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sabato 30 marzo 2013

Informazione di servizio (un post provvisorio)

Esperimento di Pasqua: il post provvisorio.
Dalle mie usuali e maniacali verifiche delle Statistiche di Trecose (gli accessi, i post più letti, e , soprattutto, le "Parole chiave per la ricerca") vedo che nell'ultima settimana c'è un certo interesse attorno ad Armando Cheri, sul quale avevo postato un "Omaggio a" lo scorso Novembre, e posso anche immaginare perchè.
Armando Cheri si accinge ad inaugurare una esposizione personale al Chiostro del Bramante in Roma, che in sè è una gran bella cosa, peraltro ormai notizia ufficialissima: peccato che di questa informazione non vi sia traccia alcuna in tutta la rete, e di conseguenza quei poveri disgraziati che digitano su Google "Armando Cheri Roma" o "Armando Cheri Mostra Roma" prima o poi cascano nel mio Novembre, e lì si arenano.
E' buffo il fatto che non ci sia scritto niente - ad oggi - nemmeno all'interno del sito di Armando stesso, cosa che mi consente di aprire una piccola, velenosa parentesi sull'utilità dell'avere un Sito Internet personale non aggiornato, pari più o meno al perdersi nel deserto con in dotazione solo una canna da pesca.
Nell'Era della Comunicazione in Tempo Reale credo sia fondamentale avere notizie freschissime, soprattutto per chi vive della presenza di un pubblico, o tanto vale non averle (infatti io sto dalla parte di quelli che preferiscono resistere ai richiami delle sirene che vogliono gestire la loro immagine on-line, e continuano ad avere - al di fuori del web - un'immagine pulita, ammirata e molto ricercata, con ogni probabilità esattamente per questo motivo). Chi sceglie di volere un'immagine on-line deve curarla con costanza, limarla, farla splendere, e a onor del vero devo dire che ci sono parecchi artisti con fior fiori di siti bellissimi, come tante aiuole pluripremiate; non tutti, però. Il motivo per cui non ho mai voluto indicare, tra i miei Siti per gli Amici, il sito più o meno ufficiale del mio amatissimo Marcello Scuffi, sta proprio nel fatto che fa schifo, e non c'è altro da dire: le sezioni Mostre, Monografie e Critica, che sono tutto ciò che serve per differenziare un pittore con una storia, e una storia importante, dal giovane emergente nato ieri (visto che la Biografia e le Opere ce le hanno entrambi), sono a dir poco pietose. Non c'è accenno alle parole spese per lui dalla Somma Acidini, tanto per dire un nome a caso. Tra le Mostre passate, risalto zero alle ultime, quelle dei luoghi più prestigiosi e istituzionali (evidentemente è più importante il sottoscala di casa mia), e nessun accenno alle future. Preferisco immaginare Marcello senza un sito, preferisco saperlo noto solo grazie ai nomi degli studiosi che si occupano di lui, ed al passaparola di chi lo apprezza: il suo essere schivo, umile ed incredibilmente bravo a dipingere poesia bastano. E lo completano. Chiusa parentesi.
Torniamo a noi, e intendo con "noi" tutti coloro che cercano notizie su una Mostra che si deve svolgere a brevissimo perchè hanno bisogno di qualche giorno di tempo per organizzarsi, per prenotare il treno piuttosto che l'albergo, per chiedere le ferie al titolare piuttosto che per accertarsi, nel caso del titolare, che sia tutto a posto, che non ti arrivi un'Ispezione amministrativa proprio quel giorno, che i dipendenti non si ammalino improvvisamente, ed altre amenità simili.
A tutti questi "noi" segnalo che Armando Cheri inaugura la sua esposizione al Chiostro del Bramante in Roma mercoledì 10 Aprile 2013 alle ore 18.00. E ovviamente appena la notizia apparirà ufficialmente da qualche parte (nel sito del Chiostro, o nel sito di Armando, o in qualche sito specializzato), o al più tardi la mattina del giorno 10, io cancellerò questo piccolo post "sperimentale" che a quel punto non avrà più ragion d'essere. Ma fino a quel momento questa vocina impertinente che d'arte non capisce un tubo (un tubo molto piccolo, però) spiegherà, a chi potesse farci un salto, perchè sarebbe carino andare al Chiostro del Bramante quel mercoledì sera: intanto, naturalmente, per Cheri.
Dopo tanta pittura magari uno scultore può suscitare un interesse "diverso", visto che al Bramante l'ultimo era stato Giulio Galgani, un anno fa, e poi a dirla tutta Cheri non è solo "scultore", non è solo "artista". A me piace di più definirlo un virtuoso INTERPRETE della natura: lui "vede", "legge" all'interno della materia offerta dalla natura (intesa come albero, intesa come pietra, intesa come storia) una forma, un suono, un richiamo, e lo interpreta affinchè anche noi che non possediamo il suo dono possiamo goderne. Non puoi perderti Cheri se ami il legno, se ami il suo profumo, le sue venature, i suoi nodi. Io sono da sempre affascinata dalla "materia-legno", materia viva, parlante, vibrante; sono affascinata dal legno e dalle mani che lo sanno modellare. Recentemente io e mio marito siamo stati ospiti nel suo laboratorio, e come sempre sono quei momenti speciali da custodire gelosamente tra i ricordi: seguire i suoi percorsi, sentire il canto delle sculture sugli scaffali, farsi raccontare la magia del ginepro, legno che mantiene per l'eternità (anche se tagliato, modellato, verniciato) la capacità di sprigionare profumo, se sfregato dolcemente...
Io ho assistito a quello sfregamento, ho annusato l'odore che sapeva di bacche e d'incenso, e l'ho immaginato come un bambino che, al solletico, ride a cascatella (giusto perchè mi sto esercitando a trasporre ogni situazione in immagini differenti ed ugualmente evocative: aiuta, quando hai deciso che il tuo mondo, la tua realtà, sono "oltre"). Eravamo anche molto tentati da un paio di pezzi, ma poi la Deltina, come noto, ci ha piantato il muso perchè voleva in regalo una frizione nuova, pena un disastro completo nel motore, e quindi ora come ora l'equivalente in Euro di quei due pezzi se ne sta celato in un involucro metallico, anzichè in bella mostra assieme ai miei Scuffi. Pezzi, peraltro, che so essere nel Catalogo della Mostra, e per questo già da ora piango e rido insieme: piango, perchè li avrà qualcuno che non sarò io (e lo scippo, quand'anche virtuale, è sempre una sensazione spiacevole), e sorrido, perchè sarò legata per sempre a questo qualcuno, chiunque sia, magari all'estero, magari in luoghi per me impensati, solamente per il fatto di aver condiviso la stessa emozione, di aver "avvertito" le stesse sensazioni, lo stesso batticuore. Per un attimo, e per sempre. 
Infine, da non sottovalutare, la Mostra è curata dal carissimo Giovanni Faccenda, e posso anche permettermi tutti i sorrisetti di compatimento che già immagino, vista la provvisorietà di questo post. Sissignore, posso permettermi di essere di parte, di fare la "voce a servizio di", di gongolare per i successi di un amico che sta raccogliendo importanti frutti da un percorso di coerenza e umiltà, e porta - tra l'altro, pare - parecchia fortuna agli artisti di cui si occupa. Ci ha culo, insomma, altra cosa che posso scrivere per quanto non sia da netiquette, tanto tra pochi giorni questo post avrà fatto il suo dovere e come un bravo scolaretto prenderà su la cartella e andrà a casa. Attendiamoci quindi presto, a naso, cose interessanti per Cheri, ed una puntatina alla sua prima Mostra in un luogo così prestigioso male non fa. Potremo dire di aver visto la posa della prima pietra, ed è sempre bello vederla in diretta, quando puoi stringere la mano all'artista, puoi leggere l'emozione nei suoi occhi con la certezza che sia ancora tutta genuina, puoi ascoltare una presentazione fatta come si deve, da uno studioso che parla in modo comprensibile per tutti e con il cuore in mano, perchè ha come missione la diffusione della bellezza e dell'armonia, e non l'autocelebrazione.
Io ci sarò di sicuro, ho già prenotato il Frecciargento (sempre quello), il Bed & Breakfast (sempre quello), ed il pieno di emozioni quando il Bramante chiama. Sarò tra amici, oltre che in mezzo ad arte e legno, quindi sarò felice. E, visto il periodo nerissimo che sto passando al lavoro, se per caso, giusto per caso (visto che sarà la prima volta che mi allontano per due giorni dall'ufficio dopo la Mostra di Scuffi a Fiesole, ed era Settembre!), a qualcuno va a fuoco il capannone, chiamate i pompieri, non me. Io il cellulare lo spengo.

