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sabato 8 settembre 2012

Scritto in una giornata d'Agosto

(Questa è una di quelle pagine che mi sono fluite fuori la settimana di Ferragosto, un po' diverse dalle solite mie, ma del resto sono testarda ed evidentemente un po' scema; continuo a credere di potermi rimettere in sesto in sette-dieci giorni da tutto un anno di tensione, di pensieri, di problemi, di discorsi, di crisi generalizzata. E' impensabile che tutta l'adrenalina che solitamente mi sostiene da Settembre a Luglio improvvisamente ad Agosto se ne vada solo perchè glielo chiedo, e mi lasci tranquilla - soprattutto se puntualmente rinnovo l'abbonamento ai casini personali! Infatti i primi giorni di riposo li vivo con un crollo di tensione inaudito, che mi butta su un'ansia che fa Provincia - una Provincia di quelle grosse, che è difficile eliminare anche con tutta la buona volontà - e poi quando finalmente sto per rilassarmi è ora di riprendere di nuovo. Sono proprio un genio.
Ad ogni modo anche in uno stato emotivo diverso ho continuato a scrivere, ed è giusto che sia così, perchè se questo è il mio diario on-line in cui rifletto con me stessa e chi passa per di qua, certi lati più ombrosi di me vanno conosciuti. Mica posso essere sempre al top, ed in fondo è sempre meglio vedere una verità triste che una bugia allegra.)

