(Avviso ai naviganti: questo post è molto lungo. Quindi se siete tra gli amanti del riassunto, mettetevi il cuore in pace. Dovevo scriverlo esattamente così, perché sono troppo felice! E poi è da dodici giorni che non posto nulla, giusto per creare un po’ di attesa; fate finta che sia una specie di promozione “Paghi due/ Prendi tre” per la Tabella delle Righe. Ma tutta gratis)
Che scrivere sia cosa che mi piace da morire, credo sia ormai ovvio anche a chi passa di qua perchè ha sbagliato strada. Ma da qui a dire che io sia anche bella da leggere il passo non è immediato, e difatti io ho sempre cercato di essere onesta con me stessa, molto pratica e realista, onde evitare di farmi venire strani grilli, perchè una cosa è un passatempo che ti riesce e ti fa portare a casa da scuola buoni voti, ed altra cosa è pensare anche solo per un secondo che possa diventare qualcosa di più.
Tra l'altro, uno dei miei primi scritti "pubblicati" (dopo un tema sulla Resistenza alle scuole medie per un Concorso locale fra ragazzini, che mi aveva fruttato una foto sul Gazzettino ed un premio in denaro elargito generosamente dal Comitato di Quartiere - cifra simbolica che io ho considerato per anni come un forziere a cui attingere, visto che la paghetta alle medie non era prevista) era stato un brano sul giornalino parrocchiale, che ancora ricordo con terrore.
Era un resoconto di un viaggio che avevo fatto con la mia migliore amica a Medjugorje - sì, esattamente dove appare la Madonna, e tra l'altro all'epoca (parliamo del 1987, quindi ben prima che nascessero certe giovincelle di spettacolo che adesso ci vanno in pellegrinaggio ad esibire il pancione perché fa tanto chic: io ci sono andata perché credo) in Erzegovina non avevano ancora capito come trasformare la cosa in business, come è successo in seguito, e quindi il tutto era abbastanza osteggiato dal regime; chi riusciva ad andarci dormiva nelle case della gente, quando non nei fienili, e poi andava a trovare i ragazzi veggenti come amiconi sotto casa. Mi ricordo perfettamente - anche perchè credo di avere ancora la bozza da qualche parte, scritta a macchina, magari come mio solito nel cassetto dell'intimo - che iniziava così: "Certo che se qualche mese fa mi avessero detto che sarei riuscita a eccetera eccetera, non ci avrei creduto". Premetto che nel 1987 i computers non erano ancora così diffusi, soprattutto nelle Parrocchie, e la nostra era già fortunata a possedere un ciclostile; il pretino giovane e tuttofare ricopiava, impaginava, e stampava, ed evidentemente lo faceva dormendo, perchè il sabato sera in cui venne pubblicato il mio scritto ricordo bene i mormorii e le occhiatacce che mi accompagnarono nel piazzale della chiesa, e le risatine dei miei coetanei, finchè una delle ragazze più grandi e scafate trovò il coraggio di dirmi "E sì che fai anche Lettere, io mi vergognerei". L'articolo iniziava con "Certo che se qualche mese fa mi AVREBBERO detto che". Non mi sono fatta vedere per un mese dalla vergogna, tutto per colpa di un condizionale di troppo, che tra l'altro io padroneggiavo nè più nè meno di adesso. Un errore da monaco copista distratto, come nei codici miniati del Medioevo, una botta di sonno del proto e sono bollata a vita!
Perchè vi tedio con questo prologo: perchè è arrivato il momento di raccontare il retroscena del famoso post "Dita incrociate", come promesso. Io al posto vostro sarei un po' curiosa, anzi, "fossi" un po' curiosa.
