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domenica 15 giugno 2014

Tu chiamala, se vuoi, arte

Dal Vocabolario Treccani:
ARTE (2.a.): Attività creativa da cui nascono prodotti culturali, cui si riconosce un valore estetico.

Ho l'abbonamento ad una valanga di riviste, settimanali e mensili, chi più ne ha più ne metta. E molte alle quali non sono abbonata me le compro in edicola, settimanalmente e mensilmente. Poi finisce che, il più delle volte, mi si ammucchiano, perchè non ho il tempo di leggerle tutte come vorrei; intendo, leggerle davvero, non sfogliarle appena guardando le figure. 
A parte le riviste di motocross, appannaggio esclusivo di mio marito, che io non considero minimamente a meno che non mi traballi un tavolino giusto di uno spessore di 10-12 millimetri, mi piace leggere da cima a fondo tutto lo scibile tecnico e umano sul tennis, ad esempio. Divento matta per ciò che riguarda l'arredamento d'interni, anche se sulle riviste che entrano a casa mia posso solo permettermi di sbavare con occhi sognanti, perchè sono di un livello che definire elevato è un patetico eufemismo (riviste nelle quali, giusto per capirsi, la definizione più ricorrente è "prezzo su richiesta", anche di un semplice divano a due posti). Ma va bene lo stesso, trovo che leggerle affini molto il gusto, faccia scoprire nuove tendenze, e all'occorrenza accenda una lampadina su un accostamento di colori, di forme, di materiali che poi va scovato con attenta ricerca nel mondo riservato ai comuni mortali. 
Con l'attualità è uguale, è importante essere aperti a 360 gradi, infatti ho già più volte accennato al fatto che nel mio portariviste Panorama e L'Espresso non mancano mai, rigorosamente entrambi. Mi piace leggere tutto, analizzare le scelte delle copertine, dei titoli, a volte anche delle pubblicità (quali marche optano per una rivista piuttosto che per l'altra, e con quali immagini). Certo, il tempo libero è quello che è, e spesso capita che il mucchietto diventi più alto di una rivista di motocross, e io mi ritagli quella che definisco "domenica di lettura-no-stop", vissuta ufficialmente come un impegno ma sotto sotto momento individuale di puro piacere: sei/otto riviste spazzolate una dietro l'altra, sempre rigorosamente in coppia, prima una voce e poi l'altra, giusto per vedere come viene affrontato lo stesso argomento, dalle elezioni alla corruzione alla Biennale, un binario che poi corre veloce perchè parliamo spesso di argomenti nati e già finiti, come gli amori. Dopo i risultati delle Elezioni europee ho letto quattro coppie d'un fiato, con tutte le ipotesi su Matteo Renzi, e le voci pro/contro, e chi sa tutto e chi non sa niente, ed era come guardare dentro una sfera di cristallo visto che i risultati erano ormai noti, il che dava un sapore speciale a quella parola scritta che per me è sempre un gran piacere. E mi ci vuole davvero, un'intera domenica, se li voglio leggere bene tutti (le mie due orette di Frecciargento per Firenze, ad esempio, non bastano mai); io e i miei pensieri, senza rumori esterni, senza interferenze. Talvolta, confesso, per fare prima, negli articoli che sono strutturati con interviste al Personaggio Tale leggo solo le domande; se le trovo argute e intelligenti leggo le risposte, altrimenti passo alla domanda successiva. E' un giochino divertente, alla lunga impari a conoscere le varie penne, sai già quali sono le interviste che leggerai al microscopio, e quelle sulle quali puoi anche tirare il sassolino e saltellare, come nel Campanon di fanciullesca memoria.
Se consideriamo il tennis, i motori, l'arredamento, l'attualità, la politica (la moda non proprio, devo dire, lì mi basta quel pochino che trovo dalla parrucchiera), come non pensare che a casa non mi entrino prepotentemente almeno due-tre riviste d'arte. Ne ho già accennato, a spizzico, in vari post di questi miei ultimi anni: io adoro Arte In, per me vince alla stragrande, è offensivo qualunque paragone con altre riviste concorrenti (parlo di stampa italiana, ovviamente, ho già poco tempo per quella, figuriamoci se mi creo una dipendenza per quella straniera, finisce che la bulimia mi strozza). Begli articoli, belle immagini, segnalazioni sempre interessanti, pubblicità non troppo spudorata o comunque mostrata onestamente per quello che è. Taci che è un bimestrale. 
E poi c'è Lorella Pagnucco Salvemini, di cui probabilmente io sono una sorta di clone, perchè scrive sempre cose che io sono pronta a firmare col sangue. L'ho già sottolineato una volta, quando aveva parlato del brutto e dello scadente che assurgono a sport nazionale, che non vengono più celati con vergogna ma, al contrario, ostentati come la più sordida delle mode. Ma ricordo benissimo anche un articolo sulla figura dei curators di Mostre, ad esempio, che era uno spettacolo dall'inizio alla fine. E quest'ultimo, quello di questo mese, sull'abitudine, dilagante quanto penosa, dei selfies da condividere (ma perchè non continuiamo a chiamarli più semplicemente autoscatti, come è sempre stato, evitando di dar loro una concretezza internazionale che non meritano...) nell'affannosa ricerca dell'approvazione altrui, quasi fosse l'approvazione altrui a dare verità, a dare corpo, a rendere reale l'esistenza di chi viene raffigurato. Tutte parole sante, e per amor di precisione è doveroso aggiungere che Lorella Pagnucco Salvemini io non l'ho mai incontrata, credo che non abbia nemmeno idea della mia esistenza, giusto per dire che sono davvero cose che penso, non le scrivo qua per far piacere a qualcuno, o peggio. 
