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domenica 7 aprile 2013

Incontri (Franco Ristori, Firenze)

Ho conosciuto Franco Ristori.
Non intendo "conosciuto" nel senso di stretta-di-mano, "piacere, io sono Franco Ristori" / "piacere, io sono Tizia Caia"; le presentazioni c’erano già state, in occasione della Mostra settembrina di Marcello Scuffi, a Fiesole. E mi ricordo perfettamente di aver chiesto "QUEL Franco Ristori?" prima di balbettare qualcosa di indefinito per l’emozione; a dire il vero avevo avuto anche la tentazione di genuflettermi e baciargli la mano, ma c’era un sacco di gente - tra cui alcuni capoccia della Mondadori – e dopo tutto quel giorno c’era anche il mio nome tra gli scritti pubblicati, per cui non era il caso di far venire dubbi a nessuno circa la mia sanità mentale.
Poi il "piacere, io sono Tizia Caia" c’è stato una seconda volta, pochi mesi dopo, a Piacenza, presso lo studio di Armodio, in cui io ho piantato un mezzo muso perché alla frase "ma ci avevano già presentati a Fiesole" lui ha fatto una faccia strana, per quanto tanto gentile. Una faccia che nessuna donna su questo o altri pianeti tende a sopportare, visto che è l’esatta traduzione di "ma davvero, non mi ricordo, forse c’era troppa gente" (nella testa di un uomo) e di "evidentemente non sei una che fa colpo" (nella testa di una donna). Quella volta là la mano gliel’ho baciata, sul serio, seppure senza genuflessione. Mi avrà preso per deficiente.
Il fatto è che Franco Ristori, per me, è un mito. Insomma, uno dei pochi rimasti. Ci sono persone che sbavano sui cantanti, sugli attori, o sui calciatori: io letteralmente perdo la testa per gente come lui. E’ nota la mia passione per l’arte, il mio amore per il legno, e la mia spiccata predilezione per tutti coloro che hanno in dono l’abilità manuale, in me totalmente assente. Il giorno in cui il Padreterno ha distribuito quei talenti io ero in coda da un’altra parte, evidentemente: non so nemmeno battere un chiodo a muro; in compenso datemi roba scritta, o carta e penna, o norme e burocrazia, o gestione di soldi, o di persone, e vi stendo tutti. Sarà una sorta di contrappasso dantesco, ma a me i cravattini stile banca non dicono un bel niente, probabilmente perché io sono infinitamente superiore alla maggior parte di loro come testa, attitudini, capacità e quant’altro. Io ammiro gli artigiani, gente che non si perde tanto in chiacchiere e sa CREARE qualcosa, infatti me ne sono sposato uno.
Comunque, arte + legno + talento manuale infinito dà inequivocabilmente come risultato Franco Ristori. Che di mestiere in teoria sarebbe corniciaio, ma definirlo tale è come dire che Giorgio Armani fa il sarto in un negozietto di periferia.
Franco Ristori è prodigioso. Punto. E' un artista. Un mago, un alchimista, un genio.
E' il sovrano indiscusso, il numero uno incontrastato della cornice: in Italia, in Europa, e con ogni probabilità nel mondo intero, visto che dal mondo intero vengono da lui, da oltre quarant'anni, per le sue creazioni. Cesellature, intagli, dorature, sperimentazioni, come i tabernacoli per esempio, che all'estero vanno fortissimo (per quanto io li trovi, a dire il vero, un pochino inquietanti), oppure le nuove cornici con l'effetto-ruggine, incredibilmente meravigliose queste, che solo lui sa fare così. Io le avevo viste per la prima volta al Chiostro del Bramante sui quadri di Marcello Scuffi, studiate apposta per dare immortalità ai suoi soggetti già immobili nel tempo: è legno, leggerissimo, eppure sembra polvere su metallo, alla vista ed al tatto, rosso cupo come un cancello abbandonato, come una vecchia ringhiera, come le sbarre della finestra di un carcere, che racchiudono, quasi abbracciano, ma soprattutto esaltano, il quadro, che diventa una visione di speranza. Uno degli Scuffi che tengo in ufficio, quello infuocato di tramonto, ha una di queste cornici ruvide e brune, e più di qualcuno me ne ha chiesto la provenienza, colpito ed ammirato. Pare che l'unico a cui non piacciono da morire sia proprio Scuffi (messaggio subliminale: Marcello, sei un testone, sono splendide! Me l'hai insegnata tu l'importanza della cornice giusta, dai!). In ogni Fiera di settore Franco Ristori ne crea intere piramidi, cornice su cornice, impilate dalla più grande alla più piccola: un impatto visivo che regge il confronto con qualunque "installazione", con tutte quelle performances pseudo-intellettuali che vanno molto di moda, ma che di arte a volte hanno ben poco. Ristori crea arte attraverso l'abilità artigiana, invece, e va via come il pane ogni volta, in ogni Fiera.
Per invitarmi a vedere la sua Bottega - a parte il fatto che non aspettavo altro, ma questo lui non poteva saperlo - Franco ha detto la parolina magica, che nel mio caso è "spaghetti" (ma se avesse detto "filetto al sangue" sarebbe andata bene lo stesso). Apro un piccolo break pubblicitario, perchè non abbiamo pasteggiato con spaghetti qualsiasi, ma direttamente dal Principe degli Spaghetti, il che non suona poi così strano visto che ero lì con il Re della Cornice. Chi ama lo spaghetto, e la cucina toscana in genere, non può perdersi i Fratelli Briganti, assolutamente, mai. Lì non mangi: concedi al tuo palato un'esperienza sensoriale, e anche qualche coccola. Fine della pubblicità.