Ho raccontato più volte - fino a nauseare qualcuno di voi, che carinamente me l’ha fatto notare (prendo atto ma non smetto!) - quanto mi piaccia come persona Giovanni Faccenda, con il quale sono evidentemente sulla stessa lunghezza d'onda in molte cose. Il Professore ha iniziato a leggere Trecose con regolarità e mia somma gioia, e schifo non deve fargli visto che mi segue ancora. Qualche mese fa (anzi, sarò precisa, l'addì ventisette del mese di Maggio) mi trovavo - casualmente! - negli studi Orler durante la diretta dello Speciale su Marcello Scuffi, con i quadri rientrati dal Chiostro del Bramante, ed era appena stata data la notizia delle prossime esposizioni (Fiesole, Palermo, in lavorazione Londra). Io e Faccenda ce ne stavamo lì, durante una delle sue pause, a parlare di quadri e di quale vita precedente ci aveva visto gemelli - su questo punto siamo ancora in discussione - quando lui mi esce con questa frase: "Senti, perchè non scrivi tu un saggio da mettere nel catalogo di Fiesole?". Cioè, non so se mi sono spiegata bene:
a) Giovanni Faccenda (lo storico dell'arte, il critico, quello di Firenze, il Professor Occhiblù Faccenda, proprio lui)
b) che chiede a me, emerita sconosciuta assicuratrice incontrata solo due volte (in questa vita qua)
c) di scrivere un saggio
d) su Marcello Scuffi
e) da pubblicare in Editoriale Giorgio Mondadori!
Istintivamente l'avrei baciato, ma siamo sempre lì: i toscani sono gente che scherza spesso, e io non colgo bene tutte le sfumature, non potevo rischiare di emozionarmi più di tanto senza essere sicura. E poi aveva ancora il microfono attaccato alla giacca, mi andava in diretta l'abbraccio.
Dei minuti immediatamente successivi ho ricordi nebulosi, so solo di aver provato tra testa e stomaco una sensazione simile a quella che si prova sulle montagne russe, ma con l'aggiunta di un mare di Nutella a mia disposizione, tanto per stimolare le endorfine. Devo aver biascicato qualcosa tipo "Sarebbe un onore", cioè la classica risposta idiota alla "Ho portato un cocomero" in Dirty Dancing (tutti coloro che hanno la mia età, per lo meno tutte le ragazze, hanno visto Dirty Dancing almeno ventotto volte, e ancora adesso quando passa in televisione lo rivedono, magari commentando quanto scemi eravamo, quanto insulsa e finta è la storia, che pena di sceneggiatura, che cani gli attori - a parte Jerry Orbach, che aveva già la smorfia alla Law and Order, però tutto fino alla fine te lo sorbisci, sempre, e dici "che boiata sovrumana" andando a letto, ma sorridi).
Ovviamente mi sono colate le lacrime, ed ho sulle prime cercato conforto nell'abbraccio di mio marito, anche se in realtà non mi ha badato più di tanto perchè stava facendo il suggeritore a Carletto Vanoni, che non trovava le pagine corrispondenti alle opere nella pubblicazione e stava andando fuori di testa.
Sulle seconde mi sono voltata di un quarto di giro, e c'era un silente Marcello granitico, con una faccia che era tutta un programma, mentre Giovanni gasatissimo continuava a ripetergli "Ma sì, che bella idea, lo facciamo scrivere a lei!". Marcello Scuffi è uomo di poche parole, e difatti non ha detto niente, ma gli tirava di certe occhiatacce parlanti (thetthu se' bischero, thetthu se' grullo), che io traducevo in "ecco fatto, il Professore è impazzito, mi manda all'aria il lavoro di mesi, cosa gli sarà saltato in mente, solo perchè la signora qua se lo sta mangiando con quegli occhioni verdi". O qualcosa del genere.
Comprensibile, visto che Trecose è Unacosa abbastanza segreta, e Scuffi non è tenuto a sapere che so coniugare i verbi. Sapeva che rappresentavo la metà di una coppia di suoi estimatori accaniti, e tanto gli bastava; infatti io tutta elettrizzata da questa novità - già che c'ero - ho subito confermato quella straordinaria Marina di Darsena, il monocromo di grafite che ho descritto in "Fermo immagine".
C'è stato anche un bel siparietto, perchè Carlo voleva che Giovanni Faccenda la descrivesse ben bene (solo lei, appesa nitida e perfetta, in tutta la parete), lui si è microfonato, si è avvicinato, ha alzato la manina e Giuseppe ha detto via-via-confermato-mica stiamo qua a girarci i pollici, mentre io saltellavo giocosa per lo studio. Grande Giuseppe, con Carlo stralunato che voleva capire il segreto del Professor Faccenda, visto che fa vendere i quadri di Scuffi solo facendo presenza. Te lo spiego io Carletto, il segreto, si chiama "siamo tutti innamorati pazzi (di Marcello)". Primo.
