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venerdì 27 aprile 2012

Treni/ritorno

In treno io amo osservare, un po' per curiosità e un po' perchè ogni cosa diventa spunto per conversazione e riflessione (con chi mi accompagna nel viaggio, oppure dopo a casa). Mi piace immaginare dove stava tutta questa gente prima di salire in treno, le loro vite, le loro storie. Notare tutto ciò in cui siamo diversi, perchè nati in terre diverse, e tutto ciò in cui siamo uguali, figli della stessa Terra. Mi piace perchè riesco sempre a trovare, tra la marea di teste chine che leggono, risolvono i cruciverba, mandano SMS o scaricano le e-mail, una testa che guarda il paesaggio o guarda me. E ci sorridiamo come se, in quel momento, reciprocamente avessimo ben chiaro il famoso "chi siamo-da dove veniamo-dove andiamo". Negli ultimi anni ho sempre viaggiato in prima, che è indubbiamente più comoda, anche perchè molti viaggi sono stati per lavoro e da sola, e mio marito sta più tranquillo sapendomi in un vagone con qualche uomo d'affari interessato più all'andamento della Borsa che a me, piuttosto che attorniata da muscolosi giovanotti sudati con gli zaini. In realtà non vuol dire nulla, visto che l'unica volta in cui mi hanno rotto le scatole in treno è stato proprio durante un viaggio in prima verso Trieste, durante il quale un giovanotto non sudato e senza zaino si è dimostrato più interessato a me che alla Borsa, nonostante avesse il computer acceso e per una buona mezz’oretta avesse parlato al telefono (anzi, all’auricolare pendente, che fa tanto manager impegnato anche se sei in treno e hai le mani libere) di argomenti economici, con la voce quel tantino alta da farsi sentire dal vicinato ma senza disturbare troppo e rischiare richiami, lui sì bravo che capisce tutto di Blue chips, Covered warrant, put/call e via andare. Io in compenso non ho mai capito perchè il fatto che una donna viaggi da sola e sia elegante, truccata e pettinata, profumata e signorile come io sapevo benissimo di essere in quel momento (e attenzione che non ho detto bella, assolutamente), autorizzi un qualunque giovanotto a pensare che detta donna debba necessariamente volere compagnia: bella e sola può andare (magari in maglietta e jeans), chic e sola no. Le solite domande idiote (tra parentesi il pensato, senza parentesi il parlato): “Dove sta andando?” “A Trieste (e a te che te frega?)” “E' la prima volta che ci va?” “ No, ma è passato parecchio dall'ultima (adesso vediamo cosa ti inventi)” “Cosa ci va a fare?” “Vado a pranzo con una persona (ma saranno cavoli miei?)” “Per lavoro o altro?” “Per lavoro e altro (ed è anche grosso e cattivo, stai attento)” “Posso offrirle qualcosa quando arriviamo?” “Guardi, direi proprio di no (ma figurati!)”. Al terzo tentativo di invito a bere o di un passaggio in taxi devi essere diretta, maleducata e un po' stronza, perchè "direi proprio di no" non è mai abbastanza chiaro. Ah, ricordi di treno. In compenso ha accettato il primo no un simpatico ragazzo africano con cui ho amabilmente conversato in inglese una volta, e che era estasiato dalla mia pelle, che non è solo bianca, è mostruosamente bianca: in inverno tende al verdino. Vedere le vene scorrere sotto al polso per lui era sbalorditivo, e mi ha detto chiaramente che se avessi accettato di andare come sua compagna nel villaggio da cui proveniva suo nonno l’avrebbero immediatamente proclamato capo del villaggio. Secondo me mi ha preso in giro, ma il dubbio resta: ora potrei essere la moglie di un capovillaggio africano, o magari invece era solo per mettermi nella stanza dei trofei. Siamo noi europei idioti che pensiamo agli africani come quelli con le capanne fangose e le capre magre; se questo ragazzo era in treno, vestito decentemente e con un inglese fluido, molto probabilmente il nonno aveva un bel palazzotto con le guardie alla porta, e alla sera si godeva l’immenso tramonto africano fumando strana erba, accarezzandosi la vestaglia rossa e viola (attenzione, avete fatto caso quanto i neri amino vestirsi di rosso e viola? Che sta malissimo tra l’altro, secondo me starebbero meglio in bianco e beige), e godendosi i suoi trofei appesi al muro: mani e piedi bianchissimi che spuntano dagli scudetti lucidi, con le vene azzurrine in vista. Sangue arterioso, non venoso.  
