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martedì 13 novembre 2012

Celebrazione

Non sono mai stata così ricca dentro da quando sono diventata povera fuori! Intendo – visto che dire “povera” in una situazione come la mia, comunque libera professionista con entrate sommariamente interessanti e soprattutto abbastanza sicure, è un insulto alla povertà vera - intendo senza uno straccio di centesimo da parte. Famiglia monoauto. Con mutuo che terminerà quando sarò già in pensione, forse (forse la pensione, non la fine del mutuo). Tutto ciò che entra esce per l’arte, niente di nuovo sotto il sole; ma ripeto che lo rifarei, daccapo, senza il minimo dubbio, perché mi fa stare bene con me stessa e con il mondo. E, ne sono sicura, fa di me una persona migliore.
Un nuovo Speciale Orler per Marcello Scuffi; vi avevo invitato, avete volato con me? Giornata di risa e lacrime, che mi ha fatto tra l’altro capire una cosa fondamentale, mi ha chiarito un piccolo dubbio che mi rosicava da quando avevo scritto il brano “Emozioni condivise” per il Catalogo Mondadori. Io infatti mi chiedevo: ma questi grandi nomi, la Somma Acidini, il Professor Zecchi, Giovanni Faccenda e tutta la crème-de-la-crème, come fanno a scrivere tre, quattro, dieci volte delle stesse persone, degli stessi artisti, delle stesse cose?! Come fanno a non ripetersi? Come fanno a restare “veri” affrontando, bene o male suvvia, sempre lo stesso argomento? Io non ci riuscirei mai… Quel che ho detto su Scuffi, qui nel blog ed anche su carta, mica lo posso voltare e girare dieci volte, l’emozione è sempre quella, cosa ci posso aggiungere? Mi dicevo. Ma mi sbagliavo, e adesso faccio ammenda davanti a tutti.
Intanto c’è da fare una premessa: dipende dall’artista, eh! Perché è ovvio che se uno deve scrivere di un “artista” che fa sempre la stessa roba, identica anno dopo anno, magari – sparo a caso - cappuccino e biscotti versati così come sono su una tela ed incorniciati ancora caldi, capisco bene che scriverci qualcosina di nuovo diventi problematico. O forse no, basterebbe affrontare un discorso sulla profondità concettuale dell’”alba del giorno”, “vitale come l’energia”, ma nel contempo con la “cupezza dell’imbrunire” (del resto, il cappuccino che sbrodola è marrone) e ci riempi subito una bella cartella. Ma la riempi di schifezze, si vede bene che è puro esercizio di vocabolario, di aggettivi ed avverbi, ce la fa anche la sottoscritta (ho virgolettato, ma è roba inventata di sana pianta adesso da me). E difatti la crème non scrive di cappuccini (la piramide, in cima, è stretta!).
Marcello Scuffi invece si sta evolvendo, quindi lo si può osservare e descrivere con anima rinnovata; si sta raffinando come un gioiello raro, forgiato a mano in un crogiolo: smettiamo di guardare COSA dipinge, guardiamo COME dipinge. Perchè chiediamo ancora il Circo, o la Piazza d'acqua? Non c'è più differenza: l'aia ed il mare scompaiono, sono un unico specchio. Guardiamo come riesce, con una sola linea ed una sola barca, a riempire una superficie intera di sentimento. Con una sola arcata, a farti respirare malinconia. A farti annusare il mare. A farti sentire come dentro una chiesa, con la stessa muta devozione.
Sta diventando sempre più definitivamente "Scuffi", non si rifà ad alcuno, non vediamo più citazioni dei suoi eccellenti Maestri: è lui, lui solo. Ed è tanto merito suo, ed un po’ anche merito nostro, di chi lo ama, lo segue e lo incoraggia, rendendolo quindi più sicuro di sé e dei suoi mezzi, portandolo all’attenzione di chi, appunto, scrive al vertice, e dice di no ai cappuccini con i biscotti, a parte al bar.
Poi, dipende da chi c’è dietro l’artista. E gli Orler, tutti loro e chi con loro collabora, sanno fare la differenza, anche nelle emozioni, e qui l’ammenda diventa ingente. Credevo di averne vissute, di dirette Orler, di aver fatto già il pieno di emozioni irripetibili, ed invece riescono a sorprendermi sempre. Riescono a fare in modo che l’emozione sia ogni volta nuova e diversa, cosicché scriverne ancora (e ancora) riesce facile e spontaneo come un abbraccio. Non siamo ipocriti, dagli Orler si vendono quadri, c’è una scaletta da seguire, tempi da rispettare, prezzi da applicare. C’è gente che ci deve mangiare ogni mese, con questo lavoro. Ma se vedi Dario Olivi che, in tre ore di diretta, non prende in mano neanche una volta la cartelletta da venditore (quella del gelo dei numeri: le misure, il costo, il cartellino di riferimento, quella che io detesto veder sbandierare perchè uccide il cuore), ed unisce all’usuale professionalità un fervore da predicatore “black”; se vedi Giuseppe Orler che, pur restando la praticità fatta persona (poche chiacchiere con Giuseppe…), si aggira lieve per gli studi, quasi temendo di spezzare la sacralità dell’atmosfera, e dirige le operazioni con la soavità con cui si dirige un coro; se vedi spettatori che trattengono il fiato, e Lia Scuffi piangere davanti alle immagini di quel compagno di un’intera vita arrivato dove meritava con l’umiltà del primo giorno… capisci che non è più una televendita, è una celebrazione. E io di Messe me ne intendo!
Rivediamola tutta così, questa mattinata memorabile, in onore di un toscano puro che dal seminario ha voluto fuggire, ma che ne rivive paradossalmente ancora i lenti gesti, in un gioco di opposti che profuma di sigaro ed incenso. Facciamoci il segno della croce entrando (ed è già la seconda volta che mi succede, con Scuffi!) perché gli studi sono già pronti con un colpo d’occhio da volta affrescata. Grande ormai, sublime, la tecnica di Marcello, profondo conoscitore della sua materia, plasmata con le mani come fosse scultura d’argilla, con le mani lisciata e ricoperta di veli, pittura che è in realtà poesia, è canto, è musica. E’ essenza d’arte, secondo quella comune radice “artes” che fa suo anche l’artigianato della pittura (attenzione: della Pittura, non l’artigianato delle cannucce, delle farfalle o degli estintori che abbondavano a Verona come ho scritto in “Barcollo ma non mollo”, parliamo di due cose diverse, con Marcello siamo a Messa, con le cannucce ad un rave party abusivo).
