Sostanzialmente, i collezionisti d’arte si dividono in due categorie: quelli intelligenti e quelli tonti. Quelli sagaci e quelli ottusi. Quelli furbi e quelli stupidi. Comunque la vogliamo girare con il vocabolario, io ricado decisamente nella seconda.
Il collezionista intelligente si informa da più galleristi di come tira il mercato, segue i risultati delle aste, mette in concorrenza più fornitori per reperire l’opera giusta del nome giusto, il che significa di grandi dimensioni e possibilmente pubblicata su due o tre importanti cataloghi istituzionali. Poi il più delle volte la chiude in qualche cassaforte ed intelligentemente attende, mentre i suoi nipoti si sfregano le mani, a loro volta in attesa che lui tiri le cuoia per poterla rivendere, dopo trent’anni, guadagnandoci un sacco.
Io sono una collezionista stupida: il mercato mi schifa, non seguo le aste (che, a parte rari casi di artisti morti da molti, moltissimi decenni, sospetto quasi tutte pilotate dal medesimo mercato che mi schifa), e compro solo quello che mi piace, innanzitutto. Ma proprio proprio come mi butta l’istinto, il che significa una cosa sola: non guarirò mai. Non imparerò mai. Non cambierò mai. A un quadro grande e pubblicato che NON mi piace preferirò sempre e comunque un quadro piccolo e mai visto in un libro, che mi trasmetta qualcosa.
A me i quadri parlano: alcuni sussurrano, altri cantano, i più smaliziati mi fanno l’occhiolino, e il mio metro di giudizio è quello, perché so che continueranno a farlo anche una volta portati a casa e appesi al muro (magari al muro del bagno, visto che non avendo più posto ho iniziato a forare anche le piastrelle vicino alla doccia).
Mi succede tutte le volte in cui assisto in diretta ad uno Speciale su Scuffi, ad esempio: entro negli Studi di Orler, e zac! C’è sempre un’opera che spicca su tutte, perché sa di vetro anziché di marmo, o perché racconta una fiaba con fate più buone delle altre, o perché profuma di vento (e solitamente è la prima che Dario Olivi consiglia, del resto la lunghezza d’onda dei patiti della pittura quella è, e quella resta).
Mi intristisce anche solo l’idea di prendere un’opera che ha saputo dirmi “Ehi, sono tua, portami via, insieme faremo follie”, e poi chiuderla in un caveau, per quanto dotato di impianto per la regolazione termica e il controllo dell’umidità. Non ho avuto figli, e quindi non avrò nipoti (nel senso di “nonna”); ho nipotini come “zia”, e li adoro tutti quanti (soprattutto quello mezzo toscano in arrivo, Leonardo con la mamma da Vinci), ma sono pragmatica come pochi: col cavolo che mi metto a fare investimenti per il loro futuro. Che ci pensino i loro genitori, oppure che si forgino autonomamente, come ho fatto io, cioè TUTTO da sola.
Da collezionista stupida, inoltre, io sono innamorata persa dei miei galleristi, vale a dire la famiglia Orler. E quindi compro quasi esclusivamente da loro, anche se sono tendenzialmente cari come la peste, ma non me ne frega niente.
E’ un po’ quello che dico io ai miei Assicurati quando non riesco a calare troppo il prezzo: guarda al servizio che ti do, guarda ai guanti bianchi con cui tratto ogni tua pratica, e pensa che quei cinquanta Euro in più me li dai per le mie premure. Con loro è lo stesso: forse pago un po’ di più qualche pezzo, ma mi godo un sacco di coccole, perché Orler vuol dire “famiglia”, e quando ci sei entrato ti fanno davvero sentire come tale.
Qualche corno gliel’ho fatto, lo ammetto, ma per acquistare nomi di cui loro fanno finta di ignorare l’esistenza, oppure per giocare alla Piccola Strozzina Veneta su Internet. Già, Internet, dove noi collezionisti stupidi facciamo un sacco di affaroni con piccole inutili opere che non varranno mai niente, perché chi ha per le mani Il Quadro Del Millennio figurati se lo mette su Ebay. Ma a me certi nomi meno pomposi dei Bonalumi anni Sessanta (piccole magie di Antonio Possenti, per esempio, o di Tonino Caputo, o qualche paesaggio terso e solitario di Lido Bettarini) fischiettano anche dalla rete.
Come tipico del collezionista stupido, io tenderei ogni tanto a voler cambiare i quadri. Che diamine, ho cambiato quattro case, sette automobili, un’infinità di vestiti firmati, giusto un paio di fidanzati ufficiali, ed altrettanti non ufficiali. Se mi stufo mi stufo. Tuttavia, a differenza del collezionista stupido stupido, io sono stupida una volta sola, e cioè mi rendo conto perfettamente che così facendo ci smeno una valanga di soldi: esattamente come succede con le automobili, in effetti, solo che lì nessuno trova mai da ridire.
Nel 2010 ho acquistato la mia Deltina per 32.000 Euro, e adesso ne vale 15.000: normale. Avessi avuto per le mani un quadro con la stessa forbice negativa in tre anni mi sarei presa della pazza da tutti. Il mio obiettivo è sempre una sorta di pareggio, o per lo meno il tentativo di non perderci troppo. Non ho mai preteso né mai pretenderò di guadagnarci: l’investimento VERO per me resta la piacevolezza, la bellezza, l’atmosfera sospesa senza tempo che respiro nelle mie stanze quando chiudo fuori il mondo esterno. Perché è lì che vivo, non in una cassaforte, non in un caveau, non in una cassetta di sicurezza.