Sempre per il discorso iniziale che io non ho tempo di leggere le riviste quando escono in edicola, ma le riservo alle domeniche speciali che a vari step ingrossano il conto in Banca al mio ottico di fiducia, finisce che il privilegio della prima sfogliata va a mio marito (ma solo per l'arte, visto che sull'attualità e la politica ha messo una bella pietra sopra dopo una diagnosi definitiva di gastrite acuta). Questa volta mi ha anticipato tutto entusiasta l'articolo devasta-selfies, e mi ha detto qualcosa del tipo "ti sei fatta fregare l'argomento anche questa volta, dovresti scrivere anche tu un bel post su questa moda idiota, prima o poi". L'idea era quella, in effetti. Ma gli articoli di Arte In sono tanti, e questa volta ce n'è stato un altro che ha spazzato via tutto dal mio cuore: i selfies, la Lorella, l'arredamento d'interni e anche Nadal che ha trionfato a Parigi per la nona volta. E parlo del trafiletto di Carlo Vanoni.
A me Carlo Vanoni piacicchia, l'ho già detto più volte, e vorrei essere coerente. A parte il fatto che è caruccio esteticamente (ma questo non è il fulcro della questione, e peraltro non è cosa che mi debba riguardare, anche se lo posso dire con il necessario distacco, come se dicessi che trovo bella un'automobile o un vestito), parla bene, si presenta bene, si vede che ci tiene a dare una determinata immagine di sè. E bene fa, soprattutto nel mondo dell'arte, che negli ultimi anni mi è piovuto addosso, e che spesso mi spaventa da morire perchè è un mondo di squali (e non parlo di quello morto e rugoso che Hirst ha cacciato nella bara di formaldeide). Trovo che a volte esageri giusto un filino, soprattutto quando sembra realmente convinto di essere l'unico al mondo a girare per Musei ed a studiare la Storia dell'arte, ma dopo tutto non è una convinzione che crea danno, crea solo un personaggio, e forse è quello che lui davvero vuole. 
Non posso averne la certezza perchè non è che io ci parli poi tanto, con i televenditori Orler, checchè la gente creda dai miei post. Frequento l'organizzazione Orler, assisto dal vivo alle loro dirette, porto i vassoi di paste quando arrivano Marcello e Lia Scuffi e si fa festa, spesso ho partecipato a pranzi post-diretta, mi piace da matti andare a Campiglio a salutare Paolo perchè si crea un clima unico ed irripetibile in qualunque altro spazio/tempo, su questo pianeta e molti altri, ma i venditori (come è giusto che sia) tendono a chiamarsi fuori da tutto ciò. Trovo sia sotto sotto un atteggiamento intelligente, visto che il rapporto è tra il Cliente Orler e la Famiglia Orler: le rivalità fra venditori, i loro diversi caratteri, rischierebbero di minare quello che è e deve restare un rapporto, di fondo, commerciale. Tant'è che, dei tre volti maschili Orler (dopo la misteriosa sparizione aliena di Franchino, e non considerando per scelta Nonno Catone, che è un'Istituzione Super Partes), checchè ne creda buona parte dei miei lettori - abituali e non - che mi immagina persa per Dario Olivi, la mia preferenza professionale assoluta è per Davide Basilico. Lumbard (anzi, peggio: milanista!). Antipatichetto, e ne va fiero (e fa bene, in un gregge di caproni). Non ha l'empatia a mille che sfodera Dario durante le sue dirette, non ha il bel faccino di Carlo. Ma sul tappeto (antico, ma non solo) è una potenza. Sempre corretto, sempre coerente, sempre onesto. Pane sarà sempre pane, vino sarà sempre vino, non un misto mare a seconda di quando serve. E conosce bene il mondo, tutto il mondo, quello dell'arte e anche il resto, tant'è che spesso non nasconde una punta di fastidio per essere costretto a farne parte (e ultimamente io mi sento spaventosamente come lui, sono diventata davvero insofferente all'umanità media, ai io-so-tutto-di-tutto, in ufficio e con ogni probabilità anche fuori).
Ma torniamo a Carlo. 
Tocca un tasto molto delicato, per me. La famosa equazione "arte = emozione". Che lui, coerentemente devo dire, stronca ogni volta. La prima volta che gliel'ho sentito dire spudoratamente, senza neanche fingere di girarci intorno, è stato giusto un anno fa durante una sua trasmissione, e ci ho fatto un post sopra ("Imprevedibili contraccolpi") perchè io, invece, ne ho fatto una ragione di vita (la MIA vita, ma del resto comprendo che io non devo vendere quadri per mestiere e posso permettermi qualche voletto di cuore a discapito del ragionamento freddo e del calcolo dell'investimento). Non voglio ripetermi, perchè penso tuttora parola per parola quello che ho scritto in quell'occasione, e quindi invito ad una breve rilettura, vi metto anche il link così fate prima:

