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giovedì 13 dicembre 2012

Critici e critiche

Questa settimana è successa una cosa diversa dal solito: ho ricevuto nel blog dei commenti (nella fattispecie, due) astiosi ed al limite dell’insulto. La cosa mi ha incuriosito perché ritengo possa rappresentare un punto di svolta: a quanto pare Trecose non è più solo la mia personale ora d’aria, in cui metto per iscritto (perché è quello che mi piace fare) i pensieri che mi passano per la testa. E non è più solo un piccolo, semisconosciuto blog di frontiera in cui qualcuno passa per caso cercando il filone delle pepite d’oro e, forse, lascia la mancia se gli faccio tenerezza. Qui siamo di fronte a gente che fa riferimento a persone e fatti specifici, e quindi mi considera – in un certo qual modo – una voce con un “peso”. Minimo minimo, magari, ma abbastanza per farmi riflettere, perché io non voglio assolutamente risultare quella che non sono: non sono un’opinionista d’arte, sia chiaro oggi e per sempre. Ma qui siamo a casa mia, e vorrà pur dire qualcosa.
Il primo serpentello non l’avevo né badato né pubblicato, perché era anonimo, e io non prendo in considerazione MAI, neanche nella vita, l’insulto anonimo (troppo comodo). Ho pubblicato più volte commenti anonimi ai miei post, ma erano più che altro frasi di circostanza, oppure commenti belli, in cui il mittente aveva aperto una parte della sua anima, e il rispetto dell’anonimato in questi casi è doveroso. Tuttavia, se ci devi andare giù pesante, non pretendo che tu mi dica dove abiti, ma uno straccio di nome di battesimo sì (al limite inventato, ma fai più bella figura). Quando poi è arrivato il secondo, che magari era dello stesso utente, ma questo io non posso saperlo (e comunque era un commento ad un post diverso dal primo), mi sono fatta venire un dubbio: qui si punzecchia troppo. Perché lo sanno tutti che io ho il cuore tenero verso gli Orler in generale e Giovanni Faccenda in particolare, e venirmi a dire che si può perdere la faccia o rovinarsi la carriera – quando non peggio - solo per una trasmissione televisiva andata a vuoto significa una cosa sola: questo qui vuole la guerra. E guerra sia, non solo una rapida e stringata risposta ad un commento, caro Anonimo: ti ci faccio sopra un post intero. Ma ti avverto: io perdo raramente le guerre (soprattutto se ci vai giù pesante con persone a cui tengo, molto).
Erano palesi i riferimenti alla trasmissione che si è tenuta domenica scorsa dagli Orler, che presentavano uno Speciale su Pierluigi de Lutti, e che non è andata esattamente bene. Anzi, è andata veramente da schifo, non è stato venduto praticamente (quasi) niente. A qualcuno non è andata giù - ma perché poi - che Giovanni Faccenda fosse lì, ed ha quindi goduto dell’insuccesso. Oppure, come spesso succede alle brave persone molto amate, l’invidia che ti misura i passi è sempre in agguato.
Visto che il blog è mio, vorrei esaminare le cose dal mio punto di vista, che è al di fuori delle logiche di mercato. Ragiono da fruitore e da collezionista, e cerco innanzitutto di darmi una spiegazione al fatto che questi quadri di de Lutti non vanno. E’ il nuovo ciclo (“Doppie Ferite” a parte, quello è stato un cerchio chiuso e fine a se stesso), un ciclo in cui de Lutti chiude con i gesti forti e materici “ispirati a”, e realizza qualcosa di diverso, che nasce dalla sua permanenza nel continente americano, sotto al Grande Nord: natura mescolata alla sua passata astrazione, orsi, laghi e fiumi stemperati in materia e colore. Su qualche tela, anche una storia diversa nel supporto (tele ricavate dalle tende dei terremotati, non dimentichiamo che de Lutti è friulano, e il 6 Maggio 1976 è una data che nessuno può dimenticare).
A mio parere, assolutamente personale, sono… carini. Ma dire “carini” è come quando a sedici anni mandi la tua migliore amica dal ragazzino per cui sbavi a chiedere se ti trova bella, se gli piaci, e lui risponde che sei tanto simpatica. Ti taglieresti le vene, se hai un carattere debole. Io ero la simpatica per eccellenza, al Liceo, ma credo dipendesse anche dal fatto che riuscivo, nelle tre normali ore destinate al compito di italiano in classe, a scriverne tre interi anziché uno solo (il mio, più quello di altri due “simpatizzanti” a turno, tanto per restare in tema). Avendo un carattere diciamo non debole, io più che tagliarmi le vene tendevo a monetizzare le mie capacità.