Nota aggiunta la mattina del giorno 10: va bene, avevo detto che l'avrei cancellato, e invece è ancora qui, nonostante nel Sito del Chiostro ormai le notizie siano apparse, e chi doveva organizzarsi ormai si è organizzato. Maccheccavolo, il blog è mio, e tutto sommato non mi dispiace l'idea di rileggermelo ogni tanto, per lo meno fino a quando non scriverò qualcosa di più completo su Armando Cheri. Quindi qua resta, e datemi pure della lecchina (chi ha orecchi da intendere...), da certe voci lo prendo addirittura come un complimento. 

martedì 26 marzo 2013

Oggi parla.../8

... Kahlil Gibran:

"Preferisco essere un sognatore fra i più umili, immaginando ciò che avverrà, piuttosto che essere signore fra coloro che non hanno sogni nè desideri"



domenica 24 marzo 2013

Believe

Mai fatto uso di strane sostanze, ci mancherebbe, e mai fumato, neanche sigarette. Le sigarette perchè, come tutti credo, ne ho provata una da ragazzina, una sola, e per non sembrare quella che vuol darsi un tono e basta ho anche aspirato ben bene; ricordo solo una gran tosse, che bruciava, e un sapore orrendo. Non ne ho mai più sentito l'esigenza, neanche per tenere la mano occupata (che è la motivazione base tra le sedicenni che iniziano a fumare).
Quanto alle strane sostanze, non transigo: non metto nel mio corpo quella roba. Ci tengo al pieno funzionamento delle mie facoltà mentali, che sono l'unica cosa che effettivamente è rimasta funzionante, non me ne frega niente di quanto bene si può stare quando si è "up": ho visto - in persone care - gli effetti del "down", e, no, grazie. Mi concedo quando sta bene un paio di bicchieri di rosso tosto, questo sì, ma solo in compagnia; vino che sia buono, che aiuti la condivisione, che si sciolga con il meraviglioso sapore di un buon filetto mentre la conversazione ti porta verso nuovi lidi.
La mia droga è l'arte, la mia droga è la pittura, è la bellezza, l'armonia, l'equilibrio. La mia droga si chiama Marcello Scuffi, si chiama Armodio, si chiama Licata, si chiama Stefanoni: ci sono dentro fino al collo, e non ho la minima intenzione di disintossicarmi. Anzi, guai a chi mi tocca i miei spacciatori preferiti (Giuseppe Orler, Dario Olivi, Giovanni Faccenda, e tutti coloro che credono nel potere taumaturgico di un'opera d'arte). Pusher di emozioni.
Ieri sono stata sola a casa praticamente tutto il sabato, il "mio" sabato. Sabato per me è giorno di festa per eccellenza; cerco, tendenzialmente, di non lavorare, faccio in modo di godermelo dall'inizio alla fine, mi coccolo fin dal mattino, perchè il sabato non porta dentro quell'aura di deprimente tipica della domenica, quando già dalle cinque del pomeriggio comincio a filar dietro ai penseri di quello che mi attende il giorno dopo, che - notoriamente - sublimo stirando mucchi di biancheria in proporzione variabile. Il sabato è bello tutto, dal risveglio alla buonanotte, ed è il giorno dei momenti speciali, delle visite agli amici, dei piccoli viaggi, dei Musei, delle Mostre, e delle sorprese. Il sabato è un giorno da passare sempre in due.
Invece ieri è stato diverso, perchè mio marito aveva un problema di famiglia da risolvere; essendo un uomo molto buono, con un cuore d'oro, tra i sei fratelli quando c'è bisogno è sempre lui che si sobbarca certi oneri fastidiosi. Quello di ieri consisteva, nella fattispecie, nel portar fuori a pranzo ed a fare una passeggiata, nel suo giorno libero, la ventottenne sudamericana che vive a casa dei suoi. Ovviamente l'onere comprendeva anche altri discorsi molto più seri, ma per me che restavo a casa da sola nel "mio" sabato (per giunta senza macchina e quindi senza possibilità di muovermi) la prospettiva era decisamente molto limitata. Sabato solitario ed arrabbiato, quindi.
Era davvero molto, moltissimo tempo che non passavo così tante ore nel silenzio più totale. Gente come me - abituata a vivere costantemente a contatto con le persone, ed a parlare, parlare, parlare - potrebbe addirittura spaventarsi. Senza capire che sette-otto ore di vero silenzio, di riflessione, di contatto con presenze mute come tutta l'arte che mi fa compagnia appesa ai muri, o appoggiata sui mobili, in realtà sono un dono insperato. Bisognerebbe pagare per averlo, considerarlo come una terapia, un remise-en-forme, un trattamento da centro benessere. La mia droga.
