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giovedì 11 luglio 2013

Signora, si rassegni

Come cadono anche gli ultimi baluardi! Ora possiedo uno Smartphone.
Non volontariamente, sia ben chiaro: mai e poi mai sarei entrata in un negozio perché sentivo il desiderio impellente di averne uno. Ma il mio attuale cellulare mi ha piantato in asso per la seconda volta in sei mesi, e allora ho ceduto clamorosamente. Che poi, a dire il vero, il mio “attuale cellulare” era già troppo tecnologico per i miei gusti, visto che si trattava di uno di quei misti Touch & Type, tra l’altro praticamente nuovo, non aveva neanche due anni di vita. 
Rigorosamente Nokia, perché io sono basica e tradizionalista, e dopo aver imparato bene come far funzionare un cellulare Nokia, in tempi che oramai si perdono nei ricordi del Paleozoico, non ho mai voluto neanche concepire l’idea di sorbirmi tutto un nuovo Manuale d’Uso di un’altra marca (il mio primo cellulare era stato un Nokia, all’epoca non ancora GSM, con la batteria che pesava un chilo e quattro etti e durava tre ore, e la prima bolletta del numero con prefisso 0337 per Partita IVA mi era costata la bellezza di un milione e trecentomila lire, che erano soldi veri, eh, mica l’equivalente di seicentosettantun Euro e fischia). 
Il mio terzo, o quarto, Nokia era spirato dopo anni ed anni ed anni di onorato mestiere di cellulare (che per me significa apparecchio per: fare-e-ricevere-telefonate e per: inviare-e-ricevere-sms, e morta là), e il gentile addetto del negozio aveva speso una parolina in più per un cellulare solo-un-pochino-Touch, “giusto per abituarsi” aveva detto, aggiungendo “perché il futuro sarà quello, sa, Signora”. Ricordo bene la lieve irritazione che mi aveva pervaso lo stomaco, ma non so se maggiormente per la parola “futuro” o per la “Signora”: quando i commessi dei negozi cominciano a darti tutti del Lei, anche quelli più grandini intendo, non solo i ventenni brufolosi, allora vuol dire che sta sopraggiungendo La Fine, anche se hai ancora una terza che guarda il cielo senza aiutini. 
E mio marito, furbo lui, aveva anche insistito perché lo prendessi, perché tanto “se poi non ti abitui o non ti trovi bene lo dai a me” (ma questo lo dice di solito DOPO che ho strisciato la carta, che si tratti indifferentemente di un telefono, o di un forno a microonde, o di un’automobile). 
Questo grazioso Touch & Type si è rotto praticamente subito, irridendo alla fatica che avevo fatto per abituarmi alla parte “Touch” (che al principio non è così facile come sembra, ma quando uno ci arriva ha ormai una tal sensibilità nei polpastrelli da poter scassinare una cassaforte). E il gentile addetto – sempre lui! – nel mandarlo a riparare aveva precisato che in effetti questi cellulari misti si rompono spesso, perché la parte sotto lo schermo è fatta male. Accidenti a lui, alla parte sotto lo schermo, e anche allo schermo; fa parte delle cose che dovrebbero essere dette prima che l’oggetto venga comprato, non dopo.
Le seconda rottura della parte-sotto-lo-schermo non mi è andata giù, per quanto in garanzia, e sono andata a comprarmene uno nuovo; in realtà lo volevo vecchio, cioè un telefono con i tasti che faccia il telefono e mandi all’occorrenza i messaggini. All’occorrenza, perché a me ne bastano una decina a settimana quando va bene, e quando vedo le offerte dei cinquecento-dico-cinquecento messaggi gratis al mese un pochino mi spavento (ma davvero non facciamo prima a parlarci a voce con tutta questa gente?). Ho anche cambiato negozio, stavolta. E ho trovato un commesso giovanissimo, carinissimo, vagamente etnico, praticamente non capivo una parola di quello che diceva. In italiano parlava poco e tutto a sigle. Mi ha letteralmente “scaricato” ad una ragazzina altrettanto giovane e carina che mi ha fatto capire (a gesti, ma per colpa mia, non sua) che i cellulari che voglio io non li fabbricano più; con gli stessi quattro soldi ti prendi uno Smartphone di medio livello (non Nokia però, perchè tutto cambia, e pare che i loro Smartphone di fascia medio-bassa non siano propriamente al livello dei prodotti storici), tanto vale che cominci ad accostarmi all’idea. Adesso funziona tutto con le App, è una meraviglia, hai il mondo in una mano (e devo dire che ha ragione, la bimba, anche la mia Mandante sta ventilando l’idea di far aprire i sinistri direttamente ai Clienti tramite App, così quelli dotati di Smartphone vengono liquidati, e gli altri, quelli del Paleozoico, che si arrangino). 