C’era già stata una presentazione di questi nuovi lavori deluttiani, da Orler, l’anno scorso, e non ho ricordi particolari di bottiglie stappate neanche in quel caso. Io apprezzo Pierluigi de Lutti come persona, è un uomo gentile e serio (come donna potrei anche aggiungere qualche altra particolare lode, ma non è il caso, anche se il brizzolato colpisce sempre). Io e mio marito avevamo parlato con lui in occasione della collettiva “Il tempo dell’attesa”, e si diceva un po’ triste perché aveva faticato a trovare questa nuova strada dopo un periodo in cui la voglia di rinnovamento era stata forte, ma sentiva di non essere “compreso”. Ricordo che avevo provato una sorta di stretta al cuore, perché non doveva essere facile per lui accettare questo, come artista e come uomo. Mi chiedevo come mai anche a me, in effetti, queste nature fredde ed oniriche non facessero impazzire: magari è il soggetto, che non è propriamente tipico della nostra tradizione, oppure la dimensione molto “americana”, o ancora uno stacco troppo netto rispetto al precedente de Lutti. Capivo che per lui era fondamentale una “rinascita”, ma a me tutto sommato il de Lutti di prima non dispiaceva! Più degli orsacchiotti, purtroppo.
E poi il punto è che, sia che tu sia un artista o chi ti vende, è importante saper identificare il target del tuo papabile compratore. E’ evidente che i grossi collezionisti, quelli che ti spendono centinaia di migliaia di Euro d’un botto per un’opera, non comprano Pierluigi de Lutti. Lui tocca di più la fascia del collezionista medio o medio-piccolo (tipo me!), quello che ogni anno si compra quel quadro o quel paio di quadri (diciamo tre, cinque, settemila Euro proprio al massimo?), con solo un quarto di occhio alla possibile rivalutazione, e tre quarti al fatto che gli piacciono e basta. Ed in primis questi qui, ora come ora, non hanno più tanti soldi da spendere (abbiamo fatto da poco il Funerale del Ceto Medio). In secondo luogo, qualora li avessero, rimane il problema che de Lutti tende a fare, appunto, opere GRANDI (questo intendevo prima con formato “americano”, lì è tutto immenso: le strade, gli appartamenti, le automobili, i tramonti, il cielo, le idee, gli spazi aperti), e quindi la media dei suoi lavori COSTA. Prima di spendere sei-settemila Euro per un quadro carino, ben fatto, evocativo finchè vuoi, io ci penso su, e controllo cosa altro, all’occorrenza, mi viene (sono soldi veri, non so se ci rendiamo conto, non sono i trecento Euro del quadretto di Tonino Caputo comprato su Ebay che tutto sommato non mi costa tanta fatica tirare fuori).
Infine, nota stupida ma non trascurabile, il collezionista medio o medio-piccolo tende ad avere la casa parametrata a lui, e vedo difficile piazzare un quadro di tre metri per due in un appartamento di quattro vani! Anche mio marito, infatti, che pure ammira molto tra gli ultimi soggetti i suoi treni (per lui, reminiscenze scuffiane?), presenze reali ma indefinite che attraversano uno spazio fatto di neve astratta, di buio d’anima, di solitudine interiore che all’esterno diventa ghiaccio, questa volta non ci ha neanche provato, a farmi gli occhi dolci. 
Comunque, queste sono – ribadisco – considerazioni personali.
Torniamo al nocciolo della questione, che è: uh, guarda, Faccenda è andato a parlare di de Lutti (a), e (b) non hanno venduto niente lo stesso. Brucerete all’inferno solo per averlo pensato, e ve lo dice una che ha un Angelo Custode col turbo (ve lo mando a tagliarvi le gomme della macchina, Lui sì che sa dove abitate). Prima di arrivare a denigrare Faccenda su Trecose dovrete passare sul mio cadavere, o quanto meno essere certi di avere un Angelo più cazzuto del mio.
