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domenica 31 agosto 2014

Meggiato (istinto e ragione)

E' arrivata. E' arrivata, infine. Proprio LEI.
E io... sono così felice!
A dirla tutta, ho dovuto riscattare un paio di Polizze Vita che avevo da qualche anno, e non è cosa che dovrei spifferare ai quattro venti, visto che il mio mestiere è continuare a venderne, non invogliare la gente a levarle via. Le Polizze Vita sono un investimento tranquillo e sicuro: sono impignorabili ed insequestrabili (aspetto sempre molto allettante per chi non vuole che altri possano mettere le mani sui suoi soldi), hanno nella quasi totalità dei casi una resa minima annua garantita in partenza, che salvaguarda l'investimento da fluttuazioni del mercato e/o altre sgradevoli sorprese, possono dare - a scelta - tutta una serie di interessanti garanzie accessorie a protezione della mia e della vostra serenità. Quindi, se potete (e con questo intendo se vi avanza qualche soldo all'anno - che non volete lasciare in Conto Corrente - dopo aver pagato il cibo, i detersivi, la bolletta del riscaldamento e tutte le altre spese minime per la sopravvivenza), un pensierino è sempre bene farlo. Magari come alternativa alla classica obbligazione, o al CCT, visto che ora come ora i Titoli di Stato non rendono un tubo.
Io l'ho fatto, più volte, a suo tempo. In fondo, io avrei anche qualche ragione in più rispetto a voi, perchè ogni anno ho degli obiettivi di vendita da raggiungere, e quindi stipulare ogni tanto Polizze Vita a me stessa è anche un modo per raggiungerli (con tutte le piacevoli conseguenze), oltre che un modo semplice e pulito per accantonare denaro in sicurezza.
Però l'ho già detto come in questo periodo io mi senta fuori dal mondo. Voglia di cambiare aria. Voglia di cambiare faccia, e facce intorno a me. Voglia di PRESENTE, oggi.
Dopo tutto, queste Polizze sono così... noiose. Sono solo dei pezzi di carta con una scadenza molto lunga. 
Non bisognerebbe mai chiuderle anticipatamente, lo so bene io per prima, soprattutto se stipulate in una formula che, alla fine del percorso, ti dà un bel po' di rendimento extra (ma veramente un bel po', in doppia cifra), ma devi arrivarci dritto come un treno e senza interruzioni, alla fine del percorso, perchè se cambi idea per strada ci smeni parecchio. Ed è giusto così, del resto: se vuoi la doppia cifra garantita devi garantire tu per primo di fare il bravo. Altrimenti, ciccia. 
Diciamo che sono formule per chi non cambia idea spesso. Sono formule per chi non è malato d'arte. Sono formule per chi non va a Madonna di Campiglio per festeggiare le dirette estive con gli Orler. Sono formule per chi non si trova davanti al naso la Sfera di Gianfranco Meggiato dei suoi sogni, proprio lei, proprio quella che ti è passata davanti agli occhi per anni e anni mentre tu potevi solo sospirare (e firmare Polizze). Eh, già. Quelli malati d'arte, che vanno a Campiglio per il weekend, che si trovano davanti al naso Meggiato e non solo Meggiato, va a finire che passano la notte immersi in complicati calcoli, e il lunedì successivo riscattano le Polizze perfettamente consci della percentuale di abbattimento del loro investimento finanziario.
Chissenefrega, però. Vi posso assicurare che, mentre dicono addio al cospicuo bonus finale della Polizza Vita, aprono la porta dello spirito ad una delizia che nessun pezzo di carta  potrà mai dare. Aprono un portone anche ad un tipo di investimento differente ma ugualmente interessante, se vogliamo essere precisi, perchè Gianfranco Meggiato è un nome ormai consolidato e molto desiderato, e sono certa che le sue opere sono sempre soldi ben spesi, a qualsiasi latitudine. Ma visto che ormai mi conoscete bene, sapete che questo aspetto della questione è per me decisamente secondario. 
Nemmeno mi ci metto, a discutere con chi non lo ritiene un Grande, oppure con chi non lo ritiene neanche un artista ma solamente un bravo designer, e mi fa la faccetta di compatimento come se avessi buttato il mio capitale - garantito e impignorabile - dalla finestra. Anzi, un bacio in fronte a chi non lo conosce per niente, non conosce i suoi lavori, e resta con la bocca aperta. Mi piace sentirmi dire: "Caspita, che bel Meggiato", dà il la ad un profondo dialogo tra appassionati. Mi piace anche: "Bel pezzo, chi è l'artista?"; è più raro, perchè Meggiato è abbastanza conosciuto da chi frequenta casa mia e colleziona arte, ma può capitare. In questo caso la discussione è più dotta e divulgativa. Tuttavia resta impareggiabile il silenzio, lo sguardo stupefatto, lo sbalordimento di chi non sa assolutamente nulla di arte contemporanea (e ce ne sono davvero molti, anche se a chi popola il mio mondo può sembrare strano) e se ne esce con un: "Bellissima, ma... che cos'è?". Io, questi qui, li adoro. Perchè adoro poche cose come poter parlare degli artisti che mi piacciono, e sono le domande così che me ne danno la possibilità. Non "chi è", tra l'altro, quanto "che cos'è". Il profano che si avvicina e, pur non capendo come e perchè, SENTE, AVVERTE qualcosa. Puoi raccontargli tutto. Puoi spalancargli una finestra con dietro un intero universo. Puoi dirgli "Sei tu, solo un poco nascosto", e vedere che faccia fa quando capisce che è esattamente così. Quella sfera centrale, così intima, così lucida, così perfetta, racchiude tutti i tuoi pensieri più nascosti, le tue paure, le tue gioie. La puoi intravedere appena attraverso questo reticolato scuro, che sei sempre tu, quando lasci che la vita ricopra il tuo soffio vitale, il tuo zelo, il tuo fuoco. Tocca. Mettici pure le mani sopra, dentro. Senti il vuoto, con le dita, dopo aver visto il pieno con gli occhi. 
