Intendiamoci subito, premetto: io, questo post, non ero così sicura di volerlo scrivere. Non adesso, per lo meno. Non così presto. Volevo lasciar passare ancora un po' di acqua sotto i ponti. Acqua rapida.
In primis perchè gli avvenimenti sono troppo recenti, e in secundis perchè sono pure un filino delicati, basta una virgola fuori posto per ferire persone a cui tengo molto, e quindi volevo starmene in disparte per qualche settimana ancora. Però c'è un sacco di gente, a quanto pare, che è a conoscenza della mia "improvvisa e delicata amicizia" con Giovanni Faccenda (tanto per citare un incipit da Catalogo a caso), nonchè dell'affetto che mi lega alla famiglia Orler, ed è capitato.
All'indomani del debutto di Giovanni con una trasmissione tutta sua su Orler TV (tre ore intere condotte da lui, non il suo classico intervento critico di mezz'oretta con sgabellino, tavolino e domandine) è arrivato qualche commento, qualche messaggio, tanto per stimolare la discussione, o provocare una risposta. Commenti nel blog, SMS o Whatsapp indifferentemente.
Allora scrivo come mi viene, come se fossimo seduti attorno ad un tavolo dopo una pizza, io e i miei affezionati amici punzecchioni. Facciamo che è un lungo post chiacchierata, tanto coloro ai quali non interessa l'argomento lo salteranno a piè pari com'è giusto che sia. Robe nostre. E nessuno si offenda se non vede pubblicati i suoi commenti, perchè con questo tavolo dopo-pizza è come se parlassimo tutti.
Io, a dirla tutta, ne ero venuta a conoscenza con un anticipo relativamente largo, di questa cosa estiva di Giovanni. Bene o male ho le mie corsie preferenziali, tant'è vero che quando mi ha telefonato lui tutto gasato per darmi in anteprima la notizia ci è quasi rimasto male che già lo sapessi (ma non eravamo propriamente in pochi, a saperlo, perchè trattavasi di notizia ghiotta). Abbiamo parlato, in quell'occasione, delle sue idee per qualcosa di nuovo, per qualcosa che non fosse solo "vendita", per qualcosa che fosse un vero ritorno alla bellezza, all'emozione, alla storia dell'arte intesa in quanto tale (una discussione caduta più che a fagiolo dopo il mio ultimo post, intendo quello prima della piccola, dolorosa pausa del 21 di Giugno). Una serie di trasmissioni estive che avessero come sottotitolo "Riflessioni" più che "Televendita", per leggere le opere d'arte anche tramite la musica, la poesia, in una sorta di universale linguaggio.
Mi piace da morire ascoltare Giovanni quando è così lanciato nei suoi progetti, lo abbraccerei ogni volta. Anche perchè, pensavo tra me e me in mezzo a quel suo fiume di toscanissime acca, se io conosco Giuseppe Orler anche solo un decimo di quello che credo, col cavolo che gli lascerà realizzare una cosa del genere. O meglio, sotto sotto ci speravo, perchè con tutto il bene che voglio agli Orler - tutti, indifferentemente - ultimamente le loro trasmissioni di arte contemporanea mostrano un po' di fiacca. Come dire, sempre le stesse cose, sempre le stesse frasi, e anche sempre gli stessi quadri. Noi, per esempio, che ritengo possiamo essere definiti i telespettatori-medi-Orler per antonomasia, negli ultimi mesi ci siamo concentrati esclusivamente sulle fasce orarie dei tappeti antichi, dove c'è sempre roba da lustrarsi gli occhi, o pulirsi la bavetta (e poi c'è Davide Basilico). Sul resto girava un po' di noia, insomma, e la volta che ti arriva la possibilità di far entrare un nome giovane e nuovo, un nome fresco ma già titolato, particolarmente bravo col pennello e guarda caso con un tipo di pittura che si sposa straordinariamente con il mezzo televisivo, ecco che i sì iniziali alla fine diventano dei no, così, senza spiegazioni particolari (tranne quelle delle orecchie che dovrebbero intendere), e va a finire che se dormiamo ancora se lo frega la Concorrenza, ma non quella ridicola dei mega-sconti che i nomi li brucia: la Concorrenza quella vera, quella che fiuta l'affare, quella seria e galleristicamente organizzata, con la "c" maiuscola non a caso.