Accomodiamoci in prima fila, o magari in seconda, se la prima fa ancora un po’ specie a chi non va in chiesa tutte le domeniche (io invece ci vado, e quindi non ho timori di sorta a fiondarmi davanti per gustarmi tutto in primo piano). Ascoltiamo il saluto del celebrante, e le letture ricche di significato, perché quando Giovanni Faccenda è in forma ce ne sono pochi che possono stargli dietro (o, se vogliamo continuare con le metafore evangeliche, che sono degni di "abbassarsi e slacciargli i sandali”, e qui chiudiamo il cerchio perchè il Battesimo di Gesù l'ha dipinto anche Piero!), e non sono mica balle, non c’è MoMA, non c’è Musée D’Orsay, c’è Palermo, c’è Milano, sono tangibili e vere, c'è un’Italia che plaude e batte un’esterofilia assente. Ascoltiamo l’omelia di Dario, che così si riscatta un pochino per aver fatto manca a Fiesole.
E poi arriva il clou, arrivano gli sms di stima, commozione ed amicizia, quando alle tele di Marcello si sovrappone, prima in silenzio e poi via via in crescendo, la voce delle Stelle della Tosca, con le immagini della Versilia d’inverno così forti che senti il naso che pizzica, senza sapere se sono lacrime o il mare stesso, con la sua salsedine, che ti è entrato dentro. E’ la consacrazione, quel momento in cui il pane, umile elemento della terra, trasmuta; un momento in cui i sensi si fondono tra loro, e non vi è più vista, non vi è udito, o tatto, o odorato: puoi riuscire ad ascoltare le barche, a toccare il mare e sentirlo liquido davvero, a chiudere occhi ed orecchie ed ancora vedere poesia ed ascoltare pittura. Grande aria di Puccini, sempre ad effetto, anche se a dire il vero io ho vibrato di più sul promo infrasettimanale, con quell'accostamento così ardito tra Marcello e le note dei Pink Floyd, solo note, niente voci, solo lampi scanditi sul pizzicato di una corda. Ho pur sempre avuto vent'anni negli anni Ottanta, io, ed erano in tanti, tutti gli amici della mia compagnia, in barca nel Bacino di San Marco, quella notte - terribile per una Venezia sfigurata, ma indimenticabile - di ventitre anni fa. Tranne me. Io ero a casa, ad aspettare la telefonata delle otto del fidanzatino allievo ufficiale alla Cecchignola, perchè mica esistevano ancora i cellulari, e se volevi sentire una voce dovevi rinunciare a qualcosa. Mi hanno dato della scema tutti, quella sera, ma ho rinunciato all'evento del secolo per una voce. Non sono cambiata più di tanto negli anni, quindi; l'importanza delle voci, dei contatti... L'importanza di mettere l'amore "prima", a prescindere.
Ancora adesso quando sento i Pink Floyd penso allo struggimento di una scelta, penso ad un amore lontano, penso a qualcosa che - tutto sommato - non è così distante dalle morbide vele abbandonate di Scuffi, che attendono un rinnovato soffio. Dipende dai punti di vista. 
Comunque, io la mia Comunione l’ho fatta, sono andata all’altare ed ho avuto il nono Scuffi, un regalo come un bacio leggero per il mio compagno di vita che per primo ha amato i silenzi di Marcello e mi ha portato fino a lui. Ci sentiamo molto simili agli Scuffi, io e mio marito; coppie senza figli, coppie strette, che hanno vissuto tanto, tutto, insieme, proteggendosi e difendendosi, che si cercano sempre con gli occhi anche quando sono seduti distanti. 
Questo nuovo, piccolo Scuffi è l’esatto opposto del “monocromo di grafite” che ho descritto in "Fermo immagine": ove quello è essenza di grigi, di marmi, di acque ferme nel ghiaccio, con una sola lieve vela gialla, come un fiore reciso che però mantiene il suo colore caldo, questo invece è esplosione di rossi, di crete, di mattoni infuocati, di tramonto, con la medesima vela che è diventata blu, fredda quindi, perché dopo il tramonto arriva la notte. E’ già ritto al muro, vicino al suo gemello, a vegliare le mie dieci, dodici ore giornaliere, in un gioco di contrasti ed opposti, che saluterò, l’uno al mio arrivo al mattino, e l’altro alla sera, prima di spegnere la luce e tornare a casa.
Ogni celebrazione termina con benedizione e saluto, e quello è stato un momento solo mio, perchè Dario Olivi sul finale mi ha dedicato ben otto minuti! Io in verità gli avevo lanciato un assist irripetibile alla Pirlo, andandogli a riferire del mio "Emozioni condivise" prima del fischio d'inizio, certa che lui - che è sveglio e bravo a vendere - non avrebbe perso l'occasione di rimarcare la novità, prima volta solo per Marcello, della persona qualunque che scrive accanto ai critici di mestiere. Ma che gran gol mi ha fatto! Mi ha confortato e fatto dimenticare per un po’ le tre sberle che avevamo preso dall'Inter giusto la sera prima, tanto per restare in tema. Non si è limitato a quello, anzi, forse l'aspetto della "novità" su cui puntavo io da suggeritore è rimasto marginale; in compenso mi ha riempito di complimenti, leggendo e trasmettendo empatia. E già in tre hanno chiesto una mia dedica sul Catalogo! Vuoi vedere che è la volta che comincio a crederci sul serio, che non è solo Scuffite (questa generosa patologia che insegna a sognare e, soprattutto, a mantenere i sogni), che davvero Trecose è destinato a crescere? Un passo alla volta, piano piano, solo con il cuore. E con voi, tutti.