E secondo (perdonatemi se divago per un attimo per un discorsetto più generalizzato, ma è una cosa che mi sta un po’ qui e devo far uscire il rospo), guardiamoci bene tutti negli occhi: Faccenda è Faccenda. Lui non vende arte: lui E’ L’ARTE. Ci sono centinaia di venditori (d’arte ed altro, ed a volte convinti che la categoria merceologica sia intercambiabile, mentre con l’arte non si scherza: non puoi vendere un dipinto come vendi un frigorifero o un’automobile) in giro per la televisione e per l’Italia, alcuni che non prenderei in Agenzia neanche per pulire i bagni - bagni che varranno per certo milioni e milioni di Euro, modello Duchamp - altri invece davvero bravi e preparati. Poi ci sono gli studiosi, gli esegeti, c’è Giovanni Faccenda, che è uno dei pochissimi – in Italia – ad essere contemporaneamente sia storico dell’arte che critico dell’arte (secondo la differenza che ci racconta Paolo Levi nel suo delizioso e direi anche commovente Editoriale su Effetto Arte, in edicola proprio in questi giorni) .
Parliamo di un altro pianeta, non c’è nessun segreto da capire, il pubblico lo sente subito se uno è lì perché deve vendere o se è lì perché vive d’arte, respira d’arte: mica siamo tutti deficienti noi dall’altra parte del video. Anzi, io ne approfitterei un pochino di più: è come quando, nel mio lavoro, devo andare a fare una trattativa particolare (che ne so, una Polizza Incendio Rischi Industriali o un grosso TFR), e mi porto dietro il Tecnico, dipendente della Compagnia, l’esperto. Il contatto commerciale è mio, io sono quella che vende e sorride anche, ma lui è quello che scrive le clausole astruse, così il Cliente ascoltando lui si sente trattato con un occhio di riguardo in più. Sarei pazza a mettermi in competizione col Tecnico, siamo lì esattamente per lo stesso motivo: chiudere il contratto. Perché ognuno ha un suo ruolo ben definito, e mettersi a fare paragoni, o addirittura temerli, a volte è solo segno di mancanza di autostima. Altro esempio, più terra-terra: io ho una sorella maggiore completamente diversa da me: bionda, alta, che camminava sul tacco dodici già a quindici anni come in passerella (ha tuttora un portamento da diva), ma timida, la potevi ferire anche con un monosillabo. Io, bionda neanche sotto tortura, ero più paffutella, con i tacchi sono imbranata ancora adesso, figuriamoci, ma mi mangiavo vivo chiunque, soprattutto nei giorni in cui ero davvero lanciata come un missile. Sarebbe stato stupido vivere da antagoniste, nessuna di noi sarà mai come l’altra: bisogna saper sfruttare le proprie peculiari caratteristiche, quelle che l’altra non ha, ed evitare di darsi battaglia (per far colpo sui ragazzi, ad esempio, negli anni che furono, ma più in generale nella vita) atteggiandosi a brutta copia. Che poi è anche una logica imprenditoriale, infatti le mie tre impiegate – già l’ho detto – sono una diversa dall’altra, e sanno sfruttare questa loro diversità senza sentirsi in difficoltà se un Cliente preferisce la collega: lo scopo è che l’Agenzia funzioni, senza voler fare le Prime Attrici, visto che se l’Agenzia va bene a fine mese ci mangiamo in sei, se va male siamo tutti a spasso. Spirito di squadra.
Ma torniamo a Marcello, che è meglio.
Dopo pranzo Scuffi mi si avvicina ancora un pochino torvo dicendomi "Seeeenti, quella hhosa scrittha, ce la fhai a fharla per la prossima setthimana perchè i thempi sarebbero sthretthini": caro Marcello, dolce, vero, meraviglioso Maestro Marcello, tutta già in mente ce l'avevo, "quella hhosa scrittha", tutta per te! Gliel'ho girata via mail a Giovanni che erano ancora in macchina sugli Appennini.
