.

.

domenica 8 settembre 2013

"Sguardi" opposti

Il mio nuovo venditore non sta andando molto bene. Probabilmente non è neanche colpa sua, oggigiorno continuare a fare questo mestiere è una prova di coraggio. Non parlo del mio mestiere di Agente, che sta in effetti su un piano diverso, parlo dei nostri sottoposti, quelli che - in teoria - dovrebbero galoppare dalla mattina alla sera bussando a porte sempre più chiuse, parlando fino a fiaccarsi con visi sempre più torvi, e guadagnando la metà di quanto guadagno io a parità di affare (perchè quello passiamo, Euro più Euro meno, ai nostri Subagenti). E' vero che non ha nè mie responsabilità nè i miei obblighi, e tanto meno i miei costi, neanche lontanamente, però mi rendo conto che se spesso faccio fatica a far quadrare i conti io con la provvigione piena, può essere un problema farli quadrare con la retrocessione al cinquanta (soprattutto se si considera che con quello che c'è qua fuori la pratica più diffusa per tenersi i Clienti è l'abbuono).
Così va a finire che, dal momento che ci deprimiamo a vicenda quando parliamo di assicurazioni, ci ritroviamo spesso a parlare delle nostre passioni, di arte, e di fotografia, che è la passione sua (è doveroso un saltello all'indietro fino a Marzo, per una seconda letta al post "L'ovvio, e oltre"), sempre in bilico tra restare tale e diventare, invece, una vera e propria attività, una professione, magari complementare all'altra come io gli auguro sistematicamente, per spronarlo alla positività e per invogliarlo a fare questo benedetto passo, che mi sa gli farebbe un gran bene (per qualche anno ho avuto come impiegata part-time una ragazza che, nel resto del giorno, lavorava in un Centro estetico, e si giostrava benissimo i Clienti: invitava i nostri a farsi le lampade distribuendo campioncini di creme solari, e a quelli del Centro passava i nostri bigliettini da visita).
Per farla breve, qualche mese fa - perchè un discorso che riguardava i profondi mutamenti nella mia vita privata ci aveva portato lì, su come da un niente può nascere un mondo - gli ho fatto leggere il brano che avevo scritto per Claudio Cionini, per la sua Mostra di Roma che è ormai alle porte, e gli è piaciuto. Magari si è anche sorpreso, perchè un conto è sapere che la tua Capa ama l'arte ed è una persona spigliata e divertente, un conto è vedere che quello che scrive finisce davvero su cataloghi di mostre istituzionali, a fianco di nomi come Salvatore Italia e Giovanni Faccenda. Di certo ha avvertito anche lui la stessa empatia, perchè ha il mio stesso background di bambino del cemento. E mi ha chiesto di scrivere qualcosa di simile anche per lui, per un progetto fotografico che stava portando avanti in previsione di un libro. Un progetto maturato negli ultimi anni della sua professione di Agente di Commercio (prima di approdare alle assicurazioni), durante i quali percorreva sempre la stessa tratta, e mentre il suo occhio di rappresentante era fisso sui listini, l'altro occhio - quello del fotografo - guardava il paesaggio che mutava, che si svuotava, che si impoveriva (una campagna, nel tempo industrializzata, urbanizzata, addirittura "umanizzata", che tornava ad essere campagna, ad essere assenza, ad essere solo silenzio). Mi ha mostrato moltissimi scatti, tutti in bianco e nero - a mio giudizio belli, alcuni bellissimi, di un vuoto violento, con contrapposizioni molto forti - illustrandomi a grandi linee l'idea di fondo. E io mi ci sono calata dentro, durante le mie, di pause, tra una telefonata e l'altra, o a casa, durante la mia domenica di sola calma, quando il telefono tace e sento solamente la tastiera che scorre in sincrono con il battito del cuore. Ho rielaborato il mio saggio su Cionini, ovviamente, perchè era giusto tornare ad utilizzare certi termini, ad evocare certe immagini, senza arrampicarsi sugli specchi cercando nuove e diverse interpretazioni; e poi l'ho calato all'interno di quello che il suo progetto stava trasmettendo a me. Ne è venuto fuori un nuovo scritto intitolato "Sguardi", che posto assieme a questo, qua sotto. 
Ma la sorpresa è venuta dopo, nel senso che quando gliel'ho dato da leggere ho scoperto che eravamo su estremi opposti. Prima ancora che me lo dicesse, timidamente: vedevo che deglutiva e non aveva il coraggio di alzare gli occhi dal foglio, mentre io attendevo con una punta di curiosità mista ad un filino di sadismo, data la gerarchia. Per lui tutta la sequenza di fotografie era una sorta di denuncia sociale, mentre io invece l'avevo interpretata (proprio per il suo specifico susseguirsi) come un viaggio verso una speranza di cambiamento. Credo che - sotto sotto - lui ci sia rimasto davvero male, tant'è che mi ha subito voluto spiegare più dettagliatamente cosa intendeva trasmettere con le sue fotografie, e mi ha chiesto di modificarlo, di renderlo più consono al reale messaggio dei suoi lavori. Io - da gran bastarda - gli ho risposto picche (io NON scrivo a comando, quella ero io e così doveva restare), presumo mettendolo in un imbarazzo enorme, perchè non se l'è sentita, a quel punto, di dirmi "no-grazie-allora-non-lo-stampo", ma si vedeva lontano chilometri che stava maledicendo il momento in cui mi aveva chiesto di scrivere per lui; insomma, sono pur sempre il suo datore di lavoro. 
E invece è stato bellissimo così! E' esattamente lo scopo di un'opera d'arte (per lui chiaramente la fotografia è arte, io sono sempre tra "color che son sospesi", come ho già dissertato in precedenti post, ma qui ci stava): provocare, suscitare, trasmettere, aprire una porta, far balenare un'idea, creare empatia, emozionare! Io ci leggo il mio, tu ci leggi il tuo: l'opera è la stessa, la visione può essere diversa, a seconda dell'anima di chi la guarda, la sente, la vive calandola nella propria realtà. E' questa la sua grandezza, la sua immensità, la sua eternità! Mica siamo tutti uguali, se il messaggio fosse univoco sai che noia mortale.
Io non sono stata lì a perder tempo per spiegargli cosa pensavo, ho lasciato che decidesse da solo, e lui alla fine ha semplicemente spostato il mio brano - rispetto alla bozza - dalle prime pagine del libro (stava subito dopo il suo, la sua presentazione in quanto autore) alle ultime, dopo l'ultima foto, pagine settantadue e settantatre. 
E sono contenta, perchè è giusto così: la positività lasciamola alla fine, perchè torna a riempire a metà il bicchiere mezzo vuoto.

Nessun commento:

Posta un commento