6 commenti:

  1. In bocca al lupo. A modo nostro ti siamo vicini...

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    1. Grazie. Vi sento... per me questa empatia on-line è esperienza nuova e bellissima! Comunque la testa sta sulle spalle: è già molto, moltissimo così.

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  2. e non solo il blog è cresciuto ma stai diventando persino famosa. Hai visto, o ti hanno già informato, che ieri Porcelli ha fatto allusioni al tuo blog (in realtà l'ha chiamato sito) meravigliandosi dei 17.000 visitatori?

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    1. Io no, in effetti, caro Roberto. Dopo 90 (novanta!) giorni di totale full-immersion sentiamo l'esigenza di disintossicarci un pochino dalle trasmissioni di Cagnola... Magari riprenderemo a curiosare più avanti. Nessuno me l'ha segnalato, ma credo sia normale, perchè gli Amici/Lettori di questo blog sanno bene che a me interessano altre cose; mantenere vive certe polemiche sterili non è decisamente nelle mie corde. Forse continuare a parlarne interessa più a loro, a questo punto. Chi lo sa; sarà comunque una forma di pubblicità... Per me l'argomento è chiuso, e avanti!

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  3. Certo Paola, capisco benissimo. Anche per questo, volutamente, non ti ho segnalato la cosa sul post celeberrimo, ma ho preferito nasconderla, per così dire, tra le pieghe del tuo blog. A me ha fatto più che altro sorridere. Sempre avanti!
    Ciao - Roberto
    P.S. Libro arrivato. Bellissimo!

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