Oggi sono triste, molto triste e molto malinconica. Non è uno stato d'animo usuale per me, ma ogni tanto mi capita, giusto per ricordarmi che sono umana e non robotica, probabilmente, oppure che non è normale essere sempre felici (o aspirare ad esserlo). Evidentemente c'è qualcuno che detesta queste mie battaglie per la diffusione della felicità, o quanto meno non le sopporta bene, ed ogni mai mi viene a disturbare. Dal momento che mi capita poche volte l'anno, arriva sempre in maniera abbastanza massiccia, mi prende in modo viscerale, perchè anche nei miei picchi negativi se una cosa va fatta, che sia fatta come si deve, non facciamoci mancare niente. No, "viscerale" non è corretto perchè non richiama istintivamente il punto esatto in cui mi sento afferrata. Le viscere non c'entrano, il mio stomaco sta sempre benissimo. E' solo che mi sembra di avere un lastrone di cemento appoggiato allo sterno, oppure - risalendo - una specie di mano di freddo metallo che mi stringe la gola. Stringe, stringe, stringe, costringendomi a respiri fitti fitti e piccoli piccoli, sempre con la sensazione che non entri mai abbastanza aria. Non dà bruciore: solo soffoca, e mi impedisce di parlare. Mi impedisce di pensare, quasi mi mancasse l'ossigeno. Mi impedisce di sorridere, anche solo di muovermi, a volte. O meglio, non che non possa, non che ne abbia impedimento: mi toglie la VOGLIA di farlo, di fare qualunque cosa. E mi cosparge di un malessere generico, appiccicoso come bava di colla.
Non che ci sia un motivo specifico, qualcosa di scatenante: arriva e basta, picchia forte all'improvviso facendomi sentire così... incerta, così inutile, così inadeguata, così... insoddisfatta? Perchè tutte sensazioni con la "i", poi? Già sorriderei io, a questo punto, solo per questa buffa cosa della "i". Che Idiota.
Ammetto che il periodo dell'anno è bene o male sempre quello, perchè - forse - lavoro troppo, o perchè - ancora forse - c'è in giro tanto, troppo egoismo: arrivo in estate stanca morta, stanca di dover sempre cercare di risolvere problemi senza (quasi) mai uno straccio di grazie, stanca di dover ascoltare ed annuire a discorsi che arrivano dall'alto (da gente che non ha mai parlato con un Cliente Incazzato in vita sua) e che ritengo interessanti al pari di uno studio sulla profilassi dell'afta epizootica, stanca di chi non ha mai detto "ho sbagliato" in vita sua, stanca del pressappochismo dilagante, stanca di chi non accetta un no motivato, stanca dei falsi e dei bugiardi, stanca degli ipocriti, stanca dei furbi (e degli stupidi che vogliono fare i furbi, praticamente lo stadio evolutivo immediatamente successivo alle cavallette, seppur bipedi hanno la stessa utilità e sono simpatici uguali).
Sono stanca di dover ogni mese, mese dopo mese, mese dopo mese dopo mese, far quadrare i conti del mutuo, delle bollette, delle tasse, degli stipendi, degli affitti, dei contributi. Sono stanca del fatto che i conti, poi, quadrino sempre, perchè vuol dire che sto facendo le cose per bene e che sono brava, ed è esattamente quello che la gente si aspetta da me. Sono stanca che la gente si ASPETTI qualcosa da me, sono stanca che sia scontato! Sono stanca della gente in generale, delle facce note, della quotidianità, e questa cosa è brutta, ma fa parte del lastrone sullo sterno. Quando mi prende, vorrei scappare: altra vita, altre facce, tutto daccapo. Riavvolgiamo la bobina e mandiamo un film in cui io, invece di essere "così" come sono, sono quella con il codazzo di amici e parenti che le sbavano ai piedi pur di reggerle il fazzoletto, pur di pulirle la scarpetta, pur di asciugarle la lacrimuccia. O forse no, alla lunga diventerebbe palloso. Via tutti. Rimandiamo il film solito in cui io sono tosta e reggo fazzoletti, pulisco scarpette, asciugo lacrimucce, ma magari lo interrompiamo per la pubblicità ogni tanto, giusto per prendere fiato (Pubblicità: "Comprate arte dalle Gallerie Orler!").
Lo so che è normale essere stanchi, forse è solo la stanchezza fisica che si vuole a tutti i costi infilare anche nella mia mente, nella mia anima, e mi fa vedere cose non vere, magari mi basta una settimana ad occhi chiusi e passa tutto. Deve essere così, perchè altrimenti comincio a non sopportare più ciò che di solito mi fa stare bene, a cominciare dai rapporti umani (gli incontri quotidiani e quelli, desiderati, più rari) per finire con le cose (i quadri, i tappeti, tutto il bello di cui ho cercato di circondarmi). Finisce che incolpo loro del fatto che sto male io, quasi che il troppo "bene" che mi hanno trasmesso diventi d'un colpo tutto negatività. Bum, come uno scoppio, come un petardo sbagliato.
InutileIncertoInsoddisfattoInadeguato.
Poi, prima di andarsene, la mano metallica scende al cuore, mi sento come se lo stringesse in un abbraccio congelato, non per distruggerlo ma quel tanto che basta per spremerlo e farlo gocciolare; fa male anche a sentirlo da fuori. E' come se subissi un'assenza costante, come se fossi in attesa di qualcosa - o di qualcuno - che non esiste. Mi disturba il fatto che basti un semplice cambio di vocale, quasi uno scherzo dell'enigmistica sulla mia pelle, per trasformare l'essenza in assenza. L'essenza, cioè come sono io, sempre, com'è la mia norma, com'è il mio sorriso, com'è il mio spirito, che in un attimo se ne va e mi lascia a tentare di respirare il vuoto. Essenza ed assenza, due facce opposte, sempre mie.