Io non parlo per sentito dire: ERO LA’ (mi sono pure beccata della zanzara da Giuseppe De Luca), e per giunta avevo programmato la registrazione su Sky per cui me la sono riguardata un paio di volte (una per ogni commento anonimo). Giovanni Faccenda non ha MAI detto che de Lutti è il pittore vivente più grande al mondo (questo lo dice di Armodio, se qualcuno se lo fosse dimenticato, e non è solo Vangelo secondo Giovanni, è l’intera Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse). Non ha nemmeno detto che varrà un patrimonio, perché questo non lo dice mai, né lui né gli altri venditori Orler, che sono persone serie. Non ha mai usato la parola “capolavoro” né altri suoi sinonimi. Ha solo sottolineato tre concetti fondamentali (che io, a scanso di equivoci, parafraso con parole mie):
1)      Spesso ci dimentichiamo che la spinta principale nell’acquistare un’opera d’arte dovrebbe essere l’emozione che ci dà. Il fatto che, per noi, sia bella. Poi se non ti piacciono gli orsetti e le aurore boreali non comprerai de Lutti, magari compri Scuffi e il suo mare d’inverno, ma il concetto è sempre quello. Pensare con il cuore e non con il conto corrente bancario.
2)      Visto che di de Lutti si parlava, non nascondiamoci dietro a un dito ed affrontiamo subito il problema legato agli errori del passato (il famoso “ispirato a”). Errori di de Lutti, che li ha pagati tutti quanti, ed errori di molta famosa critica, che su certi paragoni ci marciava con intere cartelle, obbligandoci quasi a continui (cito testualmente) “accostamenti soverchianti” senza possibilità di guardare oltre. Ma se torniamo al punto 1) ed ascoltiamo cosa l’opera ci suscita, non dovrebbe fregarcene più di tanto della sua effettiva originalità. Altrimenti, perché non mettiamo al muro tutti i cantanti di cover invece di osannarli?
3)      Una persona che ha il coraggio di mettersi a nudo e voltare pagina ha il sacrosanto diritto di avere una seconda opportunità, di potersela giocare. Parere mio: non si mette al muro il coniuge traditore e fedifrago quando torna pentito e volonteroso (e, aggiungerei, con in mano un bel paio di orecchini di diamanti River da un carato). Per lo meno, mai la prima volta. Poi, si sa, perseverare è diabolico.
Cosa c’è di tanto spaventoso in questi tre assunti? Giovanni Faccenda ne ha parlato con la sua usuale schiettezza, dicendo pane al pane e vino al vino, senza agitarsi. E, più o meno in questi termini, ne ha scritto nel saggio che corredava il Catalogo (mi sono letta pure quello, visto che detesto parlare senza cognizione di causa, io): un saggio asciutto, pulito, garbato ed onesto, come era giusto fosse e come Giovanni sa fare, perché è uno che difficilmente sbrodola. A uno che sbrodola sempre a prescindere, prima o poi finisci per non credere più.
Il mio giudizio – ancora personalissimo, e quindi spudoratamente di parte – sulla trasmissione di domenica è che ha rappresentato, pur nell’indiscutibile flop di vendita, un gesto forte di correttezza ed onestà da parte di de Lutti, degli Orler e di Giovanni Faccenda.
Per quanto riguarda de Lutti, che ci ha provato a testa alta e già questo gli fa onore, vorrà dire che venderà i quadri in Canada, in Olanda o chissà dove, perché li venderà di sicuro, prima o poi, in luoghi imbevuti di cultura che non sia la nostra, e dove magari vive gente meno rancorosa. O gli basterà attendere l’anno prossimo, nella cui primavera – pare – esporrà al Chiostro del Bramante a Roma, e solo per questo a molti occhi risulterà improvvisamente interessante. Ha dimostrato coraggio (perché è troppo facile campare sessant’anni facendo sempre la stessa roba!), e questo alla lunga paga.
Per quanto riguarda Giuseppe Orler, per me resta il Numero Uno tra i mercanti, perché ha la lealtà nel sangue: è un grande imprenditore, ma prima di questo è un grandissimo uomo, e sa che tre ore di diretta non sono niente, se paragonate ad una vita (e con la vita non si gioca). E poi è un signore davvero, perché nonostante ci fosse poco da festeggiare ci ha portato comunque a far festa, perché i Clienti degli Orler sono sempre di famiglia, nella buona e nella cattiva sorte.
Per quanto riguarda Giovanni Faccenda, non serve che dica niente, mi pare, ancora un po’ e mi arriva la fattura del marmo del monumento. I critici che parlano, solo ed esclusivamente, degli artisti super-mega-vincenti, e non degnano mai di uno sguardo, con umiltà ma senza per questo sentirsi sminuiti, tutta la marea degli “altri”, per me non sono critici. Sono, solo ed esclusivamente, dei LECCHINI. Faccenda è uno vero, e i lecchini li guarda dall’azzurro infinito dalla stratosfera.

