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domenica 22 settembre 2013

Roma, esordio




E così, alla fine non me la sono bruciata per niente, anzi. 
La pubblicazione sul Catalogo della Mostra di Claudio Cionini, parlo di quella, della quale avevo accennato proprio qui su Trecose il 28 Giugno scorso ( http://trecose.blogspot.it/2013/06/anime-dacqua-e-cemento.html ), tutta presa com'ero dalla fibrillazione di aver incontrato un nome nuovo tra quelli di cui io sono perennemente alla ricerca: pittori che ancora sappiano dipingere, e dipingere bene, con i colori ed un qualche supporto (che sia tela, tavola o carta a me non importa) purchè non contempli l'uso di strane plastiche, fili, luci o qualsiasi altra cosa iper-contemporanea, concettuale e/o intellettualoide. Pittori degni di questo nome in quanto Maestri-di-Pittura. Persone senza età - ne ho conosciuti di giovani, di vecchi e di mezze vie - che ancora si emozionano quando ti spiegano cosa "vedono", cosa "sentono" quando passano il pennello, intriso del loro colore e della loro anima. Cosa sentono prima di iniziare e cosa sentono dopo aver finito. A chi pensano durante, magari. Come nell'amore, perchè dipingere è esattamente questo, per loro: un gesto d'amore. 
Cionini, poi, tra questi, è doppiamente interessante perchè lavora con Franco Ristori, che è una persona straordinaria dentro e fuori: uno che, quando me ne parla (cosa che avviene spesso), insiste affinchè io capisca che il "suo" ragazzo è bravo, ma proprio bravo, perchè è quello l'importante, e non quanto vale il quadro. O quanto varrà. O peggio ancora, quanto varrà la misura di quel quadro. Uno che ancora adesso, dopo anni e anni di quadri acquistati e venduti, potrebbe strafregarsene del soggetto, della tonalità di fondo, del grumo di materia che cola piuttosto che della superficie liscia, perchè in fondo l'importante è che le opere "vadano", e invece ancora mi confida che vorrebbe chiedere a Claudio di dipingere più quadri con il cielo, perchè il cielo di Cionini è così vasto e così libero, e a lui piace tanto (magari non sa scrivere esattamente con le parole PERCHE' quei cieli così immensi e tersi gli piacciano tanto, ma glielo si legge negli occhi e nell'entusiasmo che ci mette, e nella maniera disarmante con cui lo dice, cioè esattamente così: "mi piace tanto"). Investe una barca di soldi, e poi pensa solo al respiro del cielo. E' un poeta, un poeta coi calli alle mani, ma per me lo è, e mi commuove.
Insomma, ieri c'è stata l'inaugurazione della Mostra di Roma, prima esposizione per il talentuoso toscano al di fuori della sua regione; esordio direttamente nella Capitale, diciamo che è un bel passo, di quelli da fare trattenendo il fiato, come quando sei fuori dell'aula d'esame e ti chiamano. Respiri a fondo, vai e ti giochi tutto. 
Ho detto che l'inaugurazione è stata ieri, per cui è evidente che per un po' sarà aperta al pubblico, quindi ecco bell'e pronto un messaggio neanche tanto subliminale per chi fosse nelle vicinanze di Roma: andateci, punto. E' anche gratis (un utile inciso per i meno spendaccioni, anche se prezzare l'arte è cosa che mi fa un pochino di ribrezzo e mal di stomaco). 
La location mi ha sorpreso da morire perchè non sapevo nemmeno che esistesse: la Biblioteca Angelica è un piccolo scrigno semisconosciuto di tradizione e cultura giusto in un angolino a nordest di Piazza Navona. A parte la zona adibita a Galleria per esposizioni, è davvero una Biblioteca (e dirò di più, una delle più antiche d'Italia, la prima in Europa ad aver aperto al pubblico, come recitano orgogliosamente nel sito), non un modo di dire. Biblioteca, quindi LIBRI, libri antichi, con il loro polveroso sapere tramandato, le legature di una volta, i dorsi affiancati stretti uno all'altro per metri, metri e metri all'insù, sotto un'unica volta a perdita d'occhio di scaffali, e scale, ed eleganti etichette, e storia. 
