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domenica 24 marzo 2013

Believe

Mai fatto uso di strane sostanze, ci mancherebbe, e mai fumato, neanche sigarette. Le sigarette perchè, come tutti credo, ne ho provata una da ragazzina, una sola, e per non sembrare quella che vuol darsi un tono e basta ho anche aspirato ben bene; ricordo solo una gran tosse, che bruciava, e un sapore orrendo. Non ne ho mai più sentito l'esigenza, neanche per tenere la mano occupata (che è la motivazione base tra le sedicenni che iniziano a fumare).
Quanto alle strane sostanze, non transigo: non metto nel mio corpo quella roba. Ci tengo al pieno funzionamento delle mie facoltà mentali, che sono l'unica cosa che effettivamente è rimasta funzionante, non me ne frega niente di quanto bene si può stare quando si è "up": ho visto - in persone care - gli effetti del "down", e, no, grazie. Mi concedo quando sta bene un paio di bicchieri di rosso tosto, questo sì, ma solo in compagnia; vino che sia buono, che aiuti la condivisione, che si sciolga con il meraviglioso sapore di un buon filetto mentre la conversazione ti porta verso nuovi lidi.
La mia droga è l'arte, la mia droga è la pittura, è la bellezza, l'armonia, l'equilibrio. La mia droga si chiama Marcello Scuffi, si chiama Armodio, si chiama Licata, si chiama Stefanoni: ci sono dentro fino al collo, e non ho la minima intenzione di disintossicarmi. Anzi, guai a chi mi tocca i miei spacciatori preferiti (Giuseppe Orler, Dario Olivi, Giovanni Faccenda, e tutti coloro che credono nel potere taumaturgico di un'opera d'arte). Pusher di emozioni.
Ieri sono stata sola a casa praticamente tutto il sabato, il "mio" sabato. Sabato per me è giorno di festa per eccellenza; cerco, tendenzialmente, di non lavorare, faccio in modo di godermelo dall'inizio alla fine, mi coccolo fin dal mattino, perchè il sabato non porta dentro quell'aura di deprimente tipica della domenica, quando già dalle cinque del pomeriggio comincio a filar dietro ai penseri di quello che mi attende il giorno dopo, che - notoriamente - sublimo stirando mucchi di biancheria in proporzione variabile. Il sabato è bello tutto, dal risveglio alla buonanotte, ed è il giorno dei momenti speciali, delle visite agli amici, dei piccoli viaggi, dei Musei, delle Mostre, e delle sorprese. Il sabato è un giorno da passare sempre in due.
Invece ieri è stato diverso, perchè mio marito aveva un problema di famiglia da risolvere; essendo un uomo molto buono, con un cuore d'oro, tra i sei fratelli quando c'è bisogno è sempre lui che si sobbarca certi oneri fastidiosi. Quello di ieri consisteva, nella fattispecie, nel portar fuori a pranzo ed a fare una passeggiata, nel suo giorno libero, la ventottenne sudamericana che vive a casa dei suoi. Ovviamente l'onere comprendeva anche altri discorsi molto più seri, ma per me che restavo a casa da sola nel "mio" sabato (per giunta senza macchina e quindi senza possibilità di muovermi) la prospettiva era decisamente molto limitata. Sabato solitario ed arrabbiato, quindi.
Era davvero molto, moltissimo tempo che non passavo così tante ore nel silenzio più totale. Gente come me - abituata a vivere costantemente a contatto con le persone, ed a parlare, parlare, parlare - potrebbe addirittura spaventarsi. Senza capire che sette-otto ore di vero silenzio, di riflessione, di contatto con presenze mute come tutta l'arte che mi fa compagnia appesa ai muri, o appoggiata sui mobili, in realtà sono un dono insperato. Bisognerebbe pagare per averlo, considerarlo come una terapia, un remise-en-forme, un trattamento da centro benessere. La mia droga.
Ho parlato senza voce con i quadri, li ho accarezzati, uno ad uno, stando in piedi davanti a loro, e con un paio mi sono anche accovacciata per terra, perchè abbiamo più confidenza. Guardandoli in ogni singola sfumatura, in ogni dettaglio, e comprendendo che era passato troppo tempo dall'ultima volta. Mentre lo scrivo mi rendo conto che - se mi avessero filmato - sarebbe stata una prova determinante di un principio di pazzia, o quanto meno di un cedimento nervoso, che ci sta tutto, visto il periodo di stress personale e professionale che sto attraversando. Invece è esattamente il contrario: sono cose come queste che corroborano, che apportano linfa vitale alla mia anima, e che devo ricordarmi di fare più spesso, perchè mi fanno stare bene.
Come i baci ben dati, dopo un po' di digiuno diventano un'esigenza insopprimibile.
Le opere che ho a casa hanno tutte una caratteristica in comune: mi piacciono. Le ho comprate perchè le trovavo belle, perchè mi trasmettevano un'emozione, ogni volta diversa: serenità interiore, gioia, stupore, curiosità, ammirazione, eccitazione. E come tali riescono a guarire ogni ferita, a curare ogni tipo di stanchezza, a far dimenticare - o quanto meno a far sembrare meno spaventoso ed incombente - qualunque problema.
Armodio - il "sommo ed inarrivabile" - mi ha preso più tempo di tutti gli altri, perchè davanti ad un Armodio puoi realmente passarci ore intere, quando decidi di GUARDARLO centimetro per centimetro, invece del solito "vedere" distratto, perchè tanto lo conosci. O credi di conoscerlo. E non tanto la tempera, che non sentirò mai "mia" veramente perchè è una specie di condivisione a lungo termine, quanto la carta: le carte di Armodio, quando riesci ad andare "oltre" all'immediatezza delle tavolette che di solito ti afferra per prima, sono balsamo per gli occhi, sono colature di miele caldo sulla pelle, sono - semplicemente - una delle tante dimostrazioni dell'esistenza di Dio. Le sue tempere sono quasi sfrontate, a volte, ti sfidano a trovarci un'imperfezione che sai già non esserci, ti lasciano a testa china, quasi preso da stordimento, se non sei preparato finisci per sentirti inadeguato, come un bimbo in mezzo agli adulti. Le carte invece sono piene di umanità, sono volutamente spente, come antichi abat-jours, danno più confidenza, sono come delle buone nonne. Adoro le sue carte.
Io ero lì tutta presa da questo "guardare", minuzia per minuzia, particolare per particolare, macchiolina per macchiolina, ora colore ora non-colore, quando è arrivata la musica. Musica nella mia testa, nel silenzio esterno più completo, ma veniva dai quadri. Come una sinfonia, si parlavano tra di loro con cascate di note, dialogavano, avvertivo nettamente le note più basse e sorde, borbottanti, e le squillanti, velocissime, come cascatelle d'acqua pura. Sentivo i suoni, ed il battito del mio cuore che accelerava o rallentava per entrare in sintonia con quel ritmo. Era come stare nel bel mezzo di un'orchestra, ogni quadro uno strumento, gli Scuffi come tanti archi schierati nelle prime file, e gli ottoni dei Pedretti più in fondo. E in mezzo tutti gli altri, nomi sconosciuti da bancarella, che nessuno pronuncerà mai, trillavano sui loro flauti a fianco di pomposi oboe già noti alla storia dell'arte, in totale e perfetta armonia. Non c'era neanche bisogno di dirigere, facevano tutto da soli, e per un unico privilegiato spettatore: io, io sola. Solo per il mio personale piacere da drogata di assimilare bellezza, che è - davvero, lo è! - l'unica cosa che può salvare il mondo, può lavare il lordume del "troppo facile", del "tutto e subito", del "talento del nulla" ormai sovrabbondanti. Nel silenzio, io mi drogo d'arte per oltrepassare le bugie, i tradimenti, le malelingue che mi circondano. Per rafforzare i ricordi di momenti che non ci sono più. Per raffinarmi l'anima. Per ripulirla. E perchè non c'è nulla che mi rempia e mi rinfranchi così a fondo, senza chiedermi niente in cambio, senza pretendere nulla, se non la capacità di amare il silenzio e la solitudine.
Infine, leggendomi dentro come attraverso un cristallo (credo sia tale il mio cuore in questo periodo, incredibilmente trasparente e terribilmente fragile), la tempera di Armodio mi ha fatto l'occhiolino, ha fermato l'orchestra, e mi ha cantato "Something", una delle più belle canzoni d'amore mai scritte, e dico "amore" nel senso più esteso (attesa, timore, affetto, amicizia), quando va oltre la dimensione del "lui vuole stare con lei/lei vuole stare con lui", e diventa BELIEVE:

