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domenica 3 maggio 2015

Ricordando Licata (un Maestro che non c'è più)

Sono tante, davvero. Parlo delle cose che mi mancano in questo periodo della mia vita, in questi mesi.
Mi manca quell'idea di avere del tempo per me, del tempo in più che mi avanzi, da impiegare per leggere, scrivere, o anche semplicemente riposare e non fare assolutamente niente. L'IDEA di tempo, chiaramente, perchè di tempo vero non è che ne avessi molto da buttare neanche prima, ma l'idea di averne c'era sempre, sottostante, viva, costante: l'attendevo, la coltivavo, ed era rassicurante come la cioccolata. Arrivava all'improvviso, e mi ritrovavo assonnata, oppure al computer, o in un Palazzo museale. Ora, invece, è un susseguirsi di no, no, no.
Mi manca gente che non sia incazzata su tutto, mi manca poter chiacchierare in ufficio, o al bar, o nell'androne del condominio, solo per il gusto di farlo, senza che ciascuno ti travasi addosso le proprie ansie, le proprie frustrazioni, e le proprie maleducazioni, anche e soprattutto. Per la strada, in autobus, in treno, in automobile.
Mi mancano alcune cose: aprire il computer alla mattina, in ufficio, e trovare tre-quattro mail utili ed importanti, con richieste significative e precise, a cui rispondere con la giusta e debita attenzione. Invece ce ne sono mediamente trenta, e ben più della metà sarebbero da cestinare senza degnarle nemmeno di un attimo di vita, mentre io mi ostino, al limite della perversione, a volerle riscontrare  tutte, anche quelle inutili, anche chi ti fa richieste delle quali sa già benissimo che non ascolterà le risposte (evidentemente c'è chi si sente importante solo per il fatto di saper USARE la posta elettronica), risposte che - a volte - non si  possono limitare ad un sì o un no, ma richiedono un discorso ben più articolato e complesso, considerando che sono scritte, e carta canta, anche se virtuale. Bastardi, voi e le vostre mail di cui fate raccolta come con le figurine dei calciatori, senza magari ricordarvi com'è che si saluta, si abbraccia.
Mi manca andare al ristorante e trovarlo sempre lì, il MIO ristorante, non chiuso e/o ceduto a un franchising di chissà dove che vende chissà cosa. 
Certo, più di ogni altra cosa mi mancano le persone: persone in generale, persone che sorridano, che parlino quando hanno qualcosa di interessante da dire (un discorso profondo e appassionato, basato su solidi studi, ma anche faceto, perchè no, purchè sia ben raccontato) e non solo perchè sono dotate di corde vocali funzionanti, persone che mantengano la parola data, persone che non raccontino bugie. 
E persone in particolare, persone che non ci sono più.
Mi accorgo, ogni tanto, quando a casa gli passo davanti (cioè spesso, visto che sta in un punto di passaggio, e ce l'ho messo apposta), di quanto mi manchi Riccardo Licata. Mica che lo frequentassi di persona, è un po' come per il tempo: mi manca l'IDEA di lui, l'idea che ci sia, da qualche parte, a riempire il mio mondo con quei suoi segni misteriosi. L'idea di saperlo, comunque già anziano e incanutito, a spasso per le calli di Venezia (perchè lui era così, la incarnava, l'essenza sospesa e fuori di ogni tempo di Venezia), girovagando senza un motivo preciso, solo per assorbirne l'aria e lo spirito, per farsela scivolare dentro come una pennellata acquosa, per poi sbucare improvvisamente nella maestosità del Bacino di San Marco, e sedersi lì, in un posto defilato, estrarre un paio di fogli di carta grossa e porosa, le boccettine di colore come la botticella di un placido San Bernardo, di quelli che portano la salvezza nella neve, a completare la sua muta partitura. 
Mi manca l'idea di rivederlo, in qualche Fiera, come era accaduto più volte: l'ultima in una Bologna di un paio d'anni fa, mi era passato davanti proprio all'ingresso, entrando nel padiglione di sinistra, con quel suo passo incerto ma spedito (piccoli passi rapidi e vicini, con l'aiuto del bastone, un lieve trotterellare sghembo che sembrava quasi un levitare a tre centimetri dal pavimento), e io l'avevo salutato con un sonoro "Buongiorno Maestro Licata!", al che lui aveva risposto con un altrettanto sonoro "Buongiorno mia cara signora!". Proprio così: non il sorriso generico, con lieve cenno del capo, dei pittori che un po' se la tirano, e gongolano dell'essere stati sonoramente riconosciuti in mezzo al mucchio, che di solito popolano le Fiere (neanche considero, volutamente, quelli che danno per scontato che la tua attitudine debba essere per scelta divina il distendersi ai loro piedi srotolando la lingua a mo' di tappeto, rosa. Quelli che neanche sorridono genericamente, e non muovono il collo, o alzano il sopracciglio. Quelli di cui dimenticare l'esistenza, insomma). 
Aveva detto mia-cara-signora. Era bellissimo. Mi sa tanto che l'aveva capito al volo, che sono nata a Venezia. 
