non perde tempo nella vita". Capirai, poi finisce che si fida dell'Esperto di Banca su Internet che le garantisce la sicurezza del Trading-On-Line (anzi, in quattro lezioni fa diventare direttamente lei la Esperta di Trading!), così mangia fuori al papà invidioso la casa, le mutande e anche lo scafandro per le immersioni. Che tristezza, io no, per carità, mi tengo stretto e con orgoglio il mio gagliardetto da Palombaro. </div>
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Comunque, il punto potrebbe essere che tutti questi surfisti abbiano in realtà un bisogno estremo di qualcosa di certo a cui aggrapparsi. Bisogno di punti di riferimento, bisogno di certezze, magari poche, ma forti, bisogno di qualcuno che SAPPIA. Bisogno di risposte. Bisogno di credere che l'Italia non sarà svenduta a pezzi all'estero, bisogno di sapere che non ci saranno (di qui a breve) decine e decine di Botteghe Artigiane costrette a chiudere perchè nessuno raccoglie il testimone di mestieri antichi, da tramandare con sofferenza, orgoglio e impegno. Un bisogno inconscio, ma insopprimibile, di qualcosa che riempia il vuoto della non-conoscenza. E la pubblicità un po' ci marcia, e glielo soddisfa in modo deviante, e deviato. Serve direttamente l'Esperto su un piatto d'argento: basta crederci. Io voto contro.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-4615399863955788052015-06-28T22:04:00.000+02:002015-10-25T09:41:11.933+01:00Tre punti in solitudine<div style="text-align: justify;">
Punto primo: io sono un tipo abbastanza curioso, detto in senso positivo come si fa con i bambini quando cominciano a fare diecimila domande (se va bene, quando va male iniziano direttamente a smontare gli oggetti) perchè è arrivata quella smania di conoscere, di imparare, di sapere il perchè di tutto ciò che li circonda. </div>
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Difficilmente è una smania che abbandona. </div>
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Certo, arriva il punto in cui hai capito come si forma il ghiaccio o come nasce la pianta dal fagiolo (o, se sei compassionevole, hai capito che gli adulti a cui rivolgi le domande sono sul punto di collassare) e passi ad altro, con l'aiuto di tante enciclopedie, e abbondanza di libri di storia, di scienze, o anche solo di pura avventura (si imparavano un sacco di cose - dalla geografia all'usare i coltelli - dai libri di avventura), questo ovviamente nell'era pre-Internet in cui il bambino o l'adolescente curioso formavano il loro sapere dai libri. Adesso presumo che il web dia una grande mano, con tutti i suoi limiti (adesso è tutto troppo, come dire, "pronto all'uso"). Basta usarlo con intelligenza, quella che si presume abbia l'adolescente curioso.</div>
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Io amo curiosare nei Siti, nei Forum e nei Blog di argomenti che mi interessano, più ne trovo più sono contenta, soprattutto se ci leggo opinioni diverse dalle mie, giusto per mettermi un po' in discussione; conseguentemente la parte del leone, tra viaggi, libri, arredamento d'interni e un quid di sport, la fa l'arte (con tante scuse a tutte cose utilissime come il giardinaggio e la cucina, ad esempio, che lascio ad altri appassionati: io amo andare al ristorante e farmi regalare mazzi di fiori, passo direttamente alla fase finale senza avvertire alcun richiamo da parte di quella intermedia). </div>
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Casco e ricasco spesso all'interno del Forum di Finanza On Line, FOL per gli amici, un Sito che definire sterminato è riduttivo: spazia con dovizia di informazioni e cognizione di causa all'interno di qualunque argomento di Finanza & Mercati. In effetti più o meno equiparabile al giardinaggio, per la sottoscritta. Ma poi ha il suo Forum, nel quale, insieme a discussioni su Mercati Europei, Forex, Immobiliare, Modelli di trading operativo (aaarghhh!) c'è quel piccantissimo "Investimenti in arte e collezionismo" che ha sempre discussioni intelligenti nelle quali piluccare, e questo indipendentemente dal fatto che, all'epoca del mio post su Cagnola, mi abbiano linkato dando a Trecose, piccolo Blog di provincia, una visibilità pazzesca, cosa per cui li ringrazierò ancora e ancora per molti anni a venire. </div>
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Molte delle loro discussioni vertono, di riffa o di raffa, sulle televendite in generale e sugli Orler in particolare: sono tutti fan scatenati, al limite della venerazione, di Carletto Vanoni, di ciò che fa, che dice, e che presenta (e quindi, indirettamente, di Marco Orler, che è la sponda aziendale pro-Carlo). Spesso critici nei confronti di Dario Olivi, al quale riconoscono onestamente l'empatia persuasiva ma del quale detestano gli amori "artistici"; molte volte cattivelli verso Giovanni Faccenda, gli riservano epiteti poco piacevoli, senza considerare che invece, nell'ambito dell'azienda-Orler, Giovanni ha fatto il suo dovere come un bravo scolaretto e con un'umiltà mista a tenacia che nemmeno immaginavo possedesse: ha portato qualche nuovo nome che la famiglia aveva in mente di corteggiare da tempo, ha mosso un po' le acque della rivalità interna tra venditori (basilare per un'azienda commerciale, che nella calma piatta va a picco), ha riportato sulla bocca dei telespettatori alcuni nomi di scuderia caduti nel dimenticatoio, e ha venduto come un dannato cose quanto meno discutibili, facendo eufemisticamente molto spazio per roba nuova sugli scaffali. Forse a breve tornerà a fare quello per cui è nato e cresciuto (cioè lo studioso, per se stesso e per chi lo ascolta, del resto anch'io non ho mai fatto mistero di quanto preferissi il Faccenda "di prima"), ma di certo non ha rubato lo stipendio.</div>
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Poi, oltre ai "miei" Orler, i forumisti del FOL sono a dir poco scatenati su qualunque televenditore dell'etere italiano, da Willy Montini a Franco Boni, passando per ogni via intermedia percorribile. Tutto viene passato al dettaglio: frasi fatte, posture, tic ricorrenti e chi più ne ha più ne metta, culminando ovviamente con osservazioni a base di soda caustica sulle indicazioni di mercato e le opere proposte dalle varie televendite. In più di un'occasione, quando stava ancora da Cagnola, avevano fatto partire l'embolo a Roberto Porcelli, che li aveva ripresi pubblicamente, in diretta. Dei bambini dispettosi, insomma, alcuni sicuramente preparati (in senso storico ed artistico), altri solo appassionati, e comunque a me tutto sommato simpatici rispetto a coloro che li attaccano senza pietà (li attaccano perchè, per lo meno la maggior parte di loro, parla senza aver mai "rischiato del suo", senza aver scucito soldini per opere d'arte, lo si intuisce dai discorsi, e questo atteggiamento in effetti può non piacere, sa da troppa teoria e poca pratica). </div>
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Però, cari signori, il loro Forum recita "Investimenti in arte e collezionismo", non si intitola "Parliamo di bei quadri che ci piacciano e ci emozionino"! E' un sito di Finanza, accidenti! C'è anche il sottotitolo della discussione che dice "Forum che raccoglie discussioni su forme di investimento alternative come collezionismo, opere d'arte", parlano anche di diamanti e orologi, ed è evidente che con queste premesse il monumento a Carlo Vanoni va fatto. Perchè Carlo Vanoni, spalleggiato da Marco Orler, è effettivamente l'unico televenditore in circolazione che si concentra sull'aspetto spudoratamente dell'investimento di mercato delle opere, corredato da dati tecnici, affinchè chi compra possa avere non dico la certezza (quella non c'è mai) ma almeno la speranza di non buttare via i propri soldi. Parla di linguaggi, di mercati esteri, di tendenze, esattamente come i forumisti del FOL, che spesso fanno nomi per me incomprensibili, tutti di gente che probabilmente non ha mai preso in mano un pennello in vita sua, ma che può muovere milioni di Euro semplicemente apponendo una firma su un cubo di plastica o sventrando animali morti.</div>
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Punto secondo: giusto un piccolo intermezzo prima di giungere al punto terzo, perchè c'è investimento e investimento, belli miei. Una cosa è un quadro che raddoppia il suo valore in qualche anno (e magari, eh, magari!), altra cosa è il colpaccio che ti permette di non lavorare più e di fare la bella vita per il resto dei tuoi giorni, cioè quello che, sotto sotto, se non è ipocrita spera ogni persona che va a caccia dell'"investimento". Se parliamo di persone normali, ovvio, non certo del Monsieur Pinault di turno o del Super Emiro che possiede ettari di deserto sopra a mari di petrolio, di quelli che basta soffiare via un po' di sabbia per veder affiorare la robaccia nerastra e appiccicosa. </div>
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In questi ultimi periodi ci si riempie tanto la bocca (lo fanno tutti, lo facciamo tutti, e non ammetto repliche) dei vari exploit targati Boetti, Bonalumi, o anche Schifano, lui già qualche annetto fa. E parlo solo di Italia, perchè confesso la mia estrema e totale ignoranza su tutto ciò che sta fuori. Per esempio, guardiamo i "boettini" (i cinque per cinque lettere, o giù di lì), gli arazzetti che negli anni Novanta venivano venduti più o meno a cinque milioni di lire e adesso sui ventimila Euro. Sicuramente per chi li ha presi è stato un investimento da metterci la firma, parliamo di otto volte tanto, difficile trovare uno strumento finanziario simile. Ma, alla fin fine, ti ritrovi con una cosina da ventimila Euro (ti ci compri una Golf, e neanche tanto accessoriata). Per la mappona meravigliosa tre metri per due che in asta adesso fa il botto grosso dovevi comunque scucire bei soldi anche negli anni Novanta, ma dai! Comunque l'equivalente di un miniappartamento, magari non in centro, ma per uno che vive di stipendio e sogna il botto sono tanti, tantissimi soldi. </div>
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Idem per gli Schifano quelli veri, storici, pensati e studiati, non le schifezze fatte a catena di montaggio in una notte, che si trovano in giro ora. </div>
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Idem per i Bonalumi importanti, per anno e dimensione: Dario Olivi, in una trasmissione di poche settimane fa, commentava il caso di un risultato d'asta molto importante (vado a memoria, non crocifiggetemi se sbaglio, ma mi pare cifre sui duecentomila), per un pezzo che era passato da Orler agli albori dell'Euro a quarantamila. Ma quarantamila Euro nel 2002-2003 erano una paccata di soldi per un comune mortale, parliamo dai quattro ai cinque anni di stipendio. Al di là del rischio di comprare qualcosa che poteva un domani valere ma anche no, bisognava averli!</div>
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Per non parlare della variabile del mercato pazzo (o dei pazzi che lo manovrano, o dei pazzi come noi che ci credono), che - forse a causa di un sovraccarico di informazioni, di un cortocircuito di tecnologie, di una sovraesposizione di media più o meno virtuali - non storicizza più. Il nome consolidato, che ha una storia, una storia indubbia, una storia che non mente (potrei farne a decine), improvvisamente crolla, mentre sale a dismisura, ad esempio, "la terza scelta di un movimento artistico", per citare con deferenza Sua Maestà Mazzoleni quando ha rifiutato Turi Simeti. Non che io abbia nulla contro Turi Simeti, anzi, mi intrigano gli estroflessori, tutti quanti, sono lavori che mi piacciono anche esteticamente e non solo dal punto di vista della ricerca, ma sinceramente ero convinta che dopo Castellani e Bonalumi in quanto a mercato ci saremmo fermati. Ora arriva pure il quarto, allora di questo punto mi metto pure io a estroflettere, arriverò ottantasettesima ma un piatto di pasta lo porto a casa, mi evito la Caritas. </div>
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Oppure tutta questa mania cinetica dilagante. A me sta bene che, nel ventunesimo secolo (ma già nel ventesimo), ci siano tanti nuovi linguaggi su cui puntare, ci siano espressioni artistiche che hanno rinnegato la pittura da considerare. Ma almeno, guardiamo a chi ha INVENTATO qualcosa, non a chi la ripete... Anche io mi arrabbio quando sento l'Eterno Ignorante (ci sarà sempre l'Eterno Ignorante) criticare Lucio Fontana e dire "potevo farlo anche io": il fatto è che l'ha fatto lui, però, non tu. E il mondo è cambiato, parliamo di circa sessant'anni fa. Un genio. Non bello da vedere in senso stretto (una tela monocolore con dei buchi?? Ehi!), ma un GENIO. Basta al concetto di arte=bello, parliamo d'altro, parliamo d'OLTRE. Un genio. Ma che senso avrebbe fare qualcosa di simile, ancora, ADESSO??</div>
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E poi, quello stesso mercato che, spesso a tavolino, porta a fare Dama sulla scacchiera chi vuole lui (la Dama, quella che può andare sia avanti che indietro, occhio!), quante pedine sacrifica per strada?</div>
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Punto terzo: cancellate cortesemente i punti Uno e Due. A parte i ragazzi del FOL, che mi stanno simpatici, e chi vive di Mercato per lavoro, e se ne ha davvero le competenze è giusto e sacrosanto che cerchi di consigliare al meglio i suoi ricchi clienti che vogliono veder crescere i loro ricchi capitali, anche facendo comprare sconosciuti artisti dell'Idaho o delle Isole Vanuatu come investimento alternativo alla Borsa. </div>
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Vi prego, rassicuratemi: ma c'è ancora qualcuno in Italia, la culla dell'arte tradizionale, il paese del bello assoluto (di Caravaggio, di Michelangelo, di Raffaello, di Tiziano, ma anche di Modigliani o di Boldini, giusto per fare un balzo in avanti di qualche secolo), che compra quadri solo per il piacere di averli in casa, senza sperare necessariamente di farci i milioni? Che vuole avere un PEZZO DI PITTURA (altrimenti tanto vale prendersi un bel poster), fatto da uno bravo, perchè lo fa star bene e basta? Uno che preferisca destinare un importo diciamo equivalente a quanto spenderebbe per fare due settimane di vacanza in pieno Ferragosto, per poter sorridere, respirare e sognare per tutte le altre cinquanta settimane?</div>
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Fermo il discorso del Mercato Pazzo di prima, io sono convinta che praticamente tutto ciò che ho comprato, negli ultimi sei anni, in arte, non mi cambierà la vita. Non ho nulla che possa fare il colpaccio, diciamo che sono abbastanza sicura che alcuni pezzi terranno il loro valore, perchè parliamo di artisti veri, artisti di come io, in modo assolutamente personale e passibile di critica, intendo l'essere ARTISTA per il tempo in cui viviamo: uno che abbia inventato qualcosa, per primo, e abbia superato lo scoglio di diventare "globale". </div>
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Gianfranco Meggiato per esempio, meraviglioso (non mi ripeto, basta leggere qui <a href="http://trecose.blogspot.it/2014/08/meggiato-istinto-e-ragione.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2014/08/meggiato-istinto-e-ragione.html</a>). Ma ho una sfera da ventisette, mica una sberla da due metri. </div>
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Anche Rabarama, a suo modo, per quanto in Italia tanti giochino al massacro con lei (invidia perchè è donna e pure gnocca?); secondo me ha intrapreso la strada giusta e si sa promuovere alla grande, con le partecipazioni nei luoghi che "contano", le campagne in difesa dell'oceano e dei delfini, piuttosto che la lotta all'omofobia, che tanta presa hanno nei cuori dei grandi filantropi americani (noti collezionisti). E poi per prima ha dipinto il bronzo, con un'armonia unica di forme e colori, e una ricerca sull'identità scritta sulla pelle che nessuno aveva mai affrontato. Ieri sera era presente da Orler all'evento in onore di Cesare Berlingeri, era seduta proprio dietro di me, e le ho mostrato le foto delle sue tre bambine che sono diventate mie, da anni. Le riconosce ancora, le chiama per nome! </div>
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A proposito, anche in Cesare Berlingeri credo moltissimo, un altro grande, di immenso talento e immensa cultura (<a href="http://trecose.blogspot.it/2012/12/serata-di-stelle.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2012/12/serata-di-stelle.html</a>). Ma ciò che ho di suo non sarà mai il pezzo museale che mi eviterà di lavorare fino alla lontanissima e magra pensione decisa dai nostri legislatori. Neanche Salvatore Emblema, che però - lo ammetto - oggi mi ha già dato un'enorme soddisfazione e si è preso la giornata, perchè per la prima volta è apparso, un unico pezzo solitario, nella diretta di Dario Olivi, l'ultima prima delle ferie, ed è stato preso subito, a una cifra che non faceva spavento, ma nemmeno ridere. Emblema da Orler: è caduto un muro, adesso sono davvero curiosissima... </div>
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E gli altri? Che dire di Armodio, in assoluto la mano divina nè più nè meno di come Messi nel suo ne è il piede, cesello puro, perfezione suprema, ma troppo di nicchia, troppo settoriale (soprattutto finchè continuerà ad evitare le aste come la peste, e a preferire le Mostre, meravigliose Mostre dove gli ammiratori vanno per dire ooooh, ma non per comprare). A mio parere il botto non lo farà mai, e magari è giusto così, perchè sarebbe un uniformarsi alla massa di chi ci prova, lui che massa non è. E allora? Perdersi in una sua tavoletta è come abbeverarsi alla fonte della giovinezza. </div>
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Che dire di Celiberti, della sua storia dolorosa e profonda, che dire di Licata, di Xavier Bueno? Basta, per una volta, parlare di denaro! </div>
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Io nella stanza da bagno, quella grande, dove mi faccio la doccia quando ho voglia di un po' di spazio in più (perchè anche lì ci sono quadri, a casa mia, il bello non lo puoi limitare), ho una marina di Marcello Scuffi, che è un caro amico e anche uno dei pittori tecnicamente più completi che l'Italia abbia tra i viventi. Ha raggiunto con costanza, passione e umiltà negli anni quel suo coefficiente quattro (mi fa orrore solo dirlo) che regge anche nelle aste di Ebay, ma di certo i ragazzi del FOL ci ridono sopra. Giustamente, dal loro punto di vista, credo; nemmeno io lo consiglierei se uno mi deve smobilitare delle azioni. A fianco a quella marina c'è un quadro di Nino Tirinnanzi, con una luce di meriggio spaventosa, che profuma da solo. Un altro che di certo non diventerà mai il Warhol de noantri, nonostante gli sforzi. Però io, quando esco dalla doccia, prima ancora di prendere l'asciugamano, per una frazione di secondo posso decidere se appoggiare i piedi nudi sulla sabbia della Versilia piuttosto che sull'erba della campagna del Chianti, appena tagliata magari, che ancora sprigiona quell'odore particolare, e lo faccio davvero, ad occhi chiusi. Mi ci perdo dentro, ad occhi chiusi, senza asciugamano. </div>
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E NON HA PREZZO.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-76753306947352306522015-05-31T17:16:00.001+02:002015-05-31T17:16:47.389+02:00Oggi parla.../20... San Francesco d'Assisi:<br />
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<i>"Chi lavora con le sue mani è un operaio. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani, la sua testa e il suo cuore è un artista"</i></div>
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A dirla tutta, io non sono così sicura sicura che questa frase possa davvero essere attribuita a San Francesco, come fa il Grande Web con una certa sicumera. A naso non me lo vedo, per quanto Santo tostissimo e poliedrico, affrontare questo tipo di argomenti, e, anche restando in tema di studi più che di "naso" (per quanto affinato da anni e anni e anni di catechismi e parrocchie), non penso che ai tempi suoi fosse già concepibile la differenza tra artigiano e artista (lo stesso termine "artista" credo sia molto più tardo). Insomma, la lingua italiana era ancora in germe, stava sbocciando dal volgare proprio lì lì, se non ricordo male. Credo sia più probabile che affibbiarne la paternità a lui le dia un lustro del tutto particolare (certo che, se fosse davvero sua, ci sarebbe un motivo in più per ammirarlo); e comunque sotto sotto non mi importa chi l'ha detta realmente, facciamo che vorrei averla detta io perchè è esattamente in sintonia con quello che penso io.</div>
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Mi andrebbe anche di fare un giochetto un filo polemico, perchè tra tutti i sedicenti "artisti" che conosco (di persona o sulla carta) in effetti alcuni sono ARTISTI, altri sono artigiani (più o meno bravi, a questo punto), altri operai, per quanto di tutto valore rispetto ad altri ancora che non sono neanche quello, perchè non se le sporcano nemmeno, le mani. Non saprei, poi, dove andare a parare con certi "provocatori" che, in effetti, la testa la usano (e bene anche, ci muovono intere masse!), ma la cosa si ferma lì. </div>
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Tuttavia, mi sa che sarebbe un giochetto pericoloso...</div>
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MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-44467871700609821892015-05-24T22:17:00.001+02:002015-05-25T08:18:04.221+02:00Carpe diem (privilegi quotidiani)<div style="text-align: justify;">
L'altra mattina, sul presto, commentavo al telefono con una persona che condivide un po' d'anima con me giorno per giorno, il mio post "Io e Van Gogh" (<a href="http://trecose.blogspot.it/2012/01/io-e-van-gogh.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2012/01/io-e-van-gogh.html</a>), scritto una vita fa, e vissuto due. In realtà lo spunto della discussione era venuto fuori dalla Metamediale di Antonio Nunziante, che questa persona non conosceva; io accennavo all'episodio in cui ero stata "ospite" dell'organizzazione di Nunziante, giusto per spiegare la mia esperienza diretta con loro, e da lì alla rilettura di quel vecchio post il passo è stato breve. </div>
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Mi capita spesso di ritornare sui miei post più datati, giusto per darmi una spolveratina personale al percorso emotivo che ha visto Trecose nascere e svilupparsi; devo dire che alcuni mi piacciono ancora parecchio (un minimo di autocompiacimento è fondamentale, altrimenti smetterei di scrivere), altri decisamente meno, ma comunque rappresentano una parte di me, il filo conduttore di una crescita importante, e non mi sognerei mai e poi mai di andare a modificarli, correggerli, o peggio ancora farli sparire. </div>
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Rileggendo "Io e Van Gogh" ho sorriso di me, direi nello stesso identico modo con cui sorrido guardando le mie foto da bambina, o i primi disegni, o i pensierini delle elementari, cioè cosa che mi capita abbastanza spesso perchè grazie alla pazienza maniacale di mia mamma (unita alla sua caparbietà senza pari che ho avuto la fortuna di ereditare direttamente per via genetica, ed alla fissazione per le tradizioni di famiglia che abbiamo un po' tutti noi imbevuti del ramo materno) sono in possesso di tutti i miei quaderni delle scuole elementari dalla prima alla quinta, di buona parte dei temi delle scuole medie, e di una quantità innumerevole di disegni di ogni tipo, dall'asilo in poi. Per non parlare degli album di fotografie di trentacinque anni di vita della mia famiglia, dal matrimonio dei miei in poi, che occupano un intero scaffale di uno dei miei profondissimi armadi guardaroba (ci starebbero un sacco di scarpe e di borse!), e che ho voluto portare via con me quando me ne sono andata di casa, facendo sorbire anche a loro ben cinque traslochi. Arrivano fino ai matrimoni dei miei fratelli, quegli album, e poi basta, perchè a quel punto il fiume della nostra famiglia si è diviso in quattro piccoli ruscelletti per lo più digitali, alimentati da nuove vite e nuove esperienze; all'arrivo del digitale io ho cominciato ad avvertire una certa insofferenza, quasi come se quel tipo di testimonianza non fosse degno di essere raccolto e conservato, e mi sono rivolta all'indietro con tutta me stessa, alla ricerca di un passato ancor più passato. Ricordo di aver anche raccontato, in un altro post sulle mie tradizioni familiari, quanto facessi la tira allo scatolone delle foto degli avi che mia zia ultraottantenne aveva in casa, non me ne importava un tubo di nient'altro di "ereditabile". Invece la cara zietta, che ci seppellirà tutti, sta invecchiando a braccetto con Herr Alzheimer, e nonostante sia guardata a vista da badanti di varia provenienza pian pianino sta saccheggiando il mio patrimonio genetico: ormai lo scatolone è sparito, e mia mamma casualmente rinviene qua e là, in cassetti sparsi, in frigorifero, mischiati al terriccio delle piante, ritagli di vecchie foto, pezzettini, collages e strappi come esperimenti alla Frankenstein: il volto con l'elegante cappellone di una bisnonna incollato sul corpo di un bisnonno, bambini di fine Ottocento incatenati per manina a genitori non loro, e via così. Il mio sangue che se ne va a rivoli, mi sento un po' come chi ha assistito al rogo dei libri nella Bebelplatz del '33. </div>
