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venerdì 14 febbraio 2014

Oggi parla.../16

... Franz Kafka:

"Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta.
Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. 
Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine.
Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, 
estasiato si torcerà davanti a te"


In memoriam: M.P. (13/01/1970 - 14/02/2004)
Italiano, campione.
Io, oggi, contro l'ipocrisia.
Io, oggi, contro l'oblio.

domenica 9 febbraio 2014

Ammenda: Nino Tirinnanzi

Devo fare una sorta di ammenda intellettuale.
E devo pregare chi legge questo post di fermarsi se prima non ha letto il post precedente, che di questo è il prologo, altrimenti finisce che non ne capite il senso e sotto sotto mi dispiacerebbe. 
Fare ammende intellettuali (poche, ogni tanto) è segno di onestà, secondo me. Tutti sbagliano, per carità, basta accorgersi per tempo. Così il tempo ci lascia lo spazio per rimediare. E' come un'evoluzione, e la mia evoluzione di Febbraio si chiama Nino Tirinnanzi, la serata Numero Quattro.  
In verità toccava a Franz Borghese, non a lui, ma poi Franco Ristori si è trovato senza Borghese a sufficienza tra le mani da imbastire un paio di pareti. A me è dispiaciuto un sacco perchè Borghese mi piace davvero molto, ci tenevo a sentire Giovanni raccontare qualcosa su di lui come uomo e come artista, e magari adocchiare il prossimo acquisto, visto che da Ristori i quadri costano meno che nelle Gallerie vere e proprie. Certo, non ha la scelta e la varietà di una Galleria, e spesso si limita a produzioni toscane, ma se ti innamori dentro di qualcosa che vedi da lui l'affare è sicuro.
Io non sapevo chi fosse questo Tirinnanzi, praticamente non l'avevo mai sentito nominare, ma non è questa l'ammenda. Io non lavoro nel mondo dell'arte e vivo in Veneto, per cui è normale che non conosca tutti gli artisti nati e morti in Toscana. Prendete un assicuratore fiorentino, anche bravo del suo, e chiedetegli se conosce tutti i pittori veneti del primo Novecento; poi ne riparliamo. Anche di Lamberto De Vincenzo (il Numero Sette) so poco o nulla, del resto. Queste serate da Franco Ristori finiscono per essere anche un arricchimento culturale, oltre che una spremuta emotiva.
Il fatto è che, dopo aver cercato qualcosa di lui su internet  - ormai su internet si trova di tutto, bastano anche solo le Immagini di Google -  l'avevo accantonato bollandolo come il "Rosai dei poareti" (il Rosai dei poveri). Un po' come quando si sogna la BMW e poi si va sospirando ad ordinare una Golf. E questo avveniva all'inizio, settimane fa, prima della festa per Armodio con tanto di televisione e senatori, lui sì unico, inimitabile, grandissimo. Per fortuna che certi post hanno tempo di maturare, come i pomodori. Me la sono guardata ben bene, questa Golf; l'ho solo guardata, per ora, e non c'è ancora stata alcuna voce autorevole che me l'abbia spiegata, come accadrà presto, e sono già curiosa ed ingolosita. Ed ho cambiato idea. Faccio ammenda.
Non ho cambiato idea sul fatto che Tirinnanzi sia un po' il Rosai dei poveri: le influenze rosaiane sono evidenti, del resto del grande Ottone era stato allievo. Bravo nel disegno, e bravo nel colore, come lui. Disegni che colgono, direi quasi CA(R)PISCONO, l'anima di chi viene ritratto, vite semplici, fatte di dolori quotidiani, fatte di felicità brevi. E quel colore, quei colori, tavolozze di pastello, con le tipiche vie che se ne fuggono in prospettiva, le case senza finestre, le finestre senza case... I paesaggi, dolcissimi, sai di essere in Toscana anche se hai perso un po' l'orientamento: tutte quelle terre sfumate nell'ocra, nel mattone, nel rosso, con gli alberi bassi come zucchero filato, ciuffi di nuvole chiare, cespugli di ovatta che contrastano con i contorni definiti delle colline e dei cipressi. E poi, bisogna essere realisti: le sue quotazioni, il suo mercato, quell'aspetto orribile/terribile della pittura venduta che tuttavia non può essere negato, sono lontani anni luce dal suo Maestro. 
Quindi Rosai dei poveri, sì. Onesta Golf, per chi alla BMW non ci arriva. Cos'è cambiato, quindi? 
E' cambiata l'accezione, perchè si può dire "Rosai dei poveri" senza che vi sia negatività, senza che vi sia derisione, senza che si debba per forza sminuire una memoria, un ricordo. Anzi, affinchè sia base per una nuova scoperta.
Io, che ho sempre in un cassettino del cuore i miei amati studi di letteratura italiana (velati, ma mai sopiti, sotto ventitrè anni di intenso lavoro assicurativo), guardo sulle tele i suoi omini, rosaiani anch'essi nelle forme, sempre in gruppo, accosciati ai crocicchi, quasi per proteggersi l'un l'altro da qualcosa che potrebbe spuntare dal fondo dello sterrato, ma che ai nostri occhi è ancora celato, e la mente mi vola ai poeti crepuscolari, i poeti delle "piccole cose" di inizio Novecento. Tanti piccoli Guido Gozzano ozianti, curiosamente tutti bicolori nel vestire, e mi piace questa forte differenza rispetto a quello che è Rosai nel mio immaginario (i giocatori di toppa, gli omini del Lungarno, vestono quasi sempre di grigio o di marrone, colori uniformi come i loro visi senza volto): accostamenti di camicie gialle e panciotti viola a pantaloni verdi o rossi, quasi che attraverso l'uso del colore passi il riscatto dalla povertà.

