.

.

lunedì 5 novembre 2012

Tra realtà e incanto

Di natura io sono testarda. Come un mulo, forse peggio. E' decisamente uno dei miei peggiori difetti, ma confesso che in fondo mi piace considerarlo come un pregio; molte cose che sono riuscita a fare nella vita, molte decisioni perseguite strenuamente, molte scelte, molti incontri anche, vengono tutti da lì. Sia nel lavoro che nella vita privata, in casa o fuori. Un esempio scemo: mi piace avere la casa in ordine, anche se è indubbiamente più piacevole riposare in divano con un buon libro o una bella rivista piuttosto che affrontare una pila di roba da stirare, o pulire i bagni, o lavare il pavimento (chi realmente ama lavare il pavimento?); ma se va fatto, si fa. Si dice che la casa rispecchi chi la abita, la sua mente, il suo cuore, ed in effetti conosco più di una persona che vive nel caos più totale in casa, perchè è solo caos quello che ha in testa (quando non pura sporcizia). A me piace pensare di essere una persona limpida, pulita, trasparente ed accogliente come un caldo abbraccio, come è la mia casa per chiunque ci entri.
Testarda fuori casa, anche, visto che non amo lasciare nulla di incompiuto, voglio finire tutti i discorsi iniziati, a costo di mandare mail a mezza Italia pur di procurarmi un determinato indirizzo solo per chiudere una frase. O iniziare un mondo. Sul lavoro neanche a parlarne, con un lavoro come il mio gli esempi sono talmente scontati che non vale neanche la pena di citarli: a volte mi vedo un po' suonata da sola, quando insisto a rialzarmi ogni volta, come su un ring, a non darmi mai per vinta, mai, chiunque sia l'interlocutore. Insomma, se credo profondamente in qualcosa divento pericolosa come un rullo asfaltatore in movimento: lento, ma inesorabile! 
Chiarito questo lato del mio carattere si può capire meglio perchè a mio marito siano caduti precocemente tutti i capelli; non è stato l'esaurimento nervoso, o i sei mesi di trasferta in Francia a lavorare undici ore al giorno sei giorni su sette: in realtà è il peso dell'aureola.
Si sa dai miei post più recenti che in Settembre siamo stati a Palermo per la Mostra di Armodio, ed in quella occasione abbiamo potuto conoscere personalmente - entusiasti - il Maestro. Lui, gentilissimo, nell'accomiatarsi ci aveva salutato con un generoso: "Ci vediamo a Piacenza, vi aspetto". Senza sapere che con me lanciare certi sassi è molto rischioso, infatti non è passato giorno senza che io mi svegliassi dicendo al mio Sant'Uomo: "Quando andiamo a trovare Armodio?"; idem prima di dormire: "Quando andiamo a trovare Armodio?". Considerando che anche mio marito è rimasto molto colpito dall'opera del Maestro, con un mesetto di attesa la fibrillazione aveva raggiunto livelli di guardia, e prima delle nebbie micidiali abbiamo espugnato Piacenza insieme.
In questo caso non vale ciò che ho scritto per la Fiera di Verona, le reminiscenze leopardiane, il piacere dell'attesa ieri e la delusione dell'oggi.
Armodio non delude, non delude mai, è sempre l'eccezione che conferma ogni possibile regola. Un mese di attesa lo vale tutto, fai a tempo a liberarti da ogni condizionamento mentale, da tutto quello che credi di sapere (anche proprio su di lui), ed a presentarti lì come un bambino al primo giorno di scuola: occhi ed orecchie aperte, e solo tanta voglia di vedere, ascoltare, imparare. Come già con Marcello Scuffi, abbiamo avuto conferma di quanto coinvolgente sia conoscere di persona un artista nel "suo" ambiente, poterci parlare davanti ai "suoi" oggetti, ascoltare dalla sua voce aneddoti e spiegazioni; arrivi a conoscere l'opera attraverso la conoscenza dell'ANIMA del pittore, ed è un'esperienza emozionante, soprattutto per noi che non compriamo opere un tanto a peso per poi chiuderle in qualche caveau e contare i dollari, ma ci sudiamo ogni singolo quadro ogni santo giorno con la sveglia alle 5.40. Sono conscia che affezionarci alla pittura di artisti ancora vivi ha indubbiamente aiutato questo tipo di percorso, ma al di là della facile battuta anche tra i viventi ci sono i simpatici ed i meno simpatici, ed ho già detto parlando di Palermo che bella persona sia il Maestro Armodio, oltre che impareggiabile pittore. Un bravo artista umanamente insopportabile alla lunga finisce per sembrare meno bravo.
Armodio ci ha comunque giocato un bello scherzetto dei suoi; noi siamo andati lì per stringergli la mano, farci due chiacchiere, magari buttare l'occhio sul tavolo da lavoro, ben sapendo che dipinge pochissimo e tutta la sua produzione è blindata, chissà dove, una Mostra dopo l'altra in direzione dell'Empireo. Avevamo anche comprato la classica bottiglia, che ci siamo dimenticati a casa come due deficienti (l'avanza, Maestro, promesso). Invece lui ci ha accolto, oltre che con il suo tipico sorriso furbo (mi aspetto sempre un qualche indovinello, una sciarada, un gioco di parole da risolvere per passare al livello successivo, che ti devi meritare, perchè lui non è assolutamente per tutti), con una domandina: "Volete vedere qualche quadro? Ne ho giusto qui qualcuno di inedito che andrà nelle prossime Mostre".