Ristori, dunque: in prima battuta un tipo taciturno, un pochino per timidezza ed un pochino perchè, in fondo, è talmente sopra ai comuni mortali che può permettersi di non dare tutte queste confidenze eccessive. Fatto sta che dice tre parole ogni quarto d'ora, ed è quindi un compagno di chiacchiere ideale per me, che riempio agevolmente i restanti quattordici minuti parlando un po' di tutto, assicurazioni comprese (con lui, pure!); del resto mi ha provocato dicendo che la RCA a Firenze è cara, il che è verissimo tra l'altro, ma avete presente come guidano a Firenze? Sono dei pazzi scatenati, tutti; corrono, zigzagano in ogni direzione, non rispettano le precedenze e, a volte, nemmeno i semafori rossi. E' un attimo trovarsi una macchina più bassa della tua sotto alle ruote anteriori, per non parlare dei limiti di velocità e del parcheggio selvaggio, mi immagino la gioia di Renzi e delle casse comunali (io, come noto, sono stata a Firenze in macchina invece che in treno due sole volte, ed entrambe le volte ho beccato una multa). Per ritrovare i ricordi di una simile follia stradale devo tornare con la mente ad un weekend in cui io e mio marito, con una macchina a noleggio, ci siamo fatti tutta la Puglia (per lungo, ovviamente, perchè per corto un'oretta credo basti ed avanzi), e ho modificato drasticamente i miei standard di terrore alla guida. Ma torno alla meta del mio pellegrinaggio: il negozio, o meglio la Bottega, di Franco Ristori. E' più piccola di quanto mi immaginassi: entri e senti subito odore buono di colla e - forse - di resina pungente, mentre lo sguardo si perde sulle pareti dietro al banco, con i due fratelli Bueno che ti fanno l'occhiolino stretti stretti in mezzo a decine di altre meraviglie (ma io, si sa, ho un debole per ogni Xavier che vedo, resta il mio sogno proibito). L'odore di legno vero e proprio, il PROFUMO del legno, dei trucioli e della segatura, si avverte invece più nettamente nel laboratorio in fondo, che poi è solo un paio di passi oltre l'ingresso, dove lui tiene i ferri del mestiere, oggetti inanimati che nelle sue mani diventano le bacchette di un direttore d'orchestra, per un concerto senza fine. E' piccola la bottega, ma viva, pulsante come un cuore (anche il cuore, in fondo, è ben piccola cosa rispetto all'estensione del corpo umano, eppure lo nutre tutto, lo sostiene tutto, lo inonda tutto senza fermarsi mai).
Vedere Franco Ristori che parla con i quadri, a volte a voce alta, a volte con muti sguardi, è un'emozione; perchè Franco ci parla, con le opere d'arte, le accarezza, le studia per VESTIRLE, come dice lui (ecco che il paragone con Armani, allora, non era poi così peregrino). E' come un sarto che prende le misure, tasta fra le dita la stoffa giusta, sceglie i particolari per creare quel vestito perfetto, che cada come nessun altro, e come nessun altro avvolga, che lui già si immagina tutto, prima ancora di cominciare. Ha due occhi profondissimi e penetranti, Franco Ristori, mi sa che da giovane doveva essere uno di quelli che le signore le-ammazza-stecchite (come il Raid) solo con uno sguardo buttato là in tralice, e lo dico io che di occhiatacce più o meno cerbiattose me ne intendo, ancora (nonostante l'età avanzi, sarebbe falsa modestia negare che i miei occhi siano ancora un'arma carica, per più di qualcuno).
Dentro il negozio, in uno spazio senza tempo che è solo suo, lui ha parlato a lungo, invece, per ben più di quindici minuti. Ha parlato d'arte e di artisti, artisti che conosce e che ama, artisti che io amo e vorrei conoscere. Ha raccontato, mentre mi spiegava come nasce l'idea di una specifica cornice, come si snoda il percorso che da un dato punto fa arrivare ad un altro: una carta forse troppo incolore ha bisogno di un vestito sgargiante, ma non se dovrà essere esposta in una Mostra importante con altre sorelle simili a lei, perchè in tal caso chi la guarda noterebbe solo la macchia di colore, che finirebbe così per uccidere l'opera d'arte cui è destinata. Allora da sgargiante ecco che la cornice diventa più tenue, si fa ocra, quasi beige, e poi ancora bianca, lattea, anzi no, ecco apparire tracce argentate che la ravvivano, senza soverchiarla. E non c'è solo la scelta del colore, c'è anche quella della forma: bisogna decidere se è meglio l'abbraccio dell'intarsio, oppure di piccole onde appena increspate, come mare che si addormenta sull'arenile. Arte ad avvolgere altra arte, mentre il percorso mentale si snoda, perchè alla fine deciderà l'artista, ma Franco Ristori lo deve condurre per mano alla scelta finale. Tutte queste cose mi raccontava, a voce e con gli occhi, mentre io sfioravo ora le cornici ora le opere, con i polpastrelli, con il dorso della mano, con gli occhi a mia volta, commentando estasiata ogni passo, ogni particolare, e con un gran nodo in gola, perchè se in questo Paese ci fossero molte più persone silenziose ed in gamba come Franco e meno inutili urla sguaiate l'Italia sarebbe un gran bel posto dove vivere. Persone che amano il loro lavoro, fatto di idee e di sudore, di intuizioni e di mani abilissime, di tanta storia, ma con un occhio sempre vigile verso l'innovazione, e fantasia nel cuore. Persone che sentono il peso e l'importanza di tramandare certe tradizioni, anche se in giro non c'è più tanta voglia di raccogliere un testimone così scomodo; penso ad esempio al caso di Venezia, dove è rimasto un solo uomo "da squero", capace cioè di costruire e riparare le gondole. Non gliene frega niente a nessuno, e adesso questo qui ha una ragazza americana che lo aiuta e sta imparando, entusiasta, lei, che finirà per portarsi via secoli della nostra storia (e in futuro i veneziani dovranno pagare gli americani perchè riparino le loro gondole...). Mio marito sì, che sarebbe il tipo giusto: è bravissimo manualmente, ha inventiva, e come me ama il legno, da morire. Quasi quasi chiedo per scherzo a Ristori di prenderselo come ragazzo a bottega (come "bocia", diremmo noi), gratis, naturalmente, tanto essere lì è già un onore che non ha prezzo. Così io potrei prendere un'Agenzia in Toscana ed il cerchio dei sogni si chiuderebbe, ancor prima dei nostri voli senesi post-pensione. Non costa nulla, sognare. Come un pomeriggio speciale, duecentocinquanta chilometri a sud-ovest.
Infine, devo dire grazie ad una persona; una persona che era a conoscenza della genesi di questo post, una persona che ha permesso questo incontro (un incontro di quelli che, comunque, ti possono cambiare la vita, magari giusto un po'). Glielo devo, un grazie, quindi: "grazie". Anzi, per amor di precisione, grazie cinque volte.