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Comunque, giusto per tornare a bomba e ai miei sorrisi, rileggermi in quel post mi ha fatto tenerezza. E non parlo di come scrivevo (post tutto sommato molto brevi, perchè il mio percorso era ancora all'inizio e sviscerarmi non era per niente facile: sapevo, sentivo di avere dentro un mare di emozioni e di aggettivi, di palpiti e di avverbi, ma trovare la via per farli uscire sembrava, all'epoca, un'impresa); parlo proprio del contenuto. Se chiudo gli occhi e ripenso a quella serata ricordo perfettamente ogni passo, ogni gesto, e ciò mi dà conferma di quanto fosse stata PROFONDA, in effetti, l'emozione di cui parlo; però la sento lontana lontana, e, contemporaneamente, mi vedo così ingenua e così limpida (a dirla tutta anche di Nunziante, posso dire ora con una punta di malizia, parlo troppo ingenuamente).</div>
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Si vede nettamente che i miei contatti con il mondo dell'arte, fino ad allora, erano stati principalmente i Musei e i libri di storia (in effetti frequentavo pochissimo anche le Fiere). Non era ancora iniziato quell'incredibile viaggio che, nei mesi e negli anni seguenti, mi ha poi portato a conoscere di persona, nel bene e nel male, galleristi, critici e artisti. Nel bene, sicuramente, perchè è stato proprio grazie agli Orler e all'incontro, nei loro studi, con Giovanni Faccenda, che Trecose è uscito allo scoperto, che sono stata pubblicata, che ho potuto crescere e conoscere di persona, nel tempo e in diversi luoghi, artisti come Scuffi, Armodio, Cargiolli, Stefanoni, Licata, Meggiato, Possenti, Cionini, Celiberti, Berlingeri, Rabarama, Cinzia Pellin, Luciano Pasquini, Massimiliano Cacchiarelli Principi (e non nomino chi mi è stato solamente presentato con stretta-di-mano-e-via: parlo di persone vere, che ho incontrato più volte, che ho ascoltato, a cui ho fatto domande, che ho abbracciato!). Con alcuni il rapporto è andato oltre la semplice conoscenza ed è diventato stima ed amicizia, ma anche solo il fatto di poter comprendere più a fondo, di poter ascoltare qualcuno a cui la vita ha concesso un tale DONO (la capacità di CREARE qualcosa, la volontà di raccontartene la nascita e l'evoluzione, la condivisione di visione, impegno, pensiero) non è cosa da tutti. E nel male (e non mi riferisco di certo agli "antipatici", che pure ovviamente ci sono, nel mucchio di galleristi, critici ed artisti, come in tutto ciò che si compone di umanità), nel male perchè, a volte, alla fine si tende a dare tutto un po' troppo per scontato.</div>
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Scrivo di domenica sera, di ritorno da Firenze per uno degli usuali (e non dovrebbe mai diventare tale, proprio per non perdere di fascino!) Tè da Franco Ristori. Il terzo dedicato a Nino Tirinnanzi. E sento dentro questa cosa tanto prepotentemente, che la devo buttar giù, a costo di andare a letto tardi e poi domani cominciare la settimana con le occhiaie. </div>
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La sento addosso, stasera, la fortuna di poter frequentare certe persone così SPECIALI, e mi rendo conto che, probabilmente, dovrei ringraziare più spesso chiunque sia il "ringraziabile" (in cielo o in terra) per aver permesso tutto ciò. Perchè non è per niente "normale", non è per niente "usuale" essere di casa in quella Bottega, anche se per me è così, da tempo. Non è la NORMA, per la gente di tutti i giorni, spostare con nonchalance un De Chirico da un banco ad uno scaffale. Dare una pulitina al vetro di un Antonio Bueno lasciandolo disteso, perchè è così grande che in piedi pesa. Compilare il modulo dell'assicurazione da chiodo a chiodo per un Soffici da piangerci sopra mentre parte per una Mostra museale, giusto perchè Ristori ha il polso in gesso e non può farlo lui. Tenere in mano capolavori del Novecento come se fosse la cosa più naturale dell'universo, tipo, che ne so, allacciarsi le scarpe o lavarsi i denti. Andare a mangiare un boccone di corsa e trovarsi spalla a spalla con Giuliano Vangi, tanto per dirne una pazzesca di oggi a pranzo, che se ne accorge (LUI!) e viene a stringere la mano a Franco Ristori. </div>
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Tirinnanzi è profondamente "sentito" a Firenze, è stato molto amato. C'è in moltissime case, e ancora lo cercano, lo coccolano, lo ammirano (cosa che con gran mio stupore - io vengo da fuori, e vedo tutto con l'occhio di "fuori" - non avviene per nulla, ad esempio, con Vinicio Berti, che ha goduto della stessa "riscoperta" grazie al lavoro certosino di Giovanni Faccenda e alla potenza televisiva di Orler TV, ma che a Firenze fa fare a molti, ancora, la boccuccia storta). Mi colpisce da morire, più di tante altre cose che riguardano Tirinnanzi, quanto sia amato appunto dalla gente comune. Io me ne sto lì intere ore, un po' perchè non mi va di stare in albergo, un po' perchè mi piace da matti, e queste persone entrano, si guardano intorno, chiedono timidamente informazioni anche a me, perchè evidentemente al posto del cuore tengo appiccicato il cartellino della Bottega. Giovani, meno giovani, adulti, anziani, normali. Tre signore, amiche. Un pensionato con il figlio. Una coppia di anziani. Due signori soli soletti alla chetichella. Quattro amici un filo spocchiosi. Un tipo che avrà avuto più o meno la mia età, che aveva accompagnato la moglie e il gatto con una zampetta rotta dal veterinario, e doveva aspettare che uscisse. Gente di tutti i giorni, insomma, gente che magari deve fare i conti con il fine mese, il più delle volte; il pensionato mi ha quasi commosso, perchè si vedeva lontano chilometri che avrebbe voluto prendersene uno, magari piccolino (gli sorrideva, mi ha anche chiesto un parere tra due, uno con le nuvole primaverili, e uno con un'atmosfera di ghiaccio invernale che sapeva di freddo ma aveva una luce unica sullo sfondo, lattiginosa, chissà dove l'aveva vista Tirinnanzi una luce così), ma deve prima tornare a casa e valutare quanto può esporsi, perchè poi ci sono le bollette da pagare e le spese da fare. In compenso con il figlio ho parlato di Licata. E poi l'uomo del gatto, che non ama i quadri con i personaggi colorati e preferisce le campagne con i casolari, e quindi ha esattamente i miei gusti per quanto riguarda i soggetti di Tirinnanzi (infatti gli ho fatto subito guardare il mio, che sta a pagina 205 del Catalogo Generale, per vedere cosa diceva), con il quale ho chiacchierato a lungo di quanto bello sia poter comprare qualcosa che ti piace e ti emoziona, senza dover pensare al fatto che possa valere, domani, oggi, o mai, dal punto di vista economico. Un altro tipo di valore, incommensurabile.</div>
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Tutta gente che ha condiviso con me qualcosa, ha accarezzato i dipinti ora con gli occhi, ora con le dita, timidamente, ed è tornata alla sua vita "normale" con in gola un sospiro, mentre io me ne stavo "normalmente" con in mano il listinello dei prezzi, in mezzo ad un girotondo di Tirinnanzi che regge il confronto con quelli esposti a Palazzo Pitti. </div>
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Lo so che questo post sta venendo fuori un po' senza senso, di quelli senza capo nè coda, e probabilmente la prossima volta che mi verrà voglia di scrivere unitamente al sonno ed alla stanchezza del viaggio sarà il caso di rimandare l'esperienza. Ma volevo darmi un compito, subito subito, un obbligo morale, quanto meno per i prossimi giorni, finchè qualcuno dei miei assicurati non mi farà saltare i nervi (cosa che non accade raramente, di questi tempi): sentirmi una privilegiata. Non lamentarmi. Ripensare a ciò che provava la "me" di qualche anno fa solo perchè era stata invitata in un Museo senza l'allarme. Essere conscia di aver avuto, negli ultimi quattro anni, una vita molto, molto fortunata. Che valeva e vale la pena di vivere al mille per cento.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-37066735124544443552015-05-03T18:39:00.000+02:002015-05-09T17:00:41.026+02:00Mistero buffo su Claudio Cionini<div style="text-align: justify;">
Il fatto che Trecose sia momentaneamente (ecco, "momentaneamente" è proprio la parola esatta) inattivo, non vuol dire assolutamente che lo sia anche io.</div>
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A parte il lavoro, che mi assorbe, lo ammetto, molto più di quanto vorrei e, soprattutto, molto più di quanto meriti la gente che mi circonda - intesa come la nuova veste tecnologica e subdolamente sprintosa della mia Mandante (che non ha ancora capito cosa vuol dire essere assicuratori - e del resto come potrebbero capirlo, visto che fanno questo mestiere da appena 52 anni e non da 136 come quelli di prima, senza contare che per i primi 30/40 si sono limitati ad essere l'emanazione di un partito politico più che realmente una Compagnia di Assicurazioni), e anche intesa come tutta quella cospicua fetta di Clienti, peraltro minacciosamente sempre più grossa, davvero convinti nel profondo che io sbavi e faccia chissà quali altre porcherie pur di acquisire e/o mantenere contratti con premi sempre più risicati e con il sinistro già garantito; a parte ciò, dicevo, un pochino di tempo riesco ancora a ritagliarmelo per attività piacevoli.</div>
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Onestamente, riguardano tutte l'arte (come potrebbe essere altrimenti?), e quindi in fondo anche gli uomini, visto che nel contemporaneo - arte sviluppata da artisti viventi con mercanti viventi - le due cose vanno a braccetto. Insomma, sempre sulle mie Tre Cose mi impantano, ma in fondo mi sta bene, sono felice così.</div>
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Assieme a questo post ne metto un altro, "Magia: Atto Sesto" (non so se sta sopra o sotto, il confezionamento del Blog riesce ancora a sorprendermi, ma in ogni caso andrebbero letti in coppia), che è un pezzo scritto da me e pubblicato nel Catalogo dell'ultima Mostra di Claudio Cionini, a Pietrasanta. </div>
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Franco Ristori mi ha scosso dal torpore creativo in cui ero sprofondata chiedendomi di scrivere qualcosa per lui, e a una persona come Franco Ristori non si dice di no, mai. Perchè è generoso, perchè è di parola, perchè ha ancora dei valori, e perchè lo merita. Ho passato anni incredibili, da quando ho iniziato a collezionare arte, in cui credo di aver fatto il percorso tipico del collezionista "di pancia", molto romantico e poco milionario: credi a tutti - vuoi bene a tutti - compri da tutti - vai dappertutto - fai indigestione di parole - azzeri i risparmi - pensi da solo - non credi più a nessuno - ti stanno tutti sulle scatole. Più o meno. </div>
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Ecco, io ho conosciuto Franco quando ero all'incirca tra il "azzeri i risparmi" e il "pensi da solo", e se a lui continuo a credere e sulle scatole non mi sta un motivo ci deve essere. E poi, quando vado a trovarlo e mi nascondo nell'angolo più piccolo della sua già minuscola Bottega, riesco a non pensare mai al lavoro, alla Mandante subdola e ai Clienti fastidiosi. Lui mi coccola, e mi lascia toccare e parlare con tutti i quadri che tiene appesi o infilati in qualche buco, come se fossero miei (aspetto fondamentale, visto che ho già chiarito come lui sia entrato nella mia vita artistica dopo il "azzeri i risparmi"). Anzi, a volte io lo gufo, sperando che certe meraviglie non riesca a venderle a breve, così da potermele ritrovare la volta successiva, per finire le nostre mute storie, invece che saperle traslocate in qualche casa, tristi tristi senza di me. Per una volta questa crisi che ancora non accenna a lasciarci stare, e che lascia senza voglia di comprare anche chi ci era abituato nel midollo, tutto sommato mi fa comodo, perchè io un Sironi degli anni buoni, o un Antonio Bueno a fondo nero 50 x 70, o un Ardengo Soffici da buttarsi per terra, mi sa tanto che non me li potrò mai permettere (mi sono permessa un gran bell'Emblema, nella fase "vuoi bene a tutti", che poi Ristori mi ha geneticamente modificato tutt'attorno per farlo rientrare nel "pensi da solo").</div>
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E' stato incredibilmente interessante affiancare Franco nella genesi di questa Mostra; io avevo già scritto per quella di Roma, e anche parlato all'inaugurazione (come ho raccontato qui: <a href="http://trecose.blogspot.it/2013/09/roma-esordio.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2013/09/roma-esordio.html</a>), ma era stato tutto più casuale e visto come da lontano. Qui invece ho vissuto tramite lui tutto il percorso dall'inizio, dall'impaginazione del Catalogo alle schermaglie pseudo-amorose per ottenere i patrocini delle Istituzioni (farei prima ad assicurare una multinazionale del petrolio!), dai nomi di chi ci doveva scrivere a quelli di chi ci doveva parlare. Per non parlare del titolo, che solitamente viene deciso dal Curatore in base al contenuto del proprio saggio inserito nel Catalogo, mentre a Franco quel "Le città visibili" di Riccardo Ferrucci andava di traverso ogni volta che pigliava in mano le bozze. </div>
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Che "Le città invisibili" di Italo Calvino sia un romanzo straordinario per la nostra letteratura del Novecento è un dato di fatto che nessuno può permettersi di smentire, come altrettanto il fatto che lo abbiano letto tutto in ben pochi (io stessa, lo ammetto, nonostante la mia Laurea in Lettere, per giunta con il corposissimo indirizzo in Letteratura Italiana e non in Storia del Cinema, Arte Medievale o altre amenità simili, mi sono limitata a lunghi brani estrapolati), proprio per la sua particolarità. E' una sorta di romanzo d'élite, anche all'Università, figuriamoci alle scuole superiori dove è già tanto se arrivi agli esami di maturità facendoti di corsa la trafila Foscolo-Manzoni-Leopardi e Pascoli-D'Annunzio & Co. con la lingua di fuori.</div>
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Giusto perchè ogni tanto riemerge in me l'animo da insegnante di italiano mancata, spieghiamo che è un romanzo in cui Calvino gioca volutamente con i suoi lettori (in effetti ne ha scritto più di uno fatto così, si vede che si divertiva parecchio, probabilmente il più noto ai mortali di oggi è "Se una notte d'inverno un viaggiatore") creando capitoli "spacchettabili": è come un mazzo di carte che possono essere mischiate, creando ogni volta percorsi diversi e finali diversi. Nasce come una sorta di dialogo/monologo di Marco Polo alla corte di Kublai Khan (interrogato dal curioso orientale sul suo mondo di provenienza), e descrive città su città praticamente inventate di sana pianta. Città "invisibili", aggettivo sul quale Ferrucci gioca un po' per dire che Cionini invece, le sue, le rende evidenti, e ben identificabili, ai nostri occhi. Il che, per uno che conosce il libro e ne ha letto almeno qualche brano, è anche un doppio senso carino, suvvia, non mortifichiamo il Curatore. Ma per chi non sa neanche dell'esistenza di questo romanzo (e bisogna essere onesti ed ammettere che ce ne sono parecchi, in questo secondo gruppo), come titolo di una Mostra sembra piatto, sembra pasta in bianco, purè e stracchino, non ispira e non evoca un bel niente, con Ristori che scalpita. </div>
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Per fortuna che da Internet, nella massa multiforme di dati nozionistici e da cruciverba che sciorina, gli è saltata fuori quella citazione spettacolare dal libro in questione che è: </div>
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<i>"Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone"</i></div>
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e che pareva cucinata apposta per il titolo di una Mostra. </div>
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Occhei, è triste sapere che tutti ci riduciamo a Wikipedia, che nessuno legge più il Novecento italiano, che non ci sono più gli intellettuali di una volta, ma siamo pratici: dopo l'inaugurazione, quando tutti questi bei faccini intellettuali se ne saranno andati a casa felici e contenti con le loro copie del Catalogo non pagato sotto il braccio, dopo le strette di mano e le foto e i video, ci vuole qualcosa che colpisca e che attiri dentro gente che li compri, questi benedetti quadri. Su questo concetto io, personalmente, ci ho girato attorno parecchio; Claudio Cargiolli, che era presente, è venuto anche a stringermi la mano e a ringraziarmi per averlo detto, tenerissimo lui, perchè sembra che troppo poca gente se ne accorga. </div>
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Senza considerare, comunque, che la frase sul deserto è metaforicamente perfetta non solo per le città in quanto tali, ma anche per la personificazione della città in ciascuno di noi: non dimentichiamo che Cionini dipinge città vuote, senza umanità presente, appena appena con qualche autovettura fugace al cui interno non si intravede mai nessuno, quindi possiamo tranquillamente dire che le personifica, che quelle città siamo NOI, ognuno con la nostra storia e il nostro vissuto, chi si sente Roma, chi Parigi, chi New York in base alle nostre sensazioni passate, presenti o desiderate per il futuro... Insomma, se avessi avuto tre ore a disposizione avrei potuto costruirci sopra un discorsetto mica da ridere, giusto per far vedere che anch'io sono capacissima di parlare di un bel niente ma che fa tanta scena. Inoltre, il nostro "essere" è così come lo crediamo, oppure è la vicinanza con ciò che ci circonda (il nostro "deserto" tutt'attorno) che plasma, dall'esterno, l'essenza che crediamo di avere? Io e l'Altro, l'eterno dilemma. Io città, l'Altro il deserto, oppure viceversa?</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZDpKDyjaiRAANr2Aail6E7ixUq1y0LThBXnYTZrAmncO9GOf_lMDy3EF__kHU3v3Qdhmg_WoDB548iNA2gfoOQ0rZu05e1mN1scbWCUwss2Yppgjau6rjgNh5e12FgsHBiO-_-sfz_JxI/s1600/NY.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZDpKDyjaiRAANr2Aail6E7ixUq1y0LThBXnYTZrAmncO9GOf_lMDy3EF__kHU3v3Qdhmg_WoDB548iNA2gfoOQ0rZu05e1mN1scbWCUwss2Yppgjau6rjgNh5e12FgsHBiO-_-sfz_JxI/s1600/NY.JPG" width="400" /></a></div>
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<i>(Oggi io mi sento tanto questa N.Y.)</i></div>
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Da qualche parte su YouTube gira anche il video di quella sera, un paio d'ore di registrazione compresse in venti minuti, che rappresentano l'evoluzione delle mie figure di m/da iniziate col tristemente famoso "microfono sotto la faccia" alla Mostra di Vincenzo Balsamo al Chiostro del Bramante, secoli fa, anche se devo dire che questa volta è stato divertente (sostituivo a tutti gli effetti Roberto, braccio destro di Ristori, che aveva una validissima scusa per non essere presente data da moglie incinta con termine scaduto, poteva arrivare il fiocco azzurro da un momento all'altro). </div>
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Questo cameraman di Toscana TV deve essere un pochino più bravo di Giuseppe De Luca, perchè mi fa sembrare infinitamente meno bassa e cicciottella (mi sono beccata da più di qualcuno un entusiasta "caspita, sembri davvero una figa, non si direbbe", complimento gaffoso che è sempre tutto un programma e al quale io sono abbonata da circa vent'anni, precisando che per assumere quell'aspetto ci metto più o meno un'ora e mezza, e mezz'ora a festa finita per rientrare nei miei usuali panni, manco fossi fagocitata da un alieno). </div>
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Aggiungo altresì che sembro affetta da demenza senile, perchè praticamente ripeto parola per parola - o quasi - le stesse cose col cappotto addosso e senza cappotto addosso, ma a mia discolpa devo dire che mi ero preparata la scaletta per il primo intervento (quello senza cappotto, montato in video per la sua metà finale), mentre l'intervista tête-à-tête mi ha spiazzato, e si sente. Ho ripetuto le stesse cose cannando anche qualche verbo, convinta che uno dei due interventi venisse eliminato, mentre alla fine me li sono ritrovata in video uno dietro l'altro stile copia/incolla. I puristi del "public speaking" direbbero che è meglio la versione con tante pause e gli avverbi così sofisticamente nasali della versione "panico", ma io in realtà sono quella più alla mano senza il cappotto, quella che coinvolge il pubblico sgamando i commenti bisbigliati, quella che lascia in sospeso le frasi, quella che rimbrotta i Senatori perchè le fregano gli argomenti. </div>
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Poco male, i complimenti a Franco Ristori li ripeterei all'infinito, se li merita tutti, sono straconvinta che se Claudio Cionini è arrivato a questi livelli il merito è anche dei consigli di Franco, da un lato, e della serenità economica che è riuscito a garantirgli, dall'altro. Averne, nel mercato dell'arte, di gente come lui che caccia puntualmente ciò che serve (TUTTO ciò che serve), senza contare cosa è venduto e cosa resta ammucchiato in garage, del resto i pittori per continuare a dipingere devono mangiare a fine mese anche loro, mica si cibano di "conto vendita", preferiscono le bistecche e la pastasciutta, come gli impiegati di banca, o i serramentisti, o gli infermieri.</div>
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Vissuta la Mostra, con le ultime creazioni di Cionini, a mio parere una più bella e più intensa dell'altra, mi resta solo un dubbio, che è lì che gira da un pezzetto, e per sussurrare il quale ho anche chiesto il permesso a uno dei diretti interessati, perchè non mi sembrava galante raccontarlo. </div>
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Io non capirò mai, e giuro mai, perchè gli Orler non abbiano dato una possibilità a Claudio Cionini. Ci siamo andati vicini, vicinissimi, c'erano venticinque tavole sue di diverse dimensioni e soggetti (città e fabbriche, queste ultime probabilmente più "difficili" ma profondamente più affascinanti) arrivate nei loro studi, e poi niente. Il buio totale. Nominare Cionini da Orler è diventato come evocare Belzebù in una chiesa. </div>
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Magari un giorno, improvvisamente e con tanto di fasci luminosi e musica d'altare, mi verrà svelata la Verità, che sicuramente NON è che non piace al venditore di turno o al fratello Orler di turno, come mi è stato detto, ma mica siamo deficienti qui, eh. Da che mondo è mondo, il venditore vende quello che la proprietà gli dice di vendere, altrimenti non mi spiegherei certe schifezze sovrumane che passano, ogni tanto, quando capita, per gli studi di Favaro; certo, forse Dario, a volte, si può permettere dei no (e vanno accettati perchè lui è in assoluto il numero uno dei televenditori italiani), anche se non posso fare a meno di chiedermi se DAVVERO abbia in camera sua i collant di Ala appesi al muro. Probabilmente anche Carletto a volte si impunta (secondo il mio modestissimo parere senza gli stessi meriti) perchè fa tanto professor-style, ma di certo non credo lo faccia Giovanni Faccenda, che è diventato espertissimo di arrampicata sul liscio e riesce tuttora a vendere l'invendibile, a volte non so come ci riesca, e all'epoca delle venticinque tavole non lo faceva Franchino Raccioppo, il più improbabile dei teleimbonitori che però quando era in vena avrebbe venduto anche la giacca, sopra ai quadri. Giovanni, fra l'altro, nella sua vita precedente ha curato quattro Mostre di Cionini, trovo improbabile che possa non piacergli, che abbia scritto e parlato solo per compenso. Magari lo fai una volta, del resto è il tuo mestiere, ma non quattro, sarebbe diabolico. </div>
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Immaginare discussioni fra i fratelli Orler se un pittore sia valido oppure no sul piano artistico, per non macchiare il buon nome dell'organizzazione, è pura fantascienza (vogliamo fare dei nomi e dare un voto al valore?! No, non vogliamo, diventerei cattiva): gli affari sono affari (te lo insegnano alle elementari, guadagno = ricavo - spesa, vale per le mele, per le magliette e per le opere d'arte!), se sono mercanti svegli, vendono ciò che si vende bene, bello o brutto che sia, basta che piaccia a chi compra. </div>
