.

.

domenica 17 agosto 2014

Futuro (bis)

Oggi (cioè, non oggi-oggi, questi sono post scritti qualche settimana fa, forse un po' cupi e malinconici, ma oggi-oggi l'aria pizzica e mi ha invogliato a postarli), oggi ho deciso di fermarmi per qualche ora a riflettere su cosa, esattamente, mi dia tanto fastidio - una epidermica repulsione - di questo mondo, di questa società, di questa umanità sempre più incazzata, sempre più aggressiva, sempre più isolata e iper-tecnologica. E credo di averlo capito: è la pretesa di costante immediatezza, il famoso "tutto-e-subito". 
Ecco, probabilmente è questo che non sopporto. 
Una frenesia che ci ha preso tutti, come il morso di un ragno, ed ha azzerato il concetto di TEMPO. Azzerato al punto che un minuto perso diventa una condanna, anche in ferie. Nei negozi, anche nei bar (anche per un  caffè!), la fretta è l'unica dominante, e non parliamo nemmeno di quello che succede negli uffici, a volte mi rendo conto che potrei diventare pericolosa: gente che ti manda una mail con una richiesta ics, e ti telefona dopo trenta secondi per sincerarsi che tu l'abbia letta (uno) e che tu la evada subito (due). 
Santo cielo, come odio le mail!! Uno strumento di comunicazione meraviglioso e gratuito (ti permette di collegare in un istante due persone che stanno agli antipodi) diventato la moderna ossessione. Ci sarebbe da fare un discorso più completo, in realtà, e cioè sull'importanza del contenuto di ciò che viene comunicato, perchè tutta questa facilità e questa immediatezza hanno poi fatto sì che si mandino mail (non parlo della pubblicità, spam o meno, quello è commercio) per qualunque boiata ci passi per l'anticamera del cervello. E non va bene nemmeno questo, almeno una volta la gente doveva prendere carta e penna, mettersi a scrivere con la manina santa, perdere un po' di tempo, appiccicare il francobollo, aspettare i tempi postali, e quindi per lo meno si scriveva ciò che valeva la pena di essere scritto, e ascoltato. Oltre al fatto che la carta, la penna, il francobollo, rendevano tutta l'operazione infinitamente più poetica. 
Comunque, anche lasciando da parte questo aspetto, pur fondamentale, della questione, le odio anche solo per come riescono a convincere il mittente che nel momento in cui ha cliccato "invia", la richiesta sia subito soddisfatta. Mi è capitato direi centinaia di volte: "Avete preparato la cosa tale? No? MA COME: VI HO MANDATO UNA MAIL!!". Certo, magari alle sette di sera, ed era la mail numero ottantatrè della giornata, tutte con la stessa priorità della tua. Questa tecnologia che ci fa credere di essere gli unici, unici ed indispensabili.   
Mi rendo conto che siamo arrivati al punto, almeno qui, almeno dove vivo io (e questa è la base per una considerazione successiva), che non siamo noi ad utilizzare, a sfruttare certi strumenti, ma siamo noi gli usati ed abusati. Siamo noi gli sfruttati. Ci facciamo mangiare i minuti, e questo sprofondare sempre più nella frenesia ci rende perennemente arrabbiati, perennemente insoddisfatti. Ho voluto - ho preteso! - che il mio nuovo ufficio, che ormai tra tre mesi compie un anno (è già passato un anno... eterno e densissimo come sempre, eterno e densissimo come la VITA), fosse un PUNTO FERMO. Parcheggi a iosa, così non mi potete dire di avere la macchina in doppia fila. Quadri dappertutto, così quando vi cade l'occhio su uno Scuffi, sulla Parigi di Cionini, o su quell'Emblema che Franco Ristori mi ha circondato di un'intera storia fatta di ruggine che non sembra nemmeno più lui, io vi vedo di sottecchi, mi fermo, e vi racconto. 
E' incredibile quanto nella locuzione "punto fermo" non mi fossi mai resa conto dell'importanza della parola "fermo". 