Silenzio e libri. Fruscii e libri. Sospiri e libri. 
Mappamondi sferici artigianali, di quelli che si chiamavano ancora così e non - come adesso - "globi digitali" che mi fa una pena da purè di ospedale (un'altra volta, forse, racconterò della mia smodata e viscerale passione per i mappamondi, soprattutto quelli sferici, e dei miei voli infiniti con la mente con cui occupavo ore ed ore da bambina per immaginare Paesi sconosciuti e nuove culture), e libri. Tutto quello che basta, quindi, per far andare fuori di testa ME. Un libraio mi dovevo sposare, non un idraulico. Al limite un tipografo, di quelli bravi.
Sotto alla Biblioteca, in pieno viavai pedonale caciaroso-turistico-romano, c'è la Galleria. Bianca. Illuminata. Nè grande, nè piccola: giusta, a misura d'uomo. Ti vien voglia di buttare l'occhio dentro anche se non sai con esattezza cosa sta succedendo, infatti parecchi turisti sono entrati a curiosare. Io ho fatto carognamente un paragone mentale con le esposizioni viste al Chiostro del Bramante (parlo dei miei amici viventi, non delle Mega-Mostre istituzionali, eh, siamo su due pianeti diversi), dove devi chiedere un mutuo in Banca anche per affittare solo l'Umida Cripta, non parliamo dei piani alti. Per carità, il Chiostro è il Chiostro, non voglio sembrare pazza con paragoni azzardati, ci mancherebbe. Però lì l'ingresso o lo conosci o lo eviti, mentre qui ti entrano a frotte volenti o nolenti, tanto è di passaggio (è il ragionamento che ho fatto io quando mi sono decisa a cambiare Ufficio: se Maometto non va alla montagna è la montagna che deve mettersi sulla strada di 'sto benedetto Maometto, soprattutto se la montagna grazie ai soldi di Maometto ci campa, non so se rendo il concetto). E tutto sommato costa molto meno di un appartamentino per sei a Jesolo in piena stagione, pur essendo esattamente a quattro minuti a piedi dal Bianchissimo Bramante.
Sapevo già cos'avrei trovato, sapevo del nuovo ciclo di opere dell'artista dedicato per l'occasione a Roma, alle sue Vie, alle sue Piazze, ai suoi verdi improvvisi, ai suoi giochi di bianco e di mattone. Sapevo dell'imponente Catalogo, visto che, appunto, uno degli scritti pubblicati è il mio "Anime d'acqua e cemento". Un Catalogo che non si limita alla Mostra in corso, ma che - giustamente, visto che stiamo parlando del famoso bel passo, quello con il respiro trattenuto - ripercorre l'evoluzione dei lavori di Cionini, le prime città che ha amato, quelle dei suoi viaggi, le sue prime fabbriche, gli altiforni, con quelle pennellate dense e scure, diverse dalle odierne, diventate più eteree, più libere. E la sezione con i disegni su carta, bellissimi, inaspettati. 
Un Catalogo con un pezzettino adesivo sopra i nomi degli autori dei quattro contributi scritti, perchè l'ordine alfabetico va bene per i ringraziamenti e le collaborazioni, ma non certo per chi ha scritto i saggi, altrimenti finisce che l'emerita sconosciuta con il cognome che comincia per B sta davanti al curatore, che ha il cognome che comincia per F, che sta davanti all'Illustre Professore (già Capo Dipartimento al MIBAC) che ha il cognome che comincia per I, che sta davanti al Senatore della Repubblica Italiana col cognome che comincia per N. Esattamente a rovescio di come deve essere politically correct, insomma. Però io so che una piccola, piccolissima scorta di Cataloghi non ce l'ha, l'etichetta adesiva dell'ultimo minuto, e quindi mi sono fatta mettere da parte una di quelle copie, per quel mio pizzico di vanità femminile che non guasta (e poi vuoi mai che il giovanotto un giorno diventi pure artista megamiliardario, i Cataloghi con lo svarione varranno un sacco, come il francobollo rosa di Gronchi che va in visita in un Perù con i confini sbagliati).