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E Cionini piace, caspita se piace! Io in ufficio ne ho più di uno, e non c'è persona - di qualunque livello, provenienza, ceto sociale, preparazione scolastica, e chi più ne ha più ne metta - che non lo ammiri. Chiaramente ognuno ha i suoi motivi, mi sono sentita dire anche che ammiravano il suo uso del colore, gli accostamenti più dolci e soffusi, perchè ricordava quello di certe borse e di certe scarpe (sic), ma se la persona che dice questo ha comunque duemila Euro da spendere per un quadro, per quanto mi riguarda scarpe e borse restano motivazioni personali validissime. Nessuno di noi (parlo per prima perchè io ne ho cinque) è così ingenuo da pensare di farci i miliardi, un domani, ma siamo seri, non lo penso neanche di Marcello Scuffi, di cui adoro la pittura con tutta me stessa! Però quella di Claudio, come quella di Marcello, è pittura che mi fa STARE BENE quando mi ci piazzo davanti, per un momento che non va calcolato perchè il bello è esattamente questo: fermare il tempo. E' pittura VERA, con le sue colature, le sue sabbie, i suoi chiaroscuri, i suoi lampi di luce, e adesso che dipinge Firenze un po' più spesso di una volta, anche con i suoi riflessi d'acque, i suoi tramonti, le sue cupole lontane. </div>
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Aspetto non trascurabile, anche se ben più terra-terra, costa relativamente poco. Visto che i veri danarosi ormai se li contendono tutte le Gallerie fino allo stremo (e poi i veri danarosi vogliono la certezza dell'investimento, altrimenti a cosa serve essere danarosi, quindi per loro uno come Cionini resta robetta, o sei De Chirico o niente), non vedo perchè non prendere in considerazione un pittore giovane con un listino accettabile da presentare ad una platea vastissima e sconosciuta come quella televisiva, che non se la fila nessuno ma che un bel quadro in casa magari se lo piglia volentieri. E poi, si sa, da cosa nasce cosa. </div>
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Un pittore giovane ma non più esordiente, già molto bravo ma con margini di cambiamento se te lo tiri su bene, con soggetti che non siano già stati visti da Orler (un metropolitano non mi risulta l'abbiano mai presentato), con uno stile suo che non cozzi con nessun altro nome di scuderia, che dipinga abbastanza per una distribuzione decente (perchè Armodio è immenso davvero, e Cargiolli pure, ma restano la ciliegina sulla torta per pochi privilegiati, e chiedere loro di produrre di più, di "fare numeri", significa snaturarne l'anima e il lavoro). </div>
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Un paio di Clienti Orler amici miei ce l'hanno, Claudio Cionini, in casa e in ufficio, perchè ce l'ho portato io assieme a Franco Ristori, in furgone, e fare agli Orler questo piccolissimo cornetto mi è dispiaciuto solo a metà. Perchè nella vita bisogna svegliarsi, quando serve, e riconoscere i treni buoni da quelli lenti, a volte, può fare la differenza. Da entrambe le parti.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-24754826868298073432015-05-03T17:13:00.000+02:002015-05-03T17:13:42.569+02:00Magia: Atto sesto<div style="text-align: right;">
<i>"Si dice che ogni persona è un'isola e non è vero,</i></div>
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<i>ogni persona è un silenzio,</i></div>
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<i>questo sì, un silenzio,</i></div>
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<i>ciascuna con il proprio silenzio,</i></div>
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<i>ciascuna con il silenzio che è"</i></div>
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<i><br /></i></div>
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<i>J. Saramago</i></div>
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Mi piace interrogarmi, spesso, sui legami fra le persone. Su cosa sia <i>quel qualcosa</i> che rende speciale una determinata amicizia, un amore duraturo, un sodalizio professionale. </div>
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E, anche, se sia più facile (più bello, più semplice) farli durare, certi legami, quando si è molto simili - così da condividere ogni momento importante con la stessa intensità - piuttosto che molto diversi - così da trasformare ogni giornata in confronto ed arricchimento reciproco. Osservo le persone, e cerco spunti di riflessione.</div>
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Mi è successo anche quando ho incontrato Franco Ristori, e tramite lui ho presto conosciuto (è tappa obbligatoria, come il rifugio per chi percorre un sentiero montano) Claudio Cionini; poichè la Bottega Ristori è ricolma delle tavole crettate di Claudio, di ogni dimensione, e nelle pennellate di Claudio - nei suoi vasti cieli, nei suoi spazi di madreperla - rivedo molti sguardi di Franco, molti sogni, molte sue esortazioni, ed un'infinità di racconti di vita vissuta. </div>
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Sarebbe decisamente semplicistico etichettarli entrambi come "toscani" (quand'anche geograficamente corretto per chiunque - come la sottoscritta - provenga da un'altra regione, per giunta non confinante), non foss'altro perchè vivono e trasudano gli umori, i sapori, le storie antiche del territorio di due province totalmente diverse, direi a tratti contrapposte, e probabilmente l'accostamento non farebbe piacere a nessuno dei due. Anche nel mio Veneto, d'altronde, i "confini d'anima" tra le sette province sono rigidissimi e invalicabili.</div>
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Scavando un po' più a fondo, e convinta che ciò che ha tenuto uniti per anni un giovane pittore piombinese e un accigliato Maestro artigiano di Firenze fosse comunque una sottile somiglianza e non una lampante diversità, mi sono resa conto di questo: sono entrambi uomini che parlano poco e amano molto.</div>
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Timido e schivo Claudio Cionini, mi lascia sempre il delicato sospetto se quella barba appena accennata (così incerto, nel lasciarla libera o nel respingerla) serva il più delle volte a nascondere le guance fattesi improvvisamente purpuree davanti ai complimenti che, sempre, i suoi lavori suscitano. Perchè è così, si badi bene: la sua è pittura che strappa sempre l'emozione, il plauso unanime, l'interesse vivo dell'addetto ai lavori come dell'anonimo passante che si ferma per attendere l'autobus, e poi lo perde, quell'autobus, con il respiro a mezz'aria e lo sguardo rapito nel groviglio lineare, nel luminoso baluginio dei tetti di New York. O negli squarci rosa di Londra. O nell'umidità di una pioggia berlinese: alla fermata di Via Gianni in Firenze l'autobus si aspetta sempre di spalle, del resto. Il viso sprofonda in quella vetrina, oltre la quale c'è solo poesia. Anche tra i fruitori del trasporto pubblico di Firenze, ne sono assolutamente sicura, si creano legami invisibili, tra chi si attarda per un ultimo, fuggevole saluto ad una lieve Parigi, alle sue colature di grigio, alle sue nubi gonfie imbrigliate tra gli edifici storici, alle sue auto appena accennate, pennellate irriconoscibili di solo movimento, modernità di metallo che trattiene il fiato, anch'essa, davanti al silenzio del marmo. </div>
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Parla davvero poco, e fa fatica a raccontarsi, Cionini, anche se incalzato da chi vorrebbe conoscere la sua storia di artista così giovane eppure così talentuoso, con un vissuto di Mostre di peso, presente in collezioni importanti, anche di luoghi istituzionali prestigiosi. Da chi vorrebbe sapere da dove nasce questa attrazione così violenta per la <i>fabbrica</i> prima, e la <i>città</i> subito dopo, e non "la Città" in generale, ma specifiche città, metropoli, di continenti diversi. Vere, individuabili, reali sebbene filtrate attraverso attimi improvvisi di Claudio, perchè lui ama travasarsi, quasi liquefarsi in quelle strade, nei palazzi, che diventano essi stessi persone. </div>
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Ecco l'amore: l'amore di Cionini per la pittura in sè, che diventa bisogno di trasferire nel disegno e nei colori, sulle tavole, nel <i>gesto</i>, ciò che egli non vuole spiegare a voce, perchè la parola darebbe a tutto solamente un senso, e non i due, tre, quattro sensi che invadono tramite, appunto, la pittura. A cominciare dal tatto, con le dita che possono <i>sentire</i> la preparazione della tavola, gli strati di colore, l'alternanza dei coaguli come passaggi pedonali. </div>
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L'amore per la ruggine delle fabbriche, per la loro anima scura e celata, per quelle solitarie architetture spezzate, che rappresentano una parte del suo passato, e comunque testimoniano il legame con la sua terra d'origine, un legame di viscera, un cordone ombelicale che non si taglia neanche quando prendi il volo per l'Altrove. </div>
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L'amore per <i>quelle</i> città europee, australiane, americane, ciascuna delle quali ha rappresentato per lui un punto di partenza e, contemporaneamente, un punto d'arrivo. </div>
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L'amore per Edith, compagna di vita, anch'ella persona dagli sguardi densi, che chiude il suo cerchio in una Berlino sospesa nel tempo.</div>
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Franco Ristori incontra Claudio Cionini per la prima volta nel 2005, nell'ambito dell'iniziativa benefica "Colazione da Ristori", da lui organizzata nel cuore della sua Bottega, e lo <i>sente</i>, lo sceglie in mezzo a cinquantacinque pittori. Vede l'"oltre" in un ventisettenne che ha ancora l'Accademia nelle dita. Da quel momento diventa il suo mentore, guidandolo, tracciando un solco da seguire per incanalare talento e passione affinchè non vadano sprecati, ma maturino lentamente, come frutta al sole. Non troppo presto, per evitare la puntura dell'acerbo, nè tardi, quando il succo ormai cede, ed evapora. Franco Ristori sa bene come gestire talento e passione perchè egli stesso li incarna, silenziosamente, a Firenze, da quasi cinquant'anni. Uno degli ultimi, forse l'ultimo vero Artigiano nel senso più squisitamente profondo del termine, che trae l'etimo da Artes: <i>le arti</i>. Non è solo produzione manuale: è creazione, è sperimentazione. E' studio di forme, materiali e colori, da adattare di volta in volta, da cucire addosso, come un vestito alla pelle, alle curve, al calore, sulle vene. Tutto questo senza sprecare fiato, senza orpelli, senza quei titoli onorifici o accademici che, normalmente, per la gente comune rappresentano il termine di un percorso di studi. Il percorso di Franco Ristori - che uomo comune non è, e non sarà mai - è fatto per non finire: sta tutto nell'abilità dei suoi occhi, nel vedere prima degli altri come un manufatto prenderà forma, e delle sue mani, per una realizzazione perfetta. Uno dopo l'altro, dopo l'altro.</div>
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Amore senza freni, totalizzante, anche il suo, per una vita di lavoro spesso duro, ma che lo porta con umiltà ad avvicinarsi ai più Grandi, a tenere fra le mani Picasso, Schiele, De Chirico, Munch, Balla, Carrà, Sironi, a studiarli, per trasferire i loro segreti, per tramutare l'esperienza in consigli. Senza inutili chiacchiere, senza grida sguaiate, è proprio per Claudio Cionini che crea per la prima volta cornici rugginose. Sono esattamente gli altiforni di Piombino, sono le fabbriche abbandonate che egli tanto ama quando ritratte dal "suo" ragazzo come cupi alieni, immoti ed insaziabili, che gli ispirano quelle polveri sottili, rossastre: sembrano corrodere voracemente vecchie ringhiere, mentre mantengono intatta la leggerezza del legno, e donano alle opere di Claudio una vitalità segreta. Qualche grammo di Claudio Cionini, giusto il peso dell'anima, rimarrà sempre in quelle sabbie screziate che tanto appassionano, e che vestono, a loro insaputa, molti altri artisti, in tutt'Italia.</div>
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Eccoli nuovamente riuniti oggi, questi due appassionati toscani taciturni, in una città della Toscana, Pietrasanta, che è per molti aspetti culla d'arte, centro di riferimento internazionale di artisti e studiosi. Personalmente ne conservo, come metafora ricorrente, una memoria silenziosa: ricordi di un'estate assolata ed immobile, ricordi di piazze deserte come specchi, limpide come necessità di sopire le urla che troppo spesso soffocano il mondo dell'arte contemporanea, che ne profanano la ricerca, lo studio, l'impegno ed il talento, sull'altare del puro profitto. </div>
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Una nuova Mostra, dopo Fiesole, Firenze, Arezzo, Pontedera e Roma, vede incrociare ancora le loro storie e le loro vite. Claudio Cionini è decisamente più adulto, Franco Ristori è diventato nonno (forse, grazie a ciò, anche un po' meno corrucciato). </div>
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E io attendo, nuovamente, certa, lo sprigionarsi dell'alchimia.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-65781916136396832242015-05-03T16:32:00.000+02:002015-05-05T07:22:20.225+02:00Etica e morale<div style="text-align: justify;">
Sono settimane che mi dibatto tra dubbi etici. </div>
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Il lavoro va male, è ora di ammetterlo con franchezza; praticamente in tre anni il portafoglio dell'Agenzia si è ridotto di un terzo, spanna più, spanna meno. L'Infame ha dato il suo apporto, non c'è dubbio, ma non è assolutamente solo causa sua, anzi, non voglio dargli un'importanza che non ha. Tra l'altro, sono più che certa che in tempi meno duri non avrebbe fatto che danni minimi, da lieve venticello, nonostante il palese furto di contratti, nomi e dati vari; purtroppo, in annate magre come queste andare da un Cliente sventolandogli sotto il naso la fotocopia della sua Polizza e affermando che gliela rifarai uguale-uguale-identica al venti-per-cento-in-meno ha indubbiamente un certo appeal. Anche tra i Clienti più attenti e svegli, intendo, che in tempi non sospetti gli avrebbero sbattuto la porta in faccia. Figuriamoci tra la gente più semplice, tanto per usare un eufemismo, che non andrà mai a controllare che sulla Polizza dell'officina in effetti sì, gli stai facendo spendere il venti per cento in meno, ma semplicemente perchè stai assicurando il venti per cento in meno sui capitali (è molto insidioso, confrontare il premio pagato l'anno scorso mentre i capitali che assicuri sono quelli di dieci anni fa...). Oppure su determinate garanzie che prevedono una franchigia di 250 Euro, gliene schiaffi una da mille. Sento la bile che secerne in abbondanza, quando parlo di lui, quando anche solo PENSO a lui, io che credevo che - dopo più di due anni - non dico mi fosse passata, ma almeno si fosse un po' sopita. E' che in questi giorni si è rifatto vivo, da alcuni Clienti molto affezionati a me, e questa idea che dopo due anni ancora non se ne vada a cercarsi Clienti propri, nella zona ben distante da qui dove lavora adesso, ma sia di nuovo lì, a pescare nel mio acquario tanto è gratis, mi fa meditare propositi omicidi. </div>
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Comunque, dicevo, non è causa sua. E' che - dai e dai e dai - è proprio cambiata la mentalità della gente, in generale. Prendiamo ad esempio le Compagnie on-line: io non le ho mai considerate delle vere concorrenti, perchè si rivolgono ad una clientela completamente diversa da quella che entra in un'Agenzia. Attenzione, non è nella maniera più assoluta una questione di prezzo, anzi, devo dire che più le Compagnie dirette (almeno, le tre-quattro maggiori tipo Genertel, Genialloyd, Linear, che sono realmente degli ottimi marchi) si organizzano con servizi e assistenze complete, e propongono Polizze senza strane rivalse e limitazioni, più i loro premi assomigliano ai nostri, è proprio la scoperta dell'acqua calda. E poi, ultimamente la Compagnia per cui lavoro io ha tariffe RCA talmente basse che spesso riesco anche a starci sotto, ai premi delle On-line più serie, sempre che io lo voglia, ovvio (già spiegato un milione di volte che lo sconto generalizzato a pioggia a tutti i Clienti, anche a quelli che vogliono solo il "minimodelminimodelminimo", è nefasto: lo sconto, anche di entità importante se serve, va conservato per quei Clienti che, nei limiti delle loro possibilità, scelgono di diventare "globali" per l'Agenzia, vale a dire si fidano dei nostri consigli e tutelano anche altri aspetti della propria vita oltre ad ottemperare ad un fastidioso obbligo di legge per le proprie autovetture). </div>
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La differenza tra il Cliente-tipo delle Compagnie dirette e il Cliente-tipo delle Agenzie è puramente comportamentale: il primo trova che arrangiarsi, inserire tutti i suoi dati nel computer, dialogare tramite un software sia figo, l'altro invece no, lo vive con ansia, non sa come cavarsela. Non c'è altro. E va benissimo così, per carità! </div>
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Sicuramente il primo dei due ricade spesso in una fascia di popolazione più giovane, ma mica sempre. Il primo è quello che ama potersi collegare a Internet alle due di notte di domenica, per farsi un preventivo su e via, giusto perchè ha la comodità nelle mani: ha ragione da vendere, io di certo non apro l'Agenzia alle due di notte perchè gira la fregola a lui. Il primo AMA l'autonomia, l'indipendenza, la comodità data da Internet, a costo molte volte di mettersi a studiare argomenti non suoi per informarsi più a fondo e in modo responsabile (qui ovviamente faccio riferimento solo a quelli bravi, che si aggiornano sulle pieghe delle condizioni contrattuali nei singoli siti delle varie Compagnie, che leggono tutto prima di flaggare le caselle, non certo ai molti deficienti che si limitano a usare - e male! - qualche pseudo comparatore che alla fine ti vende qualcosa che non sai cos'è ma che al comparatore fa guadagnare bei soldi, visto che il comparatore altro non è che un Broker come un altro). Il secondo invece o non ama proprio per niente Internet, o non sa usarlo bene, o non lo trova comodo, o lo trova troppo impersonale, chi lo sa, magari tutte queste cose insieme. Magari ama semplicemente chiacchierare un po', o ha più tempo libero nei nostri orari di apertura. In ogni caso, il secondo sceglie di FIDARSI, perchè assicurarsi presso un'Agenzia (di qualunque marchio, in qualunque posto del mondo) significa sotto sotto esattamente questo: scegliere un professionista nelle cui mani mettere i propri rischi, i propri risparmi, le proprie tutele. Scegliere di delegare una specifica persona (che sai che non ti prende in giro e non lo farà mai) affinchè sia lei a leggersi tutte le condizioni contrattuali, a valutare i vari tipi di coperture, e in base a quanti soldini puoi effettivamente destinare alla prevenzione ed alla protezione della tua famiglia - mica sempre tanti, mica sempre tutti, devi pur mangiare e vivere - ti proponga qualcosa che davvero ti serva. Certo, se poi riponi male la tua fiducia e/o credi alle parole di professionisti non degni di questo nome che ti tirano il bidone diventa un problema, ma nè più nè meno di quando succede nelle amicizie, o negli altri aspetti della vita. E' un rischio che si corre quando si dà fiducia a qualcuno, l'alternativa è non fidarsi di nessuno e diventare da autodidatti veri esperti di assicurazioni, impresa, credetemi, che può rivelarsi ardua. </div>
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Quindi: sono tantissimi anni che esistono le Compagnie dirette, e più di tanto non ci siamo mai pestati i piedi a vicenda, perchè i nostri rispettivi Clienti-tipo sono sostanzialmente e profondamente diversi, equamente e amabilmente suddivisi, un po' di qua e un po' di là. Fin qua, tutto chiaro.</div>
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Invece, il perdurare di questo strano e melmoso stato di difficoltà che ci circonda, il restringersi sempre di più dell'imbuto in cui ci troviamo tutti, ha sparigliato le carte. La gente si è incattivita, si è fatta aggressiva, si guarda le spalle e morde, morde, morde sempre. Faccio un esempio, racconto un episodio reale che per me è stato il cosiddetto "fattore scatenante" per i dubbi etici e per tutto ciò che ne consegue e ne conseguirà: l'altro giorno è passato in Agenzia un nostro Cliente. Cliente-tipo nostro, persona di cui sappiamo tante cose, uomo molto dolce e buono che qualche anno fa è rimasto vedovo ed ha pianto la moglie a lungo, dopo una dolorosa malattia. E' stato male, è uscito dalle spire della depressione grazie ad un amico che l'ha letteralmente trascinato fuori casa, a zonzo nelle sale da ballo, facendogli prendere lezioni, finchè in una di queste sale ha incontrato una brava signora (sola anche lei) che è diventata la sua nuova compagna. E' evidente che mica l'ho fatto spiare di nascosto quest'uomo, tutte queste cose ce le ha raccontate lui, volontariamente, nel tempo, assieme alle difficoltà dei due figli per il lavoro, la figlia femmina, bellissima da concorso (le tiene nel portafoglio, le foto delle selezioni per Miss Italia), e il maschio, che lavorava in un'Azienda che assicuravo io e adesso vive all'estero perchè si è innamorato. Questo per mettere in evidenza il tipo di rapporto di confidenza che c'è tra lui e il suo assicuratore, cioè io. </div>
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Occhei, l'altro giorno è venuto da me con un preventivo della concorrenza (ovviamente non Internet, perchè non è QUEL Cliente-tipo), pari a meno di metà di quanto stava pagando lui, e me l'ha dato da guardare: un preventivo normalissimo, con la RCA, l'Assistenza Stradale, e basta. Mentre lui aveva anche, nell'ordine: Incendio, Furto, Grandinate, Vandalismi, Rottura Cristalli, Infortuni del Conducente e Tutela Legale. Praticamente tutto, gli mancava solo la Kasko, ma quella costa, non l'aveva mai voluta considerare. Tra l'altro, nel preventivo che aveva in mano il massimale RCA era il minimo di legge, nella sua Polizza invece tutt'altro, ci girava una quarantina di Euro solo per quello. Facendo i conti con la sola RCA minima e l'Assistenza, da me avrebbe speso meno rispetto al preventivo che aveva in mano, direi abbastanza meno. Ma lui si è incazzato, ha alzato la voce, si è agitato parecchio e ha pronunciato queste magiche paroline: "E' colpa mia, dovevo svegliarmi prima. Dovevo capirlo che potevate fregarmi". Credo che una pugnalata in piena schiena mi avrebbe fatto meno male. E' su questo che gioca sporco, ancora, l'Infame (anche se il preventivo non era suo)! E' per questo che non c'è più spazio per un assicuratore che sappia e voglia fare il suo lavoro come si deve! Abbiamo cercato di spiegarci reciprocamente, ma eravamo chiaramente su posizioni opposte: lui è convinto che io, consulente in cui aveva riposto la sua totale fiducia, debba fargli spendere A PRESCINDERE meno possibile (me l'ha proprio detto: "Paola, dovevi capirlo da sola, con questa crisi", certo, ma ammetto che non sono telepatica, non ancora, almeno). Io invece sono convinta che, proprio a causa di "questa crisi", se ti fai male o ti ciullano la macchina potresti avere dei problemi ben più grossi di duecento Euro all'anno (o "poco più di di sedici Euro al mese", trasponendolo in questo orrendo linguaggio rateale che ora come ora va tanto di moda). Senza contare che ogni anno ne parlavamo, ne ragionavamo, e lui era sempre stato d'accordo con me (e al limite, se avesse voluto ridurre le coperture al minimo, bastava che me lo chiedesse, mica c'era bisogno di agitarsi!), quindi questa esplosione di sfiducia è emersa, come una bolla velenosa, nell'arco degli ultimi dodici mesi. La "crisi" è andata ben oltre, oltre la manfrina del risparmio, oltre il pensare che risparmiando trenta Euro all'anno sull'assicurazione, o sulla bolletta del gas, si risolva un intero ménage familiare (famiglia composta da quattro persone spesso dotate tutte e quattro di smartphone di ultima generazione): ha intaccato la fiducia nelle persone. Siamo tutti contro tutti. Tu mi freghi, io ti mordo. O ti mordo direttamente, tanto presumo che tu mi possa fregare. </div>
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Vengo al punto, e questa volta definitivamente, promesso. Con queste premesse, se viene a mancare la fiducia di base, viene giù tutto il palco. Fai due conti, e l'Agenzia si riduce di un terzo in tre anni. Di mirabolanti nuove entrate non vedo ombre amiche all'orizzonte, anche perchè ormai siamo tutti presi in questa guerra tra morti di fame, e anche se arriva roba nuova è sempre e solo robetta. Perdi robetta vecchia e arriva robetta nuova. Cosa fa un'Agenzia che ha in organico tre impiegate quando il suo portafoglio si è ridotto di un terzo? Suvvia, il passo è breve e il conto è facile: una deve stare a casa. Subito, presto, perchè se continuiamo di questo passo, se il trend è questo, tra qualche mese non sarò neanche in grado di pagare gli stipendi. E io sto male, malissimo. Sto male perchè vedo disperazione tutt'attorno, e so che ne aggiungerò altra. Sto male perchè continuo a vedere e sentire quelle oscene pubblicità in cui le allegre famigliole sono contente perchè i Famosi Supermercati tengono i prezzi bassi per "aiutare gli italiani", c'è anche il nonnetto sempliciotto che tanto per cambiare ha la calata veneta (chissà perchè, quando c'è il tonto di turno parla sempre senza le doppie), e poi qui da me si stupiscono perchè ottanta-dico-ottanta persone sono state lasciate a casa, da un supermercato. Parla una che non fa l'economista, ma se continuiamo a grattare i prezzi senza fare altro arriveremo ad un punto di non ritorno (a naso direi che dovrebbe essere più logico alzare i salari per aumentare i consumi, possibilmente agendo sull'enorme peso delle tasse sui salari stessi, ma ripeto: mai capita una cippa di economia). Mi sta bene un po' di sana concorrenza, non amo di certo il monopolio (su tutto, dalle assicurazioni al formaggio, dai mobili al salame, dai vestiti alle automobili alle utenze telefoniche alle sigarette), ma fino ad un certo punto: se oltrepasso quel punto, quel margine che permette un guadagno, allora diventa sterminio. Guerra tra i poveri. Abbasso i prezzi ma licenzio, ed inizia una spirale senza fine. La concorrenza va bene finchè crea posti di lavoro, non quando ti attacca alla canna del gas. </div>