Erano anni che ci pensavamo, a questa Sfera. Proprio a lei, perchè una cosa che non sempre capisce chi commercia arte per mestiere è che le opere non sono tutte uguali (certo, a meno che uno non compri per puro investimento, allora tramite il suo consulente va a caccia di un paio di Boetti due metri per due, li mette in una bella cassaforte senza neanche sapere come sono fatti, e la cosa finisce lì: io parlo per chi compra per il puro gusto, per la bellezza, per emozionarsi, principalmente). O meglio, è probabile che lo capiscano perfettamente (nessuno meglio di loro vede la differenza tra un quadro ben riuscito e una robaccia immonda, anche se della stessa mano e della stessa dimensione), ma quando si tratta di venderle ai collezionisti fanno finta che il concetto passi in secondo piano. Mi fa un certo che quando, in certe televendite, a chi vuole un quadro che invece è appena stato confermato da qualcun altro dicono: "Te ne tiriamo fuori un altro". Come se fosse la stessa roba! Come se fosse un chilo di pane! Mi dia due pacchi di fusilli! Non è possibile, non è solo il NOME. Non è solo il SOGGETTO. Non è solo la DIMENSIONE. E dirò di più, non è nemmeno solo il fatto che l'opera sia bella o brutta o così così. Anche all'interno di opere universalmente definibili "belle", c'è una musica che si sprigiona solo da quel pezzo, lui e lui solo, per me, e magari a qualcun altro non dice niente (per fortuna, così dev'essere). E' una vibrazione che ti attira. Mi sa che anche con l'arte vale il proverbio "Dio li fa e poi li accoppia", come con i fidanzati, o i cani. Compri cose che senti simili a te, ti circondi di opere che siano in sintonia con il tuo ritmo interiore, e se ci si avvicinano solamente non ti senti completo, è come sentire una stecca durante un concerto. E infatti spesso ci si perde il cuore, su certi pezzi, perchè non si può comprare sempre, perchè non è il momento, perchè c'è chi te li soffia sotto al naso, o semplicemente perchè non hai Polizze Vita oculatamente sottoscritte anni prima da riscattare.
C'è gente per cui le Sfere di Gianfranco Meggiato sono solo delle grosse palle di metallo, gradevoli ed ornamentali. Una vale l'altra. Tra l'altro, pur nei brividi sinistri che mi dà questa frase, ammetto che è una bella cosa che i suoi lavori PIACCIANO - in effetti - praticamente a tutti (anche a chi non le considera arte). Perchè trasmettono comunque qualcosa, anche a chi non considera il loro messaggio intrinseco (l'io nascosto, la ricerca del sè, l'alternanza di vuoti e di pieni come specchio della vita...). Magari perchè riescono a vederci l'enorme lavoro tecnico, la perizia certosina, o semplicemente l'opulenza. Ma nel mio caso, che oltre alla bellezza ornamentale, alla bravura, alle cesellature, conosco e fremo per ciò che rappresenta, figuriamoci se non ne cercavo una che mi rispecchiasse davvero interamente: non troppo grande, innanzitutto, perchè volevamo poterla tenere in camera. Esattamente di fronte al letto, così è la prima cosa che vedi quando ti alzi, l'ultima prima di addormentarti, e troppo grande soverchia (nemmeno microscopica però, perchè non siamo scemi, e se si colleziona bisogna comunque avere dei pezzi decenti e non solo le "voglie di"). 
Assolutamente con la sfera interna, perchè vuota mi inquieta, quella sfera interna è una certezza e un solido riferimento: c'è lei, ci sono io. Attorno alla sfera, tutto attorno, altra materia: io non sono una sfera divisa a metà, non mi sento incompleta. Ma non troppa, giusto qualche voluta elegante che sale, scende e si ripiega su se stessa come un gioco di nastri, perchè chiusa mi soffoca. Visto che ho già vissuto, salvo sorprese scientifiche, ben oltre la metà degli anni che si presume un essere umano normale possa vivere, mi sono meritata un po' di respiro attorno all'anima. Guardo fuori, insomma. E voglio poter riempire io i vuoti che trovo. E' incredibile come Meggiato riesca a creare oggetti PIENI (nel senso che occupano uno spazio fisico, tridimensionale per giunta) contemporaneamente ricchi di VUOTI, di una vaporosità, di una incredibile levità che sembra priva di peso, sembra azzerare la gravità stessa. 