Il mio sogno è nutrito d'abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state...
(da "Cocotte")

Rosai dei poveri nel senso, quindi, forse, di Rosai dei piccoli, dei dimenticati, di tutti coloro che vivono nell'ombra eppure esistono, e contribuiscono a far vivere. Cade bene questa serata in un momento di crisi economica devastante, perchè i poveri ed i piccoli siamo noi, ognuno di noi ha in famiglia, o tra gli amici, tra i conoscenti, situazioni precarie, aziende fallite, crediti inesigibili, la minaccia della disoccupazione, della disperazione. E' il nostro Rosai, questo Nino Tirinnanzi a me ancora sconosciuto, ma per poco. 
Bellissimo, e come mi piace!, che il suo tè ci giunga, tutto da ri-scoprire, dopo quello dedicato allo sfarzo, all'importanza, alla sfacciata risonanza dei grandi nomi del Novecento. Perchè il sentiero dell'arte è anche questo: ammirare i già grandi, ma senza dimenticare la grandezza dei piccoli.                      

Febbre del Sabato sera

Devo fare una sorta di ammenda intellettuale.
Ma, prima, è evidente che devo spiegare alcune cose, e che l'ammenda intellettuale vera e propria sarà il post che segue. 
I miei post possono avere due genesi opposte: o scaturiscono da un'emozione vissuta profondamente, come lava che spinge ribollendo nella pancia del vulcano, finchè non esplode e si riversa all'esterno. E a dire il vero neanche mi piace più di tanto questa immagine della lava bollente - anche se ammetto che è esattamente così che mi sento in certi momenti, un ribollire violento, un calore ancestrale  - perchè quando la lava esce travolge tutto in un mare di morte e distruzione; meglio allora immaginarmi tutta in un'emozione come polla limpida, come fresca risorgiva, come falda acquifera benefica finalmente liberata che risale dalle profondità più cupe della terra, e si fonde con l'aria e la luce. Molto meglio.
Oppure, possono essere più ragionati, ripensati, giusto perchè c'è un incipit che mi frulla per la testa, che mi ronzzzza attorno come una zzzzanzzzzara molesta, e ad un certo punto la vince lui. Sono tra questi i casi in cui, raramente, io ed il mio primo ed unico correttore di bozze, il fido scudiero che ha l'onere/onore di ascoltare i miei flussi di coscienza prima che vengano condivisi (l'onere di smorzarli, approvarli, negarli, o rovesciarli affinchè una parte forse nascosta appaia alla vista) siamo in disaccordo. Casi in cui - secondo lui - indulgo troppo nel parlare delle stesse cose. O delle stesse persone. Come in un eterno spot pubblicitario. Chi lo sa, magari ha ragione lui. Ma sono settimane ormai che voglio raccontare di questa cosa, e visto che in questo preciso momento lo scudiero si è appisolato io ho deciso che ne approfitto; ora o mai più.
Da qualche mese le mie tratte andata/ritorno a Firenze sono costanti, quindi è già evidente che voglio parlare o di Giovanni Faccenda o di Franco Ristori, due imbevuti di fiorentinità che da un po' popolano la mia vita extra-professionale, ed anche professionale, in un certo senso. In realtà, la cosa riguarda entrambi, anche se Franco si becca la fetta più grande. 
Franco Ristori - lo sanno anche i sassi - fa cornici. Le più belle del mondo, per dirla puerilmente. Cornici fatte a mano, nel senso intagliate dal legno pieno con la sgorbia; oppure assemblate a mano dalle stecche prese in fabbrica, ma con qualcosa di tutto suo sopra che le renda uniche, perchè anche io che sono negata posso spennellarci sopra una qualche vernice comprata pronta in barattolo, e se ci provo una decina di volte magari riesco anche ad incollare gli angoli senza far troppi danni. E finirebbe lì. Lui invece sperimenta ogni anno nuovi effetti tattili e visivi (la ruggine, la pietra, le grinze, i graffi, le impronte), giusto per far capire la differenza tra "fare cornici" (nel senso di "attaccare quattro pezzi di legno tagliati a 45 gradi"), e "creare opere d'arte".
