Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo.
Ma andiamo con calma con le spiegazioni; intanto, non ho più tempo di fare niente di tutto quello che solitamente mi piace fare. Ottobre è un mese molto denso del suo, e visto il momento non è il caso di trascurare nessun Cliente, proprio nessuno, neanche quelli più piccoli e apparentemente meno interessanti - quindi se bisogna fare qualche chilometro in più per incassare la RCA di una Panda da una nonna di campagna ci si va, vuoi mai che ti si apra tutto un mondo intorno di nipoti pieni di soldi, nella speranza ovviamente che siano anche desiderosi di darli a te (assicurativamente parlando, certo), altrimenti il fatto che ne abbiano non è assolutamente rilevante.
Aggiungiamoci il famoso trasloco, che ormai quasi mezza Italia attende affinchè io smetta di parlarne; siamo praticamente in vista dell'arrivo. Passo dopo passo, nell'ufficetto nuovo sono arrivati i mobili (in tante scatole con kit di montaggio, ma il mio angelo della manualità vede e provvede), le tende, la corrente elettrica, l'insegna esterna, le vetrofanie. Bisogna svuotare centoquaranta metri quadri e ridurli a settantacinque, del resto i traslochi servono esattamente a questo: a ripulire le case, a ripulire gli uffici, a ripulire i cuori, a ripulire le vite di ciascuno. Io vorrei tenere tutto, ogni foglio, ogni cartellina mi ricorda un volto, una voce, una storia. Impaccare tutto nella campana della carta, o direttamente nel container del macero, è doloroso, sento quasi lo strappo dell'abbandono.
Il mio angelo della manualità non ha mai lavorato in un ufficio, e mi deride un pochino, ma è così. Un sinistro particolarmente difficile gestito bene, con il Cliente che ti dice grazie e ti porta i cioccolatini. Una famiglia che ha subito un lutto e si è divisa, alcune Polizze sono rimaste ed altre no. Quella grossa flotta aziendale, un parto allucinante sia la trattativa che la stampa. La mia procura per il vecchio Agente. Gli attestati dei corsi di formazione, quelli fatti negli anni Novanta che dicevano quasi il contrario di quelli degli anni Duemila, ma uno di questi l'avevo fatto a Milano da un docente universitario, e lui durante la simulazione di vendita in aula mi aveva riempito la scheda di valutazione con tanti "più", dicendomi che forse era il caso che pensassi a qualcosa di "oltre" (ero capoufficio, all'epoca; tutto doveva ancora cominciare).
Via, via tutto, in pacchi ben confezionati, perchè l'angelo della manualità è una scheggia con lo scotch. Sto buttando nel container del macero tre quarti dei miei ricordi, del resto anche il Modello Unico lo puoi buttare dopo cinque anni (con l'Agenzia delle Entrate che scandisce la legalità del tempo che passa). Va bene, è così che sto vivendo questo trasferimento: voglio un ufficio vergine. Lo riempirò di nuovi volti, di nuove storie, di nuovi ricordi. Sarà un punto a capo umano.
La prossima settimana staccheranno le linee telefoniche qui e le riattaccheranno tre chilometri più in là. Staremo quattro giorni come nel Limbo tra color che son sospesi, con i computer attivi qui ed i telefoni attivi di là, ma viste le evoluzioni necessarie per ottenere appuntamenti certi con i tecnici non era il caso di lamentarsi più di tanto. Però si corre un sacco, in questo mese. Affari da concludere, scatoloni da spostare. Penso solo al lavoro, a chiudere bene i conti, non ai visi e ai ricordi; e non scrivo più, non leggo più, non ho tempo, il mio cuore non si apre.
Faccio foto.
Eccomi arrivata a bomba, dopo uno dei miei soliti voli per spiegare il battito. Quand'ero ragazzina mi piaceva fotografare, devo averlo anche raccontato in un post di un secolo fa, più o meno. Avevo smesso per due motivi: uno, l'avvento del digitale, perchè per me fotografare non poteva prescindere dal rullino e dalla carta. Estrarre il rullino dal cilindretto di plastica, assaporare appena quel tipico odore sgradevole ma ogni volta eccitante, perchè avevi davanti trentasei opportunità di VEDERE solo tue, infilarlo, alla fine riavvolgerlo. Portarlo a sviluppare. Attendere qualche giorno prima di poter verificare se quello che avevi visto tu attraverso l'obiettivo si era davvero fissato sulla carta in QUEL modo, il modo in cui lo ricordavi. Quelle ombre, quelle luci. Ci ho messo un po' a farmi coinvolgere dall'aspetto positivo del "se-è-venuta-male-la-cancelli-subito-e-via", oppure "puoi-scattarne-centocinquanta-tanto-non-costa-niente". Indubbiamente positivo, ma che all'inizio rendeva tutto così piatto, troppo semplice. Sembrava non servisse più applicarsi per studiare la luce, il tempo, l'inquadratura. Ero entrata nell'era del tutto e subito, soprattutto del tutto-e-subito facile, e non mi piaceva per niente; non perchè a me piaccia far fatica, mica sono masochista. Ma ho sempre sentito molto più "mie" le cose che ho ottenuto con un minimo di sforzo, di impegno (dalle foto a molto altro, nella vita, anche perchè in effetti di roba facile facile non me ne ha riservata poi tanta).
