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giovedì 1 agosto 2013

Probabilità e Imprevisti

Quand'ero ragazzina Internet non esisteva, nemmeno lontanamente. Per i giochi ci si industriava.
Noi che difficilmente potevamo contare su alberi, corse, prati e pallone, a casa avevamo un sacco di quei giochi in scatola da fare in due, tre o quattro; chi ha più o meno la mia età ha sicuramente passato almeno una volta, con la manina che tremava, le forche caudine dello stramaledetto Osso del Desiderio dell'"Allegro Chirurgo", fatto apposta per farti perdere, puntualmente (a me quello del Crampo dello Scrittore veniva via al primo colpo... destino?). Io sotto sotto lo detestavo, quell'omino fastidioso, soprattutto il palese parrucchino che aveva disegnato in testa, e quel suono lamentoso e gracchiante che emetteva quando sbagliavi (la promessa sulla scatola recitava "strabilianti e divertentissimi effetti sonori", ma a me ricordava più il muggito di una mucca con gravi problemi di stitichezza).
Tutto bianco e rosa, come fragole con la panna per noi bambine era invece "Barbie Reginetta del Ballo", che io e mia sorella abbiamo letteralmente consumato a furia di giocarci, giri e giri all'infinito per beccare quello straccio di vestito, di fidanzato e di anello per andare a farsi incoronare, così fin da piccola impari che anche se non sai lavorare non importa, basta che riesci ad incastrare il grullo di turno e sei a posto. In effetti da bambina io ero... una bambina, intendo cioè in tutto e per tutto una rappresentante del gentil sesso, sognavo anch'io vestiti lunghi e luccicosi, carrozze e Principi. Non so esattamente quando ho smesso di esserlo ed ho cominciato a sognare di usare armi da fuoco e comandare brigate e reggimenti.
Come tipico delle sorelle minori, io non possedevo la Barbie (appannaggio della primogenita) bensì la Skipper, vale a dire La Sorellina Piatta Di Barbie: niente tette, niente cosce, niente polpacci, praticamente dalla testa andava giù dritta come un tronco. Aveva piatti anche i piedi la poverina, cosa che la costringeva ad un guardaroba infinito di ballerine colorate (la ballerina è la scarpa meno sexy dell'universo, sembra fatta apposta per mortificare le gambe), però almeno poteva reggersi in verticale a piedi nudi, cosa impossibile a quella gnoccona della sorella maggiore che aveva il piedino di plastica stampato già pronto per il tacco dodici, ma senza scarpe cadeva, e ti faceva pena perchè, dietro quel sorriso finto, aveva scritto in faccia che era devastata dai crampi.
Il mio futuro da maschiaccio era già scritto fra le righe, comunque, perchè mi stava sulle scatole Ken, e manco morta volevo lui per fare la Reginetta, così incravattato, lisciato e pronto per piazzarsi dietro alla scrivania di una Banca d’affari. O di una concessionaria d’auto di lusso. Visto che artigiani vispi il gioco non ne prevedeva, solitamente giravo più volte per accaparrarmi la carta del meno sfigato, che era una specie di sportivo con i capelli rossi che a pensarlo così sui due piedi oggi mi ricorda vagamente il mio primo morosetto (acne a parte). La parte migliore in ogni caso andava a mio fratello piccolo, che segretamente a volte giocava con noi, nonostante fosse un gioco da "femmine", ma solo perchè gli consentivamo di giocare a rovescio, cioè di scegliersi un  vestito maschile tra i quattro papabili nostri fidanzati, e di beccarsi una fidanzata tra le modelle dei nostri vestiti (ed erano tutte strafighe, altro che Ken, Bob o Tom - che in teoria doveva impersonare un venticinquenne ma sembrava mio nonno - tutti ragazzotti americani con nomi di tre lettere come allegri cagnolini).
Già, il mio fratello piccolo, quello che si è mangiato la pallina metallica che si infilava nel camino del "Castello Incantato" per far cadere gli oggetti; se chiudo gli occhi ho ancora ben netta l'immagine, ferma come un fotogramma stampato nella mente, del mio papà che tiene questo frugolino biondo per i piedi e lo scuote, a testa in giù, finchè la pallina gli esce dalla bocca, rimbalzando sotto la credenza bassa e lunga del servizio buono. Giusto perchè, presumo, se avesse deciso di aspettare che la pallina, che era anche piccola e liscia, facesse il suo percorso intestinale fino alla - diciamo - "naturale espulsione", avrebbe avuto per qualche giorno due figlie femmine urlanti e molto, molto fastidiose. Scuotere l'unico erede maschio sottosopra per un paio di minuti deve essergli sembrato il male minore.
Certo, oltre ai giochi tipicamente infantili poi c'era il Monopoli, che ti faceva sentire già grande, perchè ci giocavi assieme agli adulti, e potevi maneggiare i soldi, e decidere da solo la tua strategia: se avere tante piccole proprietà da poco, oppure una sola, però direttamente al Parco della Vittoria. Io ero un martello al Monopoli, se mi ci penso mi do fastidio da sola. Lo vivevo come una missione, anzi due: la prima, uno o più alberghi nei quartieri alti, a qualunque costo. E poi, la seconda, il lento ed inesorabile prosciugamento degli avversari. E ci riuscivo, il più delle volte: con quel briciolo di fortuna che mai non guasta e che tendenzialmente avevo, puntualmente come aprivo il primo albergo tutti gli altri ci finivano sopra, ad ogni giro. Mai come in altri giochi, io a Monopoli giocavo solo ed esclusivamente per vincere, per vedere l'espressione incuriosita degli adulti davanti ad una bimbetta o poco più che sfoderava, a muso duro, una determinazione da panzer.