Ci sono arrivata per gradi, cercando di capire che cosa mi affascinasse tanto di certe realtà, perchè respirare certe atmosfere è benefico ed altre fanno male. Non per parlare sempre delle stesse cose, ma che la Bottega di Franco Ristori sia un luogo magico l'ho detto più volte; e mica c'è solo lui. Ci sono anche le Gelaterie Grom, ad esempio; posti dove ti siedi su uno sgabello, gusti ogni goccia di quella prelibatezza senza fine, e lo fai senza fretta. Anche da solo. E' un'operazione semplice, mangiare il gelato, ma solo da loro riesco a farla concentrandomi sul singolo minuto, sul tempo che si ferma perchè - per un minuto - è una coccola per me. Che ne so, magari dipende davvero dagli ingredienti genuini, in fondo anche Ristori (se mi si passa il paragone con le materie prime dei gelati) ha un'attività rimasta "genuina". Da lui ho assistito a scene allucinanti, assolutamente impensabili se paragonate al lavoro che faccio io: gente che arriva, chiede se la sua cornice è pronta (perchè, attenzione, doveva essere pronta per il tal giorno, non perchè si siano sognati di passare di là per caso), e gli rispondono di no, che non è pronta. E questi non possono nemmeno lamentarsi, non possono incavolarsi (magari tentano, lievemente, ma niente da fare): certi parti richiedono tempo. Quanto, non sempre si sa. E d'altronde, se vuoi uno dei suoi lavori devi per forza andare da lui, perchè solo lui li fa così. Sorrido, perchè sono paragoni che non reggono con quasi nessun altro mestiere, figuriamoci con il mio, ho avuto casi di gente che ha minacciato di assicurarsi altrove solo perchè l'impiegata doveva andare al bagno. Ma lui riesce ad imporre l'ATTESA, ed a volte è di una bellezza senza fine. Saper attendere rende più invitante ciò che viene atteso. Saper gustare il tempo, quale immenso privilegio.
Io, veneta immersa in un Veneto sempre più frenetico ed aggressivo, sono stanca. E spaventata. Vorrei capire se è così dappertutto oppure se siamo solo noi a lasciarci mangiare dentro in questo modo. Da tempo io e mio marito sappiamo che il nostro futuro non sarà per sempre in Veneto, solo che pensavamo ad un domani un po' più in là, un domani da pensione; il punto è che la pensione non arriva, che il domani non arriva. 
E allora perchè non farlo vivere OGGI, questo domani. Perchè non dare un valore a questo oggi dimenticato nella furia quotidiana, nel possesso di ciò che verrà che ti fa scordare tutto ciò che già hai. Vorrei un susseguirsi di nuovi "oggi". La Compagnia per cui lavoro è diventata enorme, e nel corso dei prossimi dieci-dodici mesi dovrà rendersi conto di molte cose: che cosa vuole essere, che immagine vuole dare di sè, con chi vuole lavorare. Molte Agenzie verranno analizzate, accorpate, fuse tra loro o reinventate. Se devo farlo, il momento è questo: ho messo in moto una macchina, a basso regime, e con un po' di timore perchè una cosa è parlarne parlarne parlarne, e una cosa è scriverlo, ma davvero, anche una volta sola. Però l'ho avviata, e l'ho lasciata andare; magari non succederà niente, magari succederà tutto, io ancora non lo so. Lascio che sia il destino a venirmi incontro, e, forse, il bello di certe scelte è proprio qui: non pensarci fino a quando non diventano vere. 
So che ci sono ancora, altrove in Italia, realtà operose, produttive, nelle quali le persone sanno comunque godersi un po' la vita, sanno fermarsi, sanno sorridere, sanno stupirsi. Case piene di quadri, case piene di libri, i cui proprietari camminano piano, mangiano piano, parlano piano, e si riempiono gli occhi di un oggi che è un punto fermo. Io voglio invecchiare lì.   

2 commenti:

  1. Si anch'io vorrei un futuro così, un futuro che abbia cura dello scorrere del tempo e si fermi ogni tanto a respirare prima di proseguire lontano, che si accorga che c'è una poesia vicina prima di scorgerla dallo specchietto retrovisore ahimè irreparabilmente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per essere passata ancora di qui... è bella questa condivisione del presente! Pone le basi affinchè QUEL futuro possa davvero esistere. A presto!

      Elimina