A quel punto era fatta, perchè un conto è vedere venti soggetti di Armodio appesi in una enorme sala di un Palazzo sede di una Regione, insieme ad un centinaio di altre persone, tra luci, macchine fotografiche, personalità varie, sapendo più o meno cosa aspettarti visto che ci sei andato apposta. E già lì stai male perchè sapevi che erano perfetti, ma così perfetti non era possibile crederlo. Un conto invece è accovacciarti a terra nel suo studio, tra vecchie misteriose statue che ti sussurrano la soluzione degli indovinelli, scaffali di libri dai quali ochieggiano occhiali che ti scrutano (Chi sei, sconosciuto? Che vuoi? Non dare ascolto alle statue!), enigmatiche scritte, vecchi smisurati cavalletti, l'antica lanterna da ferroviere - ricordo del suo mentore - con un po' di nebbia piacentina in testa, mentre lui ridacchia e ti tira fuori praticamente tutti i quadri delle sue prossime due Mostre, due anni di lavoro, e come se non bastasse te li spiega uno per uno. A quel punto capisci che il tempo si può fermare, che non te ne frega più niente del lavoro, di casa, del luogo mortale da dove provieni: torni bambino e ti gusti il miracolo.
Nella mia città, un tempo ormai molto lontano, c'era vicino al palazzo delle Poste un negozio di giocattoli che aveva avuto la trovata del secolo: all'esterno, ad altezza bambino, c'erano quattro grossi pulsanti (rossi e panciuti, uno per ogni vetrina, come rassicuranti mammelle) che si potevano premere a qualunque ora, anche se il negozio era chiuso, ed azionavano un meccanismo all'interno per cui le vetrinette dei giocattoli giravano, e tu da fuori li vedevi sfilare. Potrei giurare che non esiste uomo o donna della mia età, cresciuto a Mestre, che non abbia costretto i genitori a lunghe estenuanti attese in piedi, con la pioggia, la neve in Gennaio o il caldo d'Agosto alle due di pomeriggio, mentre lui - bambino - con il naso sul vetro e la manina sul pulsante, guardava e sognava. C'erano giorni in cui si formavano code bibliche di bimbi in attesa del proprio turno; andare al negozio era il premio per i buoni voti a scuola, più desiderato ancora dell'eventuale acquisto di un giocattolo, perchè in realtà con il pulsante li avevi - per un attimo - per te tutti quanti, vivi. Altro che l'attuale crisi! Non nego che ci sia, anzi, ma il problema è che ci siamo talmente abituati al benessere degli ultimi anni ed ora siamo incapaci di concepire la minima rinuncia (anche i bambini, con le loro scarpette griffatissime), tutto ci sembra un sacrificio insostenibile. A metà degli anni Settanta i giocattoli veri arrivavano raramente, ed i genitori monoreddito come i miei, con tre figli da tirar su e far studiare, si inventavano soluzioni alternative, come portarli alle vetrine girevoli (la mamma) oppure a veder decollare gli aerei veri dalla rete dell'aeroporto (il papà). Non possedevi niente, ma imparavi a sognare.
Come in tutte le cose sono fette di cielo e poesia che si perdono per sempre: adesso in quelle vetrine c'è l'ennesimo anonimo negozio di telefonia tecnologica, senza pulsanti e senza più sogni.
Giusto per capirsi, io, accovacciata da Armodio, tra una statua sussurrante ed un cavalletto che mi scrutava dall'alto, sono tornata così, bambina ricca solo dei suoi sogni, con la mano su un pulsante. Intanto il Maestro è stato un drittone (ma lo sa, ridacchia sempre proprio per questo), perchè ci ha tirato fuori prima tutte le tecniche miste. Altrimenti se tirava fuori prima le tavolette con le tempere finiva come a Palermo, guardavo solo quelle. Invece così è stato meglio, perchè abbiamo potuto apprezzare l'immenso lavoro sui cartoncini che la prima volta a Palermo avevamo trascurato, con tutte le sfumature, i segni del tempo fatti ad arte, le macchioline, le tracce lasciate dalla gomma-pane: ho visto la SUA gomma-pane! Neanche l'avevo riconosciuta come tale perchè è tutta nera, chissà quanta grafite ha mangiato nel tempo, da farci sopra un'intera storia di scorpacciate (come la Somma Acidini ha fatto per le caffettiere nel Catalogo di Palermo); e poi il carboncino, il pastello, me li ha buttati lì come niente fosse, e io mi sentivo immersa in un'atmosfera magica, li ho visti irrigidirsi sul tavolo, tremare e guardarmi con sospetto, mentre lui li accarezzava e li tranquillizzava, perchè la bambina non vi tocca, non preoccupatevi, anche se vi guarda come se lo volesse. Meravigliose queste tecniche miste, così lievi eppure così intense, una sull'altra (ancora, e ancora!) da perderci la testa, ne vedi una talmente perfetta che pensi non possa essere superata ed ecco che lo spirito folletto te ne appoggia sopra una ancora più bella. Bulimia pura, volente o nolente.
