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domenica 8 settembre 2013

Sguardi

“I pensieri messi per iscritto non sono nulla di più 
che la traccia di un viandante sulla sabbia: 
si vede bene che strada ha preso, ma per sapere che cosa ha visto
durante il cammino bisogna far uso dei suoi occhi”
(Arthur Schopenhauer)

Ci sono incontri che sorprendono. Perché ci sono persone che, ancora, sanno sorprenderti.
Giovanni Pasinato è una di queste. Il nostro incontro è stato uno dei numerosi momenti della vita in cui ti interroghi, inevitabilmente, sul significato della parola "casuale": quei momenti particolari, crocevia di emozioni e di scelte, in cui avverti nettamente l'aprirsi ed il chiudersi delle proverbiali porte.
Io di professione faccio l’Agente di Assicurazione, e Giovanni era uno dei miei Clienti: di lui sapevo che era rappresentante di semilavorati in acciaio, laureato in giurisprudenza, celibe, senza figli né animali per casa. Tutto quello che serve sapere per proporre coperture assicurative adatte, insomma. Poi un giorno la vita ha sparigliato le nostre carte, facendo scoprire a lui che io sono una malata d’arte contemporanea, e a me la sua fotografia: passione, compagna di viaggio, antico amore, con cui crescere maturando dentro e fuori.  
Ecco come nasce una favola da raccontare. 
Una storia il cui futuro è scritto ora, in bianco e nero, in queste pagine; una storia il cui passato parte da lontano, quando Giovanni (il rappresentante che credevo di conoscere) macinava migliaia e migliaia di chilometri l’anno tra il Veneto e l’Emilia Romagna con un’autovettura, nera pure lei.  
Chilometri di albe su strade vuote, con in mano bollettari, listini e fatture di semilavorati. 
Chilometri di tramonti su strade sconosciute, con la fedele Fuji a fargli da passeggero, silenzioso ma mai muto, ed occhi e cuore sempre vigili per cogliere l'attimo.
E' su queste strade, invisibili raccordi tra mondi più noti, che nasce il progetto "Tensioni", inusuali sguardi lungo il percorso tra Piacenza e Mestre.
Due città, diverse, per la loro storia, per la loro realtà, per ciò che le circonda. Duecentocinquanta chilometri, forse poco più. Sali in macchina, accendi il motore, parti, guidi, spegni il motore, scendi: sei arrivato. Perché c’è sempre un “da”, e c’è sempre un “a”, questo è chiaro. Ma oggi Giovanni ci accompagna nel “tra”: ci accompagna in quella terra di mezzo dove nessuno vuol posare lo sguardo, se non alla ricerca annoiata di un’indicazione stradale o, al limite, di un bar, e ci mostra come anch’essa esista, anch’essa sia viva, anch’essa abbia una storia, che diventa presente solo se lo sguardo – da annoiato - si fa attento. In queste fotografie si snoda un racconto di anziani, come davanti alle scintille di un camino invernale, si intravede una fiaba antica, si ascoltano vite diverse eppure, tra loro, simili. Paesaggi extra-urbani, o mai urbanizzati, all’apparenza nature morte, che reclamano un nome, un suono, un tassello nel mondo.
Non è un caso che proprio Giovanni Pasinato abbia raccolto questa sfida, abbia avvertito questa muta richiesta, abbia voluto dare un momento di eternità a vecchie lamiere, a solitario cemento, a fili d’erba su argini calpestati, a sguardi di asfalto spezzato. Perché Giovanni è uno dei tanti “bambini del dormitorio”, come me del resto: siamo nati e cresciuti in quella Mestre degli anni Settanta, soffocata, grigia, informe, pervasa dagli odori cattivi della chimica, e l’abbiamo comunque amata. Abbiamo giocato con lei, quando ancora non aveva un piano regolatore, e i condomini spuntavano aggrovigliati tra loro senza logica. Molto prima che venisse ripulita, riordinata, riqualificata, prima che venissero riscoperte le sue origini medievali, quando era ancora solo il lasciapassare obbligatorio e un po' sudicio per raggiungere gli sfarzi e la storia immortale della vicina Venezia, e chi ci si fermava lo faceva solo per sbaglio o per trovare un hotel a prezzi modici. Già allora, noi bambini sapevamo guardare "oltre": un campetto con tre alberi, magri e senza fiato, diventava un castello; il nostro Parco - che di verdeggiante aveva mantenuto solo il nome - immensa distesa d'asfalto su cui pattinare, con le rotelle a solcare immaginarie onde di mare e vento; e tante strade di ogni forma e dimensione, intrecciate come mani di innamorati, per organizzare infinite battaglie sui pedali di due minuscole ruote.
L'obiettivo rotondo di Giovanni, nell'immortalità del suo bianco e nero, ci chiede di tornare bambini, dunque, perchè il paesaggio diventi come l'occhio di chi lo guarda: pulito, semplice, innocente, ricco di curiosità. Sarà questo sguardo che, come pennello vivo, inserirà calore e colore nelle immagini, in un susseguirsi di richiami: cavalcavia massicci, linee rette lanciate verso un lontano infinito, si mutano in corsi d'acqua misteriosi; inanimate architetture industriali - pensiline, serbatoi, tralicci, gru ora ritte ora distese e addormentate - si sciolgono e prendono nuove forme, abitazioni dimenticate anch'esse, già avvolte dall'abbraccio dei rampicanti. Un aereo militare, agli occhi di un bambino, non è meno vivo di un cavallo, o della fugace presenza di un ciclista. Muta, quindi, il paesaggio, si trasforma, si evolve col passare dei chilometri. Aperto, silenzioso, terso; la presenza umana non si vede ma si avverte continuamente. E ti coinvolge, ti attira, fino a quando, senza renderti conto, ascolti il mare che ti lambisce, fresco e spumoso, e comprendi che il viaggio è giunto al termine: hai dato vita ad una storia silente, che attendeva il tuo passaggio per respirare ancora.






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