Uno così non si ferma, non si può fermare, infatti tra le cose che fa c'è anche la compravendita di quadri, come recita il suo certificato camerale che ogni bravo assicuratore dovrebbe controllare, di tanto in quanto, per vedere se per caso le Polizze in corso vanno ancora bene oppure no (perchè assicurare il furto del contenuto di una bottega artigianale con dentro quattro Bueno, due De Pisis e tre Sironi non è esattamente come assicurare il furto del contenuto di una rivendita di cornici in kit di montaggio). Ma anche questo, forse, qualche corniciaio lo fa. Magari con le grafiche d'autore invece dei Bueno, i De Pisis e i Sironi, e magari non in Veneto, dove quel tipo di sensibilità artistica neanche ce la sogniamo, sia di qua che di là del banco dei corniciai. 
E quindi lui si distingue anche lì, e fa una cosa che non ho visto nè sentito fare da altri. Perchè lui non è "altri", è Ristori. Un artigiano, certo - e lo ribadisce spesso con un certo orgoglio - ma con una sensibilità umana ed artistica eccezionale (di qua e di là del banco). Ho anche mandato mail a tutti i miei amici e conoscenti, che probabilmente avranno sorriso dandomi della pazza (non necessariamente una pazza criminale, diciamo una pazza buona, a cui perdoni qualche stramberia in più), perchè ammetto che poche persone sane di mente si sobbarcherebbero diverse centinaia di chilometri per passare un Sabato sera in un minuscolo negozio di cornici a bere un tè. Me l'ha detto anche Isabella Bueno, che ho conosciuto di persona proprio durante una di queste serate; mi ha chiesto di dove fossi perchè da come parlavo non sembravo toscana (ragazza deduttiva, la Isabella); sei qui per lavoro? No. Stai visitando Firenze? No. Ci sono venuta apposta, e domani torno su. Accidenti, roba da non crederci. Però alla fine ha convenuto con me: ci sono cose nella vita che fanno stare bene, e perderle quando ti passano davanti al naso è da stupidi. O da pazzi criminali, quindi non è il mio caso. 
Io non so esattamente a chi sia venuta quest'idea del Tè da Ristori, se a lui che ospita le serate nella sua Bottega, con il laboratorio che per l'occasione diventa bancone di leccornie da pasticceria con tanto di macchina professionale per tè e caffè (ed è veramente un'emozione, bere il tè la sera sopra a QUEL banco, sapendo a cosa serve di giorno), oppure a Giovanni, che delle serate rappresenta la versione "parlata", ma una cosa è certa: è ogni volta un'esperienza, e io su certe esperienze mi ci butto a pesce.
Sette serate, una al mese, in cui la Bottega si trasforma in una piccola Galleria con annesso angolo bar; una versione revival dei Caffè Letterari, ma meno intellettualoide e più.... umana, oserei dire. In tutti i sensi concepibili della parola "umanità". Con i quadri appesi alle pareti, perchè il fine è comunque venderli, e con il critico che li spiega, ma con l'informalità data dalle maniche di camicia (ovviamente no, Giovanni Faccenda non si smanica, ma l'atmosfera lo permetterebbe). Con la cena tutti insieme, per gli amici. Con il tè e i pasticcini, per gli amici. E anche per chi legge su La Nazione che c'è un evento chiamato "Un Tè da Ristori" ed entra solo ed esclusivamente per quello (successo davvero: simpatico signore che entra e chiede un caffè, e all'alzata di sopracciglio di Ristori - niente è più fulminante dell'alzata di sopracciglio di Ristori - capisce di aver fatto una gaffe, allora estrae La Nazione, e dice: "C'è scritto qui! Ah no, avete ragione, dice tè non caffè. Allora un tè, grazie", e poi se ne va; li hanno anche in Toscana, a quanto pare...).
In fondo, può sembrare qualcosa di già visto, perchè sono molte le Gallerie d'Arte che intrattengono i loro Clienti e simpatizzanti (effettivi e/o papabili) con eventi particolari, è un meccanismo piacevole e rodato. Può essere fatto in grande oppure in piccolo, esibito o intimo come in famiglia, ma di certo non è una novità; il fatto è però che qui non te lo aspetti. Non te lo immagini. Non hai termini di paragone. E come tutte le cose inaspettate, ha un sapore diverso, tutto da scoprire, gustare, indovinare. E' il PIACERE di scoprirsi, per una volta, stupiti; noi moderni, eternamente connessi, costantemente in movimento, che siamo ormai abituati ad ogni cosa, assuefatti a tutto.