Infine, le spennellature di quella sostanza nera, grumosa e opaca come catrame, che rabbuiano e falciano come notti improvvise il lucido bagliore del bronzo. L'ho già detto e ridetto come per me l'approccio all'arte sia una questione di fisicità (come con le persone, come con tutto ciò che mi prende da dentro, dalla base dello stomaco, da quel plesso solare che sobbalza e si strozza e ti fa mancare il fiato ai primi amori... ai primi GRANDI amori, a qualunque età). Mi piace TOCCARE anche i quadri - le perfette pareti in calce di Marcello Scuffi, i sentieri spatolati di materia di Sergio Scatizzi - figuriamoci ciò che è in tre dimensioni, e oserei dire che con Meggiato c'è anche la quarta dimensione, quella del tempo, perchè quando le sue Sfere si muovono non sono mai uguali a loro stesse, un attimo prima. La buonanotte alla nostra Sfera va data con le mani, con le dita, che scivolano giù per la liscia superficie bronzea ed arrivano alla pancia del vulcano, dove quel sostare di lava scura e rappresa ti attende, per imbrigliare i tuoi pensieri.
Su a Campiglio ce n'era una parete intera: dalle Sfere più piccole, seminascoste, alle grandi, a quelle Piramidi che trasformano il concetto delle Sfere in ricerca d'ascesi. A quell'enorme Disco in marmo bianco che io, tanto per cambiare, ho fotografato appiccicandoci il naso dentro, per non vedere i suoi bordi, ma per sentirlo fremere come un unico organismo vivente, una parete di coralli, una spugna marina fatta di luci e di ombre. Non l'avevo ancora vista, lei. E siccome niente succede mai per caso, ho visto che c'era proprio mentre salutavamo un amico che era appena rientrato dalle ferie e ci stava raccontando di questa sua ultima esperienza in una terra inusuale e primitiva. Un profondo conoscitore del concetto di "viaggio", che ama uscire fuori dagli schemi, ed evita come la peste le destinazioni caciarose e commerciali. Saper viaggiare, imparare ad accostarsi ad altre culture, ad altri Luoghi (intesi come luoghi fisici o luoghi dell'anima), è cosa che richiede tempo, è un percorso che presuppone una certa finezza interiore, un po' come arrivare a comprendere certe espressioni artistiche (quelle che, se prese da zero, suscitano ilarità, o fastidio, o ripugnanza). Quest'anno è stato in un posto della Madre Terra dove è forte e prepotente il concetto di "Madre": primigenio, basico, naturale nel senso più arcaico del termine. Un posto dove la Madre ti aggredisce, se non sei pronto. Ribolle e poi gela. Un posto che ti spacca in due l'anima, all'inizio ti spaventa e poi ti lega a sè, con una violenza ancestrale che azzera millenni di storie e culture, da Est ad Ovest. Io lo ascoltavo, e lo sguardo cadeva lì in mezzo, in mezzo a quella parete che rappresentava perfettamente tutto ciò. E poi ho visto LEI, e ho capito che era come l'Islanda: mi aveva aspettato, ed era arrivato nuovamente il momento di nutrire la parte più importante di me.


domenica 17 agosto 2014

Oggi parla.../19

... Antoine de Saint-Exupéry:

"Se verrai a trovarmi domani, io da oggi comincerò ad essere felice"



Futuro (bis)

Oggi (cioè, non oggi-oggi, questi sono post scritti qualche settimana fa, forse un po' cupi e malinconici, ma oggi-oggi l'aria pizzica e mi ha invogliato a postarli), oggi ho deciso di fermarmi per qualche ora a riflettere su cosa, esattamente, mi dia tanto fastidio - una epidermica repulsione - di questo mondo, di questa società, di questa umanità sempre più incazzata, sempre più aggressiva, sempre più isolata e iper-tecnologica. E credo di averlo capito: è la pretesa di costante immediatezza, il famoso "tutto-e-subito". 
Ecco, probabilmente è questo che non sopporto. 
Una frenesia che ci ha preso tutti, come il morso di un ragno, ed ha azzerato il concetto di TEMPO. Azzerato al punto che un minuto perso diventa una condanna, anche in ferie. Nei negozi, anche nei bar (anche per un  caffè!), la fretta è l'unica dominante, e non parliamo nemmeno di quello che succede negli uffici, a volte mi rendo conto che potrei diventare pericolosa: gente che ti manda una mail con una richiesta ics, e ti telefona dopo trenta secondi per sincerarsi che tu l'abbia letta (uno) e che tu la evada subito (due). 