Poi di mezzo c'è stata la nostra visitina a Quarrata, chi doveva leggere ed approvare l'ha fatto, e gli animi si sono un po' rasserenati. Restava solo a me da cucirmi la bocca perchè avrei voluto fermare le persone per la strada, ed ho fatto davvero una fatica boia a tenermi ed a comunicarlo solo a quelle tre-quattro persone tipo genitori e affini, tanto con i miei genitori vado sul sicuro, non si scompongono mai, non c'è pericolo che ti diano mezza soddisfazione, come quando ero a scuola e portavo a casa tutti nove, e mi sentivo rispondere: "Cosa c'è scritto sulla tua Carta di Identità? Studente! E allora hai fatto solo bene il tuo dovere". In pratica come vivere in una caserma, alla faccia dei colleghi di mio papà che avevano tutti figli completamente idioti e dovevano pagare per far prender loro uno straccio di diploma, ma se ne vantavano manco avessero generato novelli Einstein solo perchè li eleggevano Miglior Bagnino dell'Anno (però al Des Bains del Lido, che fa tanto aristocratico).
"Sai mamma, ho comprato un appartamento in Friuli, fra un mese vado via di casa" Ah, sì?
"Sai papà, mi metto per conto mio, apro la Partita IVA e mi prendo l'Agenzia" Ah, sì?
"Avete presente, mamma e papà, l'idraulico piccolino e pelato? Ci siamo sposati la settimana scorsa" Ah, sì?
Un po' romanzato, ma non tanto distante dalla realtà (diciamo che con me non si annoiavano, i miei). Torniamo a noi.
L'esperienza per me davvero nuova e divertente, oltre alla genesi della parte scritta, è stata quella legata alla impaginazione. Perchè ovviamente quando io scrivo, e scrivo di Scuffi, ci vedo le mie emozioni a fiumi, ci vedo condivisione, ci vedo empatia, cuore, anima... mentre un redattore che maneggia migliaia di saggi all'anno ci vede - comprensibilmente - una fila di parole su un foglio. Fossero ricette di cucina sarebbe uguale: scrivere di Scuffi q.b.
Cominciano a girare le mail con la bozza e le richieste "tecniche" di chi tiene le fila della parte grafica, della serie: o la Professoressa Acidini allunga il suo saggio, o io accorcio il mio... Ammetto che non sarebbe stato un gran bello apostrofare la Somma Acidini "Ehi, Profe, aggiungi qualche altra riga, dai coraggio, giusto fino a metà pagina, non è uno spreco per favore", e del resto è solo colpa mia se ho sforato le ottomila battute quando Giovanni mi aveva avvisato che la lunghezza ottimale era di quattro. Ma sentirsi dire "taglia tot righe" è come se ti chiedessero di tagliarti una mano! Col cavolo che taglio qualche riga, qualche riga del mio cuore per Scuffi, piuttosto mi metto col cesello a tirar via un avverbio qui, un aggettivo lì, un nome là, fin quando il Word non mi avvisa che siamo arrivati. Ho anche accontentato Scuffi in persona, visto che nella stesura iniziale facevo dei diretti riferimenti al suo essere "metafisico", cosa che a lui non era piaciuta per niente: "Io non sono metafisico, sono realista!" mi aveva tuonato in uno sbuffo di sigaro e consonanti mentre ci confessavamo a lui nel suo studio-chiesetta. Via metafisico allora, ma non insisterei tanto sul tuo realismo, caro Marcello, mica sono così le barche vere, mica esistono queste piazze d'acqua così incontaminate, con le logge ora aperte ora chiuse a farti l'occhiolino. Se un giorno dovrò chiamarti realista, allora passami per lo meno un "realista magico", di quelli teorizzati in letteratura, tanto è la sospensione eterna, incantata, infinita, dei tuoi seppur reali soggetti.
Fatte le debite pulizie, ho fatto anche un errore madornale: poichè la redazione mi aveva avvisato che il saggio sarebbe stato "tagliato sull'impaginato" (in pratica sovrapposto a quello di prima perchè saltasse all'occhio la parte omessa, ma io continuavo a vederci fette di cuore sanguinolento, come sul banco di una macelleria), li ho ragguagliati sul lavoretto di cesello (quindi niente sangue, casomai una piccola spremuta di lacrime) ed ho confidato loro che per me era la prima volta. Dando per scontato che la storia del congiuntivo di Medjugorje e il tema sulla Resistenza per loro non contassero.