"Mia", perchè si sa, un dipinto di Licata in casa ti rende suo, sul serio. Un legame che non si rompe, si rafforza ogni giorno che passi a scrutarlo e ad interpretarlo. A parlarci, o a cantarci insieme, visto che recentemente ho sentito Giovanni Faccenda dire che le rune incise e graffiate di Licata in realtà sono come note musicali, colori e forme che compongono uno spartito, ed è un'interpretazione commovente. Non so se sia vero che gliel'abbia detto lui di persona, si sa, Giovanni a volte esagera un pochino con gli aneddoti e le parole di riporto degli artisti, e visto che è persona intelligente sta sempre bene attento a farlo con artisti rigorosamente morti, che quindi difficilmente si prenderanno la briga di smentire ciò che lui racconta; non per niente si è beccato da un assiduo telespettatore Orler l'affettuoso soprannome di MEDIUM (medium di razza aggiungerei, visto che sapendo che è nato nel mio stesso glorioso anno e facendo quattro conti a spanne, in alcuni casi racconta di essersi trovato a pranzo o a cena con artisti affermati quand'era più o meno quindicenne). Non ha importanza: foss'anche un'idea di Giovanni - nata da uno dei suoi studi piuttosto che desunta da letture - e non reale confidenza, Licata l'avrebbe sicuramente apprezzata, come apprezzava la musica in tutte le sue forme. Viveva di musica, in un certo qual modo, come di pittura (io, che respiro e vivo di linguaggio in ogni sua espressione, che ne sono e ne sarò sempre affascinata, preferisco continuare a decodificare i suoi simboli in parole; ma anche immaginare il Maestro dietro ad un'orchestra, con il pennello che segue fluido il susseguirsi di note cristalline, mi riempie il cuore di poesia: un direttore-ombra, pure lui). 
"Cara", perchè sì. Non lo conoscevi, ma gli eri caro, e lui a te. Solo perchè eri lì, segno che c'era, a prescindere, una passione per la bellezza, per l'arte, una ricerca comune. La sua, chiaramente, iniziata molti anni prima, e sviluppata, riconosciuta, progredita come un murale che si snoda e sorprende, come una strada lastricata che si ricopre di tasselli, fitta fitta, come i suoi mosaici. La tua, a bocca aperta, dietro, in costante ammirazione. Un solo altro pittore mi ha fatto e mi fa, negli anni e nelle Fiere, lo stesso effetto da "mio caro", ed è Tino Stefanoni. Un altro che risponde sempre ai saluti degli emeriti sconosciuti con gentilezza innata, con garbo, con affetto, senza mai stancarsi. 
E poi "Signora", perchè in fondo lo sono, e uno come Licata, gran signore pure lui, queste cose le vedeva. E' un approcciare diverso, rivolgersi alle persone con "signora" e "signore", così antico forse, ma ricco di significato. Io lo preferisco in senso assoluto, anche al più deferente "dottoressa" con cui spesso mi chiamano in ufficio, e che sotto sotto per me non sa di niente, è solo una firma su un pezzo di carta, non mi rende migliore come persona e nemmeno più brava come professionista. Ero tanto più giovane, ai miei esordi in Agenzia, e mi ero rivolta con "signore" ad un Cliente arrabbiato, che per tutta risposta mi aveva sottolineato che era "dottore" e ne gradiva la deferenza; e io, che ero sbarbina ma già - se tanto mi dà tanto - "dottoressa" anch'io, gli avevo risposto che l'avrei chiamato dottore più che volentieri, visto che di essere chiamato signore (che è sicuramente di più!) non lo meritava affatto. Figuriamoci, nella mia famiglia contiamo fior fiore di laureati risalendo oltre i bisnonni (e si parla di metà Ottocento), ti pare che mi faccio intimidire da un pezzo di carta. Signore è un modo di essere, un modo di vivere, e Licata lo era, signore e Maestro, avvolto in quella barba da Babbo Natale sotto due occhi furbi e pieni di dolcezza. Occhi che hanno visto tanto, e compreso tanto.
Mio caro signore, sei stato un grandissimo. Ti ho accompagnato di recente a Firenze, perchè quel drittone di Franco Ristori ha voluto ospitarti nella sua Bottega in occasione di una delle sue Serate, per far cantare con te anche un pezzetto di Toscana. Io te l'avevo detto che la Bottega è piccina, a volte tutte quelle opere strette alle pareti possono spaventare per troppa bellezza, è uno stordimento senz'aria, soprattutto se non ci si è abituati. Quanto mi ha colpito dentro vedere questi visi, questi occhi che da qualche tempo ho imparato a frequentare, guardarti e non capirti, accidenti! Visi dubbiosi, bocche tirate. Ho sempre inteso la Toscana (con la Sicilia, in verità) la culla dell'arte in Italia, la culla di chi vive e respira l'arte più somma fin dalle scuole elementari, e invece sono ancora fermi ai cipressini e alle casette. Forse è perchè hanno avuto la fortuna di possedere tutto il meglio del "classico", dal Cinquecento in poi, e fanno più fatica a concepire che ci possa essere ALTRO altrettanto potente.  
Non ti offendere se c'è stato chi ha chiesto se "il pittore era presente per farsi una foto assieme", e nemmeno per quella tipa anziana che scuoteva la testa dicendo "è una pittura troppo moderna, io non li capisco questi pittori giovani", prendilo come un complimento e ridici sopra da lassù, assieme a Capogrossi, di cui sei erede di diritto, insieme a Scanavino, che era praticamente tuo coetaneo ma se ne è andato ben prima di te. Maestri tutti del segno, del simbolo, della scrittura celata sotto un gesto, sotto un graffio, solcata sopra un lago di colore, piuttosto che lasciata nitida, sopra una superficie intonsa. 
Lo sai che poi, alla fine, in qualcuno la scintilla è scattata, e ora tu ci sei, in più di una casa, a Firenze, e mica solo perchè è bene averti, in senso economico, per le tue certe future rivalutazioni (conservandoti nascosto in un armadio, sotto ai cipressi, come ho supplicato di fare almeno ad un paio di presenti che conosco, perchè ne sono convinta, del tuo immenso valore). Ci sono stati dei "miei cari signori" che ti hanno ascoltato e capito, rapiti anch'essi dal tuo messaggio, dalla tua astrazione. Che ti porranno a vista, in luoghi di passaggio, e parleranno con te, come faccio io. Osserveranno prima gli strati di colore, densi, graffiati via, scavati, esplosivi; e impareranno poi a decifrare i tuoi simboli ricorrenti, le rune primordiali che permettono un'unica comprensione, che sconfiggono Babele, che rappresentano una scrittura universale che non ha bisogno di latitudini e longitudini: sono arte pura. 
E, un po' alla volta, sentiranno anche loro la tua mancanza in un'Italia impoverita.