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Una deve stare a casa.</div>
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Una deve stare a casa.</div>
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Una deve stare a casa.</div>
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Sto male. </div>
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Non solo perchè, egoisticamente, a me sono sempre servite tutte e tre, così diverse: c'è quella intelligente e precisa, che difficilmente sbaglia quello che fa, ma ai Clienti sembra distaccata e fredda (probabilmente è l'effetto di un'eccessiva timidezza) e quindi ha ruoli da amministrativa pura, che in Agenzia ormai sono poco sostenibili, devono mettersi a vendere anche le sedie, tra un po'. Poi c'è quella che non si capisce un tubo quando parla, però è sempre pronta e disponibile ad ogni nuova iniziativa (salvo sbagliare un po' troppo spesso cose di estrema semplicità spiegate trecentomila volte), e poi è davvero una gran gnocca fisicamente, i Clienti ci fanno la coda, soprattutto d'estate. Infine c'è quella cicciottosa che sa sorridere, che è la più commerciale di tutte e ha sempre saputo usare la parola giusta al posto giusto al momento giusto, che piace un sacco per empatia, però è stanca, parecchio stanca, non ha più tanta voglia di impegnarsi, non sempre fa le cose che le chiedi. Non più; in compenso fa molti più errori. </div>
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Sto male perchè conosco le situazioni di tutte e tre, e so perfettamente quanto ad ognuna serva, questo lavoro, per le motivazioni più disparate, non sempre economiche, a volte anche di impegno personale e mentale, per avere la coscienza di una realtà diversa (spesso più importante, questo, dello stipendio in sè). </div>
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Sto male perchè mi chiedo se serve davvero, arrivare a questo punto. Magari è ora che smetta io, invece. Magari non sono più fatta per questa professione, per questa professione come è diventata ORA. Forse sopravvivono solo i più aggressivi di noi, o i più ballisti, chi lo sa, di certo io sono una che non stressa, non sono aggressiva proprio per niente: non chiamo la gente a casa di sera mentre mangia, non mi piazzo fuori della porta, non forzo la mano a nessuno, mai. In un mondo in cui c'era chi si fidava io avevo un mio perchè, e anche bello grosso direi, ma in un mondo di cane-mangia-cane che ci sto a fare, con le mie mille attenzioni, con i miei scrupoli, con la mia consulenza a volte fine a se stessa ma solo per il gusto di averla fatta, anche se il Cliente non ha firmato niente, ma è informato e soddisfatto.</div>
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Certi mestieri finiscono, con naturalezza. Mi sento tanto un maniscalco, con tutto questo amore per le zampe dei cavalli mentre sta arrivando, prepotentemente, l'automobile.</div>
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Mi chiedo se serve che io sacrifichi una dipendente, che è una persona, una vita, e che con ogni probabilità (per età, attitudini e capacità) non troverà mai più un altro lavoro, se poi magari tra qualche mese sono io stessa a mollare, e allora tenendo duro potevo lasciare un organico da tre a chi subentrerà a me, al probabile cazzutissimo aggressivo ballista. Certo, nell'immediato risparmierei parecchio, tanto da tener duro per un altro anno o due, ma poi? Poichè nessuno ha certezze, è giusto sacrificare una pedina del gioco solo perchè ho il potere di farlo? Ma del resto, mi ripeto, ho bisogno anche io di una boccata d'aria, visto che i costi sono sempre quelli mentre i guadagni sono un terzo di meno, e checchè ne dicano quei grandissimi fenomeni dei Sindacati (un grosso bubbone, un enorme handicap di questo Paese! Avevano un senso a inizio Novecento, quando gli operai morivano nelle fabbriche sprangate senza alcuna tutela, non certo adesso per alimentare solo ed esclusivamente i loro nomi e i loro privilegi, ingessando il mercato del lavoro!) non posso farmi carico di un dipendente che non mi serve più, che non riesco a pagare, solo perchè lui "ha bisogno di uno stipendio". Mica mi cascano dal cielo, i soldi! Ecco, se penso ai Sindacati le lascerei a casa tutte e tre di corsa, subito, senza tante manfrine. Come tanti Colleghi professionisti (assicuratori e non) con cui mi sono confrontata, che da tempo ormai non pagano più le tredicesime e le quattordicesime (cosa per me inconcepibile, illegale, piuttosto si deve trovare una soluzione alternativa ma non puoi snaturare il contratto di chi lavora per te, è un furto).</div>
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Invece penso a loro, accidenti, al bene che voglio a tutte e tre, e sto un male cane. </div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-32110822310718225552015-05-03T15:30:00.000+02:002015-05-03T15:30:16.066+02:00Claudio Cargiolli<div style="text-align: justify;">
Io li capisco, gli ex-forumisti di Antonio Nunziante. Eccome se li capisco! </div>
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Entusiasti, esagerati, forse un po' matti (in senso buono), si erano lasciati andare in quel Forum che era uno spazio tutto loro, nato e cresciuto presumo con grossi sforzi in quanto a tempo e impegno, per condividere un'emozione comune, confrontare i propri gusti, una sorta di Piazza d'Italia metafisica in cui, da tutta Italia, virtualmente si ritrovavano, chiacchieravano, si conoscevano. E poi gli incontri veri, reali, le vere cene, le Mostre!</div>
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Il problema è che, quando si parla e si scrive in uno spazio "pubblico", arrivano le ripicche. Se uno sente, o pensa, o crede, che gli abbiano pestato i piedi, reagisce. Poi ci sono i provocatori, veri o falsi che siano, e poi c'è quello che Il-Forum-è-onor-mio-quindi-fate-quello-che-dico-io. Insomma, un gran casino. Finisce che per fare quello che piace, e che in fondo è di una semplicità disarmante (parlare d'arte, di quadri, di gusti), bisogna quasi quasi nascondersi. E, da nascosti, per delicatezza certi argomenti trattarli solo tra gli iscritti, non pubblicamente, vale a dire l'esatto opposto del messaggio iniziale: l'arte è bellezza, parliamone! Condividiamola! </div>
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Io ho un Blog, non un Forum, il che è lievemente diverso, perchè in un Forum tutti parlano con tutti, mentre nel mio Blog questi "tutti" parlano solo con me, non possono interagire fra loro (del resto, è il mio diario, non una Piazza d'Italia). Dovrebbe essere più semplice, la responsabilità di quello che scrivo è mia e ben identificata, posso a mio piacimento pubblicare i commenti di chi mi scrive oppure eliminarli senza alcuna pietà. Invece ammetto che anch'io, nell'ultimo anno, ho avvertito, ogni tanto, qualche difficoltà (a parte il tempo di mettermi a scrivere, che non ho più come prima, ma forse è bene che la fame bulimica di scrittura del biennio 2012-2013 sia conclusa, ora sono più ponderata). Granellini, sabbiolina, ma da prendere in considerazione. Gente tanto cara che ti chiede di parlare di un argomento sul quale non hai nel modo più assoluto voglia di soffermarti, e ti sembra poco carino rifiutare, oppure, peggio ancora, la sensazione opprimente da bavaglio, perchè più gente ti legge meno libera sei. Non puoi parlare di questa cosa perchè Tizio si secca. Non puoi criticare Caio, quand'anche costruttivamente, perchè poi si incazza, o ti pianta il muso. Non puoi dire di essere stata nel Tal Posto, perchè non si deve sapere. Eccheccavolo! Era meglio quando non mi filava nessuno, mannaggia. </div>
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Quando una persona meravigliosa come Paolo Orler mi abbraccia e mi dice "cosa scriverai su questa serata?" riferendosi alla presentazione del Catalogo Generale di Marcello Scuffi, come cavolo faccio a dirgli che il Catalogo non mi piace? Mi si chiude lo stomaco, piuttosto. Intendiamoci, la serata è stata splendida come sempre, tutti gli Orler sono stati splendidi come sempre, è proprio il volumone da tre chili e mezzo che mi fa l'effetto così così. E l'ho anche detto a Marcello in persona, visto che un paio di settimane dopo la presentazione siamo andati a trovare lui e Lia, nel loro nido viareggino, e vederli lì mi ha fatto il solito dolcissimo effetto, come quando li vedo nella casa di Quarrata. Coccoli, tra di loro e con noi, mentre ti mostrano orgogliosi il "loro" mare, da quel terrazzino che è lui da solo un intero mondo, e dal quale si intravede, ma solo se è il tuo Giorno Speciale, la famosa Isola-che-non-c'è che spesso appare e scompare anche nelle tele di Marcello, un'isola, non le pendici degradanti dei suoi monti, un bacio fuggevole di roccia che si avvolge di foschia come di una sciarpa leggera. Al piano di sopra, visto che, come noi, non hanno bisogno di camerette aggiunte (quante cose accomunano noi e loro!), Marcello si è preparato uno studiolo, che non ha la sacralità della chiesetta di Quarrata ma che a suo modo attira, lassù, nel profumo del vento della pineta, e probabilmente è il principale responsabile dell'ultima serie di acquerelli, vertici ormai insuperabili, densi come dipinti, in cui l'acqua è quasi un ricordo eppure l'avverti, quando ti scivola nell'anima. </div>
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Intendiamoci, il volumone è prestigioso, esteticamente molto bello e con un apparato critico notevole. Però c'è troppa quantità, e dà l'effetto di una confusione mista che prende un po' la gola (col senno di poi, io magari avrei fatto un cofanetto con tre volumi più piccini: oli, strappi d'affresco e acquerelli, tanto per dare più respiro fin da subito). All'inizio si parte con belle impaginazioni larghe, e alla fine si approda al micron, come una moto che arriva lunga ad una curva e si accorge tardi che la strada gira e più in là c'è solo il guard-rail. Ci sono quadri nella realtà minuscoli pubblicati a piena pagina (quadri assolutamente normali, a volte senza infamia e senza lode), e tele enormi, ricche di particolari, tra l'altro suggestive e bellissime, riprodotte come francobolli. Visto che, generosamente (ancora un plauso agli Orler!), non è stato chiesto manco un centesimo ai proprietari delle opere per la pubblicazione (e quindi nessuno poteva pretendere niente), magari era il caso di fare una piccola scrematura, operare una qualche scelta selettiva, ragionarci sopra un po' di più: per un pittore ancora in vita mostrare questa grande, infinita ammucchiata può essere controproducente (ed infatti tendenzialmente il Catalogo-Generale-di-tutto-di-più si fa ai morti, di cui pubblichi ogni cosa si trovi in giro, perchè si presume che altro non ci possa essere, oppure se lo fa da sè Nunziante, ma questo è un altro discorso, con dieci e passa volumi di roba a quel punto si perde per forza di vista l'obiettivo-qualità).</div>
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Dovevo dirlo? Potevo dirlo? Qualcuno si arrabbierà? Posso ancora conservare un minimo di libertà di opinione? Chi la pensa come me batta un colpo.</div>
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Già che oggi mi sto giocando alcune amicizie, togliamoci 'sto benedetto bavaglio di carinerie e delicatezze, e fatemi parlare di una persona magica che ho conosciuto da poco e che già adoro (non come Scuffi, ma ci siamo quasi): Claudio Cargiolli. Non che sia da top-secret Cargiolli in sè, ci mancherebbe, quanto il fatto che io sia stata a trovarlo di persona, nel suo studio-piccionaia, a Carrara. </div>
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C'è, da qualche parte nel mondo, una persona che mi vuole molto bene (bene che io ricambio, perchè sarebbe impossibile non farlo) e che, molto semplicemente, era a conoscenza di quanto mi piaccia Armodio, di quanto io impazzisca letteralmente per CERTA bravura tecnica - diversa da quella degli iper-realisti, che tecnicamente ammiro perchè non sono rimbambita (e quando uno è bravo c'è poco da fare: è bravo) ma che mi lasciano un po' freddina, con buona pace di mio marito che alle Fiere si incolla con la bavetta ad ogni Pellanda che vede, pur sapendo che io, su questo, sono incorruttibile. Parlo di una bravura che vada oltre l'immagine, una bravura da CESELLO, da significato celato, da poesia e gioco. Questa persona un giorno mi dice: "Ti faccio conoscere uno che come pittura un po' ci somiglia, ad Armodio, vediamo se ti piace", e mi ci ha portato. E' stato un regalo che non scorderò mai, uno di quei momenti importanti, una di quelle emozioni a cui ripensi, chiudendo gli occhi e inspirando a fondo, quando sei sotto pressione e cerchi IL pensiero positivo che ti rassereni prima di ributtarti nella mischia. Giusto poco prima della Fiera di Bologna di quest'anno, quindi posso affermare di essere stata una delle prime persone, se non la prima (a parte i congiunti di Cargiolli), ad aver visto ultimato e ancora "fresco" il famoso trittico che poi è stato esposto nello Stand di Forni. Non che abbia fatto chissà quali cose turche, nel suo Studio, ma visto che in quei giorni si stavano concludendo gli accordi tra lui e gli Orler, mi è stato fatto capire che questa visitina non doveva essere troppo pubblicizzata, onde evitare pellegrinaggi di Clienti Orler fuori zona. </div>
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Ma, accidenti, non facciamo sempre i materialisti, un pittore non si visita solo ed esclusivamente per comprare quadri a prezzi ribassati! Anzi! Io sono più che felice di comprare dagli Orler per le loro "forme di pagamento agevolate", e poi partecipo ai loro Eventi, mi fanno sentire speciale, ma non mi perderei per nulla al mondo l'emozione di stringere la mano a uno come Claudio Cargiolli, a casa sua. </div>
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L'emozione di arrivare in una Carrara semideserta e addormentata, con l'aria di Gennaio che ti punge il naso mentre osservi l'ennesima mutazione del paesaggio toscano (la Toscana, regione incredibile, una sola terra ma con mille diversi volti, non solo le morbide colline dove svettano i pettini fitti dei cipressi, ma anche i suoi sguardi aspri, o le spiagge, i pini marittimi, i profumi di salmastro). Salire nel bianco le scale un po' sbilenche e incerte di un vecchio palazzo su, su, su, fino all'ultimo piano, dal quale vedi una distesa di tetti e, anche se il mare non è poi così vicino, ti sembra quasi di sentirlo, forse nell'aria, forse negli odori dei muri (l'odore tipico, a me ben noto, di Trieste e di alcune città portuali), forse nello stridio degli uccelli. </div>
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Trovare questo folletto giocoso che ti apre la porta, e ti fa entrare, in penombra, così puoi solo intravedere poche cose (dipinti, teste marmoree, tappeti, seggiole) fino al cavalletto, esso sì, invece, completamente illuminato, coperto con un telo che lui solleva come una madre. Sì, proprio come una madre, ecco dove ho visto quella stessa luce negli occhi: una madre nel reparto maternità che solleva il lenzuolino per mostrarti il suo neonato. Uno sguardo che è un misto di gioia, di fremiti, di fierezza, e di orgoglio, per lo sforzo patito e la sofferenza del parto, e per la propria creatura, reale, viva, ora finalmente al mondo. </div>
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L'emozione di poter scrutare dapprima l'opera in ogni sua minuscola parte, in ogni suo ricamo, davanti e dietro, con quella finestrella improvvisa da cui un occhio ti scruta, e il folletto che ti spiega quanto ci abbia lavorato, su quell'occhio così botticelliano da un paio di centimetri appena. Qualcuno ti spia dall'altra parte, e vuole vedere che succede di qui, mentre tu getti lo sguardo su un altro Universo, un'altra realtà, un mondo parallelo fatto di alberi che volano, di scale verso la Luna, di case senza tetto, di finestre senza porte, di animaletti veri oppure inventati, perchè tutto è al limite del surreale, ma, credo, senza un significato particolare. Sì, ne sono convinta, non ci sono doppi sensi nella pittura di Cargiolli, non c'è la volontà di svelare/rivelare chissà cosa, non c'è bisogno di interpretare niente: un gatto è un gatto, un pettirosso è un pettirosso, un cesto di uova è un cesto di uova, ma solo per il gusto di abitare una nuova dimensione, un levitare fiabesco, un gioco di bambini, come parlare con un amico immaginario, che nessuno vede tranne te, che conosce i tuoi segreti. E' come se lui si divertisse a farti scoprire un mondo OLTRE. Sicuramente si diverte a dipingere, questo è evidente, non c'è nulla di seriale, anche in soggetti apparentemente simili spunta una fila improvvisa di formichine per distrarti.</div>
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E, poi, l'emozione di guardarsi intorno, perchè non è solo per la pittura che sei lì, ma per lui, anche, per vederlo, per vedere come dipinge, se è vero che usa lenti speciali, come crea quei pizzi infiniti a rilievo, quasi come staccati ed applicati direttamente da un tombolo, in una Burano misteriosamente nascosta in Tirreno. Uno studio piccolo, piccolissimo, accatastato di libri, di ricordi, di ritagli, e quel tavolo con i colori già spremuti in verticale, tanti, tantissimi, come lunghe lingue, come dita indurite che spuntano a rilievo. Anzi, come un paesaggio onirico, un paesaggio quasi lunare, come roccia erosa, come i Camini delle fate della Cappadocia, questo colore ti colpisce e ti stordisce venendoti incontro e facendosi strada tra i pennelli. Pennelli ovunque, di ogni misura, dovunque l'occhio cada. </div>
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Lui sorride, continuamente, perchè sa perfettamente cosa stai provando, legge lo stupore nei tuoi occhi, e anzi ti provoca, raccontandoti quanto tempo ci vuole per le realizzazioni più intime, per quelle minuzie studiate nei minimi particolari con addosso quella buffa montatura con le due lenti d'ingrandimento, pesante, ingombrante, che si sposa benissimo con la sua capigliatura ribelle e gli dà un'immagine da inventore, da scienziato, di quelli che viaggiano nel tempo e, spesso, da qualche parte nel fiume del tempo si perdono. Ti parla delle sue tavolette, e delle sue carte così amate e sottovalutate, elogia la lentezza nella creazione, scherza con i richiami ai Grandi che lui inserisce spesso, ora nascosti ora palesi, nei suoi quadri. </div>
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E tanto traspare l'amore per quel luogo, per il suo lavoro, per i suoi soggetti, che ti balza evidente ciò che ha detto di lui Vittorio Sgarbi, confrontandolo, appunto, con Armodio: è vero, sono molto simili, rappresentano le due facce di una stessa pittura, di una pittura di perfezione, di una pittura certosina, di lavoro accuratissimo, di precisione ultraterrena. Solo che Armodio ne rappresenta, in un certo senso, l'aspetto maschile, più asciutto, volutamente enigmatico, mentre Cargiolli ne è il lato femminile, più dolce, più vezzoso, sia nei soggetti (colombe innamorate, animali sognanti, cieli aperti, perle, angeli) sia nei colori, i suoi rosa pastello stemperati nell'azzurro, ma anche i rossi e i viola così vivi, o i lampi dorati nel blu scuro. Armodio in effetti è più posato, ha una scala infinita di bianchi, lavora su gradini di latte, e poi ha i suoi grigi, i beige, i nocciola, preferisce elementi solidi come il ferro, il marmo. Armodio è più profondo, forse, più sagace, più ironico nel gioco degli oggetti e nella ricerca dei titoli. Ma Cargiolli ha tanta poesia dentro e fuori, la fa volare lentamente, la distribuisce come da una mongolfiera, e nei suoi titoli c'è una parola ricorrente, "amore", che avvolge tutto, dai camini aperti, alle zampette degli insetti, al mare. Poesia e amore, insieme, come una madre, ancora una volta. </div>
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Non si chiede mai ai bambini se vogliono più bene alla mamma o al papà! Mamma e papà sono le due parti della famiglia, diversi ma ugualmente importanti, non c'è l'una senza l'altro. E così per me questi due straordinari artisti: capisci l'essenza della pittura quando li hai davanti entrambi, quando li hai osservati entrambi, li hai conosciuti entrambi, hai stretto la mano ad entrambi. Quando, eccezionalmente, ti hanno aperto la porta del loro mondo e ti hanno ammesso, per un attimo, a comprenderlo. Non mi si può chiedere di tacere. </div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-73810739503163653202015-05-03T14:16:00.000+02:002015-05-27T20:13:07.787+02:00Ricordando Licata (un Maestro che non c'è più)<div style="text-align: justify;">
Sono tante, davvero. Parlo delle cose che mi mancano in questo periodo della mia vita, in questi mesi.</div>
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Mi manca quell'idea di avere del tempo per me, del tempo in più che mi avanzi, da impiegare per leggere, scrivere, o anche semplicemente riposare e non fare assolutamente niente. L'IDEA di tempo, chiaramente, perchè di tempo vero non è che ne avessi molto da buttare neanche prima, ma l'idea di averne c'era sempre, sottostante, viva, costante: l'attendevo, la coltivavo, ed era rassicurante come la cioccolata. Arrivava all'improvviso, e mi ritrovavo assonnata, oppure al computer, o in un Palazzo museale. Ora, invece, è un susseguirsi di no, no, no.</div>
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Mi manca gente che non sia incazzata su tutto, mi manca poter chiacchierare in ufficio, o al bar, o nell'androne del condominio, solo per il gusto di farlo, senza che ciascuno ti travasi addosso le proprie ansie, le proprie frustrazioni, e le proprie maleducazioni, anche e soprattutto. Per la strada, in autobus, in treno, in automobile.</div>
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Mi mancano alcune cose: aprire il computer alla mattina, in ufficio, e trovare tre-quattro mail utili ed importanti, con richieste significative e precise, a cui rispondere con la giusta e debita attenzione. Invece ce ne sono mediamente trenta, e ben più della metà sarebbero da cestinare senza degnarle nemmeno di un attimo di vita, mentre io mi ostino, al limite della perversione, a volerle riscontrare tutte, anche quelle inutili, anche chi ti fa richieste delle quali sa già benissimo che non ascolterà le risposte (evidentemente c'è chi si sente importante solo per il fatto di saper USARE la posta elettronica), risposte che - a volte - non si possono limitare ad un sì o un no, ma richiedono un discorso ben più articolato e complesso, considerando che sono scritte, e carta canta, anche se virtuale. Bastardi, voi e le vostre mail di cui fate raccolta come con le figurine dei calciatori, senza magari ricordarvi com'è che si saluta, si abbraccia.</div>
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Mi manca andare al ristorante e trovarlo sempre lì, il MIO ristorante, non chiuso e/o ceduto a un franchising di chissà dove che vende chissà cosa. </div>
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Certo, più di ogni altra cosa mi mancano le persone: persone in generale, persone che sorridano, che parlino quando hanno qualcosa di interessante da dire (un discorso profondo e appassionato, basato su solidi studi, ma anche faceto, perchè no, purchè sia ben raccontato) e non solo perchè sono dotate di corde vocali funzionanti, persone che mantengano la parola data, persone che non raccontino bugie. </div>
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E persone in particolare, persone che non ci sono più.</div>
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Mi accorgo, ogni tanto, quando a casa gli passo davanti (cioè spesso, visto che sta in un punto di passaggio, e ce l'ho messo apposta), di quanto mi manchi Riccardo Licata. Mica che lo frequentassi di persona, è un po' come per il tempo: mi manca l'IDEA di lui, l'idea che ci sia, da qualche parte, a riempire il mio mondo con quei suoi segni misteriosi. L'idea di saperlo, comunque già anziano e incanutito, a spasso per le calli di Venezia (perchè lui era così, la incarnava, l'essenza sospesa e fuori di ogni tempo di Venezia), girovagando senza un motivo preciso, solo per assorbirne l'aria e lo spirito, per farsela scivolare dentro come una pennellata acquosa, per poi sbucare improvvisamente nella maestosità del Bacino di San Marco, e sedersi lì, in un posto defilato, estrarre un paio di fogli di carta grossa e porosa, le boccettine di colore come la botticella di un placido San Bernardo, di quelli che portano la salvezza nella neve, a completare la sua muta partitura. </div>