Santo cielo, come odio le mail!! Uno strumento di comunicazione meraviglioso e gratuito (ti permette di collegare in un istante due persone che stanno agli antipodi) diventato la moderna ossessione. Ci sarebbe da fare un discorso più completo, in realtà, e cioè sull'importanza del contenuto di ciò che viene comunicato, perchè tutta questa facilità e questa immediatezza hanno poi fatto sì che si mandino mail (non parlo della pubblicità, spam o meno, quello è commercio) per qualunque boiata ci passi per l'anticamera del cervello. E non va bene nemmeno questo, almeno una volta la gente doveva prendere carta e penna, mettersi a scrivere con la manina santa, perdere un po' di tempo, appiccicare il francobollo, aspettare i tempi postali, e quindi per lo meno si scriveva ciò che valeva la pena di essere scritto, e ascoltato. Oltre al fatto che la carta, la penna, il francobollo, rendevano tutta l'operazione infinitamente più poetica. 
Comunque, anche lasciando da parte questo aspetto, pur fondamentale, della questione, le odio anche solo per come riescono a convincere il mittente che nel momento in cui ha cliccato "invia", la richiesta sia subito soddisfatta. Mi è capitato direi centinaia di volte: "Avete preparato la cosa tale? No? MA COME: VI HO MANDATO UNA MAIL!!". Certo, magari alle sette di sera, ed era la mail numero ottantatrè della giornata, tutte con la stessa priorità della tua. Questa tecnologia che ci fa credere di essere gli unici, unici ed indispensabili.   
Mi rendo conto che siamo arrivati al punto, almeno qui, almeno dove vivo io (e questa è la base per una considerazione successiva), che non siamo noi ad utilizzare, a sfruttare certi strumenti, ma siamo noi gli usati ed abusati. Siamo noi gli sfruttati. Ci facciamo mangiare i minuti, e questo sprofondare sempre più nella frenesia ci rende perennemente arrabbiati, perennemente insoddisfatti. Ho voluto - ho preteso! - che il mio nuovo ufficio, che ormai tra tre mesi compie un anno (è già passato un anno... eterno e densissimo come sempre, eterno e densissimo come la VITA), fosse un PUNTO FERMO. Parcheggi a iosa, così non mi potete dire di avere la macchina in doppia fila. Quadri dappertutto, così quando vi cade l'occhio su uno Scuffi, sulla Parigi di Cionini, o su quell'Emblema che Franco Ristori mi ha circondato di un'intera storia fatta di ruggine che non sembra nemmeno più lui, io vi vedo di sottecchi, mi fermo, e vi racconto. 
E' incredibile quanto nella locuzione "punto fermo" non mi fossi mai resa conto dell'importanza della parola "fermo". 
Ci sono arrivata per gradi, cercando di capire che cosa mi affascinasse tanto di certe realtà, perchè respirare certe atmosfere è benefico ed altre fanno male. Non per parlare sempre delle stesse cose, ma che la Bottega di Franco Ristori sia un luogo magico l'ho detto più volte; e mica c'è solo lui. Ci sono anche le Gelaterie Grom, ad esempio; posti dove ti siedi su uno sgabello, gusti ogni goccia di quella prelibatezza senza fine, e lo fai senza fretta. Anche da solo. E' un'operazione semplice, mangiare il gelato, ma solo da loro riesco a farla concentrandomi sul singolo minuto, sul tempo che si ferma perchè - per un minuto - è una coccola per me. Che ne so, magari dipende davvero dagli ingredienti genuini, in fondo anche Ristori (se mi si passa il paragone con le materie prime dei gelati) ha un'attività rimasta "genuina". Da lui ho assistito a scene allucinanti, assolutamente impensabili se paragonate al lavoro che faccio io: gente che arriva, chiede se la sua cornice è pronta (perchè, attenzione, doveva essere pronta per il tal giorno, non perchè si siano sognati di passare di là per caso), e gli rispondono di no, che non è pronta. E questi non possono nemmeno lamentarsi, non possono incavolarsi (magari tentano, lievemente, ma niente da fare): certi parti richiedono tempo. Quanto, non sempre si sa. E d'altronde, se vuoi uno dei suoi lavori devi per forza andare da lui, perchè solo lui li fa così. Sorrido, perchè sono paragoni che non reggono con quasi nessun altro mestiere, figuriamoci con il mio, ho avuto casi di gente che ha minacciato di assicurarsi altrove solo perchè l'impiegata doveva andare al bagno. Ma lui riesce ad imporre l'ATTESA, ed a volte è di una bellezza senza fine. Saper attendere rende più invitante ciò che viene atteso. Saper gustare il tempo, quale immenso privilegio.
Io, veneta immersa in un Veneto sempre più frenetico ed aggressivo, sono stanca. E spaventata. Vorrei capire se è così dappertutto oppure se siamo solo noi a lasciarci mangiare dentro in questo modo. Da tempo io e mio marito sappiamo che il nostro futuro non sarà per sempre in Veneto, solo che pensavamo ad un domani un po' più in là, un domani da pensione; il punto è che la pensione non arriva, che il domani non arriva. 