Finite quelle sono arrivate le tempere. Io l'ho scritto nel post su Palermo l'accenno alla soffitta ed al baule magico, e giuro che allo studio di Armodio non c'ero mai stata, era un'invenzione scaturita dall'osservare la sua persona, il suo modo di parlare e muoversi, la polvere che aleggia sui suoi soggetti, il tempo fermo in un attimo infinito. Ebbene, lì è così! C'è DAVVERO quell'atmosfera! Manca solo lo sciame luminoso che scende dall'alto (come coda di cometa con suono di minuscole campanelle), e che io ad un certo punto ho creduto di vedere, ma mi sono guardata bene dal dirlo per non passare per matta. Lo studio è lungo, alto, con spazi vuoti: lo vedi che dopo la libreria finisce! Invece Armodio scompare dietro uno scaffale, e riappare con in mano meraviglie su meraviglie, tante, tantissime, ma dove stavano? Maestro, fammi vedere il baule! Mi ci chiudo dentro per un poco, solo qualche settimana, un mesetto magari, giusto per respirare la tua grandezza ed uscire ritemprata. Dimmi, Maestro, se davvero è un baule, o se invece è una porta magica che dà su un'altra dimensione, su quella dimensione di incanto dalla quale estrai tutti questi tuoi gioielli privi di errori, uguali per dimensioni ma differenti in ogni particolare, in ogni impercettibile minuzia: tessuti pizzicati, capelli come rami, carta velina ed erosioni di marmo, pentolini neri di peltro o ferro, scavati dalla ruggine, che ti espongono le loro vene come su delicati polsi! E tanto bianco ovunque in questa serie di tempere, affinchè l'occhio scopra che ciò che credeva solo "il bianco" in realtà è un'intera scala di colore, a gradini addirittura, bianchi in rilievo, bianchi lisci, bianchi vertiginosi ed indefiniti di luce. Infinite sfumature di puro bianco.
Le ho toccate, ancora, le sue tavolette, come già a Palermo: per me il contatto con la bellezza è fondamentale. Non ci resisto. E' come con le persone: quando amo qualcuno cerco la fisicità, ma senza malizia, parlo di una carezza sul viso, di un bacio sulle mani o sulla punta delle dita, di quei gesti estremamente lievi che tuttavia realizzano la profondità del legame. Le tempere di Armodio per me sono calamite, le ho sfiorate una ad una, ora con la punta delle dita, ora con il dorso della mano (sono due maniere diverse di sfiorare, due intimità diverse, a seconda di quanto ciascuna mi colpiva), come per assorbirne la metafisica, alzare quel velo, fare mia quella vertigine.   
Come due bravi scolaretti con gli occhi sgranati, frastornati da tanta bellezza, Armodio ci ha fatto fare con lui il gioco dei titoli, e questa è stata un'altra sorpresa. Avevamo già visto come lui gioca con i suoi soggetti, lo sapevamo bene che quelle caffettiere in realtà non sono caffettiere, ma - chi lo sa - ora damine in passeggiata sorprese da un incontro galante, ora invece innamorati fragili, o famigliole di primavera. Sapevamo che quello che sembra, con Armodio può essere o non essere. Ma quello che non immaginavamo è che, in fondo, non lo sapesse bene NEANCHE LUI. Lui tira fuori il quadro e lo guarda, ci parla, attende una risposta, lo scruta, lo accarezza, ride. Ride molto, il Maestro Armodio, ed è bellissimo vedere quanto bene stia tra le sue creature, ti mette a tuo agio anche se hai trenta sms dall'ufficio che ti chiedono di tornare sulla Terra. Ti mette in mano la tavoletta e dice: "Qui è successo qualcosa!", oppure "Qui fate attenzione!", e tu ti butti a cercare lo spillo che manca, o a controllare dove la balaustra di marmo sta cedendo. Oppure ti dice il titolo, e tu gli chiedi perchè, e lui di rimando: "E perchè no?!", e insieme a guardare PERCHE' NO. E' come se qualcuno - un immenso del passato non più vivente, o direttamente un divino - avesse usato la sua mano per dipingere, i suoi occhi per vedere, e poi l'avesse lasciato libero, rinato in sè, per il tempo del gioco. Un talento straordinario, unico, fuori dal mondo umano, un talento immortale.
E ti si racconta volentieri, perchè a noi quello piace, oltre al piacere di avere un'opera in casa, oltre al collezionismo di PITTURA, piace collezionare ricordi, avvenimenti, visi, attimi di PITTORE. Perchè è arrivato lì passando per di là? Come ha iniziato? Parti chiaramente dall'essere un predestinato, come tutti coloro che hanno un dono del genere, ma perchè voler provare il disegno, e non - piuttosto - l'impeto del pennello e del colore? Tu chiedi, incalzi, e lui ti apre la sua memoria, regalo incomparabile, incomparabile risata. Infine ti fa vedere dove effettivamente dipinge (un asettico tavolo da geometra, lui sì senza occhi, senza linguaccia, unica concessione "reale" in un mondo da fiaba), e ci vedi sopra una tavoletta triste, come in castigo, che trattiene una lacrima. E ti spiega che l'aveva fatta, ma poi si è arrabbiato perchè non era venuta bene, e quindi l'ha grattata tutta via e adesso la dovrà rifare, e lei colpevole lo aspetta, con un abbozzo di disegno sopra e tante scuse. Non era venuta bene... Avrei voluto vederla, prima che sparisse per sempre. Non credo esista un quadro di Armodio "venuto male". Magari è vero che lui seleziona con attenzione, certo è che finora non ne ho visti: non esiste il minimo errore, non esiste nulla che possa anche solo lontanamente essere definito brutto. Dalle sue mani, dalla sua anima, solo bellezza che stordisce, fino allo sfinimento se troppa, e lo spirito folletto lo sa.
Quando poi lo stordimento passa, dopo un'ora o due, e riesci a connettere bene, a realizzare cosa hai visto, cosa hai vissuto, a cosa hai avuto accesso - privilegio per pochi - l'unica cosa che riesci a provare, ferma in gola, davanti agli occhi, è "la riconoscenza". E' stato un onore, Maestro, davvero.