http://trecose.blogspot.it/2013/06/imprevedibili-contraccolpi.html

Però un conto è sentirlo a voce, altro è leggerlo in quella "parola scritta" a cui io anelo, che bramo nelle mie domeniche di assoluto sprofondamento di divano e attualità. 
Affronta l'argomento con una certa leggerezza, non so se per smussare qualche angolo o perchè è tipico del suo modo di scrivere più da web, da blogger, che da critico d'arte, ma il suo concetto resta quello. Lo inserisce in una - lo spero per lui e per i suoi rapporti sociali - ipotetica cena a casa di amici in cui finisce per stroncare miseramente il padrone di casa, il quale sostiene che l'arte deve dare emozione, facendogli andare per traverso un emozionante gelato. 
Per Carlo molte cose sono emozione: la neve, il mare, il sole, le foto dei bambini, il gelato, i mesi primaverili. Anche le stelle, presumo, ma quelle non le cita. L'arte no, assolutamente. L'arte è LINGUAGGIO - COSTRUZIONE - INNOVAZIONE. E' la vita che deve dare emozioni, non l'arte. Ecco, io mi agghiaccio quando sento queste cose, anche se rispetto il fatto che lui le pensi perchè ho Voltaire stampato sulla fronte. 
Trovo tuttavia piuttosto singolare che Dario Olivi, che dell'emozione legata alla bellezza di un quadro ha fatto la sua bandiera di vendita, in effetti VENDA come un dannato, e per quanto mezza Italia (intesa come metà dei galleristi, dei collezionisti, dei forumisti attivi, dei semplici appassionati, degli juventini e degli interisti) lo detesti come persona - senza conoscerlo personalmente, altra cosa singolare e curiosa - è innegabile che sia in assoluto uno dei più forti venditori d'arte attualmente in circolazione. 
Carlo invece fa trasmissioni pacatissime ed interessanti, scrive libri, tiene conferenze incredibilmente piacevoli (io ho assistito alla presentazione del suo libro con la Monna Lisa Desnuda sotto il lenzuolino, e mi è piaciuta un sacco, perchè diciamolo, lui NON è per niente uno studioso, piuttosto uno show-man coi fiocchi!) ma non vende una cippa, a confronto. Vendeva molto ma molto di più Franchino, prima del rapimento astrale.
Inoltre, non capisco come possa andare in brodo di giuggiole ogni volta che ospita e/o parla della pittura di Marcello Scuffi, nel quale studio si è fatto le ossa con mesi e mesi di osservazione come è solito raccontare, visto che di Marcello tutto si può dire tranne che quelle robe lì. O forse anche sì, perchè una sua maturazione come pittore l'ha avuta e l'ha ancora (tu chiamala, se vuoi, innovazione), ma di certo la gente che ama Marcello e compra i suoi quadri lo fa perchè li trova BELLI a pelle/pelle, perchè PIACCIONO senza uno specifico perchè - che va oltre tutta la storia toscana di cui sono pregni, non certo per metterli in una collezione che crei un percorso di linguaggio e/o pensiero dall'orinatoio alla manzoniana m/da allo squalo rugoso (e pure triste, perchè io leggo spesso Vanoni).
Intendiamoci, come ho già detto nel post "Imprevedibili contraccolpi" ci sta assolutamente l'esistenza del collezionista d'alto profilo, quello che compra l'opera d'arte per il linguaggio, o la costruzione, o l'innovazione o anche per tutte e tre queste cose messe insieme, ci mancherebbe. Gli auguro di fare i miliardi, perchè ha la vista lunga. Ma sono certa che quelli come me, che vogliono ancora leggervi BELLEZZA, vogliono CIRCONDARSI di bellezza, di storia, di armonia fini a se stesse, sono tanti. Tantissimi, dalla vista corta. Siamo tutti dei deficienti? 
