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sabato 24 novembre 2012

Omaggio ad Armando Cheri

(Scritto a quattro mani con l’amico Giovanni Faccenda, che conosce e comprende tutto il mondo celato dietro ad una virgola, inevitabile)

Esiste una Sardegna che vive di mare cristallino, di salsedine, di spiagge bianche ed incontaminate, o di roccia a strapiombo sui fondali. Ma esiste anche un’altra Sardegna, aspra, isolata, montana: cuore di Sardegna, la Barbagia che respira aria di mirto, di ginepro, di sasso e di secoli di storia. Una Sardegna scoscesa, inaccessibile ai più, che nulla sa dell’immenso blu che la circonda, ed è colorata solo di rossi accesi, resinosi, e di marroni profondi, di terra.
Esiste una Venezia che vive di sfarzo, di ostentazione, di ricchezza, di celebrità, d’oro di Bisanzio, di folle brulicanti che la pretendono, unica e sola al mondo. Ma esiste anche un’altra Venezia, minore, sottomessa, silenziosa: la Venezia dei rii, dei ponti ovattati dalle nebbie, degli squeri ove, tra profumi di legno e vibrare di assi, poche mani ancora capaci forgiano, ferme ed immutate nei secoli, le geometrie dei suoi simboli, le gondole e le forcole.
Esiste un uomo che riflette queste due anime sconosciute, che sa camminare come un funambolo fa sul suo filo d’acciaio, teso fra due mondi così diversi, lasciandoci a guardarlo stupiti per tanta maestria. Un uomo che ha costruito un ponte, forgiato nell’elemento comune fra questi due mondi – il legno – per accompagnarci per mano all’interno della sua storia, e ci invita a percorrerla insieme.
Un uomo, Armando Cheri.
Un nome, Armando, che significa "uomo d’arme", uomo ardito, uomo forte; un nome che evoca solidità, sincerità, ambizione, fedeltà, profondo senso della famiglia. Famiglia di Sardegna, famiglia di Barbagia, dove egli nasce nel 1962, e dove fin da bambino respira il profumo del legno ed impara ad amarlo ed a forgiarlo direttamente dalla sapienza delle mani di padri, zii, fratelli.
Un amore che si porta dentro quando decide di partire verso Venezia, un amore che debitamente amalgamato, emulsionato con gli umori lenti della laguna, lo porta a creare dal legno dapprima perfette forcole, e poi, mano a mano che riemerge il calore della terra che porta nel cuore, forme mitologiche, evocazioni religiose, guerrieri armati, divinità e misteriose lune. La forma slanciata ed immortale della forcola, per sua natura destinata alla sofferenza, al peso del remo, allo scricchiolio della voga, simbolo di una Venezia umile e secolare, muta nel tempo sotto le sapienti mani di Cheri, sotto la sua nostalgia di un altro cielo. E diventa slancio, diventa ricordo, diventa corpo o unione di corpi, astrazione forse, per certo poesia in movimento.
Non cerca un solo legno, Armando Cheri, perché "legno" è parola quasi astratta per chi lo vive pienamente, per chi lo ama e ne respira le nervature ed i più piccoli segni. E’ come dire "donna". Generico, indefinito. Amore per tutte le donne, ma per nessuna in particolare.
L’albero è la figura simbolicamente più diffusa in tutte le tradizioni esoteriche perché è presente in tre livelli (cielo, terra ed inferi): le sue radici a contatto con la morte, il tronco a contatto con la vita terrena, rami e foglie a contatto con la vita spirituale e futura. Alberi come uomini, diverse facce, diversi mondi, diverse fedi. Ben conosce gli alberi Armando Cheri che ne è intimo fratello, che è cresciuto con le loro carezze, osservando come il vento di Barbagia li modella, ora abbracciati e nodosi, ora lisci e tristi, ora silenti d’orgoglio.
E allora ecco il legno di noce, albero solitario, glorificato come dispensatore di doni e nutrimento; il legno di quercia, simbolo di forza e giustizia, robusta e regale. Il legno d’ulivo, severo e sottile, simbolo di pace e purificazione, emblema di calore e fuoco; l’abete, uno degli alberi più antichi, vitale e battagliero; il tiglio, Morfeo degli alberi. Ecco il ginepro ed il mirto, non più solo alberi vivi, non più solo legni, ma preziosi amici officinali.