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Mi manca l'idea di rivederlo, in qualche Fiera, come era accaduto più volte: l'ultima in una Bologna di un paio d'anni fa, mi era passato davanti proprio all'ingresso, entrando nel padiglione di sinistra, con quel suo passo incerto ma spedito (piccoli passi rapidi e vicini, con l'aiuto del bastone, un lieve trotterellare sghembo che sembrava quasi un levitare a tre centimetri dal pavimento), e io l'avevo salutato con un sonoro "Buongiorno Maestro Licata!", al che lui aveva risposto con un altrettanto sonoro "Buongiorno mia cara signora!". Proprio così: non il sorriso generico, con lieve cenno del capo, dei pittori che un po' se la tirano, e gongolano dell'essere stati sonoramente riconosciuti in mezzo al mucchio, che di solito popolano le Fiere (neanche considero, volutamente, quelli che danno per scontato che la tua attitudine debba essere per scelta divina il distendersi ai loro piedi srotolando la lingua a mo' di tappeto, rosa. Quelli che neanche sorridono genericamente, e non muovono il collo, o alzano il sopracciglio. Quelli di cui dimenticare l'esistenza, insomma). </div>
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Aveva detto mia-cara-signora. Era bellissimo. Mi sa tanto che l'aveva capito al volo, che sono nata a Venezia. </div>
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"Mia", perchè si sa, un dipinto di Licata in casa ti rende suo, sul serio. Un legame che non si rompe, si rafforza ogni giorno che passi a scrutarlo e ad interpretarlo. A parlarci, o a cantarci insieme, visto che recentemente ho sentito Giovanni Faccenda dire che le rune incise e graffiate di Licata in realtà sono come note musicali, colori e forme che compongono uno spartito, ed è un'interpretazione commovente. Non so se sia vero che gliel'abbia detto lui di persona, si sa, Giovanni a volte esagera un pochino con gli aneddoti e le parole di riporto degli artisti, e visto che è persona intelligente sta sempre bene attento a farlo con artisti rigorosamente morti, che quindi difficilmente si prenderanno la briga di smentire ciò che lui racconta; non per niente si è beccato da un assiduo telespettatore Orler l'affettuoso soprannome di MEDIUM (medium di razza aggiungerei, visto che sapendo che è nato nel mio stesso glorioso anno e facendo quattro conti a spanne, in alcuni casi racconta di essersi trovato a pranzo o a cena con artisti affermati quand'era più o meno quindicenne). Non ha importanza: foss'anche un'idea di Giovanni - nata da uno dei suoi studi piuttosto che desunta da letture - e non reale confidenza, Licata l'avrebbe sicuramente apprezzata, come apprezzava la musica in tutte le sue forme. Viveva di musica, in un certo qual modo, come di pittura (io, che respiro e vivo di linguaggio in ogni sua espressione, che ne sono e ne sarò sempre affascinata, preferisco continuare a decodificare i suoi simboli in parole; ma anche immaginare il Maestro dietro ad un'orchestra, con il pennello che segue fluido il susseguirsi di note cristalline, mi riempie il cuore di poesia: un direttore-ombra, pure lui). </div>
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"Cara", perchè sì. Non lo conoscevi, ma gli eri caro, e lui a te. Solo perchè eri lì, segno che c'era, a prescindere, una passione per la bellezza, per l'arte, una ricerca comune. La sua, chiaramente, iniziata molti anni prima, e sviluppata, riconosciuta, progredita come un murale che si snoda e sorprende, come una strada lastricata che si ricopre di tasselli, fitta fitta, come i suoi mosaici. La tua, a bocca aperta, dietro, in costante ammirazione. Un solo altro pittore mi ha fatto e mi fa, negli anni e nelle Fiere, lo stesso effetto da "mio caro", ed è Tino Stefanoni. Un altro che risponde sempre ai saluti degli emeriti sconosciuti con gentilezza innata, con garbo, con affetto, senza mai stancarsi. </div>
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E poi "Signora", perchè in fondo lo sono, e uno come Licata, gran signore pure lui, queste cose le vedeva. E' un approcciare diverso, rivolgersi alle persone con "signora" e "signore", così antico forse, ma ricco di significato. Io lo preferisco in senso assoluto, anche al più deferente "dottoressa" con cui spesso mi chiamano in ufficio, e che sotto sotto per me non sa di niente, è solo una firma su un pezzo di carta, non mi rende migliore come persona e nemmeno più brava come professionista. Ero tanto più giovane, ai miei esordi in Agenzia, e mi ero rivolta con "signore" ad un Cliente arrabbiato, che per tutta risposta mi aveva sottolineato che era "dottore" e ne gradiva la deferenza; e io, che ero sbarbina ma già - se tanto mi dà tanto - "dottoressa" anch'io, gli avevo risposto che l'avrei chiamato dottore più che volentieri, visto che di essere chiamato signore (che è sicuramente di più!) non lo meritava affatto. Figuriamoci, nella mia famiglia contiamo fior fiore di laureati risalendo oltre i bisnonni (e si parla di metà Ottocento), ti pare che mi faccio intimidire da un pezzo di carta. Signore è un modo di essere, un modo di vivere, e Licata lo era, signore e Maestro, avvolto in quella barba da Babbo Natale sotto due occhi furbi e pieni di dolcezza. Occhi che hanno visto tanto, e compreso tanto.</div>
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Mio caro signore, sei stato un grandissimo. Ti ho accompagnato di recente a Firenze, perchè quel drittone di Franco Ristori ha voluto ospitarti nella sua Bottega in occasione di una delle sue Serate, per far cantare con te anche un pezzetto di Toscana. Io te l'avevo detto che la Bottega è piccina, a volte tutte quelle opere strette alle pareti possono spaventare per troppa bellezza, è uno stordimento senz'aria, soprattutto se non ci si è abituati. Quanto mi ha colpito dentro vedere questi visi, questi occhi che da qualche tempo ho imparato a frequentare, guardarti e non capirti, accidenti! Visi dubbiosi, bocche tirate. Ho sempre inteso la Toscana (con la Sicilia, in verità) la culla dell'arte in Italia, la culla di chi vive e respira l'arte più somma fin dalle scuole elementari, e invece sono ancora fermi ai cipressini e alle casette. Forse è perchè hanno avuto la fortuna di possedere tutto il meglio del "classico", dal Cinquecento in poi, e fanno più fatica a concepire che ci possa essere ALTRO altrettanto potente. </div>
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Non ti offendere se c'è stato chi ha chiesto se "il pittore era presente per farsi una foto assieme", e nemmeno per quella tipa anziana che scuoteva la testa dicendo "è una pittura troppo moderna, io non li capisco questi pittori giovani", prendilo come un complimento e ridici sopra da lassù, assieme a Capogrossi, di cui sei erede di diritto, insieme a Scanavino, che era praticamente tuo coetaneo ma se ne è andato ben prima di te. Maestri tutti del segno, del simbolo, della scrittura celata sotto un gesto, sotto un graffio, solcata sopra un lago di colore, piuttosto che lasciata nitida, sopra una superficie intonsa. </div>
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Lo sai che poi, alla fine, in qualcuno la scintilla è scattata, e ora tu ci sei, in più di una casa, a Firenze, e mica solo perchè è bene averti, in senso economico, per le tue certe future rivalutazioni (conservandoti nascosto in un armadio, sotto ai cipressi, come ho supplicato di fare almeno ad un paio di presenti che conosco, perchè ne sono convinta, del tuo immenso valore). Ci sono stati dei "miei cari signori" che ti hanno ascoltato e capito, rapiti anch'essi dal tuo messaggio, dalla tua astrazione. Che ti porranno a vista, in luoghi di passaggio, e parleranno con te, come faccio io. Osserveranno prima gli strati di colore, densi, graffiati via, scavati, esplosivi; e impareranno poi a decifrare i tuoi simboli ricorrenti, le rune primordiali che permettono un'unica comprensione, che sconfiggono Babele, che rappresentano una scrittura universale che non ha bisogno di latitudini e longitudini: sono arte pura. </div>
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E, un po' alla volta, sentiranno anche loro la tua mancanza in un'Italia impoverita.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-2641254130185331072015-03-01T17:31:00.000+01:002015-03-01T17:31:15.307+01:00Limbo<div style="text-align: justify;">
A volte, scrivere è un po' come partorire. E' una gravidanza. Che poi, detto da una che figli non ne ha avuti, suona strano. Cosa ne sa, questa, di nausee, di mal di testa, cosa ne sa della pancia che cresce, dell'attesa che cala, di quel dolore, del sudore, di... </div>
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Quindi rettifico, con un piccolo punto a ricciolo: scrivere è un po' come partorire?</div>
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So che dentro di me c'è qualcosa. Me ne accorgo dalle risposte che lascio a chi mi scrive, a chi mi commenta. Lo sento, ogni volta che apro il computer e il ticchettio della tastiera è fluido. Non fa paura, proprio per niente. So che c'è ancora un mare di emozioni da vivere. Lo sento dall'esterno.</div>
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Però non esce fuori, come se non fosse pronto.</div>
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Mi sento io come imprigionata in una pancia, a testa in giù. Attorno, tutto buio.</div>
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Riesco solo a pensare al lavoro, non faccio altro, da mesi, quasi quattro, ormai. Di giorno e di notte. Penso a questi pazzi che hanno letteralmente giocato con le nostre vite, con il nostro futuro, con la nostra sopravvivenza. Che ci hanno spinto a testa in giù nell'imbuto senza darci la minima indicazione, sapendo perfettamente che sarebbe diventato un mors-tua-vita-mea. Che assistono senza muovere un muscolo al lento sgretolarsi di piccole realtà imprenditoriali con lunghe storie alle spalle, anni e anni di impegno, di generazioni intere. Penso ai miei colleghi che ho visto di recente in riunione, alcuni dimagriti di un numero sinistro di chili, altri ingrassati, dello stesso numero. Visi pallidi, visi calvi. Penso a certi sguardi di chi non dorme da troppe notti, a chi mi ha confidato di aver già avuto bisogno di un paio di ricoveri. A chi ha cominciato a non pagare uno stipendio a fine mese, a turno, finchè regge. A chi non capisce più quale mestiere fa. A chi non ha più il coraggio di guardare in faccia i propri Clienti perchè non sa cosa dire.</div>
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A me, anche e soprattutto a me, penso, che tutto sommato continuo a cavarmela meglio di tanti, ma imprigionata in una pancia, come una pentola che bolle. </div>
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Monotematica. Non piango, non rido. </div>
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Lavoro e basta, e non mi importa di niente altro, e poichè anche del lavoro, quando sei saturo a questi livelli, non t'importa, in fondo non mi importa di niente di niente. E mi stupisco anche, del fatto che nessuno dei miei Clienti, finora, si sia accorto di quanto siano finti, tutti questi sorrisi. </div>
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IO MI RIVOGLIO.</div>
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Quasi quattro mesi. Arriviamo a nove. C'è qualcosa che vuole uscire. Qualcosa di colorato, qualcosa che profumerà di nuovo. E di pane. </div>
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Ho uno spaventoso bisogno di qualcuno che mi aiuti a tirarla fuori.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-89542815243814635352014-11-16T16:58:00.001+01:002014-11-16T19:22:15.082+01:00Febbre (dall'alba al tramonto)<div style="text-align: justify;">
Domenica mattina, sono a casa da sola; sono un po' triste, un po' arrabbiata, un po' demoralizzata, un po' fusa, forse. E direi in parti uguali. Ho la febbre, ho la tosse e la voce mi ha salutato da almeno un paio di giorni, nonostante mi sia scolata un intero vasetto di miele che mi ha fatto sentire tanto Mamma Orsa.</div>
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Niente sta andando come pensavo andasse, a parte la settimana lavorativa, ovviamente, quella sì, eccome. Siamo stati bloccati per tre giorni, bloccati da questa fastidiosa migrazione di dati che si è comportata esattamente come sapevo avrebbe fatto: scartando nomi, numeri di telefono, anagrafiche, un bel minestrone (o spezzatino, per chi gradisce il proteico) di ciò che erano i nostri spettacolari archivi informatici. Lunedì ho aperto il computer e poi ho chiuso gli occhi, tanto già immaginavamo. Con i pacchettini delle Condizioni contrattuali delle nuove Polizze che devo/posso vendere ora (così, da un giorno all'altro, azzerato d'un colpo tutto lo scibile precedente) ancora chiusi nei loro scatoloni, tanto è inutile studiarli finchè non sai come far funzionare questi programmi del cavolo. Ci sarà tanto, tantissimo, da fare e da lavorare, ed è frustrante per chi fa il mio lavoro rispondere a chi ti chiede un preventivo "si accomodi, ma mi raccomando tenga conto che dovrà farci compagnia per i prossimi quaranta minuti" (variante pietosa, solo ed esclusivamente per la R.C. Auto) oppure "mi dispiace, non sarò in grado di darle una risposta per i prossimi sette-otto giorni" (variante onesta, per qualunque altra tipologia di Polizza). Figuriamoci, in questi tempi da tutto-e-subito. Uno ringrazia, esce, e si dirige subito dall'assicuratore della porta a fianco sbellicandosi dalle risate, alla faccia nostra, del nostro cazzutissimo Direttore Generale, e del suo mantra "vi abbiamo comprato noi e quindi fate quello che vogliamo noi". Insomma, ho cominciato a vedere una flebile luce in fondo al tunnel (un tunnel che si preannuncia molto, molto lungo, diciamo almeno quattro mesi per rientrare a regime completamente in quanto a professionalità, serietà e conoscenza della materia) più o meno verso giovedì pomeriggio, ma a quel punto la febbre aveva già ampiamente sforato i 38: capita, quando sei sotto pressione dodici ore filate con in pancia solo un panino, ogni giorno, per un'intera settimana. E non ti puoi lasciar andare neanche per mezzo minuto, perchè altrimenti le impiegate si demoralizzano più di te. Grosso rischio per l'impresa, l'impiegato demoralizzato.</div>
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Morale: aspettavo questo weekend da un pezzo, e sono bloccata qua a casa con un nervoso addosso da far paura. Da sola, per giunta, perchè non potevo pretendere che il mio ormai famoso "inseparabile scudiero" rimanesse a fissarmi nel mio mutismo. </div>
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Nell'ordine: ieri, niente serata Orler, questo imponente omaggio a "The Responsive Eye" che rappresentava, per me (che non sono propriamente un'amante dell'arte programmata, nonostante la mia cospicua serie di vestitini e camicette optical), al di là dell'esposizione, l'occasione di rivedere e salutare tanti amici da tutta Italia, e magari conoscere qualche nuovo volto, di quelli di cui conosci solo il nome o la penna, sparsi per i Forum o i Blog su e giù per lo Stivale. </div>
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Questa mattina, niente ArtePadova, la "mia" Fiera, quella in cui gioco in casa perchè ci vado con tutta la comitiva di aficionados, che mi hanno riferito essere anche quest'anno giocosa, effervescente, nel suo piccolo sempre calamita per buongustai locali. Di certo il mega-collezionista che timbra il cartellino a Basilea ride di tenerezza davanti alle mie esternazioni, ma io faccio parte di un mondo diverso, preferisco ancora scambiare due occhiate d'intesa con chi si emoziona davanti alle fiabe innevate di Tino Stefanoni. E a giudicare dal numero di fiabe esposte, mi sa che qui siamo in molti, noi provincialotti emotivi. </div>
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Se per domani non guarisco mi va per traverso lo sciroppo, giuro; spero che tutte queste rinunce servano a qualcosa. Anche non aver visto dal vivo lo Stand di Arte San Lorenzo, dove speravo di beccare Annamaria Brizzi, per poterla finalmente conoscere di persona, e invece niente.</div>
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Last but not least, niente stretta di mano a Dario Olivi, visto che una capatina pre-ArtePadova era irrinunciabile, e già avevo l'acquolina in bocca al solo pensiero di un'intera parete da nove metri con una sorta di antologica (per forme, colori e significati) di quel meraviglioso artista qual è Cesare Berlingeri.</div>
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Questa a dire il vero è stata solo una mezza rinuncia, perchè mi sono guardata tutto lo Speciale dal divano, anche se non è propriamente la stessa cosa. E poi, tutto sommato, son qua che scrivo, quando non più di due settimane fa avevo sbandierato che mi sarei dovuta prendere una pausa, prima cioè che l'influenza mi regalasse tutto questo bel tempo gratis, un intero weekend di dolce-far-niente inaspettato. Sta a vedere che se aspetto un altro pochino finisce che la devo pure ringraziare. </div>
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Visto che in effetti la testa mi gira più del previsto, cercherò di essere breve e di fissarmi un concetto, uno solo, di tutto ciò che mi è passato per la mente durante le tre ore di Dario. </div>
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E sì che ho pensato parecchio, a bocca chiusa. </div>
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Pensato a Cesare Berlingeri, che avevo incontrato personalmente tre anni e mezzo fa, e a quanto mi aveva colpito come persona per la sua cultura e la sua profonda sensibilità - tipiche, queste, di molti artisti che nel tempo ho conosciuto - unite però ad una incredibile umiltà, cosa, invece, non molto comune tra coloro che vivono d'arte. Artisti e addetti ai lavori. La maggior parte degli artisti con cui, negli anni, sono venuta a contatto tende a sentirsi uno o più gradini sopra gli altri, siano questi "altri" i loro colleghi (tutti, indifferentemente! E' raro sentire un pittore dire di un suo contemporaneo vivente: "Quello si merita tutto il successo che ha, perchè è davvero un genio"), piuttosto che la gente comune. Si sentono diversi, si sentono "speciali", e per molti aspetti è vero e sacrosanto (il talento eleva dalla massa, è indubbio), ma se sei un talentuoso pittore con l'intelligenza di un tubero, e non vedi al di là del tuo naso, non puoi venire a fare il gradasso con me, che sono e resto più sveglia di te nonostante sia una frana con i colori e le tele. Anzi, manco ci provo, conosco i miei limiti, come tu dovresti conoscere i tuoi. </div>
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Ho colloquiato con Cesare Berlingeri in tre diverse occasioni da allora, e tutte e tre le volte mi ha fatto la stessa impressione: un uomo piccino nell'aspetto, con dentro l'immensità. E poi ama raccontarsi, ama condividere, ama metterti a parte del suo percorso, che per un collezionista è una delle emozioni più belle, visto che quando ti appendi in casa un'opera non appendi solo un pezzo di pittura, ma anche un pezzo di pittore. La sua vita, le sue parole, i suoi gesti. Tanta gestualità nei lavori di Berlingeri, gestualità forte, difficile, una pittura che si fa quasi scultura in quel lavorare a tutto tondo, in tre dimensioni, quando la tela dipinta è solo un primo passo verso l'opera finita, perchè poi deve accartocciarsi, ripiegarsi su se stessa ancora e ancora, per celare al suo interno (e per far ciò a volte è necessario schiacciarla, montarle sopra, con fatica) un messaggio arcano, antico quanto il mondo, il segreto stesso dell'anima del pittore.</div>
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Per chi - mosso a pietà dal mio stato influenzale - volesse fare una piccola pausa rileggendo uno dei miei vecchi post su Cesare Berlingeri metto qui il link, perchè anche se sono passati un paio d'anni i miei ricordi sono talmente vividi che potrei riscrivere tutto parola per parola: </div>
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<a href="http://trecose.blogspot.it/2012/12/serata-di-stelle.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2012/12/serata-di-stelle.html</a></div>
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Ma torniamo ad oggi, e alla parete di nove metri di Dario. O meglio, di Giuseppe Orler, perchè ho appreso in diretta averla voluta lui, fortemente. Il colpo d'occhio non era come mi aspettavo, perchè era TROPPA ROBA. Quando siamo ad un livello concettuale così alto, in cui ogni sfumatura di colore ha il suo significato, ogni minima forma (dalla piega al cartoccio) ha uno specifico perchè, riempire un enorme muro con quaranta lavori tutti uno diverso dall'altro può far l'effetto contrario: è come un'indigestione. Bum, un colpo allo stomaco. Stramazzi, sei stordito, annaspi. Vorresti soffermarti su tutto, e conseguentemente non ti godi bene niente. Sei come il bambino nella pasticceria, o la signora alle svendite delle griffe: hai solo due occhi e due mani, e non bastano. </div>
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Allora (sarà stata la febbre) ho fatto due passi indietro, cercando ancora una volta l'aiuto in quel concetto di "condivisione", in quell'idea di "emozione comune" che per me sta alla base di tutto, e l'ho trovato; come sempre, l'arte non mi tradisce, mai. </div>
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E' stato un lampo improvviso, guardando quel muro bianco con appesa la vita di Berlingeri, come un rotolo sacro srotolato da sinistra (la piegatura gialla e luminosa dell'alba) a destra (la blu, della notte più cupa e vellutata), vedendo il mini-catalogo nelle mani di Dario stampato in occasione di questa grande, unica installazione. Ascoltando i filmati, con le parole di un Cesare quanto mai semplice e diretto che racconta la sua ispirazione tratta direttamente dalla natura (quale filo conduttore quanto mai impensabile, da un'ape al un blu oltremare!), e ringrazia chi dà ancora queste possibilità agli artisti, perchè quando spariranno le "committenze" (mecenati, mercanti, menti illuminate) sparirà negli artisti la voglia di sperimentare e andare "oltre". Quaranta opere, racchiuse sotto il baffo di Giuseppe Orler, magari un giorno glielo domando, se ci aveva pensato davvero fino in fondo o se è stato un caso, se sono io che mi immagino tutto. </div>
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Un muro intero, troppo per una persona sola; e allora smontiamolo, questo muro, pezzo per pezzo! Ecco la meravigliosa condivisione che ritorna, e un pochino mi turba, perchè anch'io ho tre meravigliosi lavori di Berlingeri a casa, ma me li sono scelti a suo tempo in Galleria, per mio conto, piluccando nei magazzini, senza che facessero parte di un unico progetto... e ora per qualche giorno li vedrò più tristi. Comprendetemi, non è la febbre! Ci sono trenta-quaranta persone (sarà per forza un numero esatto, alla fine, quando il muro sarà stato tutto smantellato) che possiederanno QUALCOSA che ha fatto parte di un TUTTO. Avranno inconsciamente condiviso un'idea comune, una storia, un pensiero. Potrebbero anche decidere di incontrarsi, tra qualche anno, come nelle foto delle famiglie numerose ai matrimoni. Come agli incontri di classe. Potrebbero posare tutti insieme con il mini-catalogo come guida, ognuno con la propria opera, e raccontarsi perchè a me ha colpito quella gialla e tonda come l'interno di una pesca matura, mentre tu hai fortemente voluto quella busta chiusa (e richiusa, e richiusa, e richiusa) in bianco e nero, piena di graffi scuri. Due antipodi, ma sempre e comunque parte di un'idea. </div>
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Una persona che fa parte del MIO, di "tutto", e che ho disturbato per l'occasione mentre lavorava giusto per raccontargli di questa cosa del muro di Cesare che mi stava emozionando parecchio, ha commentato con dolcezza che ho un cuore grande, a pensarla così. E che invece è molto più probabile che chi stava staccando via via i pezzi di vita di Berlingeri dal muro pensasse solamente ad un bell'investimento, o a quanto bene poteva accostare il tal pezzo ad altri tesori in casa propria, piuttosto che a formare uno sgangherato album dei ricordi. Può essere, ma finchè sarò sotto Aspirina preferisco pensarla a modo mio, questa installazione sotto i baffi Orler: tanti piccoli pezzetti di anima di Cesare Berlingeri, nelle case di altrettanti sconosciuti solo sulla carta, a formare un'unica alba ed un unico tramonto senza fine. </div>
