Che mostra coi fiocchi, ragazzi! Bella bella bella. Grande, poi! Su due piani, con tantissime opere esposte: oli, tempere, acquerelli a perdita d'occhio. A me Vincenzo Balsamo piace tanto, e come mia prassi non starò qui a sostituirmi ai critici di mestiere facendo chissà quale esegesi: tra l'altro basta andare sul suo Sito Internet che è pure bilingue, e guardare cos'ha fatto e cosa fa, usando il menu sulla sinistra, che ha tutti i suoi periodi artistici già pronti e divisi per tipologia. Ci sono anche molti articoli degli studiosi che negli anni hanno scritto di lui, neanche mi passa per la testa di mettermici in competizione, io sono e resto una che vende assicurazioni.
Però, che ben messo questo sito: Vincenzo Balsamo ha iniziato una vita fa (mica è un bimbetto, il Maestro) dipingendo - come molti - paesaggi, nature morte, qualche ritratto. Indagando si scorre giù la sua storia vedendo come quei visi, quei campi arati, quella frutta buttata lì, cominciano a scomporsi, a slegarsi, a mischiarsi, a riempirsi via via di linee di ogni genere, a "decomporsi" (rigorosamente virgolettato perchè è definizione non mia), a diventare nebbia, a diventare sciame fitto, a diventare stormo in volo, a diventare mare di punti, a diventare solo astrazione, incontaminata. Un pochino alla volta, prima un'astrazione con grandi zone di colore intenso e differente, spesso caldo/freddo insieme nella stessa tela, come qualcosa che sta arrivando ma non è ancora pronta, e infine - e finalmente, per quanto mi riguarda, perchè adoro il suo ultimo periodo - "astrazione lirica" (pure questa non è mia, anche se mi sarebbe piaciuto).
Inizia come molti, finisce come lui solo. Un lunghissimo binario di ricerca, di sperimentazione, di corsi e ricorsi, come un alchimista che raffina essenze su essenze per portarti alla fine QUELLA goccia di profumo, unica, pura, introvabile.
Io voglio guardarli a modo mio, i suoi quadri, me li faccio cadere nell'anima passando per gli occhi: mia l'anima, miei gli occhi, miei i ricordi di quando - bambina - mi avevano regalato un caleidoscopio, e ci perdevo ore. Evidentemente noi eravamo menti semplici, e ci divertivamo con poco rispetto ai bambini di oggi, che hanno tanto, tutto, ma secondo me si stufano troppo presto. Forse era stato al ritorno da uno dei miei vari soggiorni in ospedale (da piccola sono stata un disastro in quanto a salute, li ho girati tutti), erano le volte in cui mi arrivavano le cose più strane; quel cilindretto lungo, magico, chiuso ermeticamente, con dentro il gioco degli specchi e pieno di pezzetti di sostanze sconosciute, tutti colorati, piccoli piccoli: tu bambino ci guardi da un lato e lo fai girare, piano piano, controluce, e lui ti rimanda mille combinazioni, mai uguali, a volte soffuse, a volte luccicanti, a volte morbide, a volte aguzze, e ti fa sognare di immergerti in un mare multicolore. Col cavolo che sono "una da Cascella" (ribadisco! Solo perchè non riesco a considerare "arte" una bestia morta!), mi piace da morire l'astrazione, però deve essere fatta bene. Troppo comodo per i nuovi ragazzi subito geni-della-pittura buttare là due palate di schifezze su una tela e dire: è astratto. Arrivaci con un percorso attraverso mezzo secolo e poi ne riparliamo.
Balsamo è un mago dell'astrazione, è un illusionista, è un incantatore: intanto racconta qualcosa, perchè insieme al colore c'è il Segno. E' PIENO di segni, una scrittura misteriosa, come una formula rituale graffiata con caratteri sconosciuti ai più (spegni il frastuono, esci da Facebook, fermati davanti ad uno di questi quadri per più di cinque minuti - ma conta davvero, fino a trecento, respirando a fondo e senza barare! - e poi incominci a "leggere", a capire e ricordare la vita primordiale). Non grossi, spalmati, sezionati come fa Licata (un altro che mi fa piangere per la bellezza); quelli di Balsamo sono quasi invisibili, ti devi mettere lì d'impegno, e meritarteli. E poi sopra, sotto, intorno ai segni c'è il COLORE. Un colore che non è piazza d'armi, che non spara, che non fa a botte: è pioggia di colore, è lacrima di colore, è un delicatissimo caleidoscopio, è pura febbre. Perchè i suoi laghi, le sue tracce di colore, che tanto mi ricordano i quadri puntinisti, ora sono freddi: verdi, blu, violetti, metti il naso fuori e senti che l'aria punge. Poi la colonnina di mercurio sale, sale, sale, e la fronte scotta, e li vedi caldi: rossi, arancioni, gialli come un lampo. Oppure freddi e caldi insieme, ma di rado, e mai di colpo, sempre gradatamente, come una sinfonia. Termometri di bellezza (cosa significa, in fondo, "caleidoscopio"?). Molto, molto Paul Klee, rivisto attraverso altri occhi.