Secondo motivo, l'angelo della manualità odia le foto e tutto ciò che ci gira intorno. Odia l'idea di tornare in un posto visto la mattina perchè al pomeriggio la luce sarà diversa e più "giusta". Odia fermarsi per respirare attraverso un rettangolo. Quindi la mia reflex era finita, all'epoca, dentro l'armadio dov'è tuttora (perchè il trasloco di casa l'ha protetta, dentro l'armadio, perchè certe cose non si possono buttare via anche se non si usano più, sarebbe come tagliarsi via un piede).
Un paio di settimane fa ho compiuto di nuovo gli anni. Capita, tra un post e l'altro, lo sapete. E ci ho riprovato con l'idea dello Smartphone, perchè qualcuno di molto importante me ne ha regalato uno di molto importante, praticamente è una macchina fotografica che, tra le altre cose, ti permette di telefonare. Così puoi scambiarti infiniti mms di scatti di mostre, di quadri, di arte, e sentirti più vicino. Ed è per questo che mi sembra di essere tornata indietro nel tempo. Non mi si apre il cuore per scrivere, leggere, comunicare, ma faccio un sacco di foto, e rivedo in queste (nuove, immediate, incredibilmente definite) com'ero, cos'ero da ragazzina. Cosa cercavo, cosa vedevo attraverso il rettangolo. Mi piaceva l'idea di entrare nelle cose, non ho mai amato scattare ai paesaggi, ai tramonti, alle immensità. Io ero una da piccoli particolari, cercavo la simbiosi con il primissimo piano, quando non addirittura col dettaglio: le venature del legno, il colore di un occhio, uno solo. Un pezzo di animale, non l'animale intero. Sembra che questa volta l'angelo della manualità apprezzi, visto che non coinvolgo lui in prima persona (però gli ho fotografato i piedi mentre dormiva). Nelle mie ore di stanchezza la casa diventa un immenso tempio di particolari da fotografare, senza sforzo e a mente vuota. Il mio cuore e la mia mente fluiscono all'interno delle cose, della carta, della ceramica, del bronzo, e lì si fermano, in attesa di protezione. Direi che quasi si nascondono, perchè sta per arrivare un cambiamento, una nuova maturazione. Ancora poche settimane e uscirò dal bozzolo, ancora una volta.
Ciao Mariquita/Paola,sto procedendo molto molto lentamente in verità alla lettura del tuo blog!!Come già scritto una volta conosco molto poco l'arte moderna,riconosco però i piedi "di una Rabarama"XD e un frammento di un Pedretti che potrebbe essere un Bianco Lombardo!!Se "riprenderai la mano" ;-) con le foto ed arriverai a fotografare come scrivi mi aspetto un servizio su Mestre quest'estate dello stesso livello di quello che fece il leggendario Vernon Merritt nell'estate del 1969 a New York!!LOL
RispondiEliminahttp://www.repubblica.it/persone/2013/07/31/foto/new_york_in_the_summer_of_69_gli_scatti_di_vernon_merritt-64044976/#1
Scusa "la prosa un po' confusionaria" ma sto scrivendo dalla macchina(ferma!)con lo smartphone!!A proposito di Pedretti, è nato nella stessa ridente cittadina di lago che "genuit" mia nonna materna!!
Tanti saluti,un "buon tutto" ed a prestissimo!
Sei un mito. Quasi come Vernon :-)
EliminaPer i posteri: il Pedretti c'era, non pensate nemmeno per un attimo che Francesco avesse le traveggole. E' davvero un mito, per tante cose.
EliminaPerò si cambia, nella vita; e ad un certo punto mi sono trovata tra le mani un vassoio di bignè, con quella fragolina che non c'entrava niente e mi faceva quasi la linguaccia... Insomma, anche se non sono tecnologicamente evoluta un rimuovi/incolla nel mio blog è permesso.
La fotografia è una delle mie passioni...si può scrivere anche con la luce...
RispondiEliminaCiao... sì, lo ricordo, ricordo un tuo post come traccia sul sentiero a proposito della luce sprigionata, ritrovata forse, dalle emozioni di un clic. Ricordo un tremolio di fiammelle bianche in una "tua" Piazza San Marco notturna, bagnata... avevi rubato così bene uno spicchio d'anima della "mia" Venezia! E sono felice, tanto, di ritrovarti ancora proprio sotto questo post, l'ultimo, per ora; annuso le feste che cocciutamente stanno per tornare, e mi rendo conto che non scrivo da oltre un mese. Sto sperimentando. Sto meditando. Sto comprimendo emozioni a fette, una sull'altra. Ma con una serenità di fondo che - tutto sommato - mi piace (no, non è ancora giunto il momento di uscire). "Scrivere con la luce" è un'espressione splendida... con la luce e la sua assenza, aggiungerei, io che amo - nelle fotografie - forse più il buio, l'angolo nascosto, l'anfratto che diventa inattesa tana. Per me, e le mie inattese compagnie.
EliminaBuon dicembre!