Sono in ufficio, rifletto su
questo Gennaio che sembra non finire mai.
E in senso buono, stavolta!
Ho
passato gli ultimi mesi sopra un treno in corsa, senza freni, con il timore
sempre fermo in gola che prima o poi un ostacolo improvviso, una curva stretta,
una stazione imprevista – abbandonata, magari - l’avrebbe visto sbandare, colpire,
accartocciarsi su se stesso - groviglio di metalli in burrasca di scintille – con dentro tutte le
mie emozioni. E invece niente: ad un certo punto ha rallentato, così, come
niente fosse, senza un motivo, e quando l’andatura si è fatta passeggiata
morbida io sono saltata giù.
Com’è strano il tempo. Una volta,
da ragazzina, pensavo che dipendesse dall’età: non mi passava mai. Le estati
erano eterne, solo perché della montagna non te ne fregava niente e sotto sotto non
vedevi l’ora di ritornare a casa per rivedere certi occhi e certi sorrisi. Gli
inverni erano eterni: cinque anni di Liceo e quattro di Università stampati
nella memoria come una vita intera… Forse perché c’era TANTO da vivere, TUTTO
da imparare, da assorbire, come piccole spugne inzuppate, piccole menti
impregnate. Quando ho iniziato a lavorare il tempo si è messo a correre, sempre
di più, tanto da farmi capire quanto mi piacciano, in realtà, le montagne; il
passaggio da lavoratore dipendente a lavoratore in proprio, poi, è stato la
spinta finale sul pedale, e io ingenuamente ho continuato per un po’ a dare la
colpa all’anagrafe.
Sto invecchiando. Ai vecchi, si diceva al Liceo (quando per “vecchi” ovviamente intendi tutti quelli appena sopra i trantacinque), la vita corre perché sentono che gliene manca poca. Infatti parlano spesso del loro passato, attaccati come mitili allo scoglio dei ricordi, e poco del loro futuro, mentre invece tu al Liceo un passato non ce l’hai, hai solamente futuro, un’autostrada di futuro, un firmamento intero di futuro e basta.
Sto invecchiando. Ai vecchi, si diceva al Liceo (quando per “vecchi” ovviamente intendi tutti quelli appena sopra i trantacinque), la vita corre perché sentono che gliene manca poca. Infatti parlano spesso del loro passato, attaccati come mitili allo scoglio dei ricordi, e poco del loro futuro, mentre invece tu al Liceo un passato non ce l’hai, hai solamente futuro, un’autostrada di futuro, un firmamento intero di futuro e basta.
Invece non è proprio così. Sto
sperimentando quanto il tempo – sempre lui, sempre uguale, tic tac tic tac –
possa essere frenetico ed allo stesso tempo dilatarsi all’infinito, a seconda
dello stato d’animo. Oggi mi ha quasi preso un colpo perché ero convinta di non
aver pagato gli affitti: mi sono svegliata di soprassalto proprio pensando a
questo “Oddio, mi sono dimenticata di bonificare gli affitti!”. Gran
figuraccia, tra l’altro, nel caso dell’ufficio nuovo, appena arrivata e già gli
caccio un insoluto dopo pochi mesi, all’Architetto. E questo perché mi sembrava
passato un secolo dall’ultimo bonifico. Tanta vita. Un fiume larghissimo.
Un lavoro come il mio è fatto di
scadenze, già solo i quietanzamenti dei titoli ti scandiscono il calendario:
penso ai visi dei Clienti dei mesi freddi, quelli che vedi ogni volta con il
giaccone pesante e le guance arrossate, e ti viene da domandarti come potranno mai essere con addosso solo il costume da bagno. Idem per i Clienti dell’estate, di
sicuro non passano tutto l’anno abbronzatissimi e sudaticci, ma nel mio
immaginario vivono così, dodici mesi in braghe corte a fiori e cocktail con
l’ombrellino colorato nella sinistra (la destra serve libera per firmare i miei
assegni). Mesi di grosse scadenze che ti sembra di impazzire solo a vedere il
mucchio alto una trentina di centimetri, mesi di Convenzioni che già ti
immagini la coda allo sportello (i visi, ogni anno un anno in più, per tutti).
Mesi caldi quasi vuoti. E poi la trafila Ferragosto-Compleanno-Natale, che ogni
anno mi stupisce per come corre sempre forte, mai un anno che si stanchi; io e
le Ragazze ci guardiamo negli occhi e sentiamo che potremmo già farci gli
auguri, ancora con l’aria condizionata accesa: 8-10-12, due larghi passi e vola
quasi un semestre.
E poi ci sono le scadenze legate
al mondo del lavoro di tutti, non solo del nostro: affitti il cinque,
contributi il quindici, stipendi il trenta, come una filastrocca da bisbigliare cadenzando, dodici mesi dodici. Ho passato gli ultimi mesi in cui pagavo gli
affitti e DOMANI era già un altro mese, ripagavo gli affitti e mi chiedevo: “Ma
dov’è finito, ad esempio, Settembre? Cosa ho fatto esattamente? Cosa mi sono
persa?”. Sapevo, certo, di aver fatto molto, ma non avevo conservato pensieri importanti,
non avevo vissuto al punto da far DILATARE il tempo. E’ l’aspetto peggiore
dello stress: non la gastrite o l’ulcera, non il mal di testa, non la
sensazione di nervi a fior di pelle sempre addosso. L’aspetto peggiore è il
tempo che scappa, scappa e ti dice “prova a prendermi” mentre tu sei con i
piedi immersi in due blocchi di cemento. Separati, per carità, mica devi saltellare. Ma che pesano
come due dannati.
Questo Gennaio invece,
improvvisamente, passeggia sornione. Fa la differenza, è la differenza. Ho
pagato l’affitto all’Architetto il cinque, e c’è ancora una settimana fino al
prossimo cinque. Sette giorni, lunghissimi. Miriadi di cose sono successe, cose
piccole e cose grandi. E me le ricordo tutte, le ho vissute tutte, le ho
gustate, assaporate, centellinate, come quand’ero una piccola spugna al Liceo e
non avevo ancora capito quanto mi piacciono le montagne. E’ incredibile quanto la
frenesia e l'ansia riescano a comprimere il tempo (e non il contrario, non è il tempo
compresso a procurare ansia, come si tende a credere quando si vuole calare
la colpa a lui) e la serenità interiore sia in grado di dilatarlo. Amo alla
follia questo tempo dilatato. Amo la serenità che me lo fa vedere così. Amo
chi, questa serenità, me la insegna un pochino alla volta.
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