Al di là dell'esperienza di essere presente in un luogo a me caro, circondata da arte e arte e arte, mi solleticava l'idea di osservare, la curiosità da sociologa, l'istinto da marketing: che tipo di persona interviene ad un evento simile (a parte tutti gli annessi e connessi al clan Ristori, tutte persone splendide che ci hanno accolto come una famiglia)? Io se voglio comprare un quadro entro in una Galleria d'Arte, o al limite seguo le principali aste, e poi ci sono sempre i canali televisivi...; chi pensa che in una Bottega artigiana puoi aprire lo scrigno delle meraviglie? A Firenze sì, evidentemente. Perchè a Firenze l'arte si respira. 
Claudio Cionini, l'apripista, e devo dire non troppo pubblicizzato (magari alla fine chiederemo un "Cionini bis" estivo come Numero Otto), poi l'immenso Armodio, e poi una serata tutta sui Maestri del Novecento, e per la prima volta Franco si è preoccupato di chiudere bene la porta prima di andare a fare colazione (tanto la Polizza non te li paga, finchè resti assicurato come rivendita di cornici e basta) perchè era davvero un'esposizione museale mozzafiato. Mozzafiato per amici. 
Un pienone mai visto, quello per il Novecento, che io ho interpretato come un segnale di quanto - ancora, purtroppo - il contemporaneo (inteso come "vivente") soffra il peso di coloro che sono già nei libri di scuola, e non va bene: c'è tanta bellezza, tanta novità, tanta bravura, tanto passato (inteso come grandezza, tradizione, trait d'union con il futuro) anche in chi è PRESENTE. Mi sono anche permessa di bacchettare Franco per la perdita di tanto ben di Dio, e devo essergli sembrata fastidiosamente supponente, ma per me gestire tutto ciò che è vendita (dal pre al post) è un bisogno quasi fisico. Non ha senso avere in negozio centinaia di persone se poi non sai chi sono, che interessi hanno, come poterle contattare, e soprattutto PERCHE' sono lì (e questa era la mia curiosità primigenia): c'è una sorta di passaparola tra gli amanti dell'arte? In Toscana si usa entrare a prescindere nelle Botteghe aperte di Sabato sera, o di Domenica? Erano stati tutti attratti dalla segnalazione sull'inserto di cultura de La Nazione, o piuttosto dalla pura pubblicità a piè di pagina? E' fondamentale capirlo, perchè quando hai trovato il canale di comunicazione giusto sei già a metà dell'opera, che tu venda quadri, pizza, mobili o assicurazioni: il Cliente deve ENTRARE da te per primo (ormai possiamo dimenticarci la prassi di andare noi da lui, quanto meno con il Cliente-famiglia se non ancora con il Cliente-azienda: è roba finita, vecchia, impraticabile). Nove su dieci hanno visto la pubblicità? Bene, investiamo in quella pubblicità (al decimo mal che vada offriamo il suo tè e che sia finita lì). Hanno letto l'inserto di cultura? Vai con nuovi articoli. Entrano a caso perchè è bello alla sera bighellonare per negozi che offrano esperienze d'arte? Non ci credo, ma se fosse chiedo il trasferimento domani perchè ho trovato la mia terra ideale. In ogni caso una persona che sceglie, volontariamente, di entrare nel tuo esercizio commerciale e manifesta un interesse è un bene prezioso che non può essere trascurato. 