Ho parlato senza voce con i quadri, li ho accarezzati, uno ad uno, stando in piedi davanti a loro, e con un paio mi sono anche accovacciata per terra, perchè abbiamo più confidenza. Guardandoli in ogni singola sfumatura, in ogni dettaglio, e comprendendo che era passato troppo tempo dall'ultima volta. Mentre lo scrivo mi rendo conto che - se mi avessero filmato - sarebbe stata una prova determinante di un principio di pazzia, o quanto meno di un cedimento nervoso, che ci sta tutto, visto il periodo di stress personale e professionale che sto attraversando. Invece è esattamente il contrario: sono cose come queste che corroborano, che apportano linfa vitale alla mia anima, e che devo ricordarmi di fare più spesso, perchè mi fanno stare bene.
Come i baci ben dati, dopo un po' di digiuno diventano un'esigenza insopprimibile.
Le opere che ho a casa hanno tutte una caratteristica in comune: mi piacciono. Le ho comprate perchè le trovavo belle, perchè mi trasmettevano un'emozione, ogni volta diversa: serenità interiore, gioia, stupore, curiosità, ammirazione, eccitazione. E come tali riescono a guarire ogni ferita, a curare ogni tipo di stanchezza, a far dimenticare - o quanto meno a far sembrare meno spaventoso ed incombente - qualunque problema.
Armodio - il "sommo ed inarrivabile" - mi ha preso più tempo di tutti gli altri, perchè davanti ad un Armodio puoi realmente passarci ore intere, quando decidi di GUARDARLO centimetro per centimetro, invece del solito "vedere" distratto, perchè tanto lo conosci. O credi di conoscerlo. E non tanto la tempera, che non sentirò mai "mia" veramente perchè è una specie di condivisione a lungo termine, quanto la carta: le carte di Armodio, quando riesci ad andare "oltre" all'immediatezza delle tavolette che di solito ti afferra per prima, sono balsamo per gli occhi, sono colature di miele caldo sulla pelle, sono - semplicemente - una delle tante dimostrazioni dell'esistenza di Dio. Le sue tempere sono quasi sfrontate, a volte, ti sfidano a trovarci un'imperfezione che sai già non esserci, ti lasciano a testa china, quasi preso da stordimento, se non sei preparato finisci per sentirti inadeguato, come un bimbo in mezzo agli adulti. Le carte invece sono piene di umanità, sono volutamente spente, come antichi abat-jours, danno più confidenza, sono come delle buone nonne. Adoro le sue carte.
Io ero lì tutta presa da questo "guardare", minuzia per minuzia, particolare per particolare, macchiolina per macchiolina, ora colore ora non-colore, quando è arrivata la musica. Musica nella mia testa, nel silenzio esterno più completo, ma veniva dai quadri. Come una sinfonia, si parlavano tra di loro con cascate di note, dialogavano, avvertivo nettamente le note più basse e sorde, borbottanti, e le squillanti, velocissime, come cascatelle d'acqua pura. Sentivo i suoni, ed il battito del mio cuore che accelerava o rallentava per entrare in sintonia con quel ritmo. Era come stare nel bel mezzo di un'orchestra, ogni quadro uno strumento, gli Scuffi come tanti archi schierati nelle prime file, e gli ottoni dei Pedretti più in fondo. E in mezzo tutti gli altri, nomi sconosciuti da bancarella, che nessuno pronuncerà mai, trillavano sui loro flauti a fianco di pomposi oboe già noti alla storia dell'arte, in totale e perfetta armonia. Non c'era neanche bisogno di dirigere, facevano tutto da soli, e per un unico privilegiato spettatore: io, io sola. Solo per il mio personale piacere da drogata di assimilare bellezza, che è - davvero, lo è! - l'unica cosa che può salvare il mondo, può lavare il lordume del "troppo facile", del "tutto e subito", del "talento del nulla" ormai sovrabbondanti. Nel silenzio, io mi drogo d'arte per oltrepassare le bugie, i tradimenti, le malelingue che mi circondano. Per rafforzare i ricordi di momenti che non ci sono più. Per raffinarmi l'anima. Per ripulirla. E perchè non c'è nulla che mi rempia e mi rinfranchi così a fondo, senza chiedermi niente in cambio, senza pretendere nulla, se non la capacità di amare il silenzio e la solitudine.
Infine, leggendomi dentro come attraverso un cristallo (credo sia tale il mio cuore in questo periodo, incredibilmente trasparente e terribilmente fragile), la tempera di Armodio mi ha fatto l'occhiolino, ha fermato l'orchestra, e mi ha cantato "Something", una delle più belle canzoni d'amore mai scritte, e dico "amore" nel senso più esteso (attesa, timore, affetto, amicizia), quando va oltre la dimensione del "lui vuole stare con lei/lei vuole stare con lui", e diventa BELIEVE:

Don't want lo leave her now
You know I believe her now

Non importa se è rivolta a una "lei", le sue parole sono infinite ed eterne. Se ami qualcuno sai che gli credi, a prescindere. L'ho ascoltata mentre sfioravo i piccoli cartigli, mentre accarezzavo le arcate di pietra, e poi l'ho rinchiusa al suo interno, dietro al chiavistello, perchè nessuno possa portarmela via. La mia droga nascosta. Il mio bisogno, infinito ed eterno anch'esso, di amore, bellezza e verità.