E allora perchè non farlo vivere OGGI, questo domani. Perchè non dare un valore a questo oggi dimenticato nella furia quotidiana, nel possesso di ciò che verrà che ti fa scordare tutto ciò che già hai. Vorrei un susseguirsi di nuovi "oggi". La Compagnia per cui lavoro è diventata enorme, e nel corso dei prossimi dieci-dodici mesi dovrà rendersi conto di molte cose: che cosa vuole essere, che immagine vuole dare di sè, con chi vuole lavorare. Molte Agenzie verranno analizzate, accorpate, fuse tra loro o reinventate. Se devo farlo, il momento è questo: ho messo in moto una macchina, a basso regime, e con un po' di timore perchè una cosa è parlarne parlarne parlarne, e una cosa è scriverlo, ma davvero, anche una volta sola. Però l'ho avviata, e l'ho lasciata andare; magari non succederà niente, magari succederà tutto, io ancora non lo so. Lascio che sia il destino a venirmi incontro, e, forse, il bello di certe scelte è proprio qui: non pensarci fino a quando non diventano vere. 
So che ci sono ancora, altrove in Italia, realtà operose, produttive, nelle quali le persone sanno comunque godersi un po' la vita, sanno fermarsi, sanno sorridere, sanno stupirsi. Case piene di quadri, case piene di libri, i cui proprietari camminano piano, mangiano piano, parlano piano, e si riempiono gli occhi di un oggi che è un punto fermo. Io voglio invecchiare lì.   

Futuro?

Ci sono cose che mi inquietano nel profondo. Professionalmente, e personalmente; ma in fondo, con il lavoro che faccio (al quale continuo cocciutamente ad attribuire una funzione sociale), direi che l'aspetto professionale è spesso strettamente legato all'aspetto personale. 
Una di queste, ad esempio, è l'atteggiamento dei giovani/giovanissimi nei confronti di tutto ciò che è "prevenzione"... parliamo quindi del fulcro del mio lavoro, direi. Non si tratta di scegliere una Compagnia piuttosto che un'altra per la mera R.C. Auto obbligatoria per legge, e possibilmente scegliere a prescindere quella che costa meno; siamo ben oltre questa semplice operazione. Siamo di fronte a persone (e non più bambini, sottolineo, persone ormai cresciutelle, che se ancora non occupano posti importanti se non apicali nelle aziende, nei consigli di amministrazione, in politica o in quello che volete voi, sicuramente li occuperanno entro una decina d'anni) che rifiutano tout-court di pensare a qualcosa che possa accadere oltre "domani". Dopodomani, suvvia, siamo magnanimi, o al massimo il mese prossimo. 
E non se ne vergognano per nulla, ne ho già parlato in un post precedente descrivendo le discussioni dei miei condòmini per decidere se acquistare un portaombrelli che prevedeva la spesa di venti Euro a famiglia. Niente da fare: con venti Euro mi pago le sigarette, piuttosto. Belli, chiari e decisi come il sole. 
Gente come me, gente che fa questo lavoro con passione e perchè ci crede (e con soddisfazione, quando annunci l'arrivo di corposi bonifici che salvano il lato B a famiglie in difficoltà per improvvise spese mediche, o aziende senza più il capannone eccetera eccetera), ci ha messo una trentina d'anni, dai tempi in cui io andavo ancora al Liceo, a convincere l'Italia e l'italiano medio che non solo era necessario, era addirittura DOVEROSO pensare alla prevenzione, pensare a difendere i propri beni da eventi accidentali, pensare a proteggere la propria persona dagli infortuni, pensare ad integrare la pensione. 
E' bastata mezza generazione per ripiombare indietro di oltre un quarto di secolo, e questo pensiero da figlio-dei-fiori-che-non-pensa-al-domani sta ora facendo il percorso inverso, cioè sta aggredendo anche lo zoccolo duro della generazione precedente, quella che PAREVA aver compreso l'importanza di certe scelte e invece adesso sta azzerando tutto, perchè in fondo è più bello, più semplice, più disincantato vivere alla giornata, tanto "cosa vuoi che succeda"...
Sono mesi che rimugino su questa cosa, perchè ormai le volte che ci discuto in ufficio e/o fuori con Clienti giovani non si contano più. E a me piace CAPIRE, mi piace calarmi nella testa delle persone con cui discuto, mi piace analizzare il perchè di certe risposte (intendo, se ci arrivi con un ragionamento ben definito oppure se sei realmente deficiente e parli per frasi fatte solo perchè le hai sentite in televisione). 
Poi mi è successo questo: ho partecipato ad un corso, uno dei tenti corsi di formazione che noi Agenti dobbiamo fare per forza, non importa se li segui o no, non importa se interagisci o no, oppure se dormi o se passi tutte le otto ore d'aula a giocare con lo smartphone, all'IVASS basta che tu abbia tot ore di formazione all'anno per confermarti abile ed arruolato (del resto, chissà se il cane magro del gioco a quiz riesce a firmare il foglio presenze con la zampetta). 