A parte gli oli, che già avevo visto dal vivo - potentissimi! - in altre occasioni, mi hanno colpito profondamente gli acquerelli, che vedevo per la prima volta, perchè io sono abituata a quelli di Scuffi, limpidissimi, trasparenti, appena accennati. Invece gli acquerelli di Balsamo sono carichi, densi, forti anche loro come i cugini ad olio.
Non capisco perchè ci metta i titoli, che in realtà non mi dicono granchè: basterebbe forse solo un numero, perchè anche i numeri hanno una loro potenza, una loro vita, un loro mistero. Numeri dispari, le Sintesi fredde. Numeri pari, le Sintesi calde. Numeri primi, unici, indivisibili e solitari: le Sintesi più complesse, miste, con quelle pennellate bianche ogni tanto (il bianco, il colore che è tutti i colori insieme, quando l'occhio non ce la fa più e vede solo luce!), come quella tavola ovale stratosferica davanti alla quale Giovanni Faccenda mi ha cacciato un microfono sotto la faccia. Questa va spiegata bene, tiriamo giù le vele del lirismo e rimettiamoci con i piedi per terra a fare una passeggiatina.
Intanto una cosa che mi ha colpito: era un Evento sponsorizzato Orler, però senza gli Orler. Nessuno dei fratelli è potuto intervenire, di certo per problemi loro, però per me è stato immediato il paragone con il Chiostro di Marcello (vedi post “L’Ora Eterna”), tutto così "familiare", così "vero", così pregno di praticità mista a sogni. Senza gli Orler, che sono veneti delle montagne, poco diplomatici, tutti sostanza, c'è stata molta… "Roma". Molta facciata, molti sorrisi con qualche aiutino-tiratino, qualche pseudo-vip. Menti illuminate del passato di molti studenti d'arte che passano quasi inosservate e malferme, e gente che invece non parla con dietro un codazzo senza fine. Io non sono proprio fatta per queste cose, non lo sarò mai. In certi ambienti non mi sentirò mai a casa mia, anzi, vorrei scomparire, diventare un tutt'uno col muro. E poi non sono certo una che subisce la fama: se vuoi la mia stima, se vuoi anche solo che ti degni di uno sguardo (perché con "stima" parliamo già di cose grosse) non me ne frega niente del bigliettino da visita: dimostrami cosa hai fatto per rendere migliore questo mondo, per renderlo più vero. In un tal clima non c'era la stanza con le sedie ed il banco, dove tu (quello che non sa niente, e quindi tace) ascolti quello che parla (lo studioso, che ti spiega le cose perchè lui le sa, si è preparato apposta durante anni, sa pronunciare i nomi correttamente, anche quelli olandesi). C’era, insomma, un misto di roba strana.
Diciamo che Giovanni Faccenda è stato più bravo del solito ed ha improvvisato, grazie anche all'aiuto infallibile di Giuseppe De Luca, che è il Principe della ripresa, il Re del montaggio, l’Imperatore dei cameramen. Peccato che il Maestro Balsamo non stesse tanto bene (era davvero molto stanco, molto provato), perchè Faccenda è talmente "vero" che vive quasi in simbiosi con gli artisti che segue e di cui scrive, ed era parecchio sull'agitatino pure lui. Riprese volanti, visi, gente, Roma, e poi serve beccare un collezionista "a caso" da intervistare davanti alla telecamera per il filmato Orler. Finirò come Paolini, il ricciolone che alla fine degli anni Novanta si era beccato più di una sberla perché era sempre in mezzo a qualunque ripresa da telegiornale, disturbatore mentalmente disturbato.