E poi: mica mi piace tanto l'affermazione "è la vita che deve dare emozione, non l'arte". Perchè, in fondo, l'arte, cos'è? Mannaggia a questa domanda, mi riporta indietro di esattamente trentadue anni, quando avevo appena finito il primo anno di Liceo Scientifico e sono andata ad assistere al colloquio orale di maturità di mia sorella maggiore (maggiore di quattro anni, appunto). Stesso Liceo. Me lo ricordo come se fosse ieri! Un caldo boia. La poverina portava inglese orale e si era preparata come doveva sulla Letteratura inglese in inglese (preparata in verità neanche tanto bene per via dei Mondiali, ma questo l'ha ammesso solo molti anni più tardi), e si è beccata un professore che l'ha quasi distrutta (non ho la più pallida idea di come funzioni l'esame di maturità oggigiorno, ma la commissione esterna era una vera e propria schifezza), prima facendola parlare di John Keats in soliloquio mentre lui dava di gomito ai colleghi con in mano una foto della moglie, per far vedere quanto le assomigliava. Poi, a bruciapelo, l'ha interrotta e le ha chiesto: "WHAT IS ART?". Ma proprio così, di brutto. Lei è sbiancata, io ero seduta dietro e ho pensato: M/da, se tanto mi dà tanto io alla maturità in questo Liceo non ci arrivo. Ovviamente tanto non mi dava tanto (e il mio percorso di studi - Liceo e oltre - è stato abbastanza trionfale), era solo quel disgraziato in bermuda e calzini corti che si divertiva a mettere a disagio una diciottenne carina che assomigliava vagamente a sua moglie. 
Però ero lì, io, a quindici anni ancora da compiere, che pensavo: che cavolo di domanda, non saprei rispondere neanche in italiano, figuriamoci in inglese. E mentre mia sorella si arrampicava in inglese on-the-mirrors con tutta la mia solidarietà, non ho sentito manco per niente e da nessuno parole come linguaggio, costruzione, innovazione. Le avrei sentite più tardi, dai critici veri, quelli dei miei testi universitari (anche), quelli della televisione, quelli che ti impediscono di amare l'arte contemporanea perchè ti lasciano credere che l'arte contemporanea sia solo l'orinatoio e giù di lì. Io pensavo LIFE, dannazione, digli LIFE a questo idiota che tanto ti darà sempre lo stesso voto qualunque cosa tu dica, dato che non vede l'ora che tu ti giri per verificare se anche il culetto hai come sua moglie. 
L'arte è vita, l'arte è la vita. Raffigurazione della realtà, oppure concretizzazione di un'idea, oppure sogno, oppure percorso, oppure denuncia. Sempre e comunque vita. Lo penso ancora, quando sfioro le superfici perfette dei quadri di Marcello Scuffi, o quando mi commuovo, con le lacrime, sul serio, davanti alla bimba mia e di Xavier Bueno. Quando rifletto davanti a Picasso, in un Museo pieno di gente. Ma anche quando, in una Fiera, mi perdo nelle forme di un marmo di Atchugarry (tanto per restare su Arte In in edicola). 
E se, come dice Carlo, è la vita che deve emozionarci, l'equazione è ancora una volta confermata.