L'idea di una trasmissione in cui PARLARE DI ARTE, a prescindere, in mezzo ad opere di artisti della scuderia Orler, certo, ma con la libertà di nominarne anche altri senza timore di finire scaraventati all'inferno, era bellissima. L'idea di uno studioso che si sobbarca tre ore di diretta per favorire il ritorno dei nostalgici, per catturare l'attenzione di chi si limita allo "zapping artistico" o addirittura ne è un patito, per allontanare l'ossessione del prezzo e del coefficiente e riportare al centro del campo l'emozione della bellezza, era direi addirittura POETICA. Ma cozzava un filo con l'immagine che io ho di Giuseppe Orler, la praticità in solida forma umana, lui che agli Speciali domenicali se la mezz'oretta di intervista al critico (quella non produttiva, per intenderci, anche se piace tanto al pubblico) si dilunga di trenta secondi oltre il previsto comincia a friggere, e a fare gestacci con le mani. Sul lavoro, in fondo, anche io sono così: a fine mese i conti devono essere pagati tutti, senza tanta poesia. Mica è colpa sua se quello che per migliaia di noi è passione e sogno, per lui è lavoro. Duro, anche, in un periodaccio economico come questo.
E quindi, per tornare a noi: non lo so se Giovanni davvero credeva che le sue potessero essere realmente trasmissioni di "non-vendita" e poi si è trovato la sorpresa, oppure se lo sapeva benissimo ma faceva finta nel suo cuore di poter gestire le cose diversamente, fatto sta che sono state nove ore di televendita. Stop.
Io, per la cronaca, ne ho viste solo sei, perchè Sky mi ha mollato sul più bello. E' evidente che non me le potevo guardare in diretta, visto che le mie quotidiane dodici ore di ufficio ed appuntamenti mi vedono crollare a letto ben prima delle dieci di sera, ma almeno registrandole si possono rivedere con calma (e anche con pignoleria, tornando indietro e analizzando posture, gesti, frasi, come fanno a volte a noi nei corsi di Tecniche di Vendita, e ogni volta ci muoio ma mi tocca). Invece Sky mi ha cannato la registrazione del giovedì, quella sull'astrattismo classico fiorentino, che mi dicono essere andata particolarmente bene in quanto a numeri, ma a me non importa, perchè non ero interessata a quello (quello interessa a Giuseppe), quanto al fatto che Giovanni se la cavasse senza traumi.
Mi ha fatto una tenerezza-misto-ansia la prima sera, da quanto era emozionato. Grondava a litri. Un Professore molto umano.
Quei primi venti minuti di cardiopalma, mettendo tutto, troppo al fuoco, correndo come un dannato senza ricordarsi che un essere umano deve effettuare almeno una ventina di respiri al minuto, onde evitare che i polmoni collassino. E poi con più calma, ma sempre senza l'abitudine al video, che in effetti non è cosa da tutti. Credo che in quei primi, infiniti venti minuti, sapendo perfettamente che non finivano lì ma che si sarebbero inesorabilmente ripetuti per altre otto volte, lui abbia capito nel profondo cosa significhi fare televendita. E' mostruosamente difficile. Una cosa è parlare ad una platea (anche di centinaia di persone, per carità), altra cosa è parlare ad un attrezzo di metallo che ti fissa. La platea è viva, la VEDI, ne cogli i segnali (ti applaude, o ti fischia, o si distrae, ma comunque ti TRASMETTE qualcosa), puoi adattarti ad essa. In video non vedi che cavolo combina chi sta dall'altra parte: se ti segue, se si addormenta per la noia, se ti sfotte, se ti apprezza, oppure semplicemente se C'E' oppure no.