Un corso sulla Previdenza Complementare (neanche li conto più), che questa volta però non era tenuto con il solito taglio commerciale (noi abbiamo i prodotti migliori, noi siamo i più bravi di tutti, andate e vendete come dei dannati non importa a chi basta che lo facciate) ma da un signore pacato e molto tecnico. Mi è piaciuto parecchio, devo dire, e mi ha spaventato nel profondo. Mi è piaciuto perchè ha insistito sul fatto che noi, che in teoria saremmo i professionisti del settore, dovremmo cercare di differenziarci dal cane e tutti i cani come lui dando informazioni più complete e approfondite, cosa che nell'enorme babele della Previdenza Complementare non è facile. Insomma, evitare di dire "comincia a mettere via qualche soldo per la pensione perchè serve" e altre generiche frasi dal contenuto simile (vale a dire il normale approccio per chiunque proponga Previdenza Complementare ai giovani, quando cioè è realmente finalizzata alla pensione-che-non-si-sa-quando-nè-se, e non ad un'operazione di speculazione fiscale per pochi anni, per quelli che sono lì lì), ma davvero spiegare dettagliatamente PERCHE' è necessario sottoscrivere una formula di Previdenza Complementare, come funziona in ogni suo minimo ingranaggio, cosa è successo negli anni passati e come si presume si svilupperanno le cose negli anni a venire. Terrore puro.
Sono venuta fuori dall'aula con un bagaglio tecnico rispolverato alla stragrandissima, e con lo stomaco annodato. Non solo per ME, che lavoro da ventitrè anni e qualcosina, e che potrò andare in pensione solo tra altri vent'anni e mezzo; del resto, questo conticino l'avevo già fatto e cercavo di non pensarci troppo. Nemmeno per l'entità di quella che sarà la MIA pensione futura (una schifezza inguardabile), posto che in realtà le pensioni del futuro saranno agganciate, al momento della loro partenza, al PIL del futuro (anche qualora fosse negativo), e quindi è impossibile fare conti esatti troppo presto. 
Il mio stomaco pensava ai giovani e ai giovanissimi, e stava di un male boia. Persone con davanti un'autostrada di vita prima di arrivare alla pensione, alle quali io dovrei candidamente dire che la le Norme di Legge in tema di pensione sono state modificate - nel profondo! - già sette volte in vent'anni, e di certo non ci metterei la mano sul fuoco che nei prossimi venti non succeda di nuovo qualcosa di grosso. Ma bastasse questo. Aggiungiamoci la fame infinita di soldi di chi sta ai vertici di questo Paese (non faccio nomi, volutamente, perchè la fame non è di chi c'è ora, è una fame atavica, che mangia da sempre e non riesce a smettere di mangiare). Aggiungiamoci - in alcuni casi - l'inettitudine o l'incapacità di chi li amministra, questi soldi messi da parte. Io non sono più tanto sicura che la Previdenza Complementare sia così blindata, e parlo per esperienza diretta visto quello che sta succedendo al Fondo Pensione degli Agenti (figura di m/da davanti all'intera nazione, tra l'altro, guarda caso uno dei Fondi che sta saltando è proprio quello di coloro che li dovrebbero vendere, i Fondi, e quindi come minimo dovrebbero essere i più accorti nel farlo funzionare...); frasi del tipo: "Ci dispiace, qualcosina è andato storto, se vuoi ti spieghiamo il tecnicismo, non sembra sia nemmeno colpa nostra, fatto sta che la pensione integrativa che ti avevamo promesso e per la quale continuerai a versare, ovviamente, sempre le stesse cifre, in realtà sarà il 40% più bassa del previsto, tante scuse, eh".
Per chi è arrivato a leggere fin qui senza collassare, e quindi ha tutta la mia stima dato l'argomento, preciso che nella Previdenza Complementare non ci sono solo i Fondi, ma anche normalissime Polizze Vita chiamate PIP con le stesse caratteristiche tecniche e fiscali, e molto meno problematiche. Giusto per non piangere troppo. 
Ma torno al mio argomento, che è quella sorta di lieve (e sottolineo LIEVE) empatia che mi ha preso verso questa generazione di menefreghisti totali. E' vero, sono egoisti, pensano solo a loro stessi. Il guadagno di un mese (per chi lo ha) va rigorosamente azzerato entro trenta giorni, mettere da parte anche un solo centesimo li fa sentire dei disadattati. Hanno priorità per me incomprensibili: piuttosto che rinunciare alle ferie ammazzerebbero la nonna o il fratellino, per non parlare della palestra, o del telefonino ultimo modello, di tutta quella roba con davanti la "I". 
Ma non deve essere facile diventare adulti senza un futuro. Io ho studiato con la certezza del T.F.R., ho iniziato a lavorare con la sicurezza della pensione (a poco meno di 60 anni era, per le donne, all'epoca! Me ne mancherebbero appena una decina, mannaggia!), ho messo da parte i primi risparmi che rimanevano tali, senza erosioni per tasse, bolli, balzelli vari. Mi hanno cambiato le carte in tavola, ma almeno con qualche colpetto la macchina può restare in carreggiata. 
Questi qui no, gli hanno levato tutto. Deve essere dura lavorare (sempre che tu ce l'abbia, un lavoro) sapendo che lo farai PER SEMPRE, perchè quello è l'obiettivo, diciamocelo: farci arrivare in pensione quando stiamo per morire. Lavorare sapendo che i soldi che hai per le mani sono quelli e solo quelli, perchè su tutto ciò che metti da parte arriva la mannaia. Per forza non vedi l'ora di spenderli! Almeno ti godi un oggi sicuro... E' da incoscienti, ma incoscienti comprensibili. 