Oddio, perchè tutta questa crema da spalmare di ricordi d'infanzia, solo per arrivare al Monopoli. Non lo so, è che in questi giorni il Monopoli mi frulla e rifrulla per la testa, lui con le sue carte delle Probabilità e degli Imprevisti. Tutto per un articolo che ho letto di recente su un giornale femminile, di quelli che sfoglicchio, in mancanza d'altro, quando vado dalla parrucchiera a farmi stirare i riccioli. Evitando come la peste i giornali di gossip, sugli altri qualche spunto buono ogni tanto lo trovo. Questa era un'intervista ad uno stilista olandese, se non ricordo male, neanche potrei dire come si chiamava, ma so che presentava uno spaccato del suo modo di lavorare che lui definiva "Gestione del Caos".
Già la parola mi turba nel profondo, a me che sono una perfettina tutta programmi e certezze. E invece ha ragione lui: oggigiorno nulla è più certo, nulla è più programmabile. I commercianti chiudono, gli artigiani soccombono, i loro dipendenti se ne vanno a casa, non girano più soldi, non si produce più la minima ricchezza, mentre il nostro governo è tutto preoccupato per la languida signora kazaka espulsa.
Io penso al mio lavoro, dove in teoria si dovrebbe procedere per campagne di vendita quanto meno di mesi (tra programmazione, effettuazione, verifiche e correttivi). Mesi? Ci sono buone probabilità che le persone con cui parlo OGGI di accantonamenti pensionistici (perchè hanno una signora busta paga data da una signora azienda e quindi sono discorsi che ancora si possono fare), DOMANI - e intendo proprio domani, non è un modo di dire - mi vengano a dire che non hanno più nè la signora busta paga nè il lavoro. Per non parlare delle telefonate alle famiglie ad ore pasti, ormai assurde ed anacronistiche, per proporre "interessanti soluzioni assicurative": conosco gente che ucciderebbe per molto meno.
Ha ragione l'olandese, saper programmare e pianificare non è più una qualità che fa la differenza. Ciò che serve davvero ora è saper gestire l'Imprevisto, al meglio. L'ordine importante da evadere quando hai mezzi dipendenti in ferie. Il servizio impeccabile da fornire quando sei attaccato alla canna del gas. Decidere l'oggi per l'oggi, senza pensare ad altro. Deciderlo, farlo, e farlo bene. Differenziarsi dagli altri in questo: esserci, sempre pronti, con inventiva. Sicuramente non è un bel lavorare, ma solo chi di noi (assicuratori italiani e stilisti olandesi, ma anche ristoratori, idraulici, carrozzieri, gelatai, venditori d'auto piuttosto che di abbigliamento, e chi più ne ha più ne metta) riuscirà a gestire l'Imprevisto, con ogni Probabilità ne uscirà prima degli altri.
A me, da Cliente, è successo ieri: ho telefonato – una telefonata molto femminile – per farmi spostare l’appuntamento dall'estetista, perché me li fanno prendere un mese prima ed è praticamente impossibile che io possa sapere se tra ventotto giorni esatti alle ore 18.00 in punto sarò libera o meno. Lo segno, ma poi devo vedere come butta; è evidente che se un Cliente mi dà appuntamento per una Polizza nuova o anche semplicemente per pagare, io ci vado, ceretta o non ceretta (casomai vedo di andarci con i pantaloni lunghi). Chiamo l’estetista per spostare di un giorno, prima o dopo non importa, ma mi hanno risposto di no, non c’è posto, perché adesso sono in pieno periodo-Groupon, e il Centro estetico è superaffollato da cybernaute che prenotano una manicure a quattro Euro. Risultato: visto che a me la ceretta serve, mi tocca andare da un’altra parte, ma se mi trovo bene non è detto che torni indietro, anzi. Quindi tu perdi un’ora con la cybernauta sottocosto che non rivedrai mai più in vita tua, e il tuo concorrente guadagna una fedele Cliente irsuta (insomma, ho ciglia e capelli folti e sani, mica potevo pretendere che la cosa si fermasse lì?!) puntuale come un orologio e che in quanto a spesa non va tanto per il sottile (altro che Groupon!) quando c’è da sfoltire ovunque, e sottolineo ovunque. Gestire l'Imprevisto è anche saper decidere, in un amen, a chi dire sì e a chi dire no, quale Cliente coccolare e quale no, perchè in tempi grami anche la gestione del proprio tempo è fondamentale. Non puoi spaccarti la schiena per niente. Infatti quando sono stata io la cybernauta di Groupon (avevo comprato un coupon per il lavaggio della Deltina) mi sono sentita rispondere dal gestore del lavaggio che accettavano al massimo tre Clienti Groupon al giorno, perchè la maggior parte dell'orario di lavoro era riservata ai Clienti abituali. Oppure, se mi andava bene lo stesso, il cybernauta doveva adeguarsi e portare l'auto al primo giorno di pioggia (sic). Anche questa è, comunque, gestione del caos.
Magari è tutto solo un modo che la Grande Ruota del Tempo usa per tirarci le orecchie, per ricordarci che per avere un domani, anche un domani qualunque, è indispensabile avere un buon oggi. Per ridare valore, a quell' "oggi" che nessuno considera. Insomma, sono giorni che ci rifletto sopra, a questa cosa degli Imprevisti, e non riesco a schiodarmela dalla mente. Sarà che il mio Duemilatredici è stato (finora! E ne manca ancora una metà scarsa...) un unico, eterno, infinito susseguirsi di imprevisti, esattamente nel senso più basico della parola, cioè "cose-non-previste" (avvenimenti, incontri, viaggi), non necessariamente con l'accezione negativa che di solito tendiamo a dare a questo sostantivo. E a furia di sbatterci il naso, comincio a trovarli quasi simpatici.

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