La telecamera è terribile ed inesorabile. Tutto ciò che può apparire simpatico dal vivo (il gesto, la camminata, il movimento) in video non va, c'è bisogno di una postura completamente diversa, quasi rigida ed innaturale, ma del resto o fai così o sei fuori dall'inquadratura, e fai venire mal di mare a chi ti guarda. Tre ore sono eterne, spaventosamente eterne, altro che la mezz'oretta di colloquio botta-e-risposta con Dario agli Speciali su Scuffi. Io, personalmente, che ritengo di essere un filino brava a parlare e vendere (del resto un assicuratore è tra i migliori venditori per definizione, visto che non vende nulla di tangibile e fisicamente constatabile, per non parlare di emozioni ZERO bellezza ZERO empatia ZERO), e che posso affrontare senza batter ciglio un'Assemblea condominiale inferocita per spiegare una Polizza Globale Fabbricati (e sono persone ben diverse da chi interviene alle serate nei Villaggi, felice e spensierato), in video non ci andrei neanche sotto tortura. Mi è bastata un'intervista improvvisata di dieci secondi per nascondermi per un anno (anche se, a dire il vero, con un minimo di scaletta in anticipo dieci secondi li reggerei). Inoltre, una televendita ha un contorno che dal divano non si vede, e che può essere la cagnara più totale (gente che ti gira attorno fuori campo, telefoni che suonano, voci che si sovrappongono, amici che passano a salutare), oppure il nulla più totale, nessuna interazione, silenzio e vuoto. Per TRE ORE. E tu devi essere in grado di fissare l'attrezzo di metallo, mantenere l'aplomb, non sudare, continuare a parlare come se niente fosse in entrambi i casi. Infatti da Orler ci sono televenditori con attributi grossi come meloni, tutti. Ed è una capacità ed una preparazione che non si improvvisa, si impara con anni ed anni ed anni di esperienza.
Bene.
In vari commenti che ho sentito in questi giorni è girato il sostantivo "presunzione". Forse. Ma non dimentichiamo che c'è un confine sottilissimo e labile con un altro sostantivo, che è CORAGGIO. Ho detto prima che io una televendita non la affronterei neanche morta: per questo potrei essere definita pavida, oppure modesta (nel senso che ho perfettamente chiaro il limite delle mie capacità). Eppure chi mi conosce bene sa che io non sono, in realtà, inquadrabile in nessuno di questi due aggettivi. Quanto sono delicate certe definizioni!...
Giovanni è stato, probabilmente, molto coraggioso. E un po' folle, ma senza coraggio e follia non si parte per una grande impresa. Mi ha ricordato, e gliel'ho raccontato, la prima volta in cui la mia mamma portò me e mia sorella al corso di nuoto per bimbi, nella piscina del Coni. Avrò avuto sette-otto anni. C'era questo gruppetto di bimbi con i loro costumini, c'era l'aria calda dell'estate che arrivava, c'era la piscina grande da 25 metri di un blu profondo che esalava cloro e a me sembrava un mare di pianeti lontani, con tutti i suoi lunghi cordoni di ovali bianchi galleggianti a fare da satelliti, c'era la piscinetta piccola per i bambini, fatta di un mosaico di quadrettini azzurri azzurri. E poi c'era il Terribile Maestro Cianchi, che probabilmente avrà avuto una trentina d'anni ma che io vedevo come un signore di una certa età, tarchiato e peloso, una montagna di muscoli perfetta e minacciosa, che aveva una tecnica tutta sua per insegnare a nuotare ai bambini che non sapevano farlo: semplicemente, li afferrava e li buttava in acqua. Nella piscinetta piccola, fortunatamente, ma era pur sempre alta un metro e venti, e capitava che qualche bambino restasse sotto per troppo tempo, cosa che lo costringeva a saltar dentro per tirarlo su. Ma lì o imparavi o imparavi. Poi lui ti avrebbe insegnato con calma i vari stili, ma l'impatto era quello: o sotto o sopra. Annaspavi, come una ranocchia triste, come un anatroccolo alle prime armi, come un cagnolino riottoso e bagnato, ma venivi a galla. E ci restavi. Io non ho mai più imparato a nuotare come si deve (le bracciate, le pinnate, il respiro eccetera), ma di certo galleggio che è una meraviglia.