Io non so dire di no a Giovanni Faccenda, può chiedermi davvero quello che vuole, decenza ed onore permettendo. Certo che essere piazzata davanti ad una telecamera professionale (mi hanno anche chiesto qual è il mio profilo migliore, col naso che mi ritrovo! Non è che potete inquadrare gli occhi e basta, per caso?) già sapendo che finirai su un filmato ufficiale fa un po' tremarella. Io l'ho già raccontato, ho fatto uno splendido ed utilissimo corso pagato dalla mia Compagnia per imparare come parlare in pubblico: come scaricare la tensione che monta su, i vari movimenti, la gestione della postura, l'intonazione della voce eccetera. Ma tutto presupponendo la Cosa Fondamentale: essere preparati. Avere un argomento. Avere LA SCALETTA, quanto meno! In quell'occasione avevo chiesto al docente: "Mi dia qualche dritta nel caso io venga chiamata a parlare in pubblico (o davanti ad una telecamera) senza preavviso e mi trovi ad improvvisare in preda al panico". Lui mi ha risposto: "Assolutamente sì, questo sarà l'argomento del prossimo corso". Che però io non ho ancora fatto, m/da!
Insomma, Faccenda mi fa: "Mi serve una ripresa: ti chiedo qualcosa sulle emozioni che ti suscitano queste opere, spontanea-spontanea che è la cosa migliore" (credo, più o meno, mi ronzavano le orecchie quando l'ho visto arrivare con il microfono). Ma sì, Professore, facciamolo. Davanti a tutti, per giunta. Dopo tutto, non ho mai avuto problemi a parlare: avete presente qui il fiume di scrittura? Ecco, a parole è tre volte tanto. Mi bastano tre secondi giusto per memorizzare le cinque parole con cui iniziare, e poi vado a braccio. L'ho fatto anche al matrimonio di mia sorella, e parliamo di quindici anni fa, ero ancora un mite lavoratore dipendente: sono salita all'altare, ho preso il microfono ed ho fatto una preghiera che era un mezzo discorso, tutta di pancia, improvvisando, senza leggere foglietti o altro. Le prime parole bene in mente, e via. Lei si è sposata con un dirigente della più grossa Compagnia di Assicurazioni italiana, tanto per non far nomi, e c'erano un sacco di Agenti anche importanti: grazie a questa cosa, al rinfresco ho ricevuto un paio di offerte di lavoro! Parentesi: se a qualcuno viene in mente di dire che qua siamo tutti assicuratori, preciso che intanto lui è un direzionale e non un Agente (parliamo di due galassie diverse), e poi è normale che gran parte dei brillanti giovanotti locali nel tempo siano finiti lì, vista l'importanza che il marchio del Leone Alato ha per il nostro territorio. Se vogliamo dirla tutta, anche mio fratello ci lavora. Sono io che sono andata controcorrente, primo perchè sono Partita IVA, e secondo perchè ho Firenze nel cuore, non Venezia, e si vede in più di un'occasione, mica solo dall'insegna fuori della porta (tifo calcistico a parte, chiaro, lì non si può discutere!).
Allora, ho detto la mia al microfono: non si possono dare definizioni alle emozioni. Le emozioni non le spieghi: le vivi e basta. Ti piace il quadro, ti ci immergi, e non vorresti schiodarti da lì. Ti fa stare bene, come tutto ciò che è BELLO. Quello è il significato, non ci sono gran discorsi da fare. Per la cronaca, sono sopravvissuta, anche se devo ancora vedere il dischetto finito, è presto per parlare, chissà che voce mi è venuta fuori, visto che normalmente parlo come una macchinetta.
La serata si è conclusa con una cena a quattro: io, mio marito, Giovanni Faccenda e Carmine Ciccarini, altro pittore che aveva una mostra sua al piano di sopra (è bellissimo vedere mostre in strutture come il Chiostro del Bramante, sembra un condominio di artisti, diversi mondi, diversi stili, tutti lì per un'idea comune, come in una Montmartre di fine Ottocento).
Sarebbe fuori luogo scrivere di lui-pittore in questo post, magari un'altra volta. Due cose però: persona pazzesca, un istrione, un Batman misto Joker, molto conscio di essere uno-che-piace. Ma contemporaneamente umile, ci ha raccontato di come ha arricchito il proprio modo di dipingere accogliendo i suggerimenti del Professor Faccenda, ed è cosa particolarmente bella, perchè di solito l'artista non accetta che chi artista non è gli vada a dire cosa fare a casa sua. Invece lui ha capito che è un po' come nel tennis: c'è chi non sarà mai un campione, ma è una scheggia ad allenare, ed i campioni li sforna come pane al mattino. A volte il talento da solo non basta (certo, a meno che tu non sia Roger Federer, ma ne nasce uno ogni duecento anni), diventa irruenza, diventa presunzione, va gestito: devi farti plasmare da chi lo sa fare, e bene. Se lo capisci sei già un passo avanti a quelli che credono di poter fare tutto da soli, anche se magari sei meno bravo.
