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domenica 2 giugno 2013

Tris di coppie

Sabato 01 Giugno, alle ore 11.08 di mattina, ho ricevuto questo sms (che trascrivo testualmente) dalla mia ipertecnologica mamma: "Immagino che tu sappia che qst sera alle 18 da Orler c'è roba x te". Ovviamente, Il Colonnello immaginava bene. Però che piacere, sentire le premure della gente che ti ama.
Non ho la più pallida idea di come la mia mamma, che è addentro al mondo dell'arte contemporanea esattamente come un fagiano di monte è a suo agio nella pesca del branzino, abbia reperito questa informazione; certo è che sapeva perfettamente che essere lì per me equivaleva all'usuale iniezione di buonumore-Orler, e voleva sincerarsi che prendessi la medicina tutta d'un fiato. ROBA X ME, insomma. Per me, e per qualche centinaio di altri malati.
Gli Orler sono tutti un po' matti, forse è per questo che mi sento tanto in sintonia con loro, io e la mia vena nascosta di follia. Ogni inaugurazione, ogni nuova Mostra, sembra studiata per superare la precedente. Ma non solo in quanto a quadri, ad opere esposte (per numero, e soprattutto per qualità), quanto per il progetto che sta dietro ad ogni scelta. Qui si trattava della definitiva riscoperta e riconsacrazione di Vinicio Berti e Gualtiero Nativi, e della loro collocazione nell'ambito di quell'Astrattismo Classico che agitò le acque toscane dalla fine degli anni Quaranta in poi.
Niente didattica, niente storia dell'arte pura su Trecose, non è mio compito e finirei per fare qualcosa che non mi appartiene: c'è già il catalogo, che è venuto fuori una meraviglia, con un saggio di Giovanni Faccenda che mette in parole semplici - come la saga di una grande famiglia raccontata ai nipotini, con i suoi matrimoni, i suoi divorzi, i suoi colpi di scena - la vita ed il pensiero dei due artisti, così arrabbiati con il loro passato e, un po', anche con il loro presente. E, se proprio proprio uno vuole, anche senza spostarsi dalla sedia per aprire un testo di storia dell'arte vero, fatto di pagine di carta (cosa che sarebbe sempre bene fare, di tanto in tanto, per non dimenticare), può trovare in rete una moltitudine di notizie su questa strana coppia, due uomini così diversi e contemporaneamente così simili, come Roger Moore e Tony Curtis in "Attenti a quei due".
Però, il pigro navigatore in rete non ci trova il testo di Dario Olivi, che completa alla perfezione quello di Giovanni Faccenda, infilandoci l'emozione di ricordi passati ma non troppo, di incontri, e di scoperte importanti. Per sognare su quello ci vuole il catalogo, per forza.
Storia a parte, quindi, questa volta io mi sono divertita a guardarmi attorno, ad osservare, ad interpretare gli sguardi che incrociavano i miei. Collezionisti, amici, curiosi, artisti, studiosi. Berti & Nativi sono un invito inusuale, non è la solita esposizione per rinforzare l'artista di scuderia, o per suggellarne un nuovo trionfo, o per segnare il traguardo di un'importante antologica. Berti & Nativi rappresentano una scelta, rappresentano un progetto, rappresentano la volontà di far capire al collezionista di oggi come e perchè è stato possibile arrivare all'astrattismo. A quell'astrattismo. E non è semplice, non è immediato; infatti, negli occhi di molti (e non solo, con i più intimi ce lo siamo domandati direttamente) scalpitava l'interrogativo: tu, quale preferisci? Ti senti arrabbiato, sferzante, urlante come Berti; sei ipnotizzato dai suoi tratti rapidi e neri come unghiate feline, balenanti di colore sempre acceso e quasi cattivo; ti stordisce quel guardare in alto, sempre più in alto oltre le umane possibilità, fino a ricadere giù domandandoti se l'alto infinito ed il basso infinito - in fondo - coincidono? Oppure preferisci le lisce superfici di Nativi, perfette come fustelle senza una sbavatura, le sue geometrie regolari come dolci prati inglesi che attendono solo di solleticarti i piedi, laghi di pastello che si fanno darsena riparata per i velieri della mente? E poi, piano piano, arrivare a realizzare insieme che il messaggio era il medesimo, il fine era lo stesso, anche se è possibile raggiungerlo per strade differenti.