Giovanni ha un po' annaspato, lo ammetto, ma gli va dato atto che Giuseppe Orler ha fatto sembrare il Terribile Maestro Cianchi una mite suorina. Periodo di crisi allucinante, nessuno che scuce soldi per opere d'arte nemmeno durante le migliori domeniche mattina di Novembre, e Giovanni ha debuttato alle dieci di sera di un mercoledì di luglio con i rimasugli di magazzino di Marcello Scuffi.
Va bene, c'erano anche i Mondiali, ma non c'era l'Italia (in quel caso sì, sarebbe stato un suicidio), ed in fondo non credo che i patiti di un'Argentina-Olanda piatta da finire ai rigori siano tutti fini collezionisti. Va bene, si era anche portato dietro quattro nuovi strappi d'affresco giusto per l'occasione. Ma, signori, gli hanno messo lì la Cattedrale di Amiens!! In assoluto il quadro più orrendo mai dipinto da Marcello, e lo dico senza tema di essere smentita, io che adoro Marcello, la sua tecnica, le sue sfumature, i suoi soggetti senza tempo, e anche sua moglie. Un quadro passato e ripassato in Dio solo sa quanti Speciali (con la cornice, senza la cornice, sotto la luce, in penombra, all'inizio della trasmissione, alla fine della trasmissione...). Enorme, e per questo - se si va a coefficiente - costosissimo rispetto alla qualità (quasi pari allo zero). Roba che dovrebbe essere venduta a farla grande a mille Euro ad un semicieco in qualche Outlet natalizio, o meglio ancora bruciata in piazzale per evitare il ricordo di un vecchio dipinto tanto indecente da parte di un artista così talentuoso. Mi ricordo (e sorrido) uno Speciale in cui Dario Olivi si era lanciato in una spiegazione piena di pathos, perchè sopra alla Cattedrale si vede la famosa scia d'aereo (quasi un marchio di fabbrica per Scuffi, come una seconda firma) e allora vai dicendo che già all'epoca - ben prima delle Darsene e dei Treni - Scuffi pensava al concetto di un tempo-che-scorre-eccetera, all'idea di uno spazio-che-avvolge-eccetera, al mito del viaggio-e-del-ricordo-eccetera, quando Marcello (che era lì presente) se ne esce candido dicendo "no, quella in verità l'ho aggiunta anni dopo, all'inizio non c'era"... Dario è un grandissimo, lo dico sempre, sono queste le cose che ti elevano: non strozzare un pittore in diretta, per esempio.
Va bene, c'erano anche i Mondiali, ma non c'era l'Italia (in quel caso sì, sarebbe stato un suicidio), ed in fondo non credo che i patiti di un'Argentina-Olanda piatta da finire ai rigori siano tutti fini collezionisti. Va bene, si era anche portato dietro quattro nuovi strappi d'affresco giusto per l'occasione. Ma, signori, gli hanno messo lì la Cattedrale di Amiens!! In assoluto il quadro più orrendo mai dipinto da Marcello, e lo dico senza tema di essere smentita, io che adoro Marcello, la sua tecnica, le sue sfumature, i suoi soggetti senza tempo, e anche sua moglie. Un quadro passato e ripassato in Dio solo sa quanti Speciali (con la cornice, senza la cornice, sotto la luce, in penombra, all'inizio della trasmissione, alla fine della trasmissione...). Enorme, e per questo - se si va a coefficiente - costosissimo rispetto alla qualità (quasi pari allo zero). Roba che dovrebbe essere venduta a farla grande a mille Euro ad un semicieco in qualche Outlet natalizio, o meglio ancora bruciata in piazzale per evitare il ricordo di un vecchio dipinto tanto indecente da parte di un artista così talentuoso. Mi ricordo (e sorrido) uno Speciale in cui Dario Olivi si era lanciato in una spiegazione piena di pathos, perchè sopra alla Cattedrale si vede la famosa scia d'aereo (quasi un marchio di fabbrica per Scuffi, come una seconda firma) e allora vai dicendo che già all'epoca - ben prima delle Darsene e dei Treni - Scuffi pensava al concetto di un tempo-che-scorre-eccetera, all'idea di uno spazio-che-avvolge-eccetera, al mito del viaggio-e-del-ricordo-eccetera, quando Marcello (che era lì presente) se ne esce candido dicendo "no, quella in verità l'ho aggiunta anni dopo, all'inizio non c'era"... Dario è un grandissimo, lo dico sempre, sono queste le cose che ti elevano: non strozzare un pittore in diretta, per esempio.