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Essere collezionisti d'arte, in fondo, è avere sempre la febbre addosso.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-40485333986591528112014-11-02T19:12:00.000+01:002014-11-03T07:28:52.443+01:00Coma informatico<div style="text-align: justify;">
Mi sa tanto che dovrò assentarmi per un po'. Motivi professionali. Motivi di quelli che tengono parecchio occupata la mente, oltre che monopolizzare la quasi totalità delle giornate, e delle settimane. Un vero peccato, per me di sicuro, visto che sarà alquanto improbabile rimettermi a scrivere in tempi brevi, e Dio solo sa quanto mi rilassi e mi faccia stare bene scrivere.</div>
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Vari amici, che lavorano in Banca (Banche diverse, che nel tempo hanno subito fusioni, acquisizioni, accorpamenti, tutte quelle simpatiche manovre che sulla carta sono semplici operazioni finanziarie e nella realtà invece sono capaci di provocare ben altro, dall'esaurimento nervoso al divorzio), mi guardano con aria tra il complice ed il compassionevole, come se pensassero: "Era ora che toccasse anche a voi". A dirla tutta a noi era già toccata, quando la mia gloriosa Mandante fiorentina fu comprata dalla spregiudicata famiglia di affaristi già proprietari di una nota Compagnia di Assicurazione torinese (giusto per finire di spolparla del tutto in un decennio), ma quella fusione era stata una passeggiata, una bazzeccola rispetto a questa. </div>
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Posso dire che tutto sommato ne eravamo usciti indenni, forse il modo di approcciare le cose, il sistema-lavoro, la filosofia di base erano le stesse, chi lo sa. O forse io ero più giovane, e mi spaventavo meno (anche se ne dubito). Più probabile che fosse il mercato ad essere diverso, anzi per certo lo era, dieci anni fa: giravano molti più soldi, e quindi la gente era molto più tranquilla, meno incazzata ed aggressiva. E poi (io mi scuso se torno sempre lì, ma devo pur incolpare i miei demoni personali di questo stato di cose) non c'era ancora niente di "social", la posta elettronica si usava ma con moderazione, se la tecnologia degli uffici si impallava per qualche giorno si proseguiva con calma e tanti sorrisi scrivendo a mano o usando il telefono. Dieci anni, cioè NIENTE, eppure tutto, da questo punto di vista.</div>
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Ora provate ad entrare in un'Agenzia d'Italia a caso degli ultimi nati del Gruppo Unipol (non dovrei far nomi, ma chi conosce un pochino il mondo assicurativo l'ha già capito da un bel pezzo per chi lavoro io) e pronunciare le paroline magiche "Migrazione-a-Essig": poi, preparatevi a scrivere un intero trattato, tutto vostro, sulle manifestazioni principali dell'isteria di massa.</div>
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Succede che questi sono tecnologicissimi, e ci tengono ai loro sistemi informatici più che alle loro stesse mamme: non saremo un'unica Azienda fin quando non adotteremo lo stesso sistema informatico, disse apponendo la firma il nostro Direttore Generale. Che poi, detto tra noi, è davvero cazzutissimo (uno dei pochi Direttori Generali di Qualcosa in Italia a non avere il titolo accademico davanti al nome, e già questo la dice lunga: la sua è tutta esperienza, esperienza vera), ha un'aura di idee chiare e spicce che si vede lontano un chilometro, cioè la distanza media da cui lo guardo io alla Mega Riunione Annuale, quella in cui mi appiccico alle pareti sperando che nessuno mi noti (la prima volta le pareti e buona parte delle uscite erano occupate da una sfilza di hostess strafighe giovanissime, di quelle che ti sporgono i pasticcini guardandoti dall'alto del loro tacco dodici, noleggiate in stock per l'occasione; forse poi qualcuno ha fatto notare che, tutto sommato, noi Agenti saremmo stati più felici con meno hostess sulle porte e con qualche soldino in più nelle tasche, perchè la seconda volta non c'erano e io ho potuto piazzarmi in posizione strategica). </div>
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E poi ha quel mantra tutto suo, lo ripete continuamente: "Noi vi abbiamo comprato, noi vi abbiamo salvato dal fallimento, quindi adesso fate tutto quello che vogliamo noi", assunto che fa sorridere, considerando che non è propriamente una frase democratica o "di sinistra", estrazione lontana della quale tutti loro sono così fieri. Sostanzialmente però è la pura verità: loro ci hanno comprato, loro ci hanno salvato dal fallimento. Sarebbe carino - e quanto meno logico - che ci imponessero solo le loro cose migliori, e prendessero da noi le migliori nostre, ma sembra sia più semplice e rapido cacciarci tutti di sana pianta all'interno del loro sistema, anche se per certi aspetti ci riporta indietro di decenni. Semplice, rapido, certamente non indolore. Perchè si dà il caso che le Agenzie che devono "fare tutto quello che vogliamo noi" siano un numero impressionante, e non è cosa da nulla rivoltarle TUTTE come calzini dal punto di vista informatico in pochi MESI. </div>
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Dev'essere andata come nei telefilm americani polizieschi, dove c'è sempre il Capitano di turno, o comunque il Capo del distretto (solitamente donna e di colore, che fa tanto politically correct, quella ormai vintage di Law & Order era anche cicciottella giusto per completare il quadro), che dice ai due detective, quelli che son giorni che si sbattono per trovare i cattivi: "Voglio il colpevole, e lo voglio entro questa sera". Della serie: finora non avete fatto una cippa, ma visto che adesso ve lo ordina il Capo vedete di muovervi alla svelta e risolvere il caso. Nei telefilm è sempre perchè il Procuratore minaccia di far saltare qualche testa, o perche il Sindaco di N.Y. è molto agitato e ha la stampa che lo assedia, ma non credo che i vertici della mia nuova Mandante abbiano questo tipo di pressioni. E' solo che hanno fatto dei piccoli errori di valutazione, ma non voglio spingermi oltre nelle mie considerazioni personali perchè poi finirei per dare a tutta questa storia una connotazione politica, uscendo dal seminato. Però, accidenti, certe similitudini sono davvero inquietanti.</div>
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Torniamo a noi. Per ora siamo solo all'inizio. La prima fetta d'Italia che parte con questo travaso massivo è il Triveneto (eccheccavolo, tutte le fortune ci toccano), probabilmente perchè lavoriamo tanto, e se dovremo lavorare ancora di più non ci spaventa. Mi piace pensare che sia perchè siamo i più bravini, e quindi ci fanno fare da apripista per tutti gli altri (oppure è perchè siamo i più bischeri, e non ci lamentiamo). Per installare il sistema che vogliono loro e lavorare con i computer che vogliono loro (che - va ammesso - quanto meno ti passano in comodato gratuito) devi stravolgere quasi totalmente l'impianto di cablaggio dell'Agenzia, a spese tue. Il mio taci che l'avevo pagato nuovo e pronto, visto che ho traslocato qua l'anno scorso (giusto un anno! Certo che Novembre è proprio un mese movimentato, ultimamente). </div>
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Arrivano gli scatoloni con i macchinari nuovi, e non sai quando verrà il Tecnico a montarli, oppure lo sai, ma te lo dicono oggi per domani (alla faccia della paralisi totale del lavoro quotidiano che ne consegue). A me è toccato un Tecnico sveglio: giovane, preparato, e pure un filo carino. Il mio solito c/lo, visto che a tanti Colleghi sono toccate coppie di emeriti rimbambiti assunti per l'occasione dal subappaltatore del subappaltatore del subappaltatore, che non sapevano nemmeno come si accendeva un computer, e in alcuni casi hanno tagliato anche i fili del telefono per sbaglio, lasciando il Collega, oltre che paralizzato, anche isolato dal mondo esterno. Questo bel ragazzotto friulano varca la porta del mio ufficio e come prima cosa mi fa: "Quel portatile lì non fa girare il programma, vai a comprartene uno nuovo subito". Certi addii destabilizzano, soprattutto se il "portatile lì" mi accompagna ormai da anni e al suo interno custodisce gelosamente centinaia di files (testi Word di ogni cosa, dalle clausole delle Polizze Rischi Industriali ai Pdf autorizzati Isvap delle campagne di vendita, alle bozze dei miei post che non hanno ancora visto la luce - e forse alcuni mai la vedranno, dalle scansioni delle autentiche della mia collezione, dei disegni di prigionia del mio nonno Tano, alle tante foto del mio mondo degli ultimi anni) che opportunamente travasati nel nuovo fiammante portatile nemmeno si aprono, perchè di preinstallato non c'è niente, manco uno straccio di Office di prova. Del resto sono cose che capitano, se ti fiondi nel primo Store disponibile (e per fortuna che il nuovo ufficio è in pieno Parco Commerciale), agguanti un commesso a caso e chiedi - indicando altrettanto a caso una catasta di oggetti a forma di PC portatile - qualcosa che sia nuovo, semplice, adatto per una persona che odia la tecnologia e non sa niente di informatica, nemmeno esattamente quali programmi dovrà usare, e possibilmente con dentro Windows 7, perchè l'otto me l'hanno sconsigliato solo guardandomi, pare sia una questione di avversione. </div>
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Il Giovane Commesso Agguantato A Caso dice con sorrisetto di compatimento nei confronti della Povera Vecchia che i computer con dentro Windows 7 non li fanno più da due anni, ti cucchi l'otto e corri in ufficio, visto che nel frattempo il baldo Tecnico ha scoperto che - di tutti gli scatoloni presenti - nessuno contiene il SERVER, il cuore del nuovo sistema, e quindi bisogna correre a prenderne uno in un'altra Agenzia dove ne erano arrivati due, guarda caso (doppio c/lo, in quell'Agenzia c'era stato il medesimo Tecnico, e quindi lo sapeva). Torni indietro di corsa sudando come un animale, così impari a mettere in ferie tutte le impiegate (a cosa serve tenere lì le impiegate, se l'ufficio non è operativo?) quando il pubblico entra comunque. O telefona. O aspetta fuori con faccia torva e minacciosa, dicendoti che non è un bel servizio trovare la porta chiusa con il biglietto "Torno subito. Firmato: Il Tecnico". Cose che dieci anni fa non sarebbero successe neanche in un film comico. Ci avremmo riso su con un buon caffè, visto che la macchinetta funziona ancora, riso del server finito per errore a Palermo, e della mia carta di credito alleggerita del costo di un portatile-al-volo in più, che magari con un po' di preavviso e studiando meglio le macchine presenti nemmeno serviva. </div>
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Ma non potevo prendermela con il Tecnico, in primis perchè lui non c'entra niente, e in secundis perchè si trova anche lui in una spiacevole situazione: è appena stato licenziato, in diretta via telefono. Sono, questi, ragazzi che lavorano dodici ore al giorno da mesi, spesso senza pausa pranzo, lui avanza settecento ore di straordinario, gli dicono alle otto e mezza di sera dove dovrà essere alle otto e mezza di mattina del giorno dopo (sotto casa o a 200 chilometri indifferentemente), il tutto per 900 Euro al mese. Ha osato lamentarsi e al telefono gli hanno dato i dieci giorni, tanto fuori della porta c'è la coda. A parte il fatto che, secondo il mio modesto parere, anche se la storia della coda è vera un imprenditore lungimirante quelli bravi dovrebbe coccolarseli un pochino, la mia mente è andata a chi in questi giorni si indigna e fa casino perchè si vuole negare ai dipendenti pubblici il diritto di sciopero, mentre dell'esistenza di queste giovani bestie da macello nessuno parla. Chiusa parentesi. </div>
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Comprendo che la gentile e preparata bestia da macello a quel punto avesse solo voglia di tornarsene a casa, perchè ha finito il montaggio in fretta e furia senza soffermarsi troppo sulle istruzioni da lasciare a me, per far funzionare i nuovi apparecchi. Soprattutto il portatile nuovo, che non va: ho chiamato la Telecom ma dicono che la loro linea ADSL è a posto, ho chiamato i nostri esperti informatici e dicono che la loro roba funziona perfettamente, e che non possono soffermarsi troppo su questi problemi di secondo piano visto che ci sono già le prime Agenzie totalmente paralizzate (io maligno che non gliel'aveva ordinato il cardiologo, al Direttore Generale, di travasarci tutti entro sei mesi, a blocchi di cinquanta, perchè così facendo il Servizio Assistenza si trasforma in un enorme imbuto di chiamate disperate, e vorrò proprio vedere che succederà a Dicembre, quando arriveranno i numeri grossi). Tuttavia ribadisco che con lo speed test risulta che il fiammante portatore di Windows 8 lavora a 156K, praticamente ho comprato un piccolo bradipo da compagnia. Qualche anno fa andavano di moda i furetti. Carino da morire, ergonomico e leggero, che non mi serve assolutamente a niente. E che, non potendo scaricare Office a 156K perchè ci vuole un mese e mezzo, custodisce i miei sacri file senza permettermi di aprirli, vuoi mai che debba fare una modifica ad una Polizza con clausolario e mi serva un testo specifico: mi tocca mandar via il Cliente.</div>
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Io, personalmente, già da un paio di settimane a chi mi chiede un preventivo per una Polizza Casa, o Infortuni, o Condominio, o per un negozio o un'attività, o chi più ne ha più ne metta al di fuori della R.C. Auto più stupida, sono costretta a dire: "Guardi, se ha intenzione di farla subito, e con subito intendo OGGI o domani al massimo, ok ne parliamo; ma se in realtà deve pensarci un po' su oppure ha una scadenza da disdire altrove tra qualche mese, non posso farci niente". Avrò altri prodotti, avrò altri listini. Di cui peraltro ora come ora non so quasi nulla. Alcuni (pochi, pochissimi) li ho già visti, e non grido al miracolo. Dell'enorme mole di tutti gli altri, il nulla. Nessun libretto disponibile, nessun tariffario. </div>
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Sono più che convinta che viviamo in un periodo in cui il mercato (inteso come gli Assicurati e i papabili Assicurati) chiede solo due cose, solo due ma irrinunciabili: prodotti comprensibili, e rapidità di risposte. Solo dopo viene il prezzo basso, e in realtà è richiesta che riguarda più che altro la R.C. obbligatoria. Per il resto (una Polizza Infortuni, ad esempio), quando uno vuole un preventivo, il più delle volte senza neanche avere le idee chiare, si aspetta di sentire tre-quattro garanzie, le relative franchigie, i capitali, e il premio. Basta. E in fretta, in tempo reale, come se fosse lui, davanti al computer, non tu. Imbevuti di tecnologia, si lavora a compartimenti stagni, a schemini e foglietti da comparare. Uno schifo, per me che vorrei far due chiacchiere più che volentieri e illustrare qualcosa di più personale possibile, ma tant'è. Figuriamoci se, oltre a tutto, per rilasciare un preventivo ci metto due ore, con prodotti incomprensibili. O comprensibili, ma che non conosco, e ho diciamo una settimana per studiare di tutto punto (e non sono esattamente due o tre). Finisci per pensare prima ai tuoi problemi, ai tuoi casini, alle tue esigenze, che a quelle del Cliente, ed è un errore tanto madornale quando imperdonabile. </div>
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Mi soffermo su questi pensieri in una domenica sera tipica delle nostre, da Veneto apripista, imbevuta com'è di umidità e di buio, mentre la mia Agenzia è in una sorta di limbo (nuovo hardware, vecchio software), in attesa della Grande Migrazione. La prossima settimana, tre giorni di corso che mi renderanno espertissima, e poi arriverà lui, il Nuovo Sistema Operativo con un nome talmente assurdo (chissà se lo sanno, che vuol dire Aceto in tedesco) che - già sappiamo - nelle Agenzie che hanno fatto da test nazionale ha scartato casualmente Polizze senza preavviso, eliminato tutti i Contatti dalla posta elettronica, mischiato svariate anagrafiche della Banca Dati Clienti, impallato i programmi di contabilità ed altre amenità simili. Credo sarà la mia rivincita, visto il mio livello di informatizzazione pari a sotto zero; i miei brogliacci fatti a mano saranno indispensabili. I rapporti umani prevarranno, lo spero, su macchine inutilizzabili se non inutili. Il sorriso abbatterà la paralisi. Ma ciò comporterà l'ennesima full immersion... </div>
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L'anno scorso sono uscita dal "trauma del trasloco" a Firenze, grazie ad una Mostra a Palazzo Strozzi: dopo mesi in apnea ancora una volta l'arte era stata aria, era stata vento, era stata sole. Non so assolutamente quando e come, ma già pregusto quale sarà la scintilla, quale Mostra porterà in superficie questa nuova bolla che sta solo aspettando di formarsi. Non lo so, ma uscirne sarà di sicuro bellissimo.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-49003139684467251672014-10-18T22:21:00.000+02:002014-10-18T22:54:52.097+02:00Matthias Brandes<div style="text-align: justify;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijLc_91QPUIN-qKNRfHRUD82t3UVkedQZOEyBC2eVp2SuB4XRufNBqB0-9fm3WNFEZPpUfTwM822YxDLthGVuYhzlJEHUNNOXmn55M6R8nUKS21Fbg4Jz0KZJq1HG-9UYmsFJJVjRzUoPz/s1600/Samsung+003.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijLc_91QPUIN-qKNRfHRUD82t3UVkedQZOEyBC2eVp2SuB4XRufNBqB0-9fm3WNFEZPpUfTwM822YxDLthGVuYhzlJEHUNNOXmn55M6R8nUKS21Fbg4Jz0KZJq1HG-9UYmsFJJVjRzUoPz/s1600/Samsung+003.png" height="183" width="200" /></a></div>
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Sabato scorso io e mio marito abbiamo mangiato un boccone-al-volo con Paolo Orler. </div>
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Il che è sempre un'esperienza interessante, perchè Paolino è - oltre che una carissima persona - un ragazzo estremamente curioso ed attento, di quelli che vanno via veloci, e mangiando con lui ti ritrovi sotto un fuoco di domande di fila, tutte che possono avviare discorsi di ore, mentre invece il tempo è sempre quel che è, e quindi bisogna concentrare gli argomenti. </div>
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Argomenti, peraltro, che spaziano da quante volte sono stata a Medjugorje e come l'ho sentita e vissuta, ogni singola volta, al fatto che mi ricordo ancora bene a memoria la promessa di matrimonio (con la sua importante e difficile verità, che va ben oltre la basica fedeltà, principalmente quando parla di "onore"); da quanto buona è la carne da Olindo soprattutto quando segue le tagliatelle con il tartufo, a quali Polizze assicurative coprono i danni fatti dai muletti sulle macchine nel parcheggio aziendale. Praticamente alla fine sei felice e soddisfatto, hai sudato come una bestia e ti senti come quando passavi gli esami fondamentali all'Università. </div>
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Perchè questo particolare cappello: perchè, tra le tante domande a bruciapelo di Paolo, una mi ha colpito dritta in fondo al cuore, ed è stata argomento di discussione a casa per vari giorni a venire, oltre che in quel momento a tavola. Dal prosciutto arrosto di Olindo (eravamo all'antipasto) Paolo ci ha chiesto: " Avete già avuto la crisi di rigetto per l'arte?". Così, come se fosse la cosa più naturale dell'Universo. Intendo, non ci ha chiesto se l'avevamo mai avuta, ma se l'avevamo GIA' avuta, facendo supporre che - prima o poi - in ogni collezionista il rigetto arrivi. Dà da pensare, soprattutto se detto da uno che in mezzo all'arte ci è nato, che gattonava in magazzini stracolmi di opere di ogni genere, che ha conosciuto personalmente artisti tra i più importanti (e probabilmente a molti di quelli locali è stato in braccio, agli inizi degli anni Settanta). </div>
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In effetti noi ci siamo guardati ed abbiamo risposto di no, sul momento: niente crisi, niente rigetto, anzi. Ne avessimo di soldi per continuare a comprare un sacco di roba, oltre che per visitare Mostre e Musei! Lui ci incalzava, non convinto: "Ma davvero non c'è neanche un'opera che avete comprato e che adesso vi dà sui nervi?" Non c'è niente, tra le cose di cui ci siamo circondati, di cui ci siamo - sotto sotto ma anche sopra sopra - pentiti? A pelle direi di no, ma urge un distinguo: è evidente che, come chiunque approcci il mondo dell'arte inteso come acquisti di opere partendo da zero da parte di comuni mortali, all'inizio abbiamo fatto degli errori. Nel senso che in piena fase bulimica non ti rendi conto che i soldi non sono eterni, e quindi spendi senza razionalità. Vedi/compri. Vedi/compri. Quando arrivi a maturare un minimo di coscienza, e quindi saresti in grado di riconoscere un'opera per la quale varrebbe la pena di tirare fuori quell'Euro in più (per il nome, per il soggetto, per come è realizzata, per la storia...) rispetto a quella che è e sempre resterà pura e semplice decorazione, hai finito la riserva aurea. Quando cominci a pensare con la tua testa (in base a quello che hai letto, hai visto, hai affinato durante un percorso) e smetti di bere come acqua santa le parole di chi sta in televisione, hai già fatto ricorso al credito al consumo come minimo un paio di volte. Noi però abbiamo fatto scelte, credo, intelligenti sotto un aspetto specifico: abbiamo sempre comprato cose che ci piacciono. Anche Gastone Biggi - pace all'anima sua! - che poi alla fine ho venduto, dopo tutto il teatrino di Cagnola; nella produzione di Biggi, era comunque un'opera che trovavo interessante, con un suo perchè. Anche Salvatore Emblema, che indubbiamente ho pagato una follia e mezza rispetto al suo reale mercato, ma che tuttora mi affascina per la sua ricerca, per la sua essenzialità, per i suoi colori-non-colori; e poi da quando Franco Ristori me l'ha incorniciato tutto in ruggine con un'intelaiatura su misura che sembra un vecchio cancello con tanto di rivetti, non c'è persona che passi per il mio ufficio e non ne sia incantata. Magari perchè non sanno chi è, ma tutti sbavano. Fanno domande, toccano i catrami, le terre, si stupiscono (e a dire il vero quando spiego che la cornice è un'opera d'arte a parte, e che non c'entra con l'artista, un po' ci restano male).</div>
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Per concludere il secondo cappello: è indubbio che se potessi tornare indietro utilizzerei molti dei miei soldini onestamente guadagnati per acquistare altre cose che adesso conosco, rispetto a ciò che ho preso "a scatola chiusa", ma non detesterò mai nulla di ciò che ho appeso alle pareti, perchè sono comunque tutti pezzi che mi colpiscono, che mi hanno in qualche modo trasmesso qualcosa. Non ho mai scucito mezzo Euro per alcunchè che fosse solo puro investimento: l'investimento A BREVE in arte non esiste, e io non ho di certo davanti tutto il tempo che serve per far rivalutare gli artisti davvero vincenti di domani.</div>
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Detto ciò, l'argomento "rigetto" è stato molto gettonato nelle nostre chiacchierate familiari successive, non foss'altro perchè il giorno dopo, cioè la domenica, c'era Art Verona da visitare, biglietti già presi e appuntamenti fuori del cancello già fissati con più di un amico. Qui Paolo potrebbe averci preso: se non mi stancherò mai di vedere Chiese e Musei (anzi!), se le Mostre che progetto di visitare e mi perdo - siano esse grandi e istituzionali, oppure di qualche artista minore da riscoprire silenziosamente - sono ogni volta una sofferenza (compensata da quelle poche che mi ritaglio, pur di nutrirmi dentro, alla faccia dello stress-da-lavoro-correlato), se la Ricerca del Bello è per me l'undicesimo comandamento, ammetto che ultimamente le Fiere mi vedono meno entusiasta. Sono sempre piacevoli occasioni di svago in cui ci incontriamo e ci confrontiamo con amici provenienti dalle regioni vicine, ma le trovo un po'... stagnanti. Rappresentative di un mercato asfittico, infastidito e fastidioso, in cui i giochi - spesso - sono già fatti, alla faccia nostra. Con quel ripetersi sempre uguale dei soliti nomi, sembra l'appello in una classe di secchioni: Accardi, Adami, Aubertin, Biasi & (Kinetic) Company, Pistoletto, Scanavino, Simeti... (secchioni, si badi bene, di certo ottime presenze di livello, ma al limite dell'effetto-fotocopia tra uno Stand e l'altro, anche nei prezzi). E con tutto ciò che dovrebbe rappresentare il NUOVO, le proposte, i giovani/giovanissimi - tanti, tantissimi per fortuna - a cifre fuori dal mondo, a idee fuori dal mondo: sperimentazioni senza fine, qualche fotografia, pittura poca. Roba da sospirare di tristezza, e correre subito da Paolo Orler a comprare un paio di bei tappeti dei suoi per tirarsi su il morale.</div>
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Invece, girovagando per una Art Verona piacevolmente frizzantina rispetto a quella dello scorso anno (nella speranza che sia un bel segnale), una scoperta. Un amore a prima vista. Questa crisi di rigetto che non arriva, e che anzi mi scalda il cuore sempre di più. Lui si chiama Matthias Brandes, tedesco del 1950 (grande annata per i vini ed i corniciai) dotato di chioma bianca con folte sopracciglia. Assolutamente a me sconosciuto, altrettanto assolutamente per me delizioso. </div>
