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giovedì 4 ottobre 2012

Gente di Palermo

Da Firenze in giù non ho visto molta Italia, giusto qualche volta a Roma (ma Roma e basta, mai oltre il Grande Raccordo Anulare, ed il più delle volte per specifiche occasioni, dal giuramento del morosetto alla Cecchignola alle odierne Mostre, quindi sempre senza rimanerci più di qualche giorno), un Luglio di molti secoli fa al Conero, e poi un fine settimana lungo in Salento.
Mi dispiace, perchè mi rendo conto che vivo in uno dei Paesi più belli del mondo in quanto a natura, piccoli borghi sconosciuti, e meravigliose città (ed il più bello in assoluto in quanto ad arte, storia e tradizioni), ma sono le classiche cose che si trascinano: prima hai gli amici con cui muoverti ma non hai un centesimo, poi guadagni qualcosina e ti sei persa di vista con gli amici, poi hai il moroso/marito e anche i soldini e non hai più tempo. O modo. O voglia. Fatto sta che fino a due mesi fa era assolutamente impensabile per me l'idea di prendere un aereo al volo per andare in Sicilia, ma quando l'artista in questione si chiama Armodio non solo deve essere pensabile: diventa obbligatorio.
Palermo solamente, a dire il vero, non certo vacanza in Sicilia, ma per me comunque con un particolare sapore da "ritorno alle origini", perchè io sono per un ottavo palermitana doc.
Sorpresa! Uno dei miei bisnonni da parte di madre, con tutti i suoi avi, era nato e cresciuto lì, e lo so per certo, vista la meticolosità della raccolta dati fatta per quel ramo del mio albero genealogico, come ho già avuto modo di scrivere in "Globalizzazione di inizio Novecento"; a proposito, ogni tanto cerco di citare i miei precedenti post perchè bene o male dalle Statistiche di Blogger vedo che vengono letti sempre e solo gli ultimi, il che non è cosa carina da parte vostra, perchè finite per perdervi il senso del discorso nella sua interezza. I miei post stanno tutti appesi ad un unico filo, come tante fotografie ad asciugare con le loro mollettine colorate, filo che va percorso insieme dall'inizio alla fine (se siete maniaci del digitale, e non avete mai provato a tenere carta fotografica fra le mani, leccandone un angolino al buio prima di immergerla, per sentire dove sa di sale, e distinguere il fronte dal retro, non sapete cosa vi siete persi. Oppure, più semplicemente, siete troppo giovani).
Il nonno della mia mamma, piccoletto e verace, faceva il comandante sulle navi mercantili; un bel giorno capita a Venezia ed approfitta, mentre la nave è attraccata a fare carico/scarico, per farsi un giretto, e sbatte contro questa giovane veneziana biondissima e bellissima (non lo dico perchè era la mia bisnonna, a cui peraltro io non assomiglio per niente a cominciare appunto dai capelli e dalla bellezza, tant'è vero che io sono sputata sputata - nell'aspetto e nel carattere, cocciutissimo - a sua nuora, la mia nonna che niente aveva a che fare con quel ramo dell'albero; lo riporto solo perchè lo diceva – sospirando dai balconi – mezza Venezia), alta una buona spanna più di lui, con due occhi chiari da brivido, e paf! si innamora come un pesce lesso.
Non mi è dato a sapere se il colpo di fulmine fu reciproco, anche se sono più propensa a credere ad un tenace lavoro di martello da parte del bisnonno innamorato, visto che a casa dei miei genitori è ancora conservato (da tempo rilegato in libretto) il pacchettino della moltitudine di lettere che lui le spediva costantemente, con frasi del tipo: "Gentile Signorina, da quando la vidi la prima volta non riuscii a pensare ad altro che a Lei", e dentro la lettera una dolce violetta pressata (secca ormai, ma che trasmette ancora adesso tutto quello che il bisnonno voleva dire). Amore di fine Ottocento, fa sorridere ma - sotto sotto - anche un pochino di invidia, visto che viviamo nell'era del tutto-e-subito (tutto e subito già a quattordici anni! Quali emozioni potrai riservarti di vivere quando ne avrai venti, o trenta?).