E' stata una prima volta difficile, un battesimo duro e in salita, anche la serata sul Novecento, perchè - diciamocelo, dai - degli artisti storicizzati le opere belle, i veri capolavori, ormai sono tutti nei Musei, o nelle grandi collezioni private, o di Istituzioni. Quello che gira nelle Gallerie sono spesso i "poveri resti", ed il venditore non può dire altro che "comprateli lo stesso" anche se ne è perfettamente consapevole.
Le prime volte si chiamano così proprio per questo: sono prime volte. Alzi la mano (o scagli la pietra) chi ha un ricordo stratosferico della propria prima volta. Sì, proprio QUELLA LA'. Oppure dei primi esami. Della prima volta che sei andato in bici senza le rotelle. Oppure guidato la macchina, per la prima volta. Del primo colloquio di lavoro. Del primo giorno di lavoro. A volte sono bei ricordi, dolci, malinconici, diventano belli solo per il fatto di essere lontani. A volte sono ricordi terrificanti, che ci spronano ad essere migliori. Se sono prime volte significa comunque che molte ne seguiranno, ed è questo l'importante. Un percorso.
Io credo, personalmente, che Giovanni abbia buone doti per diventare un buon televenditore: ha un garbo, un'eleganza, una piacevolezza nel parlare che gli sono innati e derivano da quella sua "toscanitudine" che io invidio con tutta me stessa (in senso buono, diciamo piuttosto sconfinatamente AMMIRO , ma ammetto che dal punto di vista professionale un po' di invidia c'è, alla parlata toscana si perdonano molte cose, qui da noi almeno). Intesa sia come modo di porsi, che come profonda cultura, che come conoscenza di storia, di anime e di persone. La tecnica si impara, il mestiere si affina con l'esperienza (del resto, se fosse arrivato lui da zero ed avesse fatto immediatamente una strage, avrebbe voluto dire che gli altri televenditori d'Italia sono tutti dei pirlotti, cosa che sappiamo non essere vera).
Magari deve far caso che accostare una splendida cravatta Missoni - e parliamo di Missoni, colori su colori su colori! - ad una giacca a RIGHE non è esattamente sinonimo di sobrietà.
Magari deve dare un drastico taglio al suo abituale uso dell'iperbole: elogiare quattromila volte Franco Ristori durante una trasmissione non va bene, perchè a chi ascolta viene il dubbio che Franco gli abbia dato la mancia per farlo, e vi posso assicurare che non è così. Tra l'altro, non è assolutamente vero che ci mette sei mesi per realizzare una di quelle sue splendide cornici effetto-pietra che vestivano le opere di Scuffi alla Mostra al Chiostro del Bramante (detta così diventa un boomerang!), e men che meno è vero che non ve le voglia fare perchè siete dei comuni mortali e lui lavora solo per i Musei. Anzi, visto che sappiamo tutti che gli Orler spesso corredano le loro opere d'arte di cornici orribili, vi posso assicurare che se le portate da Ristori prendono diecimila punti, e lui sarà ben felice di aiutarvi e consigliarvi. Un bel vestito, studiato e cucito addosso, e non un tanto al metro, cambia l'aspetto di una donna, tenetelo a mente. Vale anche per i quadri, sempre.