Mi sono presa un impegno personale: imparare a comunicare con loro, con questi ragazzi privi di un futuro, questi eterni bambini senza certezze. Imparare come far capire a tutti loro l'importanza di una tutela dell'oggi, se non altro. Devo riuscire a parlare la loro lingua, perchè è sbagliato crocifiggerli quando sono i primi ad essere disperati dentro. Magari il domani riusciamo a capovolgerlo. 

Esisto = pretendo

Non voglio più sentir parlare male delle Compagnie di Assicurazione. Non da chi non è addetto ai lavori, almeno, e quindi le conosce un po' più a fondo e può permetterselo. Siamo arrivati ad una specie di punto-di-non-ritorno, dettato probabilmente dalla follia collettiva generata da questa crisi (crisi di valori, crisi di pensiero, crisi di capacità di riflessione, crisi di dignità soprattutto). 
Ammetto che una minima punta di verità c'è, nel luogo comune che "le assicurazioni non pagano mai"; recentemente ho rabbrividito quando i nostri Liquidatori hanno suonato l'allerta, dicendoci che i controlli si stavano facendo strettissimi e che sarebbero arrivate le lenti d'ingrandimento per le pulci anche sulle denunce più semplici, sulle Polizze più semplici, sugli avvenimenti più semplici. Rabbrividito e tremato, perchè la responsabilità civile è la base di tutto il nostro lavoro, e non parlo solamente dell'obbligatorietà per chi ha un mezzo a motore registrato. Parlo di chi ha cani troppo allegri, o bambini piccoli troppo movimentati, oppure di chi scia, gioca a calcetto con gli amici, lascia i rubinetti aperti, fa cadere gli stendini dei panni dal terrazzino (con o senza i panni sopra, abbiamo visto negli anni entrambe le versioni), o vuole passare con il carrello della spesa tra due macchine parcheggiate molto vicine (parlo di casi reali, eh.... vado, ci passo... vado, ci passo... vado, ci passo, no, in effetti era meglio se non andavo). 
Quando una ragazza mi denuncia un sinistro dicendo che il cane dell'amico che era andata a visitare - cane buono come il pane, ma grosso ed esuberante, poverino, mica sarà una colpa la taglia - giocando le ha rigato il labbro, e il Liquidatore mi sospetta che questa qui sia andata apposta a cacciare la faccia nella bocca del cane (e bisogna vedere com'è questo cane, se davvero è buono, se invece è stato provocato...), io tremo. Perchè ne vendiamo parecchie, di queste piccole Polizze - piccole nel prezzo, ma che fanno dormire grandi sonni tranquilli - e se cominciamo con queste fisime ogni volta che c'è da dimostrare chi ha torto e chi ha ragione, oppure chi-ha-fatto-cosa, io chiudo tutto e cambio mestiere. Non posso perdere il sonno io solo perchè voglio i sonni tranquilli altrui. 
Poi, mentre mi chiedo cosa mai sia successo, perchè improvvisamente le Compagnie hanno deciso che nessuno ha più colpa di niente, che la maggior parte dei danni da responsabilità civile sia da respingere, mi capita che la mia impiegata dagli occhioni blu addetta ai sinistri mi passi una telefonata. E me la passa con la voce rotta dalla telefonata precedente, perchè se tu sei in autostrada e vieni parzialmente coinvolto in un incidente non puoi continuare imperterrito a guidare per i cavoli tuoi chiamando me e sperando che - miracolosamente! - ti risolva ogni rogna: quanto meno ti devi fermare e trascrivere la targa - almeno la targa! - di chi ha provocato il bailamme. Magari uscendo dall'autostrada, tornando un po' indietro, rientrandoci e risalendo il tratto incriminato (dove il responsabile è ancora fermo che si sistema alla bell'e meglio i suoi rottami): lo DEVI fare, perchè io non ho il dono della chiaroveggenza e non posso sapere chi è. E senza inversioni a U, mi raccomando. 
La telefonata del bailamme autostradale aveva rotto la voce alla mia Occhioni Blu - perchè nessuno ama essere insultato quando sta facendo il suo lavoro, e altro non può fare che il suo lavoro - che alla seconda non ce l'ha fatta, e l'ha passata a me, con tante scuse. Mi ha proprio detto: "Scusa, ma questa non ce la faccio, puoi sentirla tu?". 
Ed è andata più o meno così. 
Voce di donna: "Buongiorno, una mia amica si è fatta male a casa mia. Cosa dobbiamo fare per prendere i soldi?".
Io ho rivisto in un unico eterno flash (un po' come raccontano quelli che credono di stare per morire) tutti i miei ultimi dieci anni di lavoro da quando ho aperto la Partita IVA, l'evoluzione del mercato, e i Fondi Pensione, e Bersani e le sue lenzuolate, e le assicurazioni che non pagano mai, e le nostre eterne fusioni, e ho trovato chi mi fa otto Euro di meno; ho respirato a fondo. La telefonata è stata lunga.