2 commenti:

  1. scusi signora ma la Sua prosa è talmente uguale. uguale a tutto quello che si legge in giro: stessa ironia stesso medesimo infinito egocentrismo stessa prolissità.

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    1. Caro Signor Gio, questa è la risposta che avevo preparato per Lei, la trascrivo a parte tra virgolette, poi le spiego perchè:

      "Lei dice, Signor Gio? Mi sa che potrebbe anche avere ragione... sull'egocentrismo non sono d'accordo, ma sull'ironia e la prolissità decisamente sì (lo considero pure un pregio, in una società in cui gli under20 ormai si esprimono solo a monosillabi!). E sono stupita che non abbia contestato il mio eccessivo uso delle parentesi e degli avverbi di modo... Comunque, visto che per ora (non si sa ancora per quanto, ma per ora sì) viviamo in un mondo libero, la invito con molta serenità a soggiornare in altri blog, lasciando noi ironici egocentrici prolissi a raccontarcela tranquillamente fra di noi. Cordialmente,
      Mariquita"

      Perché 'sta manfrina delle virgolette? Perché grazie al Cielo io sarei anche dotata, oltre che di comuni ironia egocentrismo e prolissità, anche di una non comune memoria, a dir poco elefantiaca, e questo nome (Gio), e la cosa del Mondo Libero mi facevano lampeggiare una lucetta rossa.
      Spulciando un po' a ritroso ho infatti notato che Lei, Signor Gio, aveva già commentato in data 19/11/2015 il mio post "Arte, croce e delizia" del 04/08/2013, praticamente esprimendo, con coerenza devo dire, lo stesso concetto (e io, con altrettanta coerenza, le avevo dato la stessa risposta, non poteva essere altrimenti).
      Che dire? Sotto sotto a questo punto sarei anche orgogliosa, se dopo otto mesi è tornato a leggere e commentare una Signora (la maiuscola, please) con una prosa che spudoratamente non le piace... o no?

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