8 commenti:

  1. Buon pomeriggio, ci volevano proprio queste letture su Armodio per aiutarmi a smaltire le abbuffate (e ahimè le ipocrisie) di questo Natale. Molto belle, molto intense, complimenti; il mondo di Armodio è fuori dal tempo e dallo spazio, è una nuvola dorata ove si galleggia incantati, io però non sarei mai stato in grado di descriverlo come ha fatto Lei, aggiungendo le proprie emozioni in modo così spontaneo e limpido, tale che non sembrava una lettura ma un assorbimento di bellezza che invadeva rapidamente tutti i propri sensi. Con l'occasione porgo i miei migliori auguri per una magnifico 2015 a Lei (credo di aver capito il suo nome da un commento di una giovane pittrice calabrese)
    Salvatore

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Salvatore, la ringrazio infinitamente sia per gli auguri (mi ci vogliono davvero, per questo 2015 che si annuncia pieno di importanti decisioni da prendere), che ricambio con affetto, sia per come ha saputo leggere questo mio post, cogliendo appieno le mie sensazioni di allora. Sensazioni, peraltro, mai sopite, e che risalgono prepotentemente in superficie ogni qualvolta mi trovo al cospetto delle creature di Armodio: è letteralmente frastornante! E, aggiungo, talmente GRANDE da poter contenere agevolmente tutti coloro che condividono questi respiri.
      Un abbraccio quindi a lei e buon anno.
      P.S. Immagino che la giovane pittrice calabrese a cui si riferisce sia Francesca... rinnovo l'abbraccio e gli auguri anche per lei!