In questa cosa - faccio ammenda pubblicamente - ebbene sì ho peccato: mi sono rivolta a Cagnola (a Gnudi insomma, a Porcelli, a Orlando, insomma a LORO che hanno sostituito l’etichetta verde con le grandi orecchie e la proboscide con un’altra etichetta verde senza orecchie e proboscide ma che sostanzialmente è uguale a prima). Non potevo di certo tentare cambi con Giuseppe Orler: con lui anche solo sussurrare tra i denti la parola “rientro” equivale a nominare Satana, piuttosto mi tira dietro i quadri con sconti folli, oppure me li lascia portare a casa sapendo che glieli pagherò prima o poi, quando si riprenderà tutta l’Eurozona.
Eppure spezzo una lancia in favore di questa “nuova” realtà cagnolesca: tutti ne parlano come dei Terroristi del Male, ma qualcuno che facesse girare un po’ il mercato dedicato a noi collezionisti stupidi serviva. Restando nel paragone con il mondo dell’auto, ci sono i Concessionari Ferrari, i Concessionari Porsche, e tutte quelle marche stratosferiche che tu uomo della strada puoi solo sognarti di notte. Anche io mi sogno spesso seduta al volante di una Maserati Quattroporte, con deferenza. Insieme a questi ci sono i solidi per quanto anonimi Volkswagen & Co., o gli sfigati dei Concessionari tipo Gruppo Fiat (che di questi tempi chiudono un mese sì e uno no), o quelli con gli occhi a mandorla. E infine ci sono quegli strani depositi multimarca, figli di nessuno, dove trovi di tutto, dal catorcio con i sedili con i buchi all’occasionissima dell’utilitaria appartenuta alla nonna veneziana, che ha fatto 6.000 chilometri in quindici anni perché non sapeva come ingranare la terza e arrivata alla Zona Pili tornava indietro al Garage Tronchetto in lacrime. Qui ti rientrano qualunque cosa, ovviamente ti puoi scordare le quotazioni patinate del Quattroruote, ma è giusto così, del resto se hai fretta di vendere e non sai come, oppure non vuoi romperti le scatole più di tanto - tra annunci, gente estranea che ti viene in casa, sedicenti meccanici con la faccia da impiegati d’anagrafe e le mani immacolate che pretendono di “dare un’occhiata sotto al cofano” - è solo un problema tuo. Loro te lo risolvono, e tu li paghi per questo. Anche abbastanza, li paghi, del resto l’alternativa è la succitata fastidiosissima trafila.
Sono carucci e tanto gentili, da Cagnola. Intanto rispondono subito, che è già una bella cosa (io NON SOPPORTO quei Siti Internet dove ti supplicano di rivolgerti a loro per valutazioni, stime, permute e quant’altro, anche e soprattutto di artisti da loro rappresentati, che poi quando li contatti via mail non si degnano nemmeno di risponderti, foss’anche per un no-grazie). In prima battuta la buttano giù dura – sono pur sempre a contatto con i collezionisti del tipo stupido, vuoi mai che vada – ma se uno fa intendere di conoscere un po’ lo stradario del mondo si ritorna immediatamente a stime più miti. E una provvigione di un terzo non mi pare sia da gridare allo scandalo, anzi, visto che tutto il lavoro sporco lo devono fare loro. Il contratto è limpido, la forma ed i tempi di pagamento anche.
Al di là della naturale antipatia che pagano per il retaggio della scritta verde, qualche ora di televisione dove piluccare notizie di nomi nuovi, o di opere nuove di nomi risaputi ci voleva. Fungono un po’ da mercatino delle pulci, e Dio solo sa quanto i galleristi veri li sfottano per questo, ma io resto della convinzione che non sono i tre Clientoni che spendono centomila Euro l’anno a tenere in piedi le Gallerie, quanto piuttosto quel fitto sottobosco di collezionisti costanti da due-tre-quattromila Euro, e avercene tanti, di quelli.
Insomma: stupida, sognatrice, innamorata della bellezza, e anche – soprattutto - senza alcuna presunzione di guadagnare qualcosa tramite l’arte (che del resto, a parte gli addetti ai lavori, come noto non ha MAI arricchito i propri contemporanei, parole evangeliche di un caro e saggio amico).
Cosa mi differenzia dal collezionista intelligente? Beh, intanto il fatto che io sono FELICE. Vado a vedere Musei e Mostre per riempirmi il cuore, non il portafoglio, e quindi non fa differenza se parliamo di Picasso o di Scuffi, di Dalì o di Antonio Pedretti. Ci vado con lo stesso spirito. Per non parlare di Armodio, che tra quelli ancora vivi è e resta una spanna sopra chiunque altro.
Inoltre, sono più che certa di dormire tranquilla: non ho nessuno che mi gufa sperando che muoia presto per ereditare chissà quale patrimonio.
E poi, io AMO i miei quadri. Amo le loro storie, le mani che li hanno creati, il loro profumo. Anche se sono “schifezzine”, come qualcuno (che compra i quadri e li lascia a deposito in giro) si è permesso di definire le mie quattro meravigliose carte di Licata tratte dai Quaderni di Viaggio, solo perché sono piccole e il Maestro ne ha dipinto una montagna e mezza. Non mi interessa. Io guardo l’opera e vedo solo l’opera: ora è ampio colore, pennellata dolce, poesia segreta, ora è solo tratto deciso, spezzato, dolore forse. In ogni caso non denaro. Non prospettive di rivalutazione per nipoti. Non cassette di sicurezza. Io ho sangue caldo, e mi piace sentirlo scorrere a fiumi.
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