2 commenti:

  1. Ciao!! Non ritrovo più il mio ultimo commento, quindi colgo l'occasione di questo post dedicato al grande Licata per riscrivere! A proposito, non sapevo della sua scomparsa; un Maestro a tutto tondo, rivedo spesso su Orler TV lo speciale che gli dedicarono, con quella bellissima immagine finale del tramonto con la coppa gelato! Ho visto che hai ripreso a scrivere, molto bene. Io negli ultimi giorni mi sono andato a rileggere quei forum dedicati alle televendite, in particolare lo spassoso episodio di Catone "egizio" (li ha asfaltati per bene e si è mostrato un gran signore!! Mitico!), e poi tutti quei commenti sarcastici sulle aste record del sommo artista pittore maestro torinese/campano!! Ihih... E poi mi sono iscritto al sito di ArtStack (che è anche un'applicazione per cellulari, un po' come instagram), che ti consiglio caldamente. Funziona che tu crei un profilo (collezionista, artista o gallerista) e poi crei delle gallerie di immagini di opere d'arte, così facendo si possono condividere i propri dipinti, o gestire una collezione "dei sogni" virtuale, con chi ha gli stessi tuoi interessi. Lo trovo molto bello e piuttosto serio, credo che il mondo dell'Arte abbia bisogno di queste piattaforme, pensa anche solo un artista che vuole crescere e farsi conoscere, senza passare da una galleria ma rivolgendosi direttamente al pubblico e quindi all'ipotetico acquirente finale. Ti ho vista su YouTube; molto interessante quel pittore, mi piace il suo stile e il modo in cui inquadra le metropoli. A me ultimamente sta piacendo sempre di più Gusmaroli, sono anche tentato dall'acquisto di una sua opera. È relativamente giovane ma è riuscito a creare un segno, un'icona riconoscibilissima, e di 'sti tempi vuol dire tanto. Tu che ne pensi? Ciao e grazie, con calma mi sto leggendo tutti i tuoi post. Fabio

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    1. Caro Fabietto, grazie per avermi ritrovato! Il tuo accenno ad ArtStack mi sembra interessantissimo, proverò a curiosare anche se la mia avversione innata (nonchè imbranataggine totale) per la tecnologia è risaputa fin nei luoghi più reconditi del Globo... tanto per dire, non ho le idee chiare neanche su cosa sia "Istagram", anche se vado per deduzione... che frana che sono, eh?
      Argomento "Gusmaroli": concordo assolutamente con te, ha di certo un'impronta precisa e ben riconoscibile, senz'altro originale (l'ho anche conosciuto di persona, è davvero gradevole e interessante). Ma mi piace? Mah, insomma, così così... Ammiro come si è costruito un suo spazio, questo sì, ma probabilmente sono troppo tradizionalista: pittura, pittura, pittura!
      A presto.

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