Tornando al viaggio in treno, questa volta di Roma siamo andati in seconda, sia per la prenotazione fatta di corsa, sia perchè la differenza non è pochissima (bene o male mi è uscita una fettina dell'acquerello!), ed in quanto ad umanità non c'è paragone. Questa è la girandola dei nostri compagni di nido, vite che hanno incrociato la nostra per un po':
- Una simpatica signora romana che si è accomodata in un posto non suo perchè vicino al suo c'era gente che mangiava e faceva casino. Il controllore l'ha beccata subito ed invitata ad alzarsi, visto che sulle Frecce i posti sono prenotati, non puoi sederti dove ti pare; lei non si è scomposta ed ha proseguito la ricerca di un posto libero in un altro vagone. A volte invidio i romani, con quella loro capacità di fregarsene delle regole; in fondo mi fanno rabbia, ma loro vivono bene (anche se su questa cosa delle regole bisogna che scriva un post a parte).
- Mamma/figlio, erano i titolari del posto occupato dalla loquace romana. Ognuno con il proprio I-phone con auricolare, ognuno con il proprio I-pad connesso (lei guardava foto di cani e si lamentava dell'odore dei bagni). Difficile immaginare la vita di una persona che vive attaccata ad una "I", ma mi incuriosiva perchè lo trovo in contrasto con l'amore per i cani, sempre che fosse amore e non una novella Crudelia DeMon.
- Turisti inglesi anziani: meraviglioso starli a sentire. Parlano il vero inglese, quello della regina Elisabetta, quello che dice YESSSS e non le sue infinite varianti su YEAH, quello che si dovrebbe imparare a scuola, rotondo, pieno di OOOUUU, non l'orrenda brodaglia americana tutta sberequeck tipo Paperino, quello che ancora capisco perfettamente dopo tanti anni senza inglese. Peccato per loro, però. Perchè erano seduti vicino a due ragazze italiane carinissime, che credendo di far bene si sono messe a far conversazione, e parlavano anche un buon inglese, spigliato e giusto. Facciamo sentire a loro agio i nonnini. Facciamo vedere quanto siamo ospitali in Italia. Ridiamo e scherziamo sciorinando tutto ciò che sappiamo sull'Inghilterra, sui reali inglesi e sul tempo. Parliamo ininterrottamente intrattenendoli per due ore e mezza, fino a quando lui non ne può più e crolla. Alla fine le due carinissime scendono, e la nonnina inglese le saluta augurando loro tante buone cose per il viaggio ("and for the rest of your life!" che sembrava più un vaffa), e i due vecchietti si guardano con gli occhi fuori dalle orbite, sospirando a pieni polmoni e giurando che non rimetteranno mai più piede in Italia.
- Coppia di ragazzini sudcoreani in luna di miele (ragazzini per modo di dire, ovviamente, ma dimostravano veramente pochi anni); ho capito che erano sudcoreani perchè lei aveva un pacchetto di cartoline destinate a sconosciute località in "South Korea", ma avrebbero potuto essere comodamente giapponesi per via della macchina fotografica superaccessoriata, di quelle che fanno anche il caffè, con cui lei fotografava ininterrottamente lui che faceva buffe facce. Che bella cosa questa delle cartoline: in quest’era iper-tecnologica anche due iper-tecnologici asiatici sentono la differenza tra scattare una foto e farla apparire immediatamente all’altro capo del mondo, ed inviare un saluto di carta con il francobollo, che farà tanta, tantissima strada ma avrà un ben diverso valore. Allora non sono la sola. Invece che fossero in luna di miele lo si capiva perchè sfogliavano con il ditino digitale foto di loro stessi vestiti da sposi, loro stessi con la faccia del giorno prima e la stessa pettinatura del treno. E poi è l'anno della luna di miele in Italia per i sudcoreani: anche a bordo della Costa Concordia ce n'erano due, e sono diventati famosi perchè non parlavano una parola di italiano e molto poco quasi niente di inglese. E' cominciato il disastro e loro buoni buoni zitti zitti se ne sono tornati in cabina, fino a quando uno dei pochi angeli che si preoccupavano dei passeggeri ha bussato alla porta dicendo più o meno: “Scusate