11 commenti:

  1. Sulle riviste d'arte: pessime tutte e penose, una forma di prostituzione come tante. Il loro male maggiore? sono terribilmente noiose. Sui venditori (che non conosco di persona va specidficato): Dario Olivi è bravo, professionale e lei dice, ha ottimi risultati, però sa la verità su tanti artisti che vende e non può dirla e questo e comprensibile ma è anche un limite oggettivo.Quando tenta di vendere Berti e Nativi, e tanti altri, diventa imbarazzante.Carlo Vanoni si pone degli interrogativi sull'arte e per questo è degno di stima, ha capito che l'argomento non è solo : quanto vale e quanto può valere domani con delle fregnacce aggiunte da tizio e caio, ma cerca di capire ciò che c' è dietro, insomma la cosa più difficile che fa dell'arte una cosa di pochi e per pochi come è sempre stato.L'arte deve dare emozioni? Io credo che se la conoscenza di ciò che altrimenti non vedremmo è emozionante, allora la risposta non può essere che si, ma per me l'arte è CONOSCENZA, ma non per tutti è così e allora...Dino Formaggio diceva."L'arte è quella cosa che gli uomini chiamano arte..."e dentro, oggi in particolare, sembra esserci tutto...ma è veramente così?
    Un saluto
    Antimo Mascaretti

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    1. Carissimo Signor Mascaretti, bentornato tra noi. Il suo pessimismo procede di pari passo con l'avanzata di questa calda estate... Giacomo Leopardi, nei suoi anni più bui, in confronto a Lei era un fine cabarettista. Mi perdoni l'ironia, che vuole restare tale ed assolutamente non essere offensiva, ma io cerco sempre di vedere il "buono" nelle cose che vedo/guardo, sento/ascolto, assaggio/gusto, la vita è già abbastanza dura del suo... almeno mi lascio illudere da qualche rivista d'arte... Non mi tacci di leggerezza, mi ha già illustrato in commenti privati la Sua situazione e quindi La comprendo bene, ma rifiuto (per ora) di arrendermi a certe evidenze.
      Bellissima la definizione del grande filosofo Formaggio, e tutto sommato direi applicabile a qualunque nome astratto (grammaticalmente parlando), come libertà ad esempio, oppure difficoltà (e quanto potremmo disquisirne, sull'effettivo peso astratto/concreto di molte, moltissime parole!). Certamente, l'arte è anche conoscenza, e tanto altro! Sarei felice che quella conoscenza fosse realmente estesa a molti, il mondo sarebbe migliore (per quanto mi renda conto di come questa appaia la tipica frase da Miss Italia, al pari di "sono contro la fame nel mondo" ed amenità simili, mi creda, lo sento veramente). Ecco, forse l'emozione può essere il veicolo per raggiungere quei "molti", dove - per i motivi più disparati - non arrivano o non possono arrivare lo studio, l'acume, l'attenzione, l'impegno e/o altre doti naturali.
      Un caro saluto.