Giovanni ha un cuore grande così, si è buttato a pesce in questa esperienza ed ha fatto tutto in grande, ha esagerato un po' perchè il Terribile Maestro Cianchi l'aveva cacciato in acqua: o sotto o sopra.
Lo ammetto, ha detto che Alfonso Fratteggiani Bianchi è rappresentato dalle sette Gallerie più importanti al mondo, quando non è vero neanche questo, come la storia dell'inavvicinabile Ristori. E' rappresentato da sette Gallerie internazionali, il che è cosa buona e giusta, e su cui si può effettivamente riflettere per un certo spessore dell'artista, ma non "le più importanti". Questa è una frase che va bene se detta dalla concorrenza televisiva con la "c" minuscola, quella urlata, quella dei mega-sconti, in cui i presentatori dicono con estrema facilità che tutti i loro artisti sono "nei più grandi musei del mondo" perchè nessuno, tra i loro telespettatori medi, si prenderà mai la briga di controllare. I telespettatori Orler invece, oltre ad essere estremamente più attenti e preparati di quelli degli altri, sono anche dei fetenti che non te ne lasciano passare una.
Notano che l'elogio a tutti i costi sa da finto, così come il bagno di umiltà ricorrente.
Dopo la terza volta che dici la parola "emozione" mi postano che si annoiano. Che due palle che siete, proprio a me su Trecose, dove la bandiera dell'emozione avvolge da capo a piedi. Indegni.
Se è per questo, ha fatto anche un paio di peccatucci di ingenuità, tipo mostrare casualmente il cartellino di una presunta precedente esposizione su una grande carta di Antonio Bueno, quando chiunque poteva pensare che lui se lo fosse stampato ad hoc cinque minuti prima del ciak (primo peccatuccio); ebbene, io a quella Mostra c'ero, e vi assicuro che quel quadro è stato effettivamente esposto, ma mostrare il cartellino equivale ad ammettere che almeno una precedente volta è andato invenduto, e psicologia della vendita insegna che il Cliente voglia sempre sentirsi speciale, non ami acquistare cose scartate da altri (secondo peccatuccio). Mai sottovalutare la psicologia. Mai credere che i Clienti siano impreparati o sciocchi, e si bevano tutto ciò che propini loro... per lo meno, non troppo.
Giovanni è persona acuta ed intelligente, si sta mettendo alla prova e deve sperimentare, comprendere quale può essere il suo stile, trovare una strada da percorrere che sia solo SUA e non una copia di quanto già visto negli altri. Ha le carte in regola per farlo, davvero. Capirà qual è il suo target di riferimento (chi ama Dario e segue le sue trasmissioni, ad esempio, si taglierebbe le vene davanti ai lunghi silenzi notturni di Carlo, e potrei sciorinare almeno un paio di viceversa), e quando hai capito A CHI ti rivolgi, gestire il COME rivolgerti è un attimo. E imparerà ben presto la Regola Fondamentale, quell'universale vangelo che ogni venditore abituale conosce:
"Non si può piacere a tutti"
E' fisicamente impossibile, sarebbe poco credibile, e tutto sommato direi anche poco divertente.
Io, del mio, ho un solo dubbio, che in verità per me è quasi un cruccio, per tutto ciò che ho vissuto negli ultimi tre anni: che ne sarà del Professor Faccenda, del critico, dello studioso, quello che scrive libri, pubblica saggi nei Cataloghi, e cura importanti Mostre. Quello che tiene conferenze in giro per l'Italia perchè super partes. Amante della bellezza, sostenitore del talento, in grado di dire "questo è un capolavoro, questo invece è una schifezza sovrumana, non compratelo". Se effettivamente questo debutto Orler non si fermerà a qualche comparsata estiva, vedo molto, molto difficile che queste due diverse anime possano coesistere.
Ma è la sua vita, non la nostra, e noi - da telespettatori punzecchioni e bulimici - non possiamo pretendere di farci i fatti suoi fino a questo punto. Possiamo solo augurargli il meglio, indipendentemente da quello che sceglierà per se stesso, come ad un amico che stacca il gruppo per la salita più importante.