Queste erano le cose che sapevo. Quello che non sapevo, e che ho saputo mentre andavo a Roma in Frecciargento (il solito mio Frecciargento, con il condizionatore che ti congela il braccio destro mentre il sinistro suda, con i due americani con i sedici trolley da trenta chili l'uno, con l'allegra famigliola cinese che mangia la specie più rara di super-cipolla-odorosa alle dieci di mattina, quello che nonostante tutto io continuo ad utilizzare perchè ultimamente ci passa la mia vita), era che il curatore con il cognome che comincia per F si era beccato un febbrone da cavallo in proporzioni variabili, ed era spiaccicato a casa. E quindi nella scaletta degli oratori si era formato un buco, ma non un buchetto da niente: una voragine, viste le capacità affabulatorie del mio carissimo Giovanni, che qualcuno doveva necessariamente riempire. 
Quel che si dice il destino. L'ho saputo che eravamo appena a Bologna, quindi ho avuto tutto il tempo di lasciar maturare l'iniziale ed istintivo "no, io no, non me la sento" in un "però, se proprio serve", fino al definitivo "sì, lo faccio". Il tutto tra il rollio dei binari, e il fido scudiero che mi faceva triste memoria della mia intervista in occasione della Mostra di Balsamo (giro canale ancora oggi, a distanza di un anno, per la vergogna). 
Il treno aiuta certe decisioni, dopo tutto eravamo in tre e stavamo andando a Roma apposta a vedere una Mostra di Claudio Cionini: Mostra, cena, nanna, e poi via a casa di nuovo. Perchè? Cosa ci spinge? Cosa ci piace di questo giovane, esile, timidissimo ragazzo di Piombino che ha fatto sue Parigi, New York, Londra, Roma, Berlino (Berlino soprattutto, la SUA Berlino, dove il gesto d'amore è diventato amore nei gesti) per farcele vedere come non le avevamo viste prima - inondate di sole, specchiate di fitte piogge, madide di nebbia, rincorse dal vento?  Diciamolo tra di noi, con parole nostre, come tre amici in treno (in effetti eravamo tre amici in treno), non con il ricchissimo vocabolario degli addetti ai lavori, dei Capi Dipartimento, o dei Senatori, o di chi per loro. 
Questo è venuto fuori, e questo ho detto a chi era lì ad ascoltare, senza neanche che mi tremasse la voce più di tanto. Claudio Cionini piace (posto che piaccia il soggetto di un pittore metropolitano, altrimenti andiamo tutti a vedere i fiorellini o i cavalli) perchè lui E' nelle sue città. Raffigura città VERE, effettivamente esistenti e riconoscibili (non un'idea vaga, un'ipotesi, un abbozzo di città qualunque), ma ci mette un pezzetto di sè e della sua storia in ogni pennellata: la storia che lo ha legato, lo lega a quello specifico skyline, a quei muri, a quei viali. Città che sfuggono via, vuote ma contemporaneamente caotiche, tenute insieme solo da un istante d'anima di Claudio, e senz'altra presenza umana che non sia la sua, aleggiante. 
