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domenica 9 febbraio 2014

Ammenda: Nino Tirinnanzi

Devo fare una sorta di ammenda intellettuale.
E devo pregare chi legge questo post di fermarsi se prima non ha letto il post precedente, che di questo è il prologo, altrimenti finisce che non ne capite il senso e sotto sotto mi dispiacerebbe. 
Fare ammende intellettuali (poche, ogni tanto) è segno di onestà, secondo me. Tutti sbagliano, per carità, basta accorgersi per tempo. Così il tempo ci lascia lo spazio per rimediare. E' come un'evoluzione, e la mia evoluzione di Febbraio si chiama Nino Tirinnanzi, la serata Numero Quattro.  
In verità toccava a Franz Borghese, non a lui, ma poi Franco Ristori si è trovato senza Borghese a sufficienza tra le mani da imbastire un paio di pareti. A me è dispiaciuto un sacco perchè Borghese mi piace davvero molto, ci tenevo a sentire Giovanni raccontare qualcosa su di lui come uomo e come artista, e magari adocchiare il prossimo acquisto, visto che da Ristori i quadri costano meno che nelle Gallerie vere e proprie. Certo, non ha la scelta e la varietà di una Galleria, e spesso si limita a produzioni toscane, ma se ti innamori dentro di qualcosa che vedi da lui l'affare è sicuro.
Io non sapevo chi fosse questo Tirinnanzi, praticamente non l'avevo mai sentito nominare, ma non è questa l'ammenda. Io non lavoro nel mondo dell'arte e vivo in Veneto, per cui è normale che non conosca tutti gli artisti nati e morti in Toscana. Prendete un assicuratore fiorentino, anche bravo del suo, e chiedetegli se conosce tutti i pittori veneti del primo Novecento; poi ne riparliamo. Anche di Lamberto De Vincenzo (il Numero Sette) so poco o nulla, del resto. Queste serate da Franco Ristori finiscono per essere anche un arricchimento culturale, oltre che una spremuta emotiva.
Il fatto è che, dopo aver cercato qualcosa di lui su internet  - ormai su internet si trova di tutto, bastano anche solo le Immagini di Google -  l'avevo accantonato bollandolo come il "Rosai dei poareti" (il Rosai dei poveri). Un po' come quando si sogna la BMW e poi si va sospirando ad ordinare una Golf. E questo avveniva all'inizio, settimane fa, prima della festa per Armodio con tanto di televisione e senatori, lui sì unico, inimitabile, grandissimo. Per fortuna che certi post hanno tempo di maturare, come i pomodori. Me la sono guardata ben bene, questa Golf; l'ho solo guardata, per ora, e non c'è ancora stata alcuna voce autorevole che me l'abbia spiegata, come accadrà presto, e sono già curiosa ed ingolosita. Ed ho cambiato idea. Faccio ammenda.
Non ho cambiato idea sul fatto che Tirinnanzi sia un po' il Rosai dei poveri: le influenze rosaiane sono evidenti, del resto del grande Ottone era stato allievo. Bravo nel disegno, e bravo nel colore, come lui. Disegni che colgono, direi quasi CA(R)PISCONO, l'anima di chi viene ritratto, vite semplici, fatte di dolori quotidiani, fatte di felicità brevi. E quel colore, quei colori, tavolozze di pastello, con le tipiche vie che se ne fuggono in prospettiva, le case senza finestre, le finestre senza case... I paesaggi, dolcissimi, sai di essere in Toscana anche se hai perso un po' l'orientamento: tutte quelle terre sfumate nell'ocra, nel mattone, nel rosso, con gli alberi bassi come zucchero filato, ciuffi di nuvole chiare, cespugli di ovatta che contrastano con i contorni definiti delle colline e dei cipressi. E poi, bisogna essere realisti: le sue quotazioni, il suo mercato, quell'aspetto orribile/terribile della pittura venduta che tuttavia non può essere negato, sono lontani anni luce dal suo Maestro. 
Quindi Rosai dei poveri, sì. Onesta Golf, per chi alla BMW non ci arriva. Cos'è cambiato, quindi? 
E' cambiata l'accezione, perchè si può dire "Rosai dei poveri" senza che vi sia negatività, senza che vi sia derisione, senza che si debba per forza sminuire una memoria, un ricordo. Anzi, affinchè sia base per una nuova scoperta.
Io, che ho sempre in un cassettino del cuore i miei amati studi di letteratura italiana (velati, ma mai sopiti, sotto ventitrè anni di intenso lavoro assicurativo), guardo sulle tele i suoi omini, rosaiani anch'essi nelle forme, sempre in gruppo, accosciati ai crocicchi, quasi per proteggersi l'un l'altro da qualcosa che potrebbe spuntare dal fondo dello sterrato, ma che ai nostri occhi è ancora celato, e la mente mi vola ai poeti crepuscolari, i poeti delle "piccole cose" di inizio Novecento. Tanti piccoli Guido Gozzano ozianti, curiosamente tutti bicolori nel vestire, e mi piace questa forte differenza rispetto a quello che è Rosai nel mio immaginario (i giocatori di toppa, gli omini del Lungarno, vestono quasi sempre di grigio o di marrone, colori uniformi come i loro visi senza volto): accostamenti di camicie gialle e panciotti viola a pantaloni verdi o rossi, quasi che attraverso l'uso del colore passi il riscatto dalla povertà.

Il mio sogno è nutrito d'abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state...
(da "Cocotte")

Rosai dei poveri nel senso, quindi, forse, di Rosai dei piccoli, dei dimenticati, di tutti coloro che vivono nell'ombra eppure esistono, e contribuiscono a far vivere. Cade bene questa serata in un momento di crisi economica devastante, perchè i poveri ed i piccoli siamo noi, ognuno di noi ha in famiglia, o tra gli amici, tra i conoscenti, situazioni precarie, aziende fallite, crediti inesigibili, la minaccia della disoccupazione, della disperazione. E' il nostro Rosai, questo Nino Tirinnanzi a me ancora sconosciuto, ma per poco. 
Bellissimo, e come mi piace!, che il suo tè ci giunga, tutto da ri-scoprire, dopo quello dedicato allo sfarzo, all'importanza, alla sfacciata risonanza dei grandi nomi del Novecento. Perchè il sentiero dell'arte è anche questo: ammirare i già grandi, ma senza dimenticare la grandezza dei piccoli.                      

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