Mi capita praticamente ogni anno, quando sta terminando l'estate.
Perchè l'estate termina a fine Settembre solo sulla carta, giusto perchè andava bene così, quando è stato istituito il Calendario attuale, e bisognava decidere un inizio e una fine che mettessero d'accordo tutti.
In realtà l'estate qui da noi termina ora, con la fine di Agosto, quando di giorno il caldo è ancora caldo, ma non è più afa, non è più umido spalmato come colla, che appiccica capelli e vestiti. Quando la pioggia - bellissima d'estate, leggera, tiepida, quasi vapore prima ancora di toccare la distesa d'asfalto bollente - diventa cupa, incattivita, notturna. Si sfoga, di notte, ogni notte, con violenza, fa l'amore con il vento, e sussulta nell'abbraccio dei tuoni. E al mattino, quando apro le finestre e ascolto il frullare dei miei pensieri, già pronti, meticolosi, ordinati sulla scrivania, proiettati al lavoro dei prossimi mesi, al mattino l'aria punge un pochino, solo un poco, ma prima delle sei è così. Ho un termometro fuori, in terrazzo; i miei gesti mattutini rincorrono le loro stesse abitudini: aprire le imposte, uscire - io sola, mentre il tutto dorme - guardare la temperatura esterna prima che il calore della casa, il mio calore, la contamini, e annusare l'aria, e respirare. Sono sempre venti gradi, fuori, alle sei di mattina, come un paio di settimane fa; ma qualcosa pizzica, e la mia mente vola alle montagne.
In questi giorni in cui l'estate si stempera nel prurito di un nuovo autunno, come ogni anno la poesia mi apre il cuore. Malinconia. Attesa. Speranze.
La cerco dappertutto: nell'immensa rete del web, nei vecchi libri, nei miei ricordi. E' come aprire un rubinetto quando hai sete, un gesto istintivo. Ne ho un bisogno quasi fisico. E' come chiudere la lampo del sacco a pelo, dentro un rifugio ad alta quota: tu dentro, accoccolato, protetto come in una reminiscenza d'utero caldo, mentre fuori il cielo scuro cerca di entrarti, liquido, nell'anima. Ci sono notti di rifugio in cui gli squarci delle stelle fanno quasi paura, tanto sono immensi.
Ho imparato due lingue straniere nella mia vita - finora, almeno. Poter leggere poesia in lingua originale è da privilegiati; ho un'ammirazione sconfinata per i traduttori di poesia: è un compito arduo e improbo. Poche volte ci riescono completamente, infatti. Non è solo il peso delle parole, il loro significato: è la sequenza stessa, è la cadenza. Ci sono poesie che, lette, sembrano sinfonie musicali. Partiture per l'anima. Cambi la lingua ed è come fare analisi logica su un trattato di profilassi antitetanica.
Inglese, la prima, sempre utile, sui banchi, ma soprattutto spagnolo, poi, per scelta. Una scelta adulta, di cui porto ancora disegni sulla pelle.
Neruda. Salinas. Benedetti. Lorca. Bolle che risalgono dal profondo, si spingono su attraverso una strana viscosità, e poi affiorano, e scoppiano, si abbandonano sulla superficie. E' un'immagine ricorrente, per me, questa delle bolle nell'acqua. C'era una mezza botte, credo, o forse era solo un grosso mastello, nel terrazzo della casa di mia zia sul Lago di Como, un terrazzo vastissimo ed assolato dove ho passato infinite estati, con i piedi che scottavano sulle piastrelle - poi l'hanno ricoperto, creando una enorme veranda per i "grandi" estremamente confortevole, travata e con ampie finestre scorrevoli, ma per fortuna io ero già cresciuta, e non ho sofferto troppo: la parte di me bambina del cemento aveva fatto in tempo a viverne la magia all'aperto. Magia di aria e di sole.