Perchè il fatto di avere una Polizza che ti manleva dalle richieste che puoi ricevere per fatti di cui tu sia civilmente responsabile non significa - ma proprio per niente! - che se hai voglia di farti un viaggetto a spese nostre te lo paghiamo senza fiatare. Neppure il fatto di essere proprietario di una casa, peraltro.
Indagando appena un pelo sotto la superficie di quel "si è fatta male a casa mia" ho appreso con rammarico (le lesioni personali rammaricano sempre, io sono un'assicuratrice sensibile) che un'amica della Voce di Donna, che stava seduta sul suo divano in salotto, si è alzata ed ha sbattuto la mano destra contro una porta. "La porta è mia" - ha proseguito Voce - "quindi è colpa mia". Ho faticato un pochino a farle capire che le cose non stanno esattamente così. La porta non si è materializzata all'improvviso dietro all'ignara amica: era lì anche prima, quando questa l'ha attraversata per entrare in salotto e sedersi sul divano piazzato davanti - appunto - alla porta. Se la signora soffre di amnesia ricorrente e se ne dimentica, e si alza di scatto sbattendoci contro e frantumandosi un polso (un controllino per l'osteoporosi comunque non guasterebbe), io - ho usato proprio queste precise parole - "non ravviso una vostra responsabilità". Gliel'ho proprio detto così, in modo forbito, perchè "ma scusa che cavolo c'entri te se la tua amica è una rimbambita imbranata" non mi sembrava professionale, nonostante il caldo. E poi, diciamola tutta, non mi è piaciuto proprio per niente quel "cosa dobbiamo fare per prendere i soldi"; insomma, non mi ha detto "cosa deve fare" (la povera smemorata dalle ossa fragili). Il viaggetto pagato per due, quindi. 
Voce di Donna non se l'è messa via così facilmente; la capisco, magari aveva già versato la caparra, sono cose che seccano. Ha insistito dicendo che quello era il divano del salotto, accidenti, e "cosa ci fa una porta aperta in salotto? La porta del salotto deve stare chiusa". Lo sanno tutti fin dalle elementari, del resto. Che diamine, ci mancherebbe! Come i cinque postulati di Euclide: 
1) Tra due punti qualsiasi è possibile tracciare una ed una sola retta. 
2) Si può prolungare un segmento oltre i due punti indefinitamente.
(...)
E questo è il sesto: La porta del salotto deve stare chiusa! E perchè era aperta 'sta benedetta porta del salotto? A parte il fatto che l'amica c'era entrata da poco, in salotto, e quindi in qualche modo doveva essersi aperta e poi richiusa, a meno che oltre che smemorata e malata di osteoporosi non sia anche dotata di poteri paranormali. "Si era aperta per un colpo di vento". Allora torniamo alla mea - si dice in Veneto. Non c'è responsabilità tua, se ammetti che è stato il vento. Valla a fare al vento, la richiesta danni. Ma non c'è stato verso, dopo una decina di minuti di discussione Voce di Donna mi ha fatto la fatidica domanda: "Ma allora perchè la pago, questa assicurazione?". Assicurazione che comprende, tra l'altro, parecchie garanzie oltre alla semplice Responsabilità Civile della Proprietà (garanzia che avrebbe pagato, ad esempio, se la porta si fosse staccata dal cardine cadendo addosso all'amica in divano), o della Conduzione (garanzia che avrebbe pagato se Voce avesse aperto la porta per sbaglio addosso all'amica, ignorandone la presenza dall'altra parte). 
La paghi perchè qualcuno ripaghi a te la casa se ti va a fuoco, o per ripristinare il tetto nel caso in cui una delle nostre care e ricorrenti bufere te lo scoperchi come una scatoletta di tonno. Ma anche perchè se il tuo enorme albero da giardino al quale tu non hai mai fatto adeguata manutenzione improvvisamente cade sul palazzo a fianco, nessuno ti mangi fuori il salotto buono e la sua porta chiusa. Da notare che quest'ultimo esempio (l'enorme albero sfasciapalazzi) fa riferimento proprio ad un sinistro di Voce di Donna, di qualche anno fa. Magari è proprio per questo che ha pensato che qualunque cosa succeda a casa sua fa fiorire i milioni, chi lo sa. Però la disdetta me la manderà lo stesso. E qui siamo ben oltre la truffetta da quattro soldi di chi denuncia un furto mai avvenuto di un paio di orologi (e lo sa). Ben lontani anche dalle grosse truffe organizzate nei sinistri stradali, con tanto di testimoni e medici compiacenti, che mezzo mondo assicurativo tenta inutilmente di sradicare (tutte cose bruttissime, ma chi le fa sa perfettamente che sono sbagliate). 
Qui siamo su un nuovo pianeta, il pianeta dove non esiste più il concetto di prevenzione ma solo del do-ut-des. Vado a rendere reale l'assurdo pur di pagarmi le ferie, ed è giusto così. E se l'assurdo non si concretizza, mi arrabbio. Quindi, per un po' di settimane, se volete parlare male delle Compagnie di Assicurazione, fatelo senza che io vi senta. O al limite con voce da uomo.