E Smartphone sia.
Arrivati a casa, l’ho caricato, ho inserito la mia sim (che è ancora di quelle con la scritta Omnitel in verde, probabilmente quando l’ho presa il commesso etnico-giovanissimo-carinissimo e pure con un filo di trucco doveva ancora nascere), ed alla prima domanda – perché da bravo Smartphone, cioè “telefono intelligente”, questo qua farebbe anche le domande – ho risposto di no. Vale a dire, io NON accetto il localizzatore, NON voglio che Google o dio-sa-chi sappia cosa faccio e/o dove mi trovo, cosa mi interessa, cosa mi piace. Il computer lo uso - in ufficio o a casa - da una postazione fissa, dove posso fare quello che voglio senza che l'Universo sappia le mie curiosità, alla faccia dei cookies. Non voglio essere connessa illimitatamente col resto del mondo: mi piace la corsa in solitario, o al limite con tre-quattro selezionatissimi compagni di strada. Col risultato che adesso ho un cellulare che, per mia gioia e soddisfazione, telefona e manda messaggi e basta (niente mail, niente Internet, niente App), solo che ingombra il doppio rispetto a quello di prima, è infinitamente più fragile e incredibilmente meno maneggevole.   
E non lo sento neanche suonare! Perché gli Smartphone hanno questa caratteristica: o ci metti come suoneria una polifonica da urlo, così quando ti chiamano in ufficio a Mestre lo sanno anche nei bar della periferia di Vicenza, o se sei un tipo da discreto drin-drin non c’è niente da fare: il sussurro del cellulare non lo senti, rivestito com’è da questi scafandri voluminosi per evitare che si rompa. Però adesso per lo meno do una scusante alle ragazzine moderne, che camminano per la strada, fanno shopping, si lavano i denti, sbattono su per i pali (vista io una, del resto o guardi in basso o guardi avanti), dormono, si spogliano e si vestono sempre con il cellulare incollato alla mano stile Bostik, invece di lasciarlo sul fondo del marsupio o della borsetta: la connessione eterna ha i suoi pregi e i suoi difetti.
Mio marito, sornione lui, ha detto che non mi devo agitare. Datti un po’ di tempo – mi ha detto – che ne so, una settimana o due per pensarci su. Magari cambi idea e cominci ad usare anche il resto delle sue funzioni – mi ha detto – che poi sono tutte le cose per cui è stato concepito. In fondo, c’è sempre l’alternativa “se poi non ti abitui”.

Aggiornamento del 27/07/2013, sabato.
Come immaginavo, adesso è Paperino che usa il mio Smartphone. Del resto, mi sono sempre considerata una ragazza sveglia, ci metto poco a capire se a qualcosa "mi abituo" oppure no. Accidenti, mi dispiace per la custodia, che era davvero molto chic, voglio vedere come farà lui ad infilarsela nella tasca posteriore dei pantaloni. Ma per il resto sento di detestarlo cordialmente, soprattutto dopo che mi ha piantato in asso per ben due mattine di seguito (presumo non abbia trovato un buon feeling con la mia vecchissima sim), la prima volta avvertendomi gentilmente, e la seconda nemmeno quello, così ho perso un paio di chiamate davvero importanti. Mi ha piantato lì di mattina presto, 'sto bastardo, come nel più classico comportamento maschile, neanche a farlo apposta, in quelle ore così dolci in cui rispondo a determinate telefonate (che ho perso!), e innescando una sorta di reazione a catena. Sono andata a riprendermi il Nokia con la parte-sotto-lo-schermo riparata ancora in garanzia, e a garanzia scaduta, quando - inevitabilmente - si romperà di nuovo, vedremo.     

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