domenica 17 marzo 2013

L'ovvio, e oltre

"Oltre" è decisamente il mio avverbio. Mi rappresenta incredibilmente. Mi piace scriverlo con la penna, vedere come le lettere si legano l'una alle altre e formano quel qualcosa di indivisibile che porto dentro. Mi piace il suono che ha (vocale-consonante-consonante-consonante-vocale). E chi mi legge lo sa bene, visto che lo uso spesso, lo invoco - quasi - a giorni alterni, per elevare la mente dalle miserie quotidiane.
Il mio Treccani dice di "Oltre": Avverbio 1) Più in là (o più in qua) di un certo limite, più avanti, anche figurativo 2) Per altro tempo, ancora, di più. Mi stanno bene entrambe le definizioni. L'"oltre" è ciò che mi manda avanti, che mi fa alzare la mattina per andare in ufficio invece di restare sotto le coperte a rimuginare sulla crisi, è ciò che mi fa improvvisamente sorridere quando credo di non averne voglia, è ciò che riesce ancora a stupirmi quando lo scopro dentro ad un quadro, ad una nuova forma, in un attimo di bellezza fugace, quando meno te lo aspetti. E' l'"oltre" che spariglia le carte della vita, quando glielo permettiamo. "Oltre" è parola che, nel suono delle labbra del mio amico più caro, del mio "altro me", ancora e ancora mi commuove: "Non ti preoccupare, noi siamo oltre" mi dice, e io avverto profondamente cosa significhi avere una sola mente ed un solo cuore anche se fisicamente non si è nello stesso luogo, anche se fisicamente… non si è.
L' "oltre" è ciò che mi piace scoprire nelle persone che incontro, magari non subito, giusto per poter ammettere, a volte, di essermi sbagliata, il che lo rende ancora più potente.
Ebbene, mi è successo di nuovo, e parte da un pochino lontano, da qualche settimana fa.
Ho trovato, giusto per la cronaca, un sostituto per il mio Subagente uscente. Ne avevo visionati tre o quattro, senza particolare voglia e senza particolare enfasi, perchè forse sotto sotto non avevo davvero intenzione di sostituirlo. Sia per una questione economica (visto che ho l'abitudine di pagare puntualmente chi lavora per me, tutto sommato ora come ora sono cifre che mi farebbe comodo trattenere, anche a costo di sobbarcarmi il suo lavoro oltre al mio), sia perchè la ferita è ancora fresca. Quattordici anni insieme ogni giorno non sono pochi.
Ho colloquiato con un trentaduenne fighissimo, uno splendore davvero, che avrei preso immediatamente solo per vedermelo sgambettare intorno ogni giorno in ufficio, una sorta di Elisabetta Canalis per signore, non foss'altro per il buonumore. Comunque anche intelligente, amabile ed educato, ma suo padre ha preferito tenerselo a casa piuttosto che farlo lavorare insieme a quattro donne allupate. Che peccato. Ho visto facce tristi di padri di famiglia messi in cassa integrazione, o con l'orario ridotto, che cercavano un’occasione di riscatto o - forse - solo due soldi per arrotondare. Ho rabbrividito davanti a rampanti giovani so-tutto-io-manager, di quelli che giustificano tutto l'odio profondo, il disprezzo ed i preconcetti che il consumatore medio ha per gli assicuratori, piccoli squaletti col ciuffo ribelle ed il sorriso fintissimo, bianco e aguzzo, che parlano degli assicurati come di brandelli di carne da spartirsi, più sangue ne esce meglio è.
E quando avevo ormai deciso di soprassedere per un po' di tempo, in attesa che il mio naso riprendesse a lavorare d'istinto, è entrato in ufficio a pagare la Polizza della sua macchina un assicurato (casi della vita, in realtà un Cliente, amico ed ex-compagno di classe proprio del collaboratore in fuga). Giovane anonimo uomo, di cui sapevo poco o forse nulla, e parlando proprio dell'amico in fuga e dell’opportunità che ha appena colto (pianificandomela alle spalle da oltre un anno, sottolineo) viene fuori che lui, rappresentante di prodotti per l'edilizia (e ho detto tutto, parliamo del settore oggi probabilmente più colpito, cali di fatturato del 70% quando va bene), ha un gran bisogno di trovare qualcos'altro. Per lavorare, per mangiare, per vivere, ma più probabilmente per rinnovarsi. Laureato in giurisprudenza, ha già la Partita IVA aperta, sa cosa vuol dire vendere, non ha paura di cacciarsi in macchina per andare a trovare un Cliente anche se piove oppure in pieno Agosto, lavorare più di otto ore al giorno è la normalità anche per lui. E poi ha anche una faccia pulita, non troppo intristita dal momento, ma nemmeno esageratamente rampante. Un essere umano, insomma.
Io credo nelle coincidenze, credo negli incontri, mi è già successo un sacco di volte, di essere per caso in un posto e trovare - lì, per caso - la soluzione ad un problema vecchio di mesi. Per non parlare delle amicizie nate nel tempo da incroci di vite più che casuali. Incontri che generano incontri. Incroci casuali che generano ispirazione, che ti aiutano a scegliere proprio quando il dubbio del bivio ti arrovellava come fuoco, che ti spalancano porte impensate ed impensabili.
Due parole e via, abbiamo trovato un accordo; l'ho presentato alla mia Mandante (per un assicuratore è passo obbligatorio, giusto perchè la Compagnia sappia che non inserisco nel mio staff un pregiudicato malavitoso, ma solo per questo, visto che non scuciono mezzo quattrino), per l’occasione rappresentata da un signore con i capelli bianchi e tanta esperienza con cui mi sono trovata in sintonia da subito, tanto da spettegolare un po' su Zelig e Ringhia, che a quanto pare anche a lui fanno alzare il sopracciglio. Una persona come me, di quelle che amano la coerenza, che sanno che il Cliente è una Persona, non un insieme di numeri. E’ stato un bel segnale anche questo incontro.
Dopo la presentazione ufficiale il giovane uomo è partito per Bali: un mese a Bali per staccare la spina, mettere un punto a capo alla vita e ritornare pronto e a mente sgombra per questo nuovo percorso, senza sapere esattamente dove lo porterà, ma mi è piaciuto anche per questo, non ha avuto paura di decidere in cinque minuti, ha agito con l’istinto pure lui. O con la follia, chi lo sa, nella vita ci vuole anche un pizzico di questa, ogni tanto.