      Elimina
  2. Buonasera, ho ripreso da qualche giorno a leggere qualcosa sul blog, il 2015 è iniziato bene con qualche giorno di ferie e riposo, poi è ricominciato il ritmo serrato come al solito. Avrei voluto visitare Arte fiera a Bologna, ma l'influenza ha toccato qualche membro della famiglia guarda caso proprio in questi giorni ... Ma sentendo il parere di un amico che è riuscito ad andarci e leggendo qualche commento su vari forum forse non abbiamo perso molto, vista l'abbondanza di cinetici, visuali, astratti ... L'unico dispiacere vero è stato di non aver potuto vedere la performance di Omar Galliani la sera di sabato dal vivo all'Accademia delle belle arti. Nel frattempo continuiamo a seguire le trasmissioni di Orler con Faccenda, credo che sia aumentata la "scorza" da venditore, ma la parte "storica" resiste bene, molto bella a mio avviso una sua presentazione su Ottone Rosai. Mia moglie non è appassionata di scultura, ma temo che le sfere di Meggiato abbiano cominciato ad ipnotizzarla ahimè: dico così non perché non apprezzi tali opere, ma per l'impegno economico che sarebbe necessario, purtroppo non attuabile al momento: mi sembra di aver letto che una sfera sia entrata nella vs. casa ... A presto, sto leggendo ora i post del 2013

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gent.mo Salvatore, la ringrazio perchè continua a seguirmi! Per me il 2015 è iniziato esattamente come era finito il 2014: in maniera terrificante, per problemi di lavoro che definire ingenti è poco, e che assorbono tutto il mio tempo diurno e notturno, sottraendolo alle mie passioni (alimentare Trecose in primis). Ma io non demordo! Tant'è che ArteFiera l'ho vista, era diventata una questione di principio...
      Mi è piaciuta un po' meno dell'anno scorso, data l'abbondanza in effetti per me eccessiva di "iper-contemporaneo" (che posso farci, sono una nostalgica, avevo amato così tanto l'esperimento "Ottocento" del 2014...), ma è sempre un bel punto di ritrovo per amici malati come me. C'era un bel clima, forse è la volta buona!
      A proposito di malati, attenzione alle sfere di Gianfranco Meggiato: creano dipendenza! Ho visto di recente dal vivo quelle nuove con le parti smaltate in nero lucido su nero opaco e sono svenuta. Legga, legga il mio post del 31/08 u.s. e capirà il mio livello di patologia. Ma che nessuno si azzardi a tentare di guarirmi: solo con certe opere davanti si affronta tutto con un sorriso. Proprio tutto.
      Grazie ancora.

      Elimina
  3. Buonasera, confermo che sto continuando a leggere i suoi post, e confermo anche che sono davvero interessanti, però non si offenda se sto tralasciando per ora quelli sulle assicurazioni, settore su non ho competenza, anche se non escludo che appena possibile li leggerò così imparo qualcosa ... Approfondirò senz'altro Meggiato, magari vedendo qualcosa dal vivo appena possibile ... Oltre a Bologna quale altra fiera in Italia l'ha impressionata maggiormente ?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma no che non mi offendo, figuriamoci. Tra l'altro i miei post sulle assicurazioni sono piuttosto "dissacranti", quindi rivolti in effetti a chi ci mastica già qualcosa (amici, colleghi...) e può riderci sopra sentendo, per una volta, una campana diversa. Per fare i seri bastano già le ore di ufficio...
      Circa le Fiere, io sono piuttosto provincialotta, mi muovo male fuori dal mio ambiente, giusto nelle regioni limitrofe... Finisce che così, tra questo e il tempo che non c'è mai, ci limitiamo a Verona, Padova, Bologna e poco altro di minore (ArTissima e MiArt restano tappe da raggiungere, non parliamo poi dell'estero!). Nel 2014 ho mancato Padova per cartellino-influenza, ma direi che in generale è sempre quella la mia preferita, evidentemente il "clima casalingo" ha il suo peso...

      Elimina
  4. Salve, se ho capito bene a fine marzo gli Orler presenteranno il nuovo catalogo di Scuffi con una mostra a Mestre, io e mia moglie ci stiamo facendo un pensierino, qualora si dovesse concretizzare, sarebbe un'occasione per incontrarsi, se Lei ci sarà.
    Un saluto
    Salvatore

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gent.mo Salvatore, le confermo che sabato 28 marzo presso la Galleria di Mestre Via Einaudi ci sarà la presentazione del primo volume del Catalogo Generale di Marcello Scuffi. Questa volta non ci saranno influenze o invasioni aliene che potranno tenermi a casa: ci sono troppi amici (vecchi e nuovi) che ho voglia di rivedere e salutare!

      Elimina