Una cena di risate, aneddoti e confidenze, in una Roma che di sera è magia pura, abbandona il caos di metallo, brutto, molesto, del giorno, e mantiene solo quel suo tipico viavai caciaroso che ti prepara alla notte, e che non dà fastidio, è vita pulsante, è luce che si spegne in rosa, sotto il biancore eterno del Chiostro a proteggerci. Una cena di cui non dirò niente, perchè è stato un bellissimo, ed inaspettato, regalo che conserverò solo per me, nel cassetto dei ricordi belli, quello che apri quando ti capita di essere giù, e ti serve qualcosa di solido, e forte, e che profumi di buono.
Mi sono dimenticata di aggiornarvi DOPO averla vista, quella registrazione, ormai già da mesi su dischetto, divulgata e non modificabile.
RispondiEliminaAaarghhh! Uno schifo. Magari il docente del corso di Public Speaking sarebbe fiero di me: parlo lentamente (beh, rispetto ai miei standard), non ondeggio, ho anche fatto un ampio e misurato gesto con la mano per indicare il quadro. Ma i sedici centimetri di naso sono in realtà diciassette. Sembro alta un metro e mezzo e larga un metro e venti. E ho una calata veneta da paura, di cui evidentemente dal vivo non mi accorgo, ma questa tutto sommato non è la cosa peggiore visto che anche Giovanni Faccenda non mitiga minimamente la sua essenza toscana, e il Professor Tallarico è senz'ombra di dubbio siciliano. E giusto prima di me hanno montato in video tal Violetta Santandrea, decisamente rrrromanaderrrroma (sconosciutissima dal Po in su, ma citata con deferenza, e sospettosamente molto carina e... molto bionda...). Sono proprio cattivella, ma la prossima volta Faccenda non mi frega: si trova qualcun altro. O quanto meno mi dà tempo per preparare una frase decente dall'inizio alla fine, così evito le banalità.
Insomma: ho avuto il battesimo della figura di m/da in diretta Orler.
Ora: faccenda è un faccendiere al soldo degli orler televenditore d'arte per non dire ciarlatano.
RispondiEliminaLe emozioni si provano anche davanti ad una cacca . L'arte è un'altra cosa
Meglio non dire cazz... io non sparo giudizi sulle assicurazioni perché sono abbastanza intelligente da capire che ne so poco, parlo di arte perché ho una preparazione formale e so quel che dico
Egregio Astro Labio, pubblico il suo commento perchè voglio dare sempre voce ai Lettori, anche se un filino di gentilezza sarebbe gradita, del resto non ci conosciamo e non credo di averle mai nuociuto in alcun modo.
EliminaTengo a precisare due cose importanti:
1) In nessuno dei duecento e passa post che (ad oggi) riempiono questo blog ho MAI parlato d'arte da professionista del settore, ma solo ed esclusivamente da appassionata (lo dice il sottotitolo del blog), sottolinenandolo spesso, tra l'altro. Conseguentemente credo che se una persona comunica ciò che sente dentro a livello emotivo (sia davanti ad un quadro, sia, come giustamente nota Lei, davanti ad una cacca) non possa essere tacciata di "sparare giudizi". Più semplicemente, spero di vivere in un mondo in cui ci si possa sentire liberi di esprimere dei pareri, soprattutto a casa propria.
2) Circa Faccenda, devo farLe notare che questo post risale al Settembre del 2012, all'epoca le cose erano totalmente diverse. Non posso e non voglio ritoccare i miei vecchi post (anche perchè esprimono ciò che sentivo in quel momento, e fanno parte di un percorso) solo perchè in tre anni il mondo è cambiato. Che poi sia cambiato, su questo sono d'accordo con Lei, anche se io tendo ad usare parole meno pesanti. C'è un post del 2014 ("Essere o non essere") con molti commenti a riguardo, sia miei che di altri Lettori, che rappresenta bene questa sorta di evoluzione.
La saluto cordialmente e La invito a tornare tra noi con serenità.