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Atmosfere sospese come in un sogno, tra pennellate cariche di caldo e di vento: case colorate di terra, realistiche e semplici come in un disegno di bambino (il classico quadrato con la porta sotto, le due finestrelle sopra ed il tetto a spiovere), ma trasportate in una dimensione fuori del tempo, che le vede volare in aria come aquiloni senza peso, rincorrendosi in un cielo di perla, o appoggiarsi di lato, l'una all'altra, in un movimento un po' stanco che fa il verso al terremoto, ma senza danno. </div>
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Alberi - cipressi, all'origine, probabilmente - divenuti più cicciottelli, densi densi, a bisbigliare qualcosa di misterioso alle finestre, a spirare un soffio di vita dietro ai mattoncini. Ombre nette, squadrate, ritagliate a scalpello, inquiete nel loro lambire la geometria circostante. Un paese intero che sorge da una tovaglia bianca, ancora con le pieghe addosso della stiratura, gettata sul tavolino della metafisica, in un unico, avvolgente, immenso silenzio. </div>
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E che lavorazione! Sabbie, graffiature, ruvidità, superfici di pietre vive, di graniti, di calce che si solleva, di bianco nei rosa, di grigio nei verdi cupi. Non erano quadri, erano richiami di sirene per chi - come me - sente prepotentemente il fascino di CERTA pittura: era come se Armodio, De Chirico, Magritte, Campigli, Xavier Bueno, Scuffi, Carrà, Lazzaro mi stessero facendo il girotondo intorno (li ho messi tutti insieme, e avrei potuto metterci anche Giotto e Piero della Francesca, volutamente mescolati, senza alcun ordine storico, senza alcun ordine logico, senza alcun riferimento di bravura o di mercato, solo perchè ne sentivo insieme i sussurri in ogni pennellata). Un piccolo richiamo di ciascuno di loro, i grandi e i meno grandi, in un raro risultato di suggestioni, di colori, di ricordi. </div>
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Anche i miei scatti col cellulare alle Fiere sono rari, rarissimi; l'ho già detto, preferisco Mostre e Musei, eppure su Brandes avrei scaricato un rullino, se ancora esistessero, i rullini. Uno intero da trentasei, tanto mi ha coinvolto, sotto gli occhi della bella signora svedese che stava allo Stand, e che già si era stupita tanto perchè la gente continuava a chiederle i prezzi dei quadri che pure erano scritti nei cartellini (ma non siamo abituati, noi, qui, a tanta trasparenza, in questo mercato dell'arte, in questa continua fiera con la f minuscola, fiera del fasullo che trascura i talenti e del denaro fa girandole senza una logica). Hanno dovuto trascinarmi via per finire il giro, perchè per me lui già valeva il biglietto: mi sarei fermata lì per ore, a sognare ad occhi semichiusi, annusando la fragranza della campagna toscana che veniva fuori dal silenzio di quelle tele e mi andava dritta dritta all'anima. </div>
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Per poi scoprire, tornata a casa e fiondata in rete come un pesce per capire chi era e cos'aveva fatto questo Brandes finora, e come avevo potuto farmelo scappare così, che le sue ispirazioni principali - in un eterno gioco di onirici paesaggi - sono le terre toscane e la laguna veneta (ho trovato il MIO pittore, allora!), tant'è che vive da anni esattamente a venti chilometri da me, e spesso le sue casette in-animate spuntano da misteriose acque alte verdazzurre che hanno il sapore della laguna, o si affiancano ad enormi navi pietrose senza occhi, ricordi di un mare antico, del quale puoi solo indovinare se ti attende per una partenza, oppure se si allontana dopo l'agognato ritorno. </div>
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Non varrà mai milioni di Euro, Matthias Brandes, ne sono certa come sono certa di quanto mi piace come dipinge. Del resto, non ha inventato niente di nuovo, e oggigiorno i grandi risultati premiano chi si è spinto oltre certi paletti, chi ha provato a parlare in linguaggi diversi. Probabilmente continuerà a rimanere uno sconosciuto ai più, anche se io, personalmente, mi sono già messa in moto per fargli spazio a casa mia. Presumibilmente farà pure sorridere - con tenerezza, o una certa commiserazione - i grandi esperti, coloro che tengono le fila dell'attuale <i>mercatus</i>. Ma una cosa è assolutamente indiscutibile: finchè dipingerà così, a me, che secondo l'insulto ricorrente sono "una-da-Cascella" (e comincio ad andarne fiera, a questo punto, alla faccia dei teschi e delle bestie morte!), che amo davvero ogni cosa sia appesa alle mie pareti, che mi macino chilometri in auto o in treno o in aereo solo per il profumo di un quadro, che non nascondo il nodo in gola quando, poi, mi ci emoziono davanti, il rigetto non verrà mai.<br />
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MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-48772056801922126032014-09-27T22:05:00.000+02:002014-09-27T22:20:38.685+02:00Belle Epoque<div style="text-align: justify;">
E' probabile che io rischi di ripetermi.</div>
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Anzi, direi proprio che mi ripeterò. E vuol dire che va bene così.</div>
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Trecose galoppa a briglia sciolta da quasi tre anni, ormai, e per quanto io sia cambiata DENTRO, per un insieme di motivi, non sono mai andata a correggere, ritoccare o spostare i miei post passati (ma tu guarda l'accostamento: "post passati", così ossimorico...) perchè da un lato raccontano com'ero e, in fondo - sulle cose importanti - come sono tuttora, e dall'altro perchè sono testimoni di un'evoluzione, di una maturazione, che mi ha portato fino a qui - con le scelte che ho fatto e con quelle che farò - e modificarli mi sembrerebbe come se smontassi i pioli di una scala: bloccherei tutto, senza possibilità di salire nè di scendere. Tuttavia io ricordo ogni parola dei miei post, perchè ogni parola è stata (soprattutto il primo anno) singola goccia di emozione, di vita, di gioia, di rabbia, travasata e condivisa qui dentro; mi capita, scrivendo, di dire a me stessa "ah, no, questo l'hai già scritto nel post Tale, cancella altrimenti ti ripeti", dando per scontato che anche chi mi legge si ricordi esattamente virgola per virgola le mie frasi (prendetelo come un gesto di carineria nei confronti dei lettori, giusto per non annoiarli, anche se sicuramente pecco di immodestia presumendo che chiunque passi di qui si tatui col sangue ogni lettera che esce dalla mia tastiera...).</div>
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Oggi non lo farò! Ripeterò cose già dette, perchè ho provato emozioni già provate, e tutto sommato non importa: non c'è scritto in alcun Vangelo che bisogna per forza essere costantemente nuovi ed originali; un pochino di crogiolamento in qualche cosa che ci faccia stare bene, ogni tanto, ce lo meritiamo.</div>
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Ho partecipato ad un corso di formazione professionale dei nostri a Bologna, interessantissimo, e a tal proposito saluto Patty che mi ha promesso che verrà a leggermi - de vez en cuando - scusandomi se finora ho sempre parlato di assicurazioni utilizzando la parola "spendere" (del resto, il corso l'ho fatto solo adesso), mi applicherò affinchè la cosa non si ripeta. Ho scoperto quanto intrigante sia la psicologia economica, mi affascina, davvero. Ho appreso dell'esistenza di quel geniaccio birbante di Daniel Kahneman. Ho definitivamente capito che il mio domani sarà fuori dal Veneto, mi piacciono troppo i toscani (mica avevo optato per Bologna a caso, come sede del corso, è che lì sapevo ci sarebbe stato un crogiolo di "abitanti del Centro" con cui confrontarmi), sanno prendere il lavoro, le discussioni, le scelte, la VITA insomma sempre in un modo che mi fa impazzire: seriamente, adagio molto, allegro con brio. Ti ci siedi davanti e ti fa tanto Beethoven (adesso devo solo capire come e quando).</div>
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Però, ritornata a casa con il mio nuovo bagaglio di conoscenza e curiosità, ho trovato mio marito con il musetto lungo, perchè non è che ci piaccia tanto stare separati, anche se è per annusare l'aria e pianificare un futuro sinfonico. Ci siamo presi un pomeriggio da passare insieme, non casualmente a Padova perchè sapevamo che a Palazzo Zabarella aveva aperto i battenti la Mostra di Vittorio Corcos. </div>
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Ed ecco dove mi ripeto: parola per parola, il mio post "Parentesi" di sedici mesi fa (con preghiera di rilettura: <a href="http://trecose.blogspot.it/2013/05/parentesi.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2013/05/parentesi.html</a>).<br />
Avevamo già visto a Palazzo Zabarella, in quel percorso espositivo eccezionale, circolare, illuminato al punto giusto, Boldini prima e De Nittis poi. Anche su questa cosa del come esporre opere d'arte avevo già scritto in occasione del mio post su Giorgio Celiberti (altra preghierina: <a href="http://trecose.blogspot.it/2013/07/ai-piedi-di-giorgio-celiberti.html" target="_blank">http://trecose.blogspot.it/2013/07/ai-piedi-di-giorgio-celiberti.html</a>), ma già che oggi sono in fase di ripetizione in effetti mi sento di ribadire che le Mostre della Fondazione Bano hanno una marcia in più, e sì che ne ho viste in giro per l'Italia (a Palazzo Reale a Milano, soprattutto, e ci tornerò ben presto che Chagall mi aspetta). E non parlo della scelta delle opere in sè, parlo di come le posizionano, di come ci mettono attorno i faretti, del percorso non "squadrato" (il classico stanza-dopo-stanza-dopo-stanza) che fa sì che tu ti possa trovare davanti, improvvisamente, uno spazio ampio inaspettato, oppure un semi-corridoio, o un piccolo budoir. E ogni luogo racchiude l'opera giusta, per dimensioni, sguardi, sensazioni. </div>
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Comunque dopo Boldini e De Nittis non potevamo lasciare incompiuto il percorso dei grandi ritrattisti (ah, il famoso Museo del Ritratto! Era una chimera nel post precedente, e ora già possiamo cominciare a dargli forma...), e ci siamo gustati il Grande Livornese dal primo all'ultimo sorso. </div>
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Non voglio parlare e non parlerò di Corcos in sè, dei suoi ritratti, dei suoi sguardi, della luce che esce dai particolari delle sue tele, delle sue minuzie esagerate e dei suoi sfumati contorni. Del fatto di quanto lui fosse "oltre", visto che già il suo contemporaneo Ojetti, nell'anno in cui Corcos muore, di lui scrive che "dipinge donne e uomini come desiderano d'essere, non come sono" (eppure i ritratti sono fedeli, la fotografia già esisteva all'epoca, e i personaggi famosi - le cui fotografie sono giunte ai giorni nostri - sono davvero con quei volti, con quelle pose); ma bastava, ritengo, un po' di sfrontatezza in più nel sopracciglio, oppure un po' di rossore su una guancia, la bocca lievemente più socchiusa del normale, per trasmettere qualcosa di DIVERSO, che oltrepassasse la rigidità dello schema sociale, che facesse immaginare cosa la gentildonna o il nobiluomo avrebbero voluto fare mentre si guardavano, e non quanto poi, nella realtà, fosse loro permesso. Non voglio parlare di quanto strano ho trovato che nelle cartoline, negli opuscoli, nei poster, nei puzzle del Bookshop abbondassero le riproduzioni delle sue dame meravigliose, le pelli bianco latte e i capelli raccolti, quando in realtà i ritratti più straordinari erano - a mio giudizio - quelli dei personaggi maschili: barbe, baffi, panciotti, monocoli, mani con unghie traslucide e perfette, visi che trasudavano prestigio, potere, carisma (ma si sa, le donne sono più gradevoli se riprodotte su puzzle). Non parlerò (non troppo, almeno) di quanto mi abbia impressionato leggere come lui incominciasse - nei dipinti - sempre dagli occhi, giacchè se gli venivano bene quelli, era praticamente a metà dell'opera: gli occhi come cardine di un dipinto, quand'anche riproducesse, finito, una figura intera. Gli occhi come fulcro dell'intero quadro, come punto magnetico da cui è impossibile staccarsi, come canale di comunicazione privilegiato, anche nel silenzio, tra chi parla e chi ascolta, tra chi guarda e chi è guardato; esattamente, quindi, come la vedo io, che agli occhi do un'importanza al limite del maniacale, ci passa una vita intera, ci metto - nei miei - tutta la mia essenza. </div>
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Insomma, già non sono titolata per niente quando mi azzardo a parlare di contemporanei viventi, figuriamoci se ardisco farlo su pittori della nostra tradizione, sui quali fior di critici, curatori di musei, esperti di ogni tipo si sono - nel tempo - espressi.</div>
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Vorrei parlare d'altro. Vorrei parlare (ancora!) del nodo alla gola, piccolo, sottovoce, che mi prende quando entro nell'Ottocento, sul finale. In una pittura senza esperimenti, che aveva uno e un solo linguaggio. Che parlava di lunghi viali ombreggiati, di mani guantate, di libri poggiati sulle panchine. Sono nata nel secolo sbagliato, lo so e me lo dico ogni volta che mi immergo in quei quadri, è sbagliata la mia seconda cifra, al limite vanno bene le ultime due. Ammetto che mi dispiacerebbe perdere le conquiste scientifiche degli ultimi cinquanta, sessant'anni (in medicina, principalmente, ma anche dal punto di vista tecnico, ora abbiamo indubbiamente delle gran belle comodità), ma probabilmente accetterei comunque lo scambio. Ovvio, e va detto senza ipocrisie, presupponendo di essere benestante, molto benestante, istintivamente ci immaginiamo sempre parte della fetta di popolazione che sta bene (uno scambio temporale per finire a fare la lavandaia, ecco, magari lo eviterei). </div>
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Parigi, la Belle Epoque... quando tutto cominciava e tutto doveva ancora cominciare, quando c'erano ancora valori importanti, sogni da inseguire, regole da rispettare. Quando il tempo correva veloce, ma non scappava via. Con stile, con eleganza, con intelligenza. Le donne volevano essere ammirate ed apprezzate, ma senza bruciare il reggiseno (o il corsetto che fosse), perchè non era certo quello che le poteva emancipare di più o di meno, e nel segreto delle case le decisioni importanti si prendevano comunque sempre in due (almeno, a casa dei miei bisnonni si vocifera fosse così). E anche se c'era già la fotografia, era ancora un gesto vitale regalare un ritratto fatto da un pittore che ti cogliesse l'anima passando per gli occhi. Un gesto d'amore, che mi piacerebbe ancora adesso, in questo iper-contemporaneo che non fa più nemmeno le foto, di normali, elabora e modifica pure quelle; un quadro fatto a pennello e olio, dal vivo o a memoria, o copiando una fotografia, ma che sappia di tempo passato a guardare, a pensare. Un dono che presuppone l'attesa (perchè, poi, io sempre lì torno), il gusto e la poesia profonda dell'attesa, e che non venga bruciato in un nanosecondo una volta ricevuto per passare ad altro, per rincorrere il DOPO. E che, tra cent'anni, testimoni ancora cosa cela il lampo di uno sguardo con la stessa potenza, la stessa malizia, la stessa trasparenza di oggi.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-8597228946626902962014-09-14T18:59:00.000+02:002014-09-15T07:06:42.651+02:00Cinzia Pellin<div style="text-align: justify;">
Come, ritengo, chiunque gestisca un proprio Blog o frequenti assiduamente un Forum, mi capita spesso di curiosare in Blog e Forum altrui, soprattutto se li ho conosciuti in occasione di confronti, qui, su Trecose, così mi diventano ancora più simpatici. Ultimamente mi sono imbattuta in un ragionamento interessante tra i ragazzi di Finanza OnLine - parlo ovviamente solo del "sottoforum" (oggi vado anche di neologismi internettiani) relativo al Collezionismo/Investimento in arte, perchè F.O.L. è un sito immenso, e decisamente io mi spavento davanti a parole come Trading, Small Cap, Forex e tutti i loro cugini di secondo grado. </div>
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Nemmeno mi ricordo se era una discussione recente o no, ma so che l'avevo trovata estremamente curiosa ed interessante: il loro moderatore si poneva una sorta di Questione Morale, chiedendosi se fosse corretto o meno che gli iscritti potessero "parlar male" molto spudoratamente degli autori che a loro non piacciono. Pur anche anteponendo alle varie opinioni il più classico dei "secondo me". Questo perchè, notava, nemmeno gli appassionati d'arte di F.O.L. sono più i quattro gatti che erano quando sono partiti (famosissimi e citati più di una volta, ad esempio, al "lancio" delle televendite Cagnola, quando sono andati molto vicini a procurare un infarto a Roberto Porcelli), e una cosa è chiacchierare animosamente tra amici al bar, altra cosa è rendere pubblici online pesanti giudizi. Si chiedeva se il rimarcare quanto trovano orribile e sopravvalutato il Tal artista piuttosto che il Tal altro potesse - in un certo qual modo - influenzare il mercato, cosa che a loro non spetta, partendo dal rovinare i rapporti tra il Tal artista e i suoi estimatori. L'alternativa resta il parlar bene solamente degli artisti che si amano, lasciando cadere uno sdegnato e pesante silenzio su tutti gli altri (traducendo: se non ne parlo significa che non mi piace). </div>
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Ovviamente la discussione continuava con gli interventi più disparati, ma a me era bastato il primo per rifletterci un po' su, anche se il discorso mantiene sempre e comunque una base più teorica che pratica (come già il loro moderatore premetteva, del resto, visto che se questo fosse un problema reale varrebbe anche il suo contrario, cioè gli autori di cui qui si parla solo e sempre bene dovrebbero valere già milioni...). Anch'io, in effetti, preferisco in linea di massima affrontare l'argomento Arte solo parlando BENE, dando per scontato che il MALE sia "il resto" (cosa che non succede invece con l'argomento Assicurazioni, o peggio ancora con gli Uomini!); potrei ipotizzare che sia un mio atteggiamento inconscio, per preservare tutta la magia che gira attorno a questo mondo così lordato eppure ancora così fiabesco. Oppure, dal momento in cui io d'arte parlo solo col cuore, preferisco egoisticamente non espormi agli strali degli esperti che arriverebbero se mi permettessi di dire "il Tal artista mi fa proprio schifo" (una volta ad un Evento Orler un gallerista non-Orler mi ha quasi sbranato, perchè ho osato dire che "non capivo" Calzolari... e tuttora penso che sia un gran furbacchione). </div>
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L'arte (nel gusto...) è cosa così personale, così privata, così soggettiva! </div>
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Se devo fare la precisina e sottolineare in rosso e in blu posso farlo senza incertezze con le Assicurazioni, dove tutto è molto più inquadrabile in Vero/Falso, Buono/Cattivo, e, soprattutto, se dico la mia è fonte di assoluta verità, da oltre vent'anni, insomma, Calzolari doveva ancora presenziare a documenta IX. C'è anche da dire che nella sola Italia i cosiddetti "artisti" pare siano oltre trentamila (l'ho letto una volta su una delle varie riviste specializzate, non so se avessero preso a riferimento la Camera di Commercio piuttosto che le Pagine Gialle, ma era un dato preciso), ed è fisicamente impossibile che ad un'unica persona siano tutti noti (e non parlo dell'assicuratrice veneta, parlo anche dei critici più tosti), quindi chi dovesse sentirsi ignorato può tranquillamente pensare di essere un Emerito Sconosciuto, dispiace ma è sempre meglio di Imbrattatele Incapace.</div>
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Poi, l'altra sera, mi è venuto in testa una specie di flash. Mi sono resa conto che non ho mai scritto un post su Cinzia Pellin, e dal momento che non è a me sconosciuta (cosa deducibile dai miei trascorsi con la Galleria Vecchiato, infatti l'ho anche nominata - ma solo come fugace apparizione - nel post "Serata di Stelle" del Dicembre 2012) non voglio assolutamente che si pensi che non intenda parlarne bene. Il flash, per la cronaca, mi è balenato all'interno dell'Oratorio della Beata Vergine del Rosario di Limena, una chiesetta sconsacrata annessa ad una delle nostre belle ville venete in cui - nell'ambito della manifestazione "Il Risveglio dell'Arte" - Cinzia aveva una serata tutta per sè. Parlo di venerdì scorso, e direi che dopo un paio di giorni di balenamento è il caso che mi metta alla tastiera per porvi rimedio.</div>
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Non so perchè non l'ho mai fatto prima, ormai in fondo sono passati tre anni da quella straordinaria serata di Firenze (Rabarama e "AntiConforme") durante la quale io e mio marito l'avevamo conosciuta, e trovata simpatica, alla mano, carina ed estremamente sensibile. Probabilmente perchè non abbiamo un quadro suo, sotto sotto l'empatia è più elevata con gli artisti di cui ho qualcosa in casa, è come avere qui anche loro, parlarci a quattrocchi, dialogare con lo sguardo (anche con chi non c'è più, io con Xavier Bueno mi faccio sempre un sacco di discorsi). E di questo la colpa è tutta mia, perchè mio marito ha spesso fatto gli occhioni imploranti come il gatto di Shrek davanti a più di un quadro di Cinzia. A parte il fatto che tendenzialmente sono enormi, e noi siamo collezionisti microscopici con un appartamento di conseguenza (già molto pieno, tra l'altro). A parte il fatto/bis che per ammirarli in tutta la loro forza bisogna starci abbastanza distante, e questo presuppone una certa vastità di spazio non solo sulla parete, ma anche sul pavimento. Io non lo so cos'è esattamente: forse mi turbano un pochino. Mi mettono una lieve inquietudine. Mi scrutano dentro. Non c'entra niente il fatto che siano donne (famose o sconosciute, sensuali o acerbe, aggressive o dolci), come hanno sostenuto venerdì provando a psicanalizzarmi, anzi, forse se fossero uomini la sensazione sarebbe anche più violenta. </div>
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E questo esattamente perchè Cinzia Pellin è brava, mostruosamente brava (mostruosamente in senso buono, ovvio). </div>
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Lei non dipinge volti, dipinge STATI D'ANIMO. Uno stesso viso, infatti (e questo si nota sui ritratti più famosi) può cambiare completamente espressione solo per una pennellata più carica di bianco. Perchè lei dipinge, intendiamoci, sopra a TUTTO il disegno, anche se a prima vista non sembra perchè i suoi soggetti suggestionano e catalizzano immediatamente lo sguardo su quei particolari intensi e così minuziosamente cesellati, che lei fa esplodere fuori dalle tele: le bocche - quasi sempre - gonfie, carnali, tanto reali da sembrare irreali (ed era un contrasto forte, incredibilmente ipnotico, quello di queste bocche come cuori sanguigni, con le pareti e le volte di una chiesa disadorna, quasi che non aspettasse altro che essere rivestita ed arricchita in questo modo tanto inconsueto). Ma anche gli occhi, i capelli, oppure particolari delle vesti: una sciarpa di lana, sulla quale si potrebbero contare i singoli punti, oppure lucidi guanti, o una stola di pelliccia che ancora sembra essere lambita dal vento. </div>
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Il bello delle opere di Cinzia Pellin, la sua maestria, è scoprire ciò che sta OLTRE a questi particolari, il resto del ritratto. Le sfumature lattee, gli infiniti riporti di ghiaccio, il chiaroscuro giocato solo sui grigi, la capacità di trasmettere un'emozione solo con strati di puro bianco. Non è una fumettista alla Milo Manara, per intenderci, gran disegno e sensualità all'ennesima potenza, ma se togli la seduzione casca il palco. Cinzia oltrepassa il concetto di "donna", è un unico soggetto: dalla bambina all'adolescente all'attrice immortale, che non ti vogliono sedurre, ti vogliono solo attraversare con i loro sguardi. Non giocano con te, non ti provocano. Si limitano ad osservare, immobili, magnetiche, eterne in una dimensione fuori del tempo, chi passa loro davanti, silenziose testimoni di un profondo talento.</div>
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Di recente ho iniziato ad intrattenere una corrispondenza epistolare via mail con un pittore/letterato/pensatore - non mi piace dare definizioni e mai come nel suo caso sono in difficoltà a farlo - incontrato su Trecose. Sto leggendo alcuni libri scritti da lui, e in molte, moltissime cose non potremmo essere più diversi (io, che pensavo di essere troppo chiusa alla modernità e alla tecnologia, troppo legata ai canoni del passato ed alla tradizione, in confronto a lui sono un'astronauta), ma, come spesso succede, è proprio nella diversità che si scoprono le idee migliori. Una sua frase buttata lì per caso insieme ad altre mi ha acceso una lampadina, ed ora non riesco più a guardare ad un artista senza pensarci. Lui sostiene che ogni artista contemporaneo dovrebbe misurarsi con i grandi del passato prima di aprir bocca, e va oltre, affermando che creare appositi Musei per la sola Arte Contemporanea sia un errore. In questo, sono assolutamente d'accordo con lui, perchè finisce che spesso si riempiono di provocazioni inutili, tutta robaccia che con l'Arte con la maiuscola non ha nè avrà mai niente a che fare. </div>