Don't want lo leave her now
You know I believe her now

Non importa se è rivolta a una "lei", le sue parole sono infinite ed eterne. Se ami qualcuno sai che gli credi, a prescindere. L'ho ascoltata mentre sfioravo i piccoli cartigli, mentre accarezzavo le arcate di pietra, e poi l'ho rinchiusa al suo interno, dietro al chiavistello, perchè nessuno possa portarmela via. La mia droga nascosta. Il mio bisogno, infinito ed eterno anch'esso, di amore, bellezza e verità.

3 commenti:

  1. Molto bello anche questo, i Beatles sono stati e tuttora restano la mia droga musicale assieme a pochissimi altri.
    Salvatore

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    1. Io sono una beatlesiana di seconda generazione, sono nata nell'anno di Sgt. Pepper... li ho scoperti alle scuole medie ed è stato amore a primo ascolto, corredato da tutta la costanza al limite del fanatismo di cui solo una dodicenne è capace. Sapevo tutto. Riconoscevo quasi tutte le canzoni dalle prime tre note (per quelle del "quasi" mi serviva la quarta).
      Poi sono cresciuta, ma il cuore - molto spesso - batte ancora, segretamente, passeggiando su Youtube.

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  2. Ciao, anche io ho cominciato a 12 anni, nel 1972; non ho mai smesso, adesso ad esempio, appena seduto sul divano, mi metto in cuffia per un oretta e me li ascolto, leggendo qualcosa sull'arte e cerco disponibilità di Stefanoni su internet ... Cioè a tutto relax

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