In attesa che ritorni, per metterlo sotto a studiare e sgobbare da buona titolare stacanovista quale sono, nei miei rari attimi di cazzeggio ho spulciato il Grande Web per vedere se trovavo qualcosa di lui che nel curriculum non c'era. O magari giusto per dare una controllatina se sta su Facebook, caso in cui – vista la mia rinomata opinione sui patiti del social - avrei dovuto inventarmi una scusa per dirgli che avevo cambiato idea (mi pare che non ci sia, e ne sono intimamente soddisfatta). Il web ci aiuta, a volte, a trovare cose che la gente a voce non dice di sè, soprattutto se sono celate in silenziose realtà sotto gli occhi. In questo sono avvantaggiata rispetto ai geni dell’informatica che sanno spaccare il capello in sette infilandosi nelle pieghe della rete: io invece sono informaticamente semplice. Non uso nemmeno quintali di antivirus, scommetto che chi si è infilato nella mia posta questa estate continua tranquillamente a farlo, e magari dal mio computer nudo e non protetto saltella allegramente verso computers altrui. Io cerco l’ovvio, perché la via della semplicità non mente mai (l'ho scritto col sangue in "PaSsWorDs!" nel Settembre dell'anno scorso). E’ come quando alle elementari, da bambini, ci facevano fare il giochino della carta geografica: ti dicevano un nome (di un minuscolo paese, di un fiumiciattolo, di un’infinitesimale collina) e lo dovevi trovare sulla carta, vinceva chi ci metteva meno tempo. E sei talmente pronto a spulciare l’estremamente piccolo che quando ti dicono "Basilicata" non ti fermi, non rifletti, non avverti la calma dell’ovvio, e con il ditino parti dalla Dora Baltea in alto a sinistra per cercare chissà cosa sulle Alpi. Io vincevo spesso.
A dire la verità oltre che informaticamente semplice io sono anche un filino matta; di recente per conoscere la data di nascita di una persona che mi interessa particolarmente ho pagato una visura camerale on-line, perché su Infoimprese.it i codici fiscali non ci sono. Euro 3,61 con Paypal, per giunta fatturati, quando bastava una semplice telefonata a chi, quella persona, me l'aveva presentata. Ma preferisco fare le cose da sola, e in solitudine sorprendermi, per poi sorprendere a mia volta quando serve, magari.
Ho cercato notizie di questo giovanotto già immaginando il tipico profilo del rappresentante incravattato (infatti è molto incravattato e rappresentante su LinkedIn), ed è saltato fuori l'"oltre". Taci che ero già seduta. Ed è bellissimo quando l'"oltre" ti prende ancora una volta, ti apre le porte, ti spariglia le carte, ti fa sbattere il naso contro quello che sta appena lì, giusto davanti al naso stesso, perchè ti ostini a non vedere con gli occhi dell’"oltre" quello che oltre al naso ti aspetta, spalancato. Come dicono di me, in effetti, che sono una assicuratrice solo perchè un lavoro devo pur farlo, e direi che in questo qui sono anche brava, ma in realtà sogno, scrivo, immagino, emoziono e mi emoziono, vivo mille altre vite. "Occhi da pittrice, cuore da scrittrice", mi ha descritto con la sua usuale sintesi da Poeta Vero l’amico d’anima Tra Cenere e Terra, e ancora mi fa il nodo in gola quando lo leggo.
Giovanni - perchè così si chiama - ama fotografare. Ma da una vita, ed è la sua vita, pare. Ha girato intorno al mondo con un chilo e mezzo di macchina fotografica appeso al collo, quando non lo so considerando che lavorava dieci ore al giorno, ma certe domande è bene non farsele nel mondo dell'"oltre". Anche io lavoro dieci ore al giorno, eppure trovo il tempo di coltivare le mie passioni, di prendere aerei per andare a vedere Mostre ed Esposizioni nei posti più disparati, di aggiornare Trecose, di leggere libri e poesie, e di mantenere amicizie a centinaia di chilometri di distanza. E mi piace da matti che nel suo curriculum non l’abbia scritto! Solo il percorso scolastico e le esperienze professionali, perchè l'avrebbe appiattito, l’avrebbe reso solo un hobby ("amo leggere e viaggiare"… quanti ne ho visti! E a chi non piace, scusa? Ma fino a che punto sai AMARE quello che fai?). Avrebbe azzerato il mondo dell'"oltre".
Ha un suo sito internet, a breve esporrà con una sua Mostra sui vicini colli di Asolo, è registrato come "Artista" su Premio Celeste con una serie di fotografie incredibili. Ecco l'"oltre" che rispunta, dopo un anno tornare a scrivere su Trecose di fotografia legata all’arte (era Febbraio 2012, "Ecco una cosa che non so"). Fotografie, quelle di Giovanni, che mi toccano nel profondo, mi colpiscono perché sono del tipo che "coglie l’attimo"; recentemente ho ascoltato Vittorio Sgarbi che parlava del Caravaggio, paragonandolo all’"attimo" di un fotografo. Caravaggio, che ha stravolto l’idea di pittura del suo tempo. Non più rappresentazione di una realtà ideale, pulita, bella, studiata e messa in posa, ma una realtà cruda, vera, sporca, nell’attimo in cui – semplicemente e solamente – essa E’. Per un attimo, a mia volta, ho balenato nella mente le mie fotografie preferite tra le performances di Vanessa Beecroft (create già belle, studiate ancor più meravigliose), sovrapponendole a tanti attimi di fotografi che, invece, "colgono". Fotografi di guerra. Fotografi di paesaggio, di animali. Fotografi ritrattisti. Fotografi di lacrime, di speranze, di paure. Fotografi d’anima. Non sarà arte, ancora non lo penso (anche se l’"oltre" scalpita in me), ma mi trasmette emozione a fiumi. Mi sa che alla Bionda delle mie tre Ragazze neanche lo dico, lascio che lo scopra da sè leggendo questo post e le venga un coccolone, da appassionata di fotografia qual è (diamole merito: i due alberi sardi, abbracciati in una immobile fuga, che avevo inserito sotto all'"Omaggio ad Armando Cheri", in Novembre 2012, sono suoi). E tra un paio di settimane questo ragazzo che si è rimesso in gioco a quasi quarant’anni, forse perché anche lui ha letto un "oltre" dai miei Scuffi appesi in ufficio, lavorerà per me. Accidenti, mi si apre un mondo!
Infatti stamattina presto, domenica, mentre il condominio era immerso nelle ultime ore di silenzio, ho battuto pian pianino la spalla di mio marito e gli ho detto: "Amore, mi alzo, non ti preoccupare se non mi vedi". Lui ha bofonchiato parole insonnolite sul fatto se stavo bene, o se mi era successo qualcosa, e io serafica gli ho risposto: "E’ tutto a posto, mi è arrivato un incipit", con la stessa flemma con cui gli avrei detto – se del caso – che dovevo andare al bagno o che avevo sete e andavo a bere un bicchier d’acqua. Perché mi ero svegliata, improvvisamente, con "Oltre è il mio avverbio" che mi pulsava nelle tempie, e dovevo solo alzarmi, sgusciando giù, fuori dal piumone caldo, accendere il computer e lasciare aperto il rubinetto. Così mi succede, quando la scrittura bussa. Non devo fare altro. E’ la cosa più bella e naturale che possa capitarmi. Mio marito ha sorriso nel sonno e si è girato dall’altra parte, perché sa che quando mi arriva un incipit la positività dilaga tutt’intorno. Per giorni.