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La creazione di una sorta di Musei Tematici ove mettere in confronto le opere dei secoli passati con quelle dei sedicenti artisti di oggi permetterebbe di ridurre drasticamente quel famoso numero trentamila (e consacrare definitivamente talenti del nostro tempo: alcuni dei Bianchi più intensi e graffiati del "mio" Antonio Pedretti, ad esempio, forse non reggono perfettamente la "sfrontata vicinanza", per usare le parole del mio Lettore, se accostati a Turner o a Constable in un ipotetico Museo del Paesaggio?). </div>
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Poi, come in ogni cosa, c'è sempre di mezzo il gusto del singolo; tanto per dire, su Gianfranco Meggiato, che era l'argomento del mio ultimo post, non ci siamo trovati d'accordo, visto che a me piace da matti e a lui no. Mi ha invitato a confrontarlo con Boccioni, ad esempio, ma proprio accanto a Boccioni ed alla sua esasperata ricerca di modernità, di movimento, di nuove materie io lo vedo magnificamente! Boccioni - se trasportato ai nostri giorni - l'avrebbe, credo, letteralmente adorato. Una Sfera di Meggiato di grandi dimensioni non sfigurerebbe per nulla a Milano, giusto a fianco di quella "Forme uniche nella continuità dello spazio" che imprigiona anche il respiro di chi le passa accanto, non solo lo sguardo ed il tatto, in un unico filo conduttore. </div>
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Ebbene, mi ha talmente catturato questa idea dei Musei a Tema che adesso metto in "sfrontata vicinanza" chiunque vedo, e vorrei vedere Cinzia Pellin nel Museo del Ritratto. Anche solo dal Rinascimento in qua, tralasciando gli enigmatici sguardi egizi, le statuette elleniche o romane, e al limite anche quel poco che il nostro Medioevo impregnato di religione e paure ci ha lasciato. Vorrei farmi tutto il percorso, lungo, lunghissimo, dai volti di Piero della Francesca e di Antonello da Messina in poi, e trovarla alla fine, con i suoi particolari da primissimo piano, veri, forti, per niente Pop (a gusto mio, molto del "Pop" busserebbe invano, al Museo del Ritratto...). Differenti, certo, completamente, dagli sguardi dei secoli precedenti, ma comunque in grado di trafiggere l'anima dalla loro penombra. Me li andrei a guardare lì, senza neanche bisogno di svuotare tre pareti, e un poco alla volta supererei l'incertezza.</div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-84991754647577272022014-08-31T17:26:00.000+02:002014-09-01T07:28:27.224+02:00Meggiato (istinto e ragione)<div style="text-align: justify;">
E' arrivata. E' arrivata, infine. Proprio LEI.</div>
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E io... sono così felice!</div>
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A dirla tutta, ho dovuto riscattare un paio di Polizze Vita che avevo da qualche anno, e non è cosa che dovrei spifferare ai quattro venti, visto che il mio mestiere è continuare a venderne, non invogliare la gente a levarle via. Le Polizze Vita sono un investimento tranquillo e sicuro: sono impignorabili ed insequestrabili (aspetto sempre molto allettante per chi non vuole che altri possano mettere le mani sui suoi soldi), hanno nella quasi totalità dei casi una resa minima annua garantita in partenza, che salvaguarda l'investimento da fluttuazioni del mercato e/o altre sgradevoli sorprese, possono dare - a scelta - tutta una serie di interessanti garanzie accessorie a protezione della mia e della vostra serenità. Quindi, se potete (e con questo intendo se vi avanza qualche soldo all'anno - che non volete lasciare in Conto Corrente - dopo aver pagato il cibo, i detersivi, la bolletta del riscaldamento e tutte le altre spese minime per la sopravvivenza), un pensierino è sempre bene farlo. Magari come alternativa alla classica obbligazione, o al CCT, visto che ora come ora i Titoli di Stato non rendono un tubo.</div>
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Io l'ho fatto, più volte, a suo tempo. In fondo, io avrei anche qualche ragione in più rispetto a voi, perchè ogni anno ho degli obiettivi di vendita da raggiungere, e quindi stipulare ogni tanto Polizze Vita a me stessa è anche un modo per raggiungerli (con tutte le piacevoli conseguenze), oltre che un modo semplice e pulito per accantonare denaro in sicurezza.</div>
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Però l'ho già detto come in questo periodo io mi senta fuori dal mondo. Voglia di cambiare aria. Voglia di cambiare faccia, e facce intorno a me. Voglia di PRESENTE, oggi.</div>
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Dopo tutto, queste Polizze sono così... noiose. Sono solo dei pezzi di carta con una scadenza molto lunga. </div>
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Non bisognerebbe mai chiuderle anticipatamente, lo so bene io per prima, soprattutto se stipulate in una formula che, alla fine del percorso, ti dà un bel po' di rendimento extra (ma veramente un bel po', in doppia cifra), ma devi arrivarci dritto come un treno e senza interruzioni, alla fine del percorso, perchè se cambi idea per strada ci smeni parecchio. Ed è giusto così, del resto: se vuoi la doppia cifra garantita devi garantire tu per primo di fare il bravo. Altrimenti, ciccia. </div>
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Diciamo che sono formule per chi non cambia idea spesso. Sono formule per chi non è malato d'arte. Sono formule per chi non va a Madonna di Campiglio per festeggiare le dirette estive con gli Orler. Sono formule per chi non si trova davanti al naso la Sfera di Gianfranco Meggiato dei suoi sogni, proprio lei, proprio quella che ti è passata davanti agli occhi per anni e anni mentre tu potevi solo sospirare (e firmare Polizze). Eh, già. Quelli malati d'arte, che vanno a Campiglio per il weekend, che si trovano davanti al naso Meggiato e non solo Meggiato, va a finire che passano la notte immersi in complicati calcoli, e il lunedì successivo riscattano le Polizze perfettamente consci della percentuale di abbattimento del loro investimento finanziario.</div>
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Chissenefrega, però. Vi posso assicurare che, mentre dicono addio al cospicuo bonus finale della Polizza Vita, aprono la porta dello spirito ad una delizia che nessun pezzo di carta potrà mai dare. Aprono un portone anche ad un tipo di investimento differente ma ugualmente interessante, se vogliamo essere precisi, perchè Gianfranco Meggiato è un nome ormai consolidato e molto desiderato, e sono certa che le sue opere sono sempre soldi ben spesi, a qualsiasi latitudine. Ma visto che ormai mi conoscete bene, sapete che questo aspetto della questione è per me decisamente secondario. </div>
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Nemmeno mi ci metto, a discutere con chi non lo ritiene un Grande, oppure con chi non lo ritiene neanche un artista ma solamente un bravo designer, e mi fa la faccetta di compatimento come se avessi buttato il mio capitale - garantito e impignorabile - dalla finestra. Anzi, un bacio in fronte a chi non lo conosce per niente, non conosce i suoi lavori, e resta con la bocca aperta. Mi piace sentirmi dire: "Caspita, che bel Meggiato", dà il la ad un profondo dialogo tra appassionati. Mi piace anche: "Bel pezzo, chi è l'artista?"; è più raro, perchè Meggiato è abbastanza conosciuto da chi frequenta casa mia e colleziona arte, ma può capitare. In questo caso la discussione è più dotta e divulgativa. Tuttavia resta impareggiabile il silenzio, lo sguardo stupefatto, lo sbalordimento di chi non sa assolutamente nulla di arte contemporanea (e ce ne sono davvero molti, anche se a chi popola il mio mondo può sembrare strano) e se ne esce con un: "Bellissima, ma... che cos'è?". Io, questi qui, li adoro. Perchè adoro poche cose come poter parlare degli artisti che mi piacciono, e sono le domande così che me ne danno la possibilità. Non "chi è", tra l'altro, quanto "che cos'è". Il profano che si avvicina e, pur non capendo come e perchè, SENTE, AVVERTE qualcosa. Puoi raccontargli tutto. Puoi spalancargli una finestra con dietro un intero universo. Puoi dirgli "Sei tu, solo un poco nascosto", e vedere che faccia fa quando capisce che è esattamente così. Quella sfera centrale, così intima, così lucida, così perfetta, racchiude tutti i tuoi pensieri più nascosti, le tue paure, le tue gioie. La puoi intravedere appena attraverso questo reticolato scuro, che sei sempre tu, quando lasci che la vita ricopra il tuo soffio vitale, il tuo zelo, il tuo fuoco. Tocca. Mettici pure le mani sopra, dentro. Senti il vuoto, con le dita, dopo aver visto il pieno con gli occhi. </div>
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Erano anni che ci pensavamo, a questa Sfera. Proprio a lei, perchè una cosa che non sempre capisce chi commercia arte per mestiere è che le opere non sono tutte uguali (certo, a meno che uno non compri per puro investimento, allora tramite il suo consulente va a caccia di un paio di Boetti due metri per due, li mette in una bella cassaforte senza neanche sapere come sono fatti, e la cosa finisce lì: io parlo per chi compra per il puro gusto, per la bellezza, per emozionarsi, principalmente). O meglio, è probabile che lo capiscano perfettamente (nessuno meglio di loro vede la differenza tra un quadro ben riuscito e una robaccia immonda, anche se della stessa mano e della stessa dimensione), ma quando si tratta di venderle ai collezionisti fanno finta che il concetto passi in secondo piano. Mi fa un certo che quando, in certe televendite, a chi vuole un quadro che invece è appena stato confermato da qualcun altro dicono: "Te ne tiriamo fuori un altro". Come se fosse la stessa roba! Come se fosse un chilo di pane! Mi dia due pacchi di fusilli! Non è possibile, non è solo il NOME. Non è solo il SOGGETTO. Non è solo la DIMENSIONE. E dirò di più, non è nemmeno solo il fatto che l'opera sia bella o brutta o così così. Anche all'interno di opere universalmente definibili "belle", c'è una musica che si sprigiona solo da quel pezzo, lui e lui solo, per me, e magari a qualcun altro non dice niente (per fortuna, così dev'essere). E' una vibrazione che ti attira. Mi sa che anche con l'arte vale il proverbio "Dio li fa e poi li accoppia", come con i fidanzati, o i cani. Compri cose che senti simili a te, ti circondi di opere che siano in sintonia con il tuo ritmo interiore, e se ci si avvicinano solamente non ti senti completo, è come sentire una stecca durante un concerto. E infatti spesso ci si perde il cuore, su certi pezzi, perchè non si può comprare sempre, perchè non è il momento, perchè c'è chi te li soffia sotto al naso, o semplicemente perchè non hai Polizze Vita oculatamente sottoscritte anni prima da riscattare.</div>
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C'è gente per cui le Sfere di Gianfranco Meggiato sono solo delle grosse palle di metallo, gradevoli ed ornamentali. Una vale l'altra. Tra l'altro, pur nei brividi sinistri che mi dà questa frase, ammetto che è una bella cosa che i suoi lavori PIACCIANO - in effetti - praticamente a tutti (anche a chi non le considera arte). Perchè trasmettono comunque qualcosa, anche a chi non considera il loro messaggio intrinseco (l'io nascosto, la ricerca del sè, l'alternanza di vuoti e di pieni come specchio della vita...). Magari perchè riescono a vederci l'enorme lavoro tecnico, la perizia certosina, o semplicemente l'opulenza. Ma nel mio caso, che oltre alla bellezza ornamentale, alla bravura, alle cesellature, conosco e fremo per ciò che rappresenta, figuriamoci se non ne cercavo una che mi rispecchiasse davvero interamente: non troppo grande, innanzitutto, perchè volevamo poterla tenere in camera. Esattamente di fronte al letto, così è la prima cosa che vedi quando ti alzi, l'ultima prima di addormentarti, e troppo grande soverchia (nemmeno microscopica però, perchè non siamo scemi, e se si colleziona bisogna comunque avere dei pezzi decenti e non solo le "voglie di"). </div>
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Assolutamente con la sfera interna, perchè vuota mi inquieta, quella sfera interna è una certezza e un solido riferimento: c'è lei, ci sono io. Attorno alla sfera, tutto attorno, altra materia: io non sono una sfera divisa a metà, non mi sento incompleta. Ma non troppa, giusto qualche voluta elegante che sale, scende e si ripiega su se stessa come un gioco di nastri, perchè chiusa mi soffoca. Visto che ho già vissuto, salvo sorprese scientifiche, ben oltre la metà degli anni che si presume un essere umano normale possa vivere, mi sono meritata un po' di respiro attorno all'anima. Guardo fuori, insomma. E voglio poter riempire io i vuoti che trovo. E' incredibile come Meggiato riesca a creare oggetti PIENI (nel senso che occupano uno spazio fisico, tridimensionale per giunta) contemporaneamente ricchi di VUOTI, di una vaporosità, di una incredibile levità che sembra priva di peso, sembra azzerare la gravità stessa. </div>
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Infine, le spennellature di quella sostanza nera, grumosa e opaca come catrame, che rabbuiano e falciano come notti improvvise il lucido bagliore del bronzo. L'ho già detto e ridetto come per me l'approccio all'arte sia una questione di fisicità (come con le persone, come con tutto ciò che mi prende da dentro, dalla base dello stomaco, da quel plesso solare che sobbalza e si strozza e ti fa mancare il fiato ai primi amori... ai primi GRANDI amori, a qualunque età). Mi piace TOCCARE anche i quadri - le perfette pareti in calce di Marcello Scuffi, i sentieri spatolati di materia di Sergio Scatizzi - figuriamoci ciò che è in tre dimensioni, e oserei dire che con Meggiato c'è anche la quarta dimensione, quella del tempo, perchè quando le sue Sfere si muovono non sono mai uguali a loro stesse, un attimo prima. La buonanotte alla nostra Sfera va data con le mani, con le dita, che scivolano giù per la liscia superficie bronzea ed arrivano alla pancia del vulcano, dove quel sostare di lava scura e rappresa ti attende, per imbrigliare i tuoi pensieri.</div>
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Su a Campiglio ce n'era una parete intera: dalle Sfere più piccole, seminascoste, alle grandi, a quelle Piramidi che trasformano il concetto delle Sfere in ricerca d'ascesi. A quell'enorme Disco in marmo bianco che io, tanto per cambiare, ho fotografato appiccicandoci il naso dentro, per non vedere i suoi bordi, ma per sentirlo fremere come un unico organismo vivente, una parete di coralli, una spugna marina fatta di luci e di ombre. Non l'avevo ancora vista, lei. E siccome niente succede mai per caso, ho visto che c'era proprio mentre salutavamo un amico che era appena rientrato dalle ferie e ci stava raccontando di questa sua ultima esperienza in una terra inusuale e primitiva. Un profondo conoscitore del concetto di "viaggio", che ama uscire fuori dagli schemi, ed evita come la peste le destinazioni caciarose e commerciali. Saper viaggiare, imparare ad accostarsi ad altre culture, ad altri Luoghi (intesi come luoghi fisici o luoghi dell'anima), è cosa che richiede tempo, è un percorso che presuppone una certa finezza interiore, un po' come arrivare a comprendere certe espressioni artistiche (quelle che, se prese da zero, suscitano ilarità, o fastidio, o ripugnanza). Quest'anno è stato in un posto della Madre Terra dove è forte e prepotente il concetto di "Madre": primigenio, basico, naturale nel senso più arcaico del termine. Un posto dove la Madre ti aggredisce, se non sei pronto. Ribolle e poi gela. Un posto che ti spacca in due l'anima, all'inizio ti spaventa e poi ti lega a sè, con una violenza ancestrale che azzera millenni di storie e culture, da Est ad Ovest. Io lo ascoltavo, e lo sguardo cadeva lì in mezzo, in mezzo a quella parete che rappresentava perfettamente tutto ciò. E poi ho visto LEI, e ho capito che era come l'Islanda: mi aveva aspettato, ed era arrivato nuovamente il momento di nutrire la parte più importante di me.<br />
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MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-79045450292584895062014-08-17T21:13:00.000+02:002014-08-17T21:15:05.149+02:00Oggi parla.../19... Antoine de Saint-Exupéry:<br />
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<i>"Se verrai a trovarmi domani, io da oggi comincerò ad essere felice"</i><br />
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<i><br /></i>MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6980539490262850997.post-47847504129328170682014-08-17T20:50:00.001+02:002014-08-17T20:50:23.177+02:00Futuro (bis)<div style="text-align: justify;">
Oggi (cioè, non oggi-oggi, questi sono post scritti qualche settimana fa, forse un po' cupi e malinconici, ma oggi-oggi l'aria pizzica e mi ha invogliato a postarli), oggi ho deciso di fermarmi per qualche ora a riflettere su cosa, esattamente, mi dia tanto fastidio - una epidermica repulsione - di questo mondo, di questa società, di questa umanità sempre più incazzata, sempre più aggressiva, sempre più isolata e iper-tecnologica. E credo di averlo capito: è la pretesa di costante immediatezza, il famoso "tutto-e-subito". </div>
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Ecco, probabilmente è questo che non sopporto. </div>
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Una frenesia che ci ha preso tutti, come il morso di un ragno, ed ha azzerato il concetto di TEMPO. Azzerato al punto che un minuto perso diventa una condanna, anche in ferie. Nei negozi, anche nei bar (anche per un caffè!), la fretta è l'unica dominante, e non parliamo nemmeno di quello che succede negli uffici, a volte mi rendo conto che potrei diventare pericolosa: gente che ti manda una mail con una richiesta ics, e ti telefona dopo trenta secondi per sincerarsi che tu l'abbia letta (uno) e che tu la evada subito (due). </div>
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Santo cielo, come odio le mail!! Uno strumento di comunicazione meraviglioso e gratuito (ti permette di collegare in un istante due persone che stanno agli antipodi) diventato la moderna ossessione. Ci sarebbe da fare un discorso più completo, in realtà, e cioè sull'importanza del contenuto di ciò che viene comunicato, perchè tutta questa facilità e questa immediatezza hanno poi fatto sì che si mandino mail (non parlo della pubblicità, spam o meno, quello è commercio) per qualunque boiata ci passi per l'anticamera del cervello. E non va bene nemmeno questo, almeno una volta la gente doveva prendere carta e penna, mettersi a scrivere con la manina santa, perdere un po' di tempo, appiccicare il francobollo, aspettare i tempi postali, e quindi per lo meno si scriveva ciò che valeva la pena di essere scritto, e ascoltato. Oltre al fatto che la carta, la penna, il francobollo, rendevano tutta l'operazione infinitamente più poetica. </div>
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Comunque, anche lasciando da parte questo aspetto, pur fondamentale, della questione, le odio anche solo per come riescono a convincere il mittente che nel momento in cui ha cliccato "invia", la richiesta sia subito soddisfatta. Mi è capitato direi centinaia di volte: "Avete preparato la cosa tale? No? MA COME: VI HO MANDATO UNA MAIL!!". Certo, magari alle sette di sera, ed era la mail numero ottantatrè della giornata, tutte con la stessa priorità della tua. Questa tecnologia che ci fa credere di essere gli unici, unici ed indispensabili. </div>
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Mi rendo conto che siamo arrivati al punto, almeno qui, almeno dove vivo io (e questa è la base per una considerazione successiva), che non siamo noi ad utilizzare, a sfruttare certi strumenti, ma siamo noi gli usati ed abusati. Siamo noi gli sfruttati. Ci facciamo mangiare i minuti, e questo sprofondare sempre più nella frenesia ci rende perennemente arrabbiati, perennemente insoddisfatti. Ho voluto - ho preteso! - che il mio nuovo ufficio, che ormai tra tre mesi compie un anno (è già passato un anno... eterno e densissimo come sempre, eterno e densissimo come la VITA), fosse un PUNTO FERMO. Parcheggi a iosa, così non mi potete dire di avere la macchina in doppia fila. Quadri dappertutto, così quando vi cade l'occhio su uno Scuffi, sulla Parigi di Cionini, o su quell'Emblema che Franco Ristori mi ha circondato di un'intera storia fatta di ruggine che non sembra nemmeno più lui, io vi vedo di sottecchi, mi fermo, e vi racconto. </div>
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E' incredibile quanto nella locuzione "punto fermo" non mi fossi mai resa conto dell'importanza della parola "fermo". </div>
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Ci sono arrivata per gradi, cercando di capire che cosa mi affascinasse tanto di certe realtà, perchè respirare certe atmosfere è benefico ed altre fanno male. Non per parlare sempre delle stesse cose, ma che la Bottega di Franco Ristori sia un luogo magico l'ho detto più volte; e mica c'è solo lui. Ci sono anche le Gelaterie Grom, ad esempio; posti dove ti siedi su uno sgabello, gusti ogni goccia di quella prelibatezza senza fine, e lo fai senza fretta. Anche da solo. E' un'operazione semplice, mangiare il gelato, ma solo da loro riesco a farla concentrandomi sul singolo minuto, sul tempo che si ferma perchè - per un minuto - è una coccola per me. Che ne so, magari dipende davvero dagli ingredienti genuini, in fondo anche Ristori (se mi si passa il paragone con le materie prime dei gelati) ha un'attività rimasta "genuina". Da lui ho assistito a scene allucinanti, assolutamente impensabili se paragonate al lavoro che faccio io: gente che arriva, chiede se la sua cornice è pronta (perchè, attenzione, doveva essere pronta per il tal giorno, non perchè si siano sognati di passare di là per caso), e gli rispondono di no, che non è pronta. E questi non possono nemmeno lamentarsi, non possono incavolarsi (magari tentano, lievemente, ma niente da fare): certi parti richiedono tempo. Quanto, non sempre si sa. E d'altronde, se vuoi uno dei suoi lavori devi per forza andare da lui, perchè solo lui li fa così. Sorrido, perchè sono paragoni che non reggono con quasi nessun altro mestiere, figuriamoci con il mio, ho avuto casi di gente che ha minacciato di assicurarsi altrove solo perchè l'impiegata doveva andare al bagno. Ma lui riesce ad imporre l'ATTESA, ed a volte è di una bellezza senza fine. Saper attendere rende più invitante ciò che viene atteso. Saper gustare il tempo, quale immenso privilegio.</div>
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Io, veneta immersa in un Veneto sempre più frenetico ed aggressivo, sono stanca. E spaventata. Vorrei capire se è così dappertutto oppure se siamo solo noi a lasciarci mangiare dentro in questo modo. Da tempo io e mio marito sappiamo che il nostro futuro non sarà per sempre in Veneto, solo che pensavamo ad un domani un po' più in là, un domani da pensione; il punto è che la pensione non arriva, che il domani non arriva. </div>
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E allora perchè non farlo vivere OGGI, questo domani. Perchè non dare un valore a questo oggi dimenticato nella furia quotidiana, nel possesso di ciò che verrà che ti fa scordare tutto ciò che già hai. Vorrei un susseguirsi di nuovi "oggi". La Compagnia per cui lavoro è diventata enorme, e nel corso dei prossimi dieci-dodici mesi dovrà rendersi conto di molte cose: che cosa vuole essere, che immagine vuole dare di sè, con chi vuole lavorare. Molte Agenzie verranno analizzate, accorpate, fuse tra loro o reinventate. Se devo farlo, il momento è questo: ho messo in moto una macchina, a basso regime, e con un po' di timore perchè una cosa è parlarne parlarne parlarne, e una cosa è scriverlo, ma davvero, anche una volta sola. Però l'ho avviata, e l'ho lasciata andare; magari non succederà niente, magari succederà tutto, io ancora non lo so. Lascio che sia il destino a venirmi incontro, e, forse, il bello di certe scelte è proprio qui: non pensarci fino a quando non diventano vere. </div>
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So che ci sono ancora, altrove in Italia, realtà operose, produttive, nelle quali le persone sanno comunque godersi un po' la vita, sanno fermarsi, sanno sorridere, sanno stupirsi. Case piene di quadri, case piene di libri, i cui proprietari camminano piano, mangiano piano, parlano piano, e si riempiono gli occhi di un oggi che è un punto fermo. Io voglio invecchiare lì. </div>
MARIQUITAhttp://www.blogger.com/profile/06403038835610385484noreply@blogger.com2