Insomma, il tosto siciliano l'ha avuta vinta, se l'è sposata e portata a Palermo (tra i mugugni dei giovanotti veneziani alti, biondi e delusi) dove poi è nato il mio nonno materno Gaetano detto Tano. Non che ci siano rimasti molto, giù in Sicilia, perchè tra il lavoro di lui che lo portava a girare parecchio le città di mare, tra la nostalgia di lei che voleva a tutti costi tornare su (chissà se lui le ha mai detto "miiii, hai proprio scassato la m/chia con questa Venezia e Venezia!"), dopo una quindicina d'anni il mio nonno era già ritornato in laguna, esibendo il suo nome-cognome non propriamente veneto. Nome che tra l'altro è appiccicato in terza battuta a mio fratello, perchè la mia famiglia è molto, molto legata alle tradizioni (potevo venir fuori diversamente, io?), e quindi alla prima figlia femmina viene dato un nome e poi, in sequenza, i nomi delle due nonne (prima la paterna, poi la materna). Al primo maschio viene dato un nome, e poi come secondo e terzo nome quelli dei due nonni (mio fratello non l'ha mai digerito bene, quel "Giuseppe Gaetano" a far da coda).
Per dovere di cronaca, io che sono la sfigata di mezzo avevo finito i nonni, e quindi mi è stato messo come secondo nome Maria, in onore della Beata Vergine. Ma poichè anche la mia nonna materna faceva di nome Maria, io alle elementari volevo precisare che il MIO Maria non era stato messo lì per via della nonna (come a mia sorella maggiore), ma per onori religiosi, e puntualmente a chi mi chiedeva dicevo di chiamarmi "Paola-Maria-Per-La-Madonna", cosa che suscitava sempre una qualche ilarità negli astanti. Poi col tempo ho capito, ed ora alla domanda fatidica mi limito al primo dei due, che tra l'altro è anche corto abbastanza da non venir storpiato da quelli che devono per forza creare i nomignoli.
Io e mio marito detestiamo cordialmente tutti quei "pucci-pucci", "micina-lupacchiotto", "patatina-cuccioletto" e chi più ne ha più ne metta, vomitando e via. Lui mai, è originalissimo, infatti in questo periodo in cui ha una fissa terribile per i tappeti (perchè li "sente" più dei quadri, li tocca, li pulisce, li vive, ha anche eretto un piccolo altarino a Nonno Catone Biasioli sopra ad una sella yomut), quando mi chiama di solito usa appellativi come Karatchop, Lori Pampak, Chondoresk, Hachlù. E io gli rispondo anche... Infatti mentre andavamo giù a Palermo l'ho pregato di darsi una ripassatina al mio nome di battesimo, qualora avesse dovuto richiamare la mia attenzione in una Sala strapiena di gente ad alto tasso istituzionale.
Volare verso Punta Raisi ha rappresentato quindi una piccola attesa in più per me, anche se - come dubitarne! - il giorno dell'inaugurazione della mostra di Armodio è venuto giù un diluvio tale che non ne vedevano così tanta da anni, lì a Palermo, e quindi - dopo un colpo d'occhio spettacolare all'atterraggio (mare gonfio di bianco, blu ed azzurro, ed improvvisi picchi di roccia e terra brulla, con qualche rara, aspra vegetazione testarda) - non ho potuto più di tanto gustarmi il tragitto fino a Palermo centro, che immaginavo ricco di odori e profumi particolari, ed invece è stata una normale oretta d'autobus, neanche fossi ancora pendolare all'Università. In mezzo a tanti cartelloni pro-elezioni tra l'altro (a fine ottobre i siciliani voteranno per la Regione), che come ogni cosa riguardi marketing e vendita io osservo con particolare interesse immaginando il lavoro che c'è dietro, visto che da una sola parola può dipendere la buona o la cattiva riuscita di ogni campagna (quanto di più con questi cartelli elettorali, nei quali sei lì a vendere la tua faccia, e non un prodotto qualsiasi). Ce n'era uno particolarmente simpatico: lo slogan di un candidato diceva "Una persona perbene", con il "perbene" sottolineato. Accidenti: vale la pena di dirlo? Non dovrebbe essere LA NORMA? O va da sè che gli altri non lo sono? Speriamo vinca questo qui, allora!