stiamo affondando, potreste cortesemente uscire e salvarvi?” Nel documentario (il primo di molti che seguiranno) visto su Sky hanno raccontato che si erano messi  a dormire (!), e si vedeva lei ripresa nella scialuppa di salvataggio con il viso incredulo e la Concordia sdraiata sullo sfondo. Io in treno guardavo i miei due (affettuosi, sorridenti, che si scambiavano chissà quali tenerezze in una lingua cantilenante come i versi di Bruce Lee prima di colpire) e pensavo "chissà se sperano che il treno deragli per andare in prima pagina". Dolci. Come sempre lei più sveglia di lui (la maggior parte degli orientali maschi non ha un’espressione molto sveglia), ha trovato lei il modo di adattare la presa di corrente del cellulare multifunzione di lui, dopo che lui aveva perso l'uso del braccio sinistro per tenere su la spina con la mano nella presa delle Schuko (nelle Frecce la spina è praticamente sotto i piedi). Lei sfogliava una guida dell'intera Italia non troppo grossa per essere dell'intero nostro Paese (credo che il pacchetto nozze preveda una sorta di Roma-Firenze-Venezia, mentre io pensavo alle meraviglie racchiuse nei nostri centri minori che nessun coreano vedrà mai, e purtroppo nanche molti italiani...), ed aveva biglietti del treno e prenotazioni di alberghi già pronte. Per Venezia dovevano scendere a Mestre ed alloggiare in un hotel due stelle nella rinomata zona di fine Via Piave, quella commercialmente tutta in mano ai cinesi e territorialmente in mano alle bande di neri (lato pari) e albanesi (lato dispari), dove se passeggi disarmato dopo le cinque di pomeriggio rischi una coltellata, se ti va bene. Li ho pensati per un po' di giorni.
- Coppia di ragazzi stile nordico (danesi? olandesi?), in maglietta smanicata e sandaletti (da notare che noi eravamo tutti in felpa o di più ancora). Il treno partiva alle 08.45 e loro hanno fatto colazione con pane, prosciutto e pomodori direttamente dalla vaschetta. Sporchi e unti come pochi, capelli, viso, mani che non vedevano il sapone da minimo una settimana; due tipi da romanzo. Lui anche bellino, tipo cattivo dei film con faccia intelligente, ha scritto fino a Firenze su un computer della Apple mai visto, luminoso e sottile come un foglio di carta che mi faceva voglia di toccarlo per vedere se era vero. Lei invece scriveva a mano su un diario con pennarelli di vari colori, con i biglietti dei musei e del treno incollati tra le frasi, cose che facevo io trent'anni fa e che stonavano se accoppiate al foglio luminoso e hi-tech del compagno di viaggio. Chissà se nella vita sono davvero così o magari è lei l'astronauta e lui il bibliotecario.
- A Firenze, scesi i due olandesi odorosi, è salita una immensa comitiva che in realtà era formata da tre coppie con vari bambini l'una. E' stato bellissimo ed istruttivo, perchè quando ci sono bambini che disturbano (ed in treno le parole "bambini" e "disturbo" sono cosa unica, soprattutto quando scoprono che sopra la tua testa c'è una lucina a led che possono attivare loro montando in piedi sul sedile dietro al tuo) scatta immediatamente una sorta di solidarietà tra tutti gli altri passeggeri. Sguardi d'intesa, sorrisi, risatine in tutte le lingue del mondo. E unico, immenso, arriva l'Argomento di Conversazione: l'educazione dei figli. Questi in verità non erano neanche terribili, e poi erano toscani e come già ho detto io ho un debole (come non essere felice per qualche chilometro all'udire un papà che tuona: "V'ho dettho dhi sthare BHONI!" con una "o" larghissima, che per noi veneti vale il prezzo del biglietto). Ma erano tanti, e di varie età, e prima o poi arrivano le urla. Le urla ferme del bambino già grande che vuole un panino perché “è già passata un’ora dall’ultima volta che ho mangiato!”, alla faccia delle raccomandazioni contro l’obesità infantile. Le urla del bambino di sei anni che vuoooole il pennareeelloooo roooosaaa che sta usando la sorellina (e la mamma lo strappa alla sorellina e glielo dà, dicendo "altrimenti continua ad