I miei abituali quattro gatti di pubblicità per Giovanni Pasinato, che attualmente è a quindici ore di volo da qui, e non sa ancora che l'ho beccato "oltre". Quindicimila chilometri di fotografie, mentre Trecose abbatte sussurrando il muro dei diecimila contatti: grazie!



venerdì 8 marzo 2013

Talento e merito

(Per chi bazzica spesso Trecose questo post non è nuovo. Vero: era il secondo di Febbraio. Ma la vita tende a fare così, spariglia le carte, sovverte l'ordine delle cose. La spiegazione del perchè è rispuntato fuori qui, oggi, sta nel post di sotto. Perchè quando la vita mi fa strani scherzi io così reagisco: sparigliando e sovvertendo anche io. Poi, qualcosa succede sempre).

Poche settimane fa, durante una riunione fra amici a scopo affaristico, mi sono beccata della comunista perchè - in teoria - non meritocratica. Non dovrei toccare certi argomenti in quanto pericolosi e forieri di rotture di amicizie e/o legami, soprattutto in clima di campagna elettorale, ma è necessario precisare che sentirmi dare della comunista è per me offesa grave, potrei reagire malamente (non ho tirato una sberla a chi mi ha apostrofato così solo per il bene che gli voglio, e perchè tutto sommato so che non lo pensa davvero).
Io sono la quintessenza della meritocrazia! Ammiro sconfinatamente chi, partendo da zero o con possibilità limitate, riesce realmente a costruire qualcosa, a cambiarsi la vita da solo, a raggiungere i propri obiettivi (che sia attraverso lo studio, l'impegno, le capacità, il talento, il sacrificio, un'idea giusta, un salto nel buio fatto con gli attributi... o per un insieme di tutte queste cose). Ammiro, non invidio; e credo sia giusto che gente così sia "premiata" dalla vita - in termini di successo, di benessere anche e soprattutto economico, di felicità, di quello che essi stessi desiderano come cosa buona e giusta (fosse anche solo una bella famiglia e la salute, del resto come ognuno ha i propri obiettivi ha poi anche i propri desiderata) - rispetto a chi se ne sta seduto con le mani in tasca ad aspettare che gli cadano davanti ora il cibo, ora un posto di lavoro (un posto, non necessariamente un lavoro), ora un tetto.
Io stessa, nel mio piccolo, mi sono messa in gioco parecchie volte: nella vita, andando fuori di casa presto, con l'alibi del fidanzato e del matrimonio in vista, e poi - spariti dalla vista, volontariamente, fidanzato e matrimonio - tirandomi su da sola in una città che non era la mia, con uno stipendio non propriamente faraonico (diciamo che, tolto l'affitto e le bollette, dovevo scegliere se pranzare o cenare, ma tutto sommato non è mai così difficile rimediare una cena...). Nel lavoro, qui in gioco ci si mette tutti i giorni, visto che sono tre anni che non faccio ferie e se l’impegno sgarra un solo giorno mi mangiano viva. Penso, sempre nel mio piccolo (dopo tutto sono figlia di persone normali con vite normali in posti normali), di aver spremuto al massimo ogni briciola di quei "talenti" (evangelicamente parlando) che la mia famiglia mi aveva dato: lo studio, dei valori, una bella testa funzionante.
Anzi, sono talmente convinta che la meritocrazia debba essere il motore del mondo al punto che mi urta nel profondo vedere fior fiori di aziende che finiscono in mano a seconde o terze generazioni di incapaci, che le distruggono nel giro di pochi anni, oppure figli-di-papà completamente ebeti che occupano posti-chiave o ruoli di rilievo, o ancora interi patrimoni di cultura che piovono in testa a chi non ha la minima sensibilità di capire cos'ha in mano. Io, utopisticamente potendo, addirittura azzererei tutto alla fine di ogni generazione: tutti partiamo uguali, con le stesse possibilità, la stessa preparazione, le stesse capacità, e poi ce la giochiamo. Voglio vedere dove arrivo io e dove arriva certa altra gente. Senza fare nomi.
Perchè questa premessina tipica delle mie (a parte mettere i puntini sulle i dei comunisti). Perchè volevo introdurre un discorso che mi sale impetuoso dal cuore e riguarda, tanto per cambiare, un membro della famiglia Orler. Sono stata a teatro a vedere il musical "Titanic": io adoro il musical, già mi piace il teatro del suo (intendo anche il teatro di prosa impegnata, quei lunghi monologhi nella penombra davanti ai quali molti miei conoscenti preferirebbero spararsi in bocca; ne adoro l'aria, i respiri, la simbiosi che sento con chi lo vive), figuriamoci se ci aggiungiamo un po' di divertimento, belle canzoni e quattro salti. Non avevo mai assistito ad un musical dal vivo (solo gran televisione e/o filmati) perchè essendo una fissata della condivisione se ci devo andare da sola parto già demoralizzata, e mio marito credo preferirebbe di gran lunga scaricare quaranta bancali di tappeti piuttosto che portarmi a vedere un musical (almeno con i lunghi monologhi ci dorme). Ma ringraziando il cielo Dio ha creato Giuseppe Orler e il suo cuore d'oro, e, quando "Titanic" ha fatto tappa a Padova, Giuseppe ha buttato su una mezza corriera di aficionados per sostenere la tifoseria di suo figlio Antonio.