Palermo: non ho molto da dire, purtroppo. Anche se ammetto di averla visitata male e di corsa. Ma in mezzo a poche perle (l'esterno della Cattedrale, tutto il Palazzo Reale, un paio di vie con bei palazzi dagli interni alti e silenti, misteriosi, inaspettati), che stanno lì a ricordarti come doveva essere una volta - regale, ricca di storia, elegante ed orgogliosa - c'è solo tanta sporcizia, tanto caos indefinito, tante carenze, qualche pericolo. E tutti guidano come dei pazzi. Come a Roma, solo su strade molto, molto più strette, con marciapiedi inesistenti o dissestati. Tuttavia, visto che non sono una che ama il lamento e cerco sempre di trovare qualcosa di positivo ovunque io vada (e ci riesco, praticamente tutte le volte, cosa di cui vado anche un filino orgogliosa, perchè è solo così che il mondo migliora: tirando fuori e sottolineando forte la sua parte di bene, non di male), devo dire che c'è stata comunque una cosa che mi ha incantato. Parlo dei palermitani. Per carità, io evidentemente ho incontrato solo palermitani buoni (come il signore "perbene" delle elezioni), non ho fatto brutti incontri in vie malfamate, comunque va detto, davvero. Intanto le ragazze sono tutte belle; ci sono un sacco di sventole vere e proprie, roba da concorso, tranquille in jeans e maglietta per la strada, mentre da noi saranno a mala pena tre e si danno un sacco di arie. Ma a parte le fuori categoria, sono belle in generale: bei capelli, occhioni dolcissimi e profondi, bei sorrisi. Anche quelle non propriamente in forma smagliante (diciamo che la loro cucina non aiuta), che da noi escludi in partenza e lasci nel cassetto col cartellino "ciccione".
E poi tutti, maschi e femmine, sono proprio persone che conquistano, hanno una cortesia innata, un senso della premura incredibile, si vede che lì da loro c'è stato molto mondo arabo. Chi non ha vissuto la tipica cortesia araba sulla propria pelle può rivedere per capire meglio il tutto quel lieve film gradevolissimo che è "Lezioni di cioccolato", con Hassan Shapi/Kamal (attore keniota, ma che si becca sempre la parte dell'arabo) che non permette nemmeno l'inizio di ogni discorso all'affannato Luca Argentero/Mattia se prima non gli chiede notizie sulla salute di tutta la famiglia, fino alla terza generazione. Al cinema ridi, ma sotto sotto sono segnali di delicatezza che con la nostra fretta ci perdiamo sempre. Perchè noi quassù nasciamo con la fretta addosso, viviamo di fretta, mangiamo di fretta, lavoriamo di fretta (questo non sempre è un male, però, eh), e ci viene puntualmente l'ulcera.
I palermitani sono lentissimi, all'inizio la cosa dà un po' ai nervi perchè avverti che stai perdendo tempo: trenta secondi per dire una cosa che puoi dire in tre. Che significa trenta MINUTI per una cosa che puoi fare in tre. Come con il caffè: da noi vai al bar e c'è la scatoletta con le bustine dei vari tipi di zucchero, ti fanno il caffè e ti metti lo zucchero zitto e rapido, prendendoti la bustina che meglio ti comoda. A Palermo no: ti fanno il caffè e poi ti chiedono (sempre molto, molto lentamente) "E che ... lo zucchero ... ci vuole?" Sì, grazie "Normale ... o canna ... lo vuole?" Canna, grazie "Quante bustine ... una ... due?" Una, grazie Questo a mio marito; io uso lo zucchero normale (basta un salutista in famiglia), per cui la trafila si è ripetuta anche per me. Un nervoso allucinante, all'inizio, però a guardar bene in questo modo hai infilato nel discorso - lungo ed inutile, per carità - ben tre "grazie" (sei, con i miei tre), che è sempre una parolina che fa bene alla salute ed alle pubbliche relazioni, e che troppo spesso viene dimenticata. Allora ho cominciato ad osservare ed ascoltare bene questa calata strascicata, questi piccoli, adorabili bronci, questi nasetti arricciati in attesa della tua risposta, queste movenze lente, questi sguardi buttati di lato, ed ho capito una cosa: i palermitani sono dannatamente SEXY, caspita! Vuoi vedere che il segreto è quello? Come in albergo, c'era una signora in reception (e mica giovanissima era, avrà avuto la mia età o anche qualcosa di più), che con una grazia incredibile è riuscita a dirmi che gli assicuratori sono tutti ladri senza nemmeno che mi offendessi; anzi, ancora un pochino e mi convinceva. Una donna affascinante, che parlava della figlia di tredici anni che rifiutava di mettersi le scarpe col tacco (discorso venuto fuori dalle mie usuali difficoltà: alle Mostre io vado con i trampoli e tanta sofferenza, mi serve il taxi anche per fare cento metri), e diceva che la voleva vedere "femmina". Femmina, non "donna" (come diremmo noi), non so se mi spiego; in quel "femmina" c'è tutta l'essenza degli occhioni neri di Palermo. Il mio ottavo di sangue si è sentito dannatamente orgoglioso.

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