Penso al mio lavoro, dove tutto è sempre più proiettato all'auto-informazione, all'utilizzo di internet (e non credo tanto per i prezzi, che sono bassi ma non sempre e non per tutti, quanto per la libertà di collegarsi quando cavolo si vuole e si può, anche alle due di notte, e sentirsi AUTONOMI nelle scelte, anche se sbagliate). Tu entri e fai la RCA con me, magari solo perchè da me adesso costa davvero poco, o per la pubblicità sulle rate con la Brunetta dei Ricchi e Poveri che ti fa tanta nostalgia. Solo la RCA, non ti assalgo sciorinandoti duemila altre possibilità assicurative come vorrebbero i miei Capi-Area (la pensione, la casa, le malattie, così finisce che ti soffoco subito e ti spavento anche). Un po' alla volta, ti coccolerò. Un po' alla volta, ti fiderai di me. Con un sorriso, e non perchè è obbligatorio, capirai che alla casa è meglio pensarci. E se non avrai possibilità di pensarci, per me sarai comunque sempre importante (e forse dopodomani mi porterai tuo cugino o tuo zio). Ma resta fondamentale che io possa CONOSCERTI. Farti capire la bontà del mio prodotto. Perchè le mie cornici sono opere d'arte, non cornici normali. Fatta una, una sola, non potrai più farne a meno e pian piano me le farai cambiare tutte, quelle di casa tua. E dopo un po', mi manderai anche i tuoi parenti. Sto divagando, lo so.
Sabato prossimo la serata sarà un Omaggio a Nino Tirinnanzi, e lui è l'oggetto della mia ammenda intellettuale che segue.
Poi Luciano Pasquini, e già tremo perchè mio marito lo adora, si è anche fatto dedicare un catalogo quando si sono conosciuti, in occasione della prima serata. Poi Antonio Possenti, e questa la aspetto io con ansia perchè il mio percorso personale su Possenti è stato incredibile, nel senso che sono passata dal "non mi piace" più tassativo ed assoluto all'averne più di uno (e se potessi continuerei a prenderne). Non lo so, ci sono artisti con cui hai una folgorazione immediata, tipo un colpo di fulmine, ed altri con cui il sentimento si sviluppa col tempo, come quando scopri di esserti innamorata di un amico che conosci da anni, ci hai mangiato la pizza insieme decine di volte senza che succedesse niente, e poi un po' alla volta ti accorgi che è... speciale. Trovavo Possenti troppo lezioso, troppo strano, troppo fiabesco, troppo onirico, troppo sopra le righe, finchè non sono salita io stessa, sopra a quelle righe, e tutti i "troppo" sono scivolati di sotto lasciandomi immersa in una delizia di colori gocciolati, spalmati, di farfalle, di animaletti, di poesie disegnate anzichè scritte. Osservarlo di persona sarà incredibile.
Poi Lamberto De Vincenzo, su cui mi devo ancora documentare, ma ora di Maggio c'è tutto il tempo. 
Chissà se Giovanni mi farà di nuovo lo scherzetto dell'intervista a sorpresa, come ha fatto durante la serata di Armodio, che è anche andata in televisione, per quanto locale, ma ormai sono fiera di me, perchè ho capito come far sì che la cosa mi diverta anzichè mi spaventi. Basso profilo, comunque, il segreto è quello, anche se ho saputo che c'è stato chi, in altra occasione, non ha gradito la mia improvvisata performance.
Come se non sapessi anch'io usare certi termini! Certe locuzioni, certe frasi fatte, quei discorsi in politichese preconfezionati che vanno bene per tutti (basta cambiare opportunamente il nome proprio dell'artista e quello della città dove si svolge la Mostra, tanto nessuno li ascolta fino alla fine). Ma io sono ALTRO, voglio parlare alla pancia delle persone, e delle persone normali, non degli addetti ai lavori (tanto loro non li comprano, i quadri, li vendono; o al massimo se li fanno regalare). Voglio raggiungere tutte le vostre pance, le vostre anime, i vostri occhi. Trovate il tempo di andare a Firenze quando Franco Ristori offre il tè coi pasticcini a chi entra (suvvia, è gratis, l'ha detto anche La Nazione); magari fatevi un bel weekend a Musei, mica dico di andarci apposta: capitateci casualmente. Ma ascoltare Giovanni Faccenda che fa l'improvvisatore sociale è sempre un piacere (bisogna ammetterlo, è davvero bravo, racconta i pittori come vecchie storie di famiglia davanti al caminetto, e tu ti trovi ad ascoltare come un bambino con la bocca aperta e la punta delle dita che scotta). Ma tanti quadri in pochi (metri) quadri sono una gioia. Ma la condivisione di tanta gente che fa festa apre il cuore. E se vi scappa un acquisto con vestito Ristori, vi assicuro - nel vero senso del termine! - che non ve ne pentirete.