Ho detto "istante" perchè ISTANTI è il titolo della Mostra (che si sposa con quel "Under the skin of images" che altro non è che la traduzione inglese del titolo del saggio di Giovanni Faccenda, dopo tutto eravamo a Roma e un quid di internazionale ci vuole), scelto di getto tra una ventina di sostantivi, mentre li sciorinavo come acqua di torrente che gorgoglia sui sassi, evocativi, così come venivano fuori mentre mi immaginavo a passeggio sotto uno dei suoi famosi cieli. Istanti intesi come attimi, come momenti eternizzati dai suoi occhi per i nostri occhi, ma che anche - per la sonorità della parola stessa - richiamano certe istantanee, quei rapidi scatti fotografici che a volte spuntano all'improvviso fuori dai cassetti delle case che hanno vissuto gli anni Settanta. Quadrati gonfi, dapprima bruniti appena dal tempo, come certe visioni di Roma, mura eterne chiazzate da muschi, ed infine bluastri, il viraggio ormai quasi viola, come l'asfalto umido delle metropoli. Nel grande e nel piccolo, perchè questa è un'altra cosa che mi piace di questo ragazzo: non si fissa come una cozza sulle misure, come fanno tanti giovani pittori che, dal momento che hanno coefficienti bassi, per guadagnare di più dipingono solo quadri giganteschi, impossibili da piazzare a meno che tu non sia il proprietario di una Banca tutta da arredare (ma allora compreresti altri nomi, tra i già storicizzati, mi sa). Lui sente dentro il grande, e allora vola sui cieli di Parigi, ma avverte anche il piccolo, e ti accompagna attraverso il rosagrigio di un vicolo, sotto quegli stessi imponenti palazzi, che hanno una storia che affascina anche dal basso. Quadri tutti diversi pur nel soggetto simile, tant'è che ognuno di noi presenti (noi veneti, noi toscani, noi laziali, noi campani) ha sentito affinità profonde con opere differenti da quelle del proprio vicino di sguardi.    
Questa sono io, senza grandi parole: parlo solo di chi mi emoziona, scrivo solo di chi mi emoziona, e ieri sera ero molto, molto emozionata. Tra l'altro, mentre ero tutta concentrata nel seguire i dettami del mio docente di public speaking, tipo non ondeggiare, non gesticolare, parla lentamente, più lentamente, ancora più lentamente o finisce che li spaventi, mi sono resa conto di essermi concentrata su un quadro che avevo davanti, e di non aver guardato le persone presenti come invece si dovrebbe fare ("tecnica dello sguardo a faro" si chiama, prima o poi arriveremo anche a quello, del resto dalla volta di Balsamo sono migliorata parecchio). Mi sono persa - mi dicono - un tenerissimo Claudio Cionini che, mentre l'emerita sconosciuta con il cognome che comincia per B andava a braccio, annuiva e sorrideva , sorrideva ed annuiva, perchè questo è il bello dell'arte, e sempre alla "mea" torniamo, come nel nascondino, ripetendolo all'infinito: condividere un'emozione. Tradurre, chi in parole, chi in scrittura, chi col pennello, chi semplicemente con la propria presenza, un "sentire" comune, un "vedere" comune.
Una serata che non dimenticherò facilmente, è evidente; una serata che mi ha visto molto felice e particolarmente elettrizzata, tanto avrei fatto fatica a prendere sonno in ogni caso, considerando il caos notturno del centro di Roma (praticamente puoi toglierti le mani dalle orecchie solo dopo le quattro, ma alle sei già arrivano quelli che spazzano le strade). Ma a Roma si finisce per perdonare di tutto, perchè il suo caos è vita: vita nella folla di Piazza Navona brulicante di voci e visi dal mondo, mentre avanzi con quel tipico passo sgusciante che tanto mi ricorda le nostre calli durante il Carnevale. Vita nell'aria frizzante del mattino presto, in quella stessa Piazza che diventa di colpo doppiamente immensa nel vuoto, tutta bianca tra le braccia del sole che la accarezzano lievi per un primo tepore, che appena appena raggiunge le vie circostanti, grigie, ancora infreddolite e dalle serrande chiuse e stanche. E' vita cenare tra amici, con quel qualcosa di speciale che ti scalda dentro, mentre scopri per la prima volta quale incredibile delizia sia la pasta cacio-e-pepe, e ti rendi conto a bruciapelo di quanto ti mancano i due spaghetti fatti al volo da Lionello Briganti.

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