Provate a rileggere cosa ho scritto e... comprendete!
Era una Mostra di una Galleria, un'attività commerciale che vende quadri per lavoro, per mantenersi, per mangiare a fine mese, non un Museo, non una Fondazione. Eppure nessuno mi ha chiesto, in prima battuta: tu, quale hai comprato? Oppure, quale compreresti? Che poi è la domanda di rito tra di noi malati in certe occasioni (per curiosità, per vedere se "ce l'ha più bello del mio", per sondare i gusti altrui). Berti & Nativi hanno elevato per una sera il concetto stesso di condivisione: per quanto i bollini rossi fioccassero, eravamo tutti come bambini timorosi che cercano di prendersi per mano per darsi forza a vicenda prima di accostarsi alla cattedra. Quale preferisci? Questo non è Nunziante (mica perchè ce l'abbia con lui, per carità, l'ho detto e ridetto che ho anch'io a casa due sue opere straordinarie; è solo che è stato l'evento immediatamente precedente a questo, ed è più immediato il ricordo): vivente, innanzitutto, e poi poliedrico, multimediale, organizzatissimo, esperto in comunicazione tanto quanto lo è di pittura. Gli commissioni un quadro del ciclo che più ti piace e lui te lo fa (o te lo fa fare). E' bravo, facile, immediato. Quale compri? Quale hai comprato?
Loro no. Prima li devi capire, prima li devi ascoltare, immergendoti nella realtà che LORO vivevano e che li divorava dentro; perchè per noi, uomini e donne del terzo millennio, con il grande web che ti toglie ogni fame, è tutto normale, è tutto facile. Dai paesaggi sfumati e sognanti di Scuffi, alle misteriose forme delle radiche di Cheri. Per loro invece era lotta, battaglia, urlo continuo. Niente più casette, niente più alberelli, niente prati o omini seduti: via tutto, bruciamo tutto. Ci metto i miei dolori sulla carta, i miei urli sulla tela, le mie indecisioni, la mia impossibilità di vivere in una società che non mi vuole, che non capisce che le mie idee sono le sue, anche se le esprimo in un modo nuovo. Che potenza comprendi, allora. Io, per prima, come molti, più vicina alla suggestiva calma di Nativi, in punta di piedi ad ascoltare la voce gridata di Berti (a me i quadri parlano sempre, anche se preferisco i delicati sussurri delle Piazze d'Acqua di Scuffi): calmati, fiera ferita, non sono qui per farti del male, io voglio COMPRENDERTI.
Serata irreale, tutta giocata (mi chiedo se volutamente o casualmente) sul dualismo, sulla coppia, sul diverso-ma-uguale: Vinicio & Gualtiero (così succede, che dopo un paio d'ore te li sei fatti amici e puoi dar loro del tu); Dario & Giovanni, sarà che sono entrambi toscani ma si intendono a meraviglia, basta uno sguardo e via (anzi, suvvia). Uno completa l'altro, si passano tra di loro cuore e sogni come due esperti di dribbling, anche se Dario, che conosce l'impianto elettrico della Galleria di Mestre, ha carognamente lasciato a Faccenda il posto sotto ai faretti da stadio invertendo la posizione originale dei segnaposto, così il Professore alla fine dell'intervento a momenti mi collassa dal caldo, avrà perso per lo meno un paio di chili.
E poi, ancora, Antonio & Laura, perchè la contrapposizione doveva essere perfetta: nella serata dedicata a due artisti arrabbiati, delusi, a lungo incompresi, il divertimento, la gioia, lo stupore di fronte al talento dovevano divenire trionfo assoluto. Antonio Orler, giusto per dovere di cronaca, e Laura Galigani (fidanzata canora e fonte di continua ispirazione per lo smagliante rampollo di casa). Questo post ha già abbattuto più di un argine, quindi rimando al mio precedente "Talento e merito" (Marzo) il riassunto di ciò che penso di Antonio Orler, che peraltro ogni volta che lo vedo mi lascia il dubbio se col tempo diventi sempre più bravo o sempre più bello. Anche questo è dualismo, del resto.

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