Quando sta per arrivare il vuoto di metallo solitamente lo sento, e allora mi premunisco con qualche goccia di qualcosa-che-vada-bene (qualsiasi cosa a base di bromazepam), e quindi passa in fretta. Ma questa volta non è successo, perchè il tempo è particolarmente caldo e afoso, e non posso scolarmi una bottiglietta di Lexotan se non voglio che la pressione mi vada a quaranta (la massima, ovviamente). Perchè io soffrirei un pochino di pressione bassa, giusto quel pochino che fa sì che i medici, quando te la misurano, non ci credano mai al primo colpo e riprovino smoccolando perchè sono convinti che il nuovo sofisticatissimo misuratore regalato dalla Procace Informatrice Scientifica del Farmaco sia una patacca (io sorrido e li tranquillizzo, è proprio così, sono un morto che cammina). Però in compenso non dovrò mai - in teoria - temere un infarto, solo qualche collasso di punto in bianco, dovunque ti trovi. Cominci a vedere tante macchie, non ti senti più mani e piedi, e vai giù come una pera troppo matura dall'albero. Le prime volte ti spaventi anche, poi impari, e giri con le pastigliette di etilefrina sempre nel portafoglio (magari senza documenti e senza soldi, ma con l'Effortil sempre, così se qualche misericordioso ti raccoglie è in grado di farti rinvenire senza perdere tempo a capire chi sei o se vale la pena di derubarti).
Una delle prime volte, me lo ricordo ancora, avevo ventitre anni, ed era (ovviamente) una estate torrida, un luglio schifosissimo. Ero in ufficio, lo stesso ufficio dove io adesso sono Il Capo, solo che all'epoca ancora non lo sapevano. Mi sono spiaccicata a terra come la citata pera, e tutti si sono spaventati un sacco, che carini. Si è mobilitata una task force: un carissimo Cliente che all'epoca faceva il tassista si è prestato al trasporto, e ancora se lo ricorda adesso, da pensionato, il caro Bari Dodici, quando passa a trovarmi, e fa la faccia preoccupata. E quello che sempre all'epoca era il nostro aitante Ispettore Commerciale (il ruolo che ora è di Zelig) mi ha portato in braccio su per quattro piani di scale, perchè dove abitavano i miei l'ascensore non c'era, ed anche lui se lo ricorda ancora, visto che da quel giorno non è stato più lo stesso, credo che quanto meno gli sia uscita un'ernia. Adesso fa l'Agente, in Friuli, ci incontriamo a tutte le Interregionali ed ai Congressi, ed è sempre tanto premuroso, come mi vede mi chiede se ho dietro l'etilefrina, se gli dico di no chiede un tavolo in Nuova Zelanda. Chissà se Zelig sarebbe in grado di portare amorevolmente in braccio una paffuta ragazzina su per le scale senza farla cadere o spezzarle un braccio.
Tutto questo sproloquio sui malori della mia giovinezza giusto perchè sia chiaro che il Lexotan e l'Effortil non vanno presi contemporaneamente, visto che uno tende - in soldoni - a calmare e l'altro ad eccitare, e quando capita questa interazione il mio organismo mi chiede se sono rimbambita completamente ed entra in sciopero ("Deciditi cara, che cavolo vuoi? Vuoi che ti tiri su oppure giù? Non siamo mica a Giochi senza Frontiere, qua, eh").
A me resta sempre l'asso da giocare, che è il mio potentissimo Angelo Custode, ma in questi giorni gli ho chiesto di star vicino ad una persona per me tanto importante e cara fino ai più remoti angoli del cuore, che ha bisogno più di me di una mano cazzuta adesso, e non mi va di fargli fare gli straordinari. E a dire il vero quando sto così non mi va in generale di chiamare in causa gli Angeli e tutto il loro onnipotente contesto. Sarebbe troppo comodo, e poi non imparerei niente: non riuscirei ad essere davvero FELICE se non provassi - ogni tanto - il soffocamento e l'angoscia dell'essere TRISTE. Perchè spesso, per trovare qualcosa, basta rovesciarne un'altra, al contrario, come un guanto o un calzino. Posto di imparare in fretta!
No, la tattica è un'altra. Per una volta non sarò rocciosa, non sarò forte, non sarò uno dei quegli splendidi alberi massicci che danno refrigerio a chi ci passa sotto, in mezzo ai campi assolati, che fanno da casa a tanti animaletti, che svettano come dei fari nelle giornate più caotiche, e poi alla prima tempesta violenta si spezzano in due, o se va bene perdono mezzi rami. Via per una volta, animaletti, andate a mangiare altrove, o state senza mangiare un paio di giorni, che male non vi fa. Oggi sarò un giunco, un esile e nascosto giunco lungo la strada, scommetto che chi passa neanche mi vede, figuriamoci se mi guarda (così ottengo un doppio scopo, perchè se chi non ti vede passa avanti, non può neanche farti del male, cincischiarti, spiluccarti ...). Così quando arriva la violenta tempesta, quella con i fulmini che bruciano, quella con il vento che morde, io mi piego, mi piego, mi piego. Ma non mi spezzo, assolutamente. Mai.

2 commenti:

  1. Risposte
    1. Anche a me... Soprattutto è stato rinfrancante prenderne coscienza! In effetti mi sto accorgendo che vivo la scrittura esattamente come una sorta di "terapia del benessere": scrivo, scrivo, scrivo, e quando poi rileggo (magari dopo settimane) mi rendo conto da sola di cosa sto combinando. Con qualche aiuto esterno, a volte, come i commenti di tutti voi, che mi fanno vedere le cose sotto diverse, inusuali prospettive.
      P.S. Bentornato dal tuo viaggio, dentro e fuori... sai che ti seguo sempre!

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