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    2. Non so perché lei ritenga che io sia un pessimista, è probabile che ciò accada quando si scrive in breve e non ci si conosce di persona ma le assicuro che non è così. Diciamo che io cerco di non illudermi e di vedere la vita nella sua realtà che nessuno di noi può rendere differente da ciò che è.L'arte purtroppo non ha il compito di rendere il mondo migliore, ha provato ad immaginare come era il mondo quando si viveva nel massimo splendore del Rinascimento? L'arte è una "divina secrezione" che alcuni individui non possono fare a meno di espellere, che poi quancuno possa giovarsene forse può capitare ed è bene così.Ci inoltriamo a parlare di argomenti che in poche righe non possono venire esauriti in maniera utile e senza equivoci e dunque è meglio restare in superficie.
      L' humus dell'artista (cioè, mi passi il termine, la merda) è il mondo, un immondezzaio infinito che si giova dell'uomo come il miglior attivo collaboratore. Ma per l'artista tutto questo è materia su cui riflettere e lavorare! Io che lavoro e sulla pittura e , per diletto infinito, anche nella coltivazione di oltre trecento piante di rose, so bene la meravigliosa metamorfosi che ne può venire.
      Saluti carissimi
      Antimo Mascaretti

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    3. Caro Mascaretti, Lei per me è una continua sorpresa!

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  2. Diciamo che non credevo possibile riuscire a leggere in una volta sola questo post...eppure eccomi a commentare. Non mi azzardo di certo a smentire o confutare ne tanto meno a divagare su così interessante promiscuità d'argomento, ma leggervi mi è piaciuto. Vorrei poter aggiungere più d'una parola eppure al momento quell'arte espressiva latita.

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    1. Per una volta anche io non ho bisogno di ricorrere a tante parole. Me ne basta una sola: GRAZIE. Buona estate!

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  3. Buongiorno, sono Matteo ed ho incontrato il suo blog quando cercavo spunti per scrivere un articolo sul mio... Anzitutto le faccio i complimenti. In particolare questo articolo tratta quell'argomento sul quale anch'io stavo riflettendo. Non farò commenti qui ma piuttosto la contatto perché forse un giorno potremo fare una chiaccherata in persona visto che sono di M. di Campiglio (vivo parte dell'anno in Spagna ma torno ad agosto). Sono un pittore e nei tre anni passati ho esposto a Campiglio. Quest'anno parteciperò probabilmente ad una mostra collettiva a Pinzolo. Se le capitasse di venire su e le facesse piacere potrebbe avvisarmi. Un saluto cordiale, Matteo. www.matteolencioni.com

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    1. Gentilissimo Matteo, io sarò a Madonna di Campiglio (salvo sorprese, insomma, avrei già prenotato, speriamo bene...) sabato 01 Agosto, in occasione del weekend di dirette Orler dalla loro Galleria di lassù. Ormai per noi è una piacevole consuetudine! Si incontra tanta gente amante dell'arte e si salutano vecchi e nuovi amici, che si riuniscono lì per l'occasione: un amico in più non guasta mai.

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  4. Peccato... l'uno non sarò lì! Grazie comunque per la disponibilità. La saluto e spero che ci siano altre occasione. Matteo

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    1. ¡Qué lástima! Per fortuna che la vita è piena di seconde occasioni... Allora, in questo caso, dire "alla prossima" vale doppio! Buona estate e auguri per tutti i suoi progetti.

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  5. La ringrazio e auguro buona estate anche a lei!

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