Mi immagino una reazione alla Marcello Scuffi, solo nel dialetto della redazione invece che in thetthù se' grullo: la povera ultima arrivata che probabilmente di mestiere sposta le casse al porto (con tutto il rispetto per i portuali), meglio che diamo un'occhiata a cominciare dalla punteggiatura. Mi arriva una mail gentile gentile con cui mi si dice che c'è un'espressione troppo colloquiale: vero. Infatti il taglio (ancora questa parola!) del mio saggio è VOLUTAMENTE così, tutto di basso profilo. Mica faccio il critico di mestiere, io, vuoi vedere che adesso devo fare copia-incolla con la roba scritta da Giovanni Faccenda dal 2007 in poi! L'idea era proprio di far arrivare alla fine, dopo i Grandi Nomi, qualcosa di "diverso"... La frase incriminata conteneva una voce verbale di "tirarsela", ovviamente con il ben noto significato di "atteggiarsi a superiorità e condiscendenza", e mi sono tolta lo sfizio di controllare su vari forum di patiti della Crusca (maiuscolo, eh, non il cereale), nei quali viene definita "non raffinata, ma efficace nel parlato", corredata da esempi nientepopodimeno che da Machiavelli e Guicciardini! Entrambi fiorentini, sottolineo. Ma per amor di pace ho organizzato velocemente un brain-storming in ufficio (si era sotto chiusura e la contabilità chiamava): "Ragazze, velocemente, preventivo Infortuni per la Ditta Tale, sentire Ispettorato Sinistri per far pagare quel danno di Tizio che è ora, e scegliere qualcosa che vada bene al posto di tirarsela in questa lista che ho buttato giù", con la Bionda che storceva il suo bel nasino (rispetto al mio, che è di sedici centimetri) fin quando è arrivata l'espressione azzeccata e meno colorita che ha messo tutti d'accordo. Anche un po' di Bionda nel mio amore per Scuffi.
Peccato però che solo dopo qualche giorno mi sono accorta che era stata cambiata anche un'altra cosa (una delle mie tipiche espressioni parlate con fine rafforzativo, in cui metto sia il sostantivo che il pronome), e senza dirmi niente, bricconcelli. E mi avevano cancellato anche TUTTE le "d" eufoniche, che io invece USO come si vede bene dai miei post. Non me ne frega niente del fatto che siano desuete: a me "e anche", "e infatti", "e ho" non piace! Anche qui il web mi ha consolato, perchè vi si legge che in effetti "secondo le norme generalmente stabilite dalle redazioni dei giornali e delle case editrici" la d eufonica ormai si mantiene solo tra vocale uguale, ma "resta il fatto che se a qualcuno la d eufonica piacesse a tal punto da usarla anche tra vocali diverse, nessuno potrà impedirglielo accusandolo di violentare la lingua; anzi, questa potrà tutt'al più essere considerata una ricercatezza" (fonte: dizionario.corriere.it). Ecco qui quel qualcuno! E quando mi leggerete nel catalogo di Fiesole, ricordatevi che io le d eufoniche le avevo messe. Tutte.
Perchè ovviamente voi tutti mi leggerete nel catalogo di Fiesole, spero, anche se molte delle cose che ci ho scritto sono già state parte integrante di vari miei post, perchè mica ci si inventa niente (quello che penso di Marcello Scuffi non è un segreto). Basta comprarlo, magari vi viene voglia di prendervi anche un olio, o un acquerello, però aspettate lo Speciale da Orler dopo fine Ottobre così Giovanni Faccenda ve lo illustra come si deve.
A parte Michele "Schifano", perchè a lui l'ho promesso e se mi scrive il suo indirizzo - che mica renderò pubblico - giuro che una copia gliela mando. A proposito, ci sarà anche il mio nome, quello vero, sulla pubblicazione... dopo Acidini, Faccenda, Gradi ci sarà anche Paola B. Ma nel frattempo io sarò già svenuta.
P.S. Oggi Marcello Scuffi compie gli anni: auguri Maestro! Da parte mia e di tutti coloro che ancora riescono ad emozionarsi davanti ad un quadro, tuo.