Ed ecco l'aggancio alla meritocrazia: Antonio Orler. E' bravissimo, canta, balla, recita, ed è anche bello come il sole; lo posso dire senza timore di suscitare sorrisetti visto che in quanto ad età potrei essere tranquillamente sua mamma. Per la cronaca, tra i numerosi lavoretti da me svolti in età adolescenziale, per arrotondare le finanze pressochè nulle date dalla mia succitata famiglia normale, ci sono stati interi stuoli di pargoli a cui ho fatto da baby-sitter: dal neonato di due giorni al discolo da scuola elementare (i miei genitori hanno iniziato quando avevo sei anni il Cammino Neocatecumenale, e chi sa cos'è capisce bene che la baby-sitter diventa ben presto una figura molto richiesta, dagli interi weekend di convivenza alle sei di mattina per le lodi quaresimali). Quindi lo spartiacque che fa sì che io possa guardare con occhio concupiscente un ragazzo più giovane di me sta nella forbice dei sedici-massimo-diciassette anni in meno, ma guai di più: non potrei sopportare l'immagine di fare chissà cosa con qualcuno a cui avrei potuto potenzialmente cambiare il pannolino. Su tutta questa pletora di quaranta-cinquantenni palestratissime con toy-boy incorporato ho una sola certezza: nessuna di loro ha mai sbracciolato un neonato altrui, urlante ed odoroso, dai sedici anni in su.
Dall'alto dei miei ventitrè anni in più quindi posso ufficialmente dire: Antonio è fighissimo. Alto e col fisico giusto (e su questo ha preso dal papà), con un viso che è un’intera stella dolce ed un sorriso sputato sputato a quello della mamma (per chi non conosce la Rosi basti sapere che quando sorride illumina tutt'intorno nel raggio di venti metri). Ed è anche bravo, spigliato, con una bella voce calda che sta trovando la sua strada, senza quelle impostazioni troppo esagerate che fanno solo ridere, una voce molto molto "sua". Il punto è che ha fatto tutto da solo, per quanto ne so, studiando sodo, lavorando tanto, passo dopo passo senza mai tentare scorciatoie, e credendoci sempre. E non è mica semplice, se vieni da un paesino del cavolo alle propaggini della campagna veneta, senza raccomandazioni particolari. E' come per le modelle, restando in ambiente "spettacolo": a parità di bellezza, di fisico, di volto, di sguardi, per certo ha la strada più facile una che nasce e cresce a Milano centro, e magari ha l'amico della zia che conosce il Tal dei Tali, oppure nella Roma bene e con un cognome conosciuto, piuttosto che l'anonima fanciulla residente a Bojon di Campolongo Maggiore (nome effettivamente esistente di frazione di paese dell'entroterra veneziano). Per non parlare della differenza che sta tra il figlio dell'industriale un-giorno-tutto-questo-sarà-tuo, che sia pur anche sveglio e intelligente, ed il figlio - ugualmente intelligente e sveglio - del muratore che a quattordici anni viene messo in cantiere a tirar tubi, con buona pace di qualunque sogno (ogni riferimento non è casuale).
Mi piace la meritocrazia! Mi piace quando chi ha talento ce la fa! Alla faccia: talento vero, capacità vera, passione vera, non agganci. Soprattutto, non televisione commerciale strafinta, dove se hai lo sponsor giusto puoi dire a tutti che sai cantare quando in verità forse sai modulare appena appena dignitosamente una singola strofa di una sola specifica canzone (e se ti cambiano testo vai nel panico). Tu interpreta con l'anima oltre che con le corde vocali, tu vivi quello che canti, tu mettici la tua, di voce, senza scimmiottare chi è venuto anni prima di te, e solo allora per me sarai "cantante".
Lo spettacolo, giusto perchè era la mia prima volta ad un musical, mi è piaciuto e mi ha emozionato a livelli quasi di guardia (da lacrime o urletti), ma credo sarebbe stato così in ogni caso, se non altro per il contesto.
A mente più fredda, visto che ad un'assicuratrice è concessa un po' di libertà in più rispetto a chi scrive di queste cose per lavoro (e deve stare attento a non pestare i piedi a nessuno, soprattutto magari/forse a chi-ha-messo-una-buona-parola-per), direi che il protagonista/biondo/belloccio (io, giusto per precisare, adoro solo ed esclusivamente gli uomini MORI, al limite i brizzolati o i calvi con l'occhio giusto, ma i biondi no, non mi dicono niente) è un po' troppo osannato, mi è sembrata parecchio più in gamba la sua spalla (il ricciolino che fa l'irlandese) nonostante abbia un ruolo che ne fa, per personaggio e movenze, quasi un piccolo clown. Non c'è per niente feeling tra i due protagonisti principali lui/lei, teoricamente innamorati persi: si baciano e si abbracciano con la stessa enfasi con cui si stringerebbero ad un quarto di bue appeso nella cella frigo di una macelleria, e questo il pubblico credo lo colga. Comunque sono problemi loro. Alla scena in cui lui resta a torso nudo un gruppo di ragazzine alle mie spalle ha dato di matto, mentre io avrei preferito sporgergli una coperta come ad un terremotato in tenda (se lo facesse Antonio Orler mi sa che invece tirerebbero giù il teatro ad urli anche le signore).
Grandissimi invece gli attori più "in età", tutti, senza distinzione.
Ma comunque a teatro ci si va per emozionarsi, e non per criticare, e io mi sono emozionata al punto da sventolare modello bandiera la maglietta dell'Antonio Orler Fans Club durante l'applausometro finale; del resto, ero lì in veste di accompagnatrice/autista ufficiale del Presidente del Club, ci mancava solo che non mi procurasse una maglietta.
Una serata da ricordare, davvero, che rientra nel clima di "magia Orler" che tutti loro riescono sempre a farmi provare, comunque la si guardi, Sebastiano compreso. Anzi, visto che Antonio è il sostituto ufficiale per cartellone del protagonista, quasi quasi mando al belloccio biondo il mio Angelo Custode cazzutissimo per un paio di date. Non si sa mai, con questi freddi l'influenza intestinale è una gran brutta bestia. Ti incolla al bagno per serate intere.