urlare", e così lui cresce convinto che basta urlare per ottenere, diventerà per certo un mio Cliente da grande). Era il papà di questo del pennarello quello dei BHONI, era anche bravo lui che li riprendeva, mentre la mamma continuava a dire “ma no, lascia che giochino, lasciali fare, lascia che vadano in giro, lascia che si sentano liberi” (bastarda!): come spesso vedo, i genitori moderni danno ai figli messaggi diametralmente contrastanti, così i figli che tutto sono tranne che stupidi fanno sempre e comunque quello che vogliono, ascoltando quello dei due che in quel momento comoda loro, e grazie tante da parte degli altri passeggeri del treno (o della vita). Ci sono poi le urla del piccolino di due anni, tipiche di quell'età quando sono stanchi e hanno fame e sonno ma non capiscono bene e quindi piangono e basta. Io non ho avuto bambini ma come baby-sitter ne ho sbracciolati parecchi e so riconoscere un pianto isterico. E tu mamma è inutile che continui a dirgli "Zitto che chiamo il capotreno, stai buono che arriva il capotreno, attento che il capotreno ti fa scendere"... E' evidente che se lui continua ad urlare o NON HA PAURA del capotreno (che sarebbe poi una figura positiva, logico che non incuta tutto questo terrore) e quindi devi trovare qualcos'altro che lo spaventi, oppure è meglio che segui un'altra via. Alzati e portalo in corridoio, fagli prendere un po' d'aria, dagli da bere un po' d'acqua. Oppure dagli un sano ceffone, mica dico che voglio veder scorrere il sangue, ma un bella sberla sulle braccine o sul sederino a volte fa miracoli. Intanto se il pianto è isterico è modo per interromperlo e far tornare in sè il pargolo; se poi sono capricci non parliamone neanche, direi che diventa doveroso quanto meno per ripristinare l'autorità. Io ne ho prese, di sberle: mio papà era specializzato in pizzicotti, che io esibivo come trofei quando la macchia da rossa diventava bluastra, in modo da farlo sgridare dalla nonna (ma lei non ci faceva caso più di tanto), e non mi sembra di essere venuta su così male. Adesso invece i bambini secondo i moderni educatori non si possono e non si devono neanche sfiorare, come in molte cose siamo passati da un’esagerazione all’altra. Devo dire però che qualcosa di somigliante alla storia del capotreno mangiabambini veniva usata erroneamente anche nella mia famiglia molti anni fa: mia zia (quella del lago di Como) era solita riprendere i capricci e le lagne della mia cuginetta con minacce del tipo “Chiamo il vigile” “Chiamo i carabinieri”, e tutte le varianti (polizia, prigione eccetera). Cosa per me assurda e sbagliata, tant’è che mia cugina è cresciuta pensando che tutti questi signori fossero I CATTIVI, quando vedeva un vigile scoppiava a piangere, con il rischio concreto che da grande in una città sconosciuta andasse in cerca per avere informazioni sullo stradario di qualche spacciatore di droga! Ho capito che nell’era di Internet nessun bambino crede più al Babau o all’Uomo Nero, ma almeno mia mamma aveva identificato la massima minaccia negli zingari giostrai che rapiscono i bambini, e ci ha permesso di crescere con la fiducia nelle Forze dell’Ordine. La mia mamma, del resto, era la più giusta tra quelle tre sorelle matte; mio papà mica ha scelto lei per niente.

2 commenti:

  1. Post sublime. C'avrei giurato quando ho letto il titolo; sono l'unico marziano che spegne il telefonino quando sale su un treno?, manco fossi in chiesa, o la fai anche tu?
    Vedo gente connessa con l'altro capo del mondo ma incapace di una sia pur minima forma di educata comunicazione con chi si ha di fronte o accanto.
    A volte in treno ripenso al celeberrimo "Viaggio in seconda classe" di Nanni Loy. Improponibile oggi ... Sign of the times
    Ciao!

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    1. No, a dire il vero io in treno lo tengo acceso... però sussurro quando parlo, così la telefonata è anche infinitamente più sexy :-)
      Ciao!

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