La botte era un richiamo continuo, per noi piccoli, come tutto ciò che gli adulti proibiscono. Mia zia ci teneva le ninfee: ricordo l'acqua scura, torbida, quasi verde, che ti impediva di vedere il fondo. Ti entrava negli occhi soggiogandoti, con una punta di paura. Uno degli innumerevoli gatti che popolavano la casa delle mie vacanze ci era finito dentro da cucciolo, era stato salvato appena in tempo (con una fantasia senza pari si era beccato subito il nome di Mosè; probabilmente da adulto, bellissimo e sdegnoso come il suo manto per metà persiano, si vergognava più del nome che del ricordo).
Sulla superficie galleggiavano le ninfee, corolle di petali rosa e al centro un cuore giallo, asciutte, quasi irreali, con le loro larghe foglie su cui potevi appoggiare una macchinina, una caramella, un pupazzetto di carta, come su un prato opaco e striato, inventandoti una storia dopo l'altra e chiedendoti come mai la macchinina sì e il piccolo Mosè no, lui era andato giù di sotto subito, annaspando, con il suo prato diventato improvvisamente sottile ed inutile come carta velina.
E a volte, dal fondo del mastello, quel fondo lontano e torbido che un braccio di bambina non poteva raggiungere, nemmeno afferrando il gambo sotto la corolla e seguendolo piano, verso il basso, a volte da quella profondità lontana salivano le bolle. Rade, improvvise. Affioravano dal nulla come il respiro passeggero di un pensiero inespresso. E svanivano. Tu aspettavi di vederne una, e potevi aspettare per ore; poi desistevi, ed eccola. Ancora oggi - e sono passati quarant'anni! - sento alla base della nuca quel ricordo vivido, di qualcosa di nascosto che si fa improvviso. Senza che tu lo voglia. Quando non te lo aspetti, perchè lo hai aspettato troppo.
Questa è la poesia di oggi, una bolla che mi ha raggiunto dalle mie stesse profondità, ed è ancora qui, che indugia sulla mia superficie, e io so perchè.
No te amo como si fueras rosa de sal, topacio
o flecha de claveles que propagan el fuego:
te amo como se aman ciertas cosas oscuras,
secretamente, entre la sombra y el alma.
Te amo como la planta que no florece y lleva
dentro de sí, escondida, la luz de aquellas flores,
y gracias a tu amor vive oscuro en mi cuerpo
el apretado aroma que ascendió de la tierra.
Te amo sin saber cómo, ni cuándo, ni de dónde,
te amo directamente sin problemas ni orgullo:
así te amo porque no sé amar de otra manera,
sino así de este modo en que no soy ni eres,
tan cerca que tu mano sobre mi pecho es mía,
tan cerca que se cierran tus ojos con mi sueño.
Pablo Neruda
(Non ti amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
ti amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l’ombra e l’anima.
Ti amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
e grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.
Ti amo senza sapere come, né quando, né da dove,
ti amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti che così,
in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.)
Che Bello leggerti...quali espressioni mi rimandi !
RispondiEliminaQui l'estate dura un pò di più, ma alla sera il riposo anela già la carezza d'un lenzuolo, e si desta lieve ma carico per la promessa di poesia che aleggia come nebbia tra i pensieri del sonno e le necessità del giorno. Non ci sono stagioni per una tale fame di "chiarezza" che mentre le ore si fanno appresso arriva , timido, ma puntuale, un pasto frugale verso l'imbrunire.
Di Neruda già sapevo..., ho banchettato di Lui tantissime volte e di certo non ci si sazia mai.
I traduttori dici? Poeti anch'essi non credi ? (vedi la mia Emily Dickinson...per me non sarebbe uguale senza la traduzione di Massimo Bacigalupo).
E poi le tue bolle...potresti vivere senza?
non ricordo dove ma una volta ho un letto di "qualcuno" : << la poesia è qualcosa attraverso la quale la vita ha un altro respiro oltre a quello del corpo >>.
Un inizio d'autunno ...Gran bella atmosfera !
Grazie... un grazie a te, solo.
EliminaI tuoi commenti sono rari, ma sempre preziosi.