Vita in stand-by

A fine Dicembre, e a dire il vero anche in Gennaio, mi ero riproposta di scrivere "meno e meglio", magari un paio di post al mese, senza cadere nella bulimia, senza divorare l'intero vasetto di Nutella appena aperto. Ma io vivo di emozioni, e soprattutto (ora mi è chiaro più che mai) scrivo di emozioni: quando me ne capitano tante mi attacco alla tastiera e apro le chiuse alla diga. Esco fuori tutta, posso scorrere come un ruscello montano, saltellante limpido tra i sassi, o travolgere come un fiume in piena, ma per certo non riesco a trattenermi.
Febbraio è stato così: una serie infinita di emozioni - tante, forti, alcune molto belle ed altre bruttissime - che hanno dato vita ad un accavallamento di post, spostando sempre più indietro, com'è tipico dell'ordine cronologico inverso dei blog, inesorabile calendario, il post "Talento e merito", che avevo scritto dopo la sera del primo di Febbraio. Oggi ho quindi deciso di fare un esperimento: l'ho cancellato da dov'era, quel post, e lo voglio rimettere fuori qua sopra. In primis perchè mi era uscito particolarmente bene, si vede nettamente che era stata una bella serata. I miei pezzi migliori (e mica solo i post di Trecose, anche altri brani, racconti scritti nel tempo, anche i temi a scuola) sono sempre stati legati a momenti emotivi molto forti; non dico che io non riesca a scrivere semplicemente per il gusto di farlo, semplicemente per esercizio di stile, semplicemente per vedere se posso scrivere anche quando non ne ho gran voglia (e a dirla tutta sono le volte in cui sono curiosa di vedere cosa ne viene fuori, mi piace mettermi alla prova). L'ho fatto in passato, sia in conto proprio che in conto terzi, come i trasporti con gli autocarri. E non tutto era da buttare, anzi. Ma quello che viene fuori da una spremuta emotiva (testa, cuore, pancia, occhi, anima...) ha una marcia in più. Devo dire che quella sera, un venerdì, ora come ora è l'ultima sera di spensieratezza vera e profonda che io ricordi oggi, a distanza di oltre un mese.
Infatti, il lunedì subito dopo il mio collaboratore si è dimesso, come ho già avuto modo di raccontare, causandomi una valanga di problemi presenti e futuri. A dirla tutta, ho nel frattempo scoperto che la scelta era programmata già da un pezzetto, non è stata per niente un'offerta stratosferica ed estemporanea, ma quando vuoi bene a qualcuno sono cose che rifiuti di vedere. E gli dovrò anche pagare la liquidazione, spallata finale che ha fatto saltare altri miei ben più interessanti progetti, per i quali avevo dato la mia parola, sempre una e sola.
Nel mio lavoro come ci si comporta in questi casi: si chiama la Direzione Commerciale, si spiega il problema, e si fa un accordo per poter scontare più del normale le Polizze, onde evitare di perderle. A me è stato detto questo: "Certo, certo, adesso lo facciamo subito, guardi, ci prepari un bel file excel con tutte le Polizze che lei ritiene minacciate, anzi adesso veniamo lì così prepariamo un piano d'azione, magari le diamo anche una mano per trovare un nuovo collaboratore cazzutissimo... ah, no, un momento, ma lei è quella che non vende le Polizze Vita Miste? Allora scusi, no, non facciamo niente, si deve arrangiare, saluti e ci stia bene". Giusto per capirsi, cari assicurati e cari consumatori, cosa contate voi per le Compagnie di Assicurazione: un emerito tubo. Come noi Agenti, del resto. Tutte pedine di scambio. Io ripeto il mio consiglio: trovatevi un Agente serio, di cui vi fidate, e non guardate troppo solo al prezzo finale, perchè con quello - e con la vostra pelle, e con i vostri risparmi - le Compagnie ci giocano a freccette. Per la mia sorte, ad esempio, ora attendono che io salti per poi accorparmi a qualche altro Collega con le stesse difficoltà (chissà chi, chissà dove, come se costituire una Società con uno sconosciuto fosse la cosa più normale dell’universo). Quindi sto vivendo settimane pesantucce, è come se mi avessero spedito in barca a remi contro una corazzata. Certo, se credono che io mi spezzi per questo, possono aspettare seduti sulla sponda del fiume per l'eternità, ci mancherebbe. Però a causa di questo, di un surplus di lavoro, di impegni, di pensieri, ho giocoforza messo in stand-by la mia parte emotiva.
Confessione per confessione, ci sono stati anche un paio di episodi, lo scorso mese, che mi hanno iniettato una dose di anestetico di quelle che farebbero stramazzare un elefante: errori causati da stanchezza, da parole di troppo, da stupide incomprensioni, ma è come se la capacità di "vivere" si fosse momentaneamente allontanata da me. Sottolineo momentaneamente, perchè non posso pensare altrimenti, ma devo ammettere che siamo alla calma piatta. Anche l'ultimo Evento Orler, meraviglioso come sempre (a proposito, giusto per un'indicazione tecnica: bellissima l'idea delle luci basse, e anche del velluto alle pareti), con tutte le persone a cui voglio più bene, a cui sono andata tappatissima da non sembrare neanche io, col plateau tacco dodici e le parigine con i fiocchetti, per capirsi. Più di qualcuno mi ha coccolato come una star, e io dentro avevo mare a forza zero. Una sorta di palude. Calma piatta, come fissare una bottiglia d'olio su uno scaffale.
Un paio di mesi fa un Amico Lungimirante mi aveva raccomandato "Vivi!", e io l'avevo preso molto sul serio, devo dire. Vivi, vivi, vivi. Ma se è la vita che ti evita, hai poco da fare. Se l'arte si allontana (con tutti i tuoi progetti e i tuoi entusiasmi), e gli uomini pure (le amicizie si raffreddano, le persone cambiano), bisogna accontentarsi delle assicurazioni, anche se da sole sono due palle.
E allora lo accetto, con fatalismo, questo periodo di sfiga totale, mica mi frega, l'aspetto io la vita, seduta sulla sponda del fiume, a mia volta. Del resto, cosa posso fare, mica posso sopprimere Paperino per evitare il contagio. Arriverà nuovamente, l'ondata di piena. Tornerà, la pioggia di emozioni. Eccome. Ma visto che per ora latita (la bastarda, fa anche capolino giusto per farsi desiderare e poi ti lascia a bocca asciutta), mi sa tanto che mi zittisco per un po'. E' inutile che mi sforzi per niente. Lascio il post su Antonio Orler come ultimo, così chi bussa a Trecose ed entra se lo trova davanti e se lo guarda, bello di mamma sua, anche se il resto della casa è malinconicamente immerso in una mezza penombra che fa tanto ospedale durante l'ora del sonnellino pomeridiano auto-inflitto. Quando riprenderò ad emozionarmi - QUANDO, non SE - quando avrò tempo, e modo, e voglia, e possibilità, e occasione, di VIVERE, allora scriverò ancora. Per me sola, perchè è una delle cose che amo fare stratosfericamente, e per condividerlo, perchè la vita a quello porta, se è vita VERA. E la mia lo è.