Cheri li lavora con rispetto, senza piegarli alla propria volontà, ma quasi accondiscendente alla loro, e ne crea forme scultoree vitali, sospese in un movimento senza tempo.
Una grande alleata ha Armando Cheri in questa sua infinita ricerca plastica, ed è la Natura stessa. Poiché nel momento stesso in cui decide, ormai pronto, sicuro di sé, pregno di valori, di abbandonare la semplice esperienza artigianale e di approdare, di diritto, ad una vera maturità artistica, è Lei che gli presenta la materia prima, permettendogli una lavorazione sempre meno invasiva, e lasciandogli il compito, terso e nitido, di interpretare solamente, e minuziosamente raccontare, a chi ne ha perso la vista e l’ascolto.
Ben ebbe a dire infatti Pablo Picasso: "La scultura è l’arte dell’intelligenza": di più, arte ed intelligenza insieme, perché diventa scelta, raccolta, levigatura. Di più, perché diventa attesa. Cheri torna alle origini per la ricerca della materia, ed è il cuore di Sardegna, terra millenaria e misteriosa, a fornirgli radici affioranti, rami spezzati, braccia che diventano altari, dita che diventano animali alati, nei quali la Natura ha voluto conficcare pietre, ora dolci ora aguzze, segnate anch’esse da fori, graffi, scritture antiche.
Non sono inserimenti artificiali e meramente estetici quelli che vediamo nel legno di Cheri: sono lì per diritto di natura e storia, inglobati nelle venature in un eterno abbraccio, rocce antiche plasmate dal vento che diventano arte eterna. Armando Cheri cammina nel silenzio terso, sceglie, sveglia dal sonno la Natura dormiente, la porta con sé dalla montagna aspra alla laguna, affinchè per settimane, mesi, a volte anni d’attesa respiri l’unione dei due mondi, i sapori salmastri, riposi, diventi pienezza, pronta per essere levigata e trasformata in arte. Forme sospese nel tempo eppure dinamiche, concrete, pure, in materia viva.
Un unico errore commette, forse, Armando Cheri. Allorquando, nel presentarsi al mondo silenziosamente con le carezze delle sue creature ("da buon sardo" – dice – "con un doveroso inchino ed il cappello in mano"), indugia nel pensiero di un confronto con illustri predecessori: un gioco all’aperto, un nascondino, un acqua-fuoco-fuocherello, un tiro alla fune con Balla, Boccioni, Brancusi, Giacometti, Ernst. No. Cheri ha Madre Natura, Sorella Natura, Compagna Natura che vivono nel suo istinto, nessun paragone è possibile. L’inchino, è vero, è doveroso al cospetto di cotanti nomi, ma il cappello può restare al capo, mentre il sole di Sardegna gli scalda il cuore, mentre gli occhi guardano oltre l’infinito del mirto e dei ginepri, mentre Venezia attende il suo ritorno, in quella dimensione che è solo sua.


(Questa foto è stata scattata in Sardegna, l'ultima estate, da qualcuno che non sono io, ma che come me ama dare eternità ad immagini particolari. Per un po' ha atteso, silenziosa anche lei; poi è arrivato questo brano, sono arrivate le emozioni date dalla storia e dal lavoro di Armando Cheri, ed ho pensato che questo fosse il suo posto. Non sono solo due alberi: io ci vedo ricerca, ci vedo resistenza, ci vedo un abbraccio immenso, per sempre) 

2 commenti:

  1. Io ci vedo un correre insieme... immagine molto poetica

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    1. Una corsa nel vento, sì. Controvento, magari.
      Comunque poesia.
      E visto che non è piaciuta solo a me, a questo punto è giusto ringraziare Cristina, che l'ha colta e ma l'ha lasciata (Cristina, che tra le dieci cose del suo buonumore ha tutto il mare di Sardegna; e a questo punto direi ancora di più).

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