10 commenti:

  1. Paola
    hai la mia solidarietà. non rovinarti la giornata per commenti del genere, per carità...
    anzi vedi il lato positivo, che hai già scritto tu: stai attirando interesse, nel bene e nel male.
    p.s. nella lista degli anonimi non ha inserito i tonti (come il sottoscritto) che sono in apparenza anonimi, ma che si firmano alla fine perchè non sanno accedere al profilo :-))
    Michele

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    1. Tonti :-) ma dal cuore d'oro! Grazie Michele, ero certa di trovarti dalla parte dei "buoni"!
      Sono ancora un po' tra lo stupito ed il preoccupato per il fatto che Trecose ufficialmente "esista", ma in effetti guardiamo il lato positivo: una voce in più in favore della bellezza e del talento, doni eterni che mai potranno avere un marchio di mercato, o essere sfiorati da invidie e malelingue di bassissima lega.

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  2. Ecco..io forse non dovrei dire nulla..visto che sempre “anonimA” sono (ma poi…forse…nemmeno troppo! ;)) Ma la mia simpatia te la sei conquistata a colpi “d’anima”… e se c’è da fare una guerra, beh..magari perderemo… Ma ho già addosso l’elmetto e…ho caricato il ..vocabolario! (altra arma non ho!) ed eccomi pronta alla..pugna! :)
    Non mi permetto di dire nulla in merito al fatto in se. Non mi piace parlare a vanvera e non ci capisco nulla o quasi di arte e di tutto il resto (ma leggo sempre con piacere i tuoi post sull’argomento. E’ bello “immergersi” nel..bello e godere delle emozioni che trasmette (e trasmetti)..)
    Conosco qualcosina in più però del mondo della comunicazione e di quello assai intricato dell’animo umano (poco, eh! Poco, poco..).
    I fatti: La trasmissione di cui parli sembra non abbia avuto successo di vendite.( (che poi non vuol dire affatto che non sia stata apprezzata. Ci capisco nulla, ma magari un quadro difficile da collocare può essere ammirato, ma non comprato…). L’artista non è apprezzato in Italia per vari motivi. Non ultimo quello delle dimensioni delle opere che, come dici, trovano difficile collocazione nelle ns case ormai purtroppo taglia xs. Alla trasmissione partecipava un critico d’arte che tu stimi. Il canale usato è quello degli Orler (sono andata a vedere…), quindi un canale di “settore”, dove non ci si capita per caso…
    Le mie “conseguenti” domande: Il SIGNOR/A Anonimo/a… cosa ci faceva lì? E visto che non sembra essere né un fan degli Orler, né del critico d’arte e tantomeno del pittore, qual è stata la molla che lo/a ha spinto/a a vedere una trasmissione che dura ben tre ore?
    E ancora… avendo lui/lei a portata di mano il magico strumento, detto “telecomando”, cosa o chi, gli ha impedito di interrompere cotanta mostruosa tortura?
    E procedendo ancora… Se, come mi auguro, era in suo potere esercitare lo strumento del “libero arbitrio”, allora il motivo di tanta tenacia potrebbe nascondersi (..azzardo, eh..) in un certo “gusto” nel godere di insuccessi di persone che non godono della sua stima?
    E, scavando ancora un po’, visto che la trasmissione si è rivelata poco “redditizia”, perché il “signore/signora” in questione, non ha trovato soddisfazione nel presunto insuccesso, ma ha voluto (dovuto??) scriverti commenti “malevoli” sul fatto e, sembrerebbe, anche sulle persone?
    La mia deduzione: Vista da quaggiù (xkè io sono in basso..) e non avendo purtroppo contradditorio (ma sarebbe interessante, davvero interessante..), la figura di questo “anonimo/a”, prende un po’ il sapore di un vino lasciato a lungo stappato al sole…
    E torna alla mente la volpe, (a tutti nota) e l’uva (il pittore? Gli Orler? Faccenda?)…così bella..così buona…così irraggiungibile..
    Un saluto, un sorriso.. Matr.3957

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    1. Cara T., la combinazione di malelingue e invidia è una gran brutta bestia, sempre, che si parli d'arte, di assicurazioni o di qualunque altra cosa.
      Sono propensa a credere che nessuno sia stato col telecomando in mano per tre intere ore: è più probabile che siano bastati dieci minuti e qualche telefonata "giusta" per far partire una catena di bisbigli cattivi, e il web è il naturale sbocco per queste cose. Un mare in cui gente insoddisfatta (e manovrabile) gode nel vedere le difficoltà altrui. Basta non ascoltare, soprattutto se si ha la coscienza a posto, come i belli/buoni/irraggiungibili...
      Mi ha comunque scocciato il fatto che siano venuti a rompere le scatole qui, perchè un blog non è una bacheca da social network dove ognuno appende ciò che vuole (come di recente ha fatto notare - con acume ed intelligenza - anche Roberto Milani nel suo): qui siamo a casa mia, e da chi bussa alla porta come minimo gradirei rispetto per le persone che stimo e a cui voglio bene. O è guerra con me, non solo con loro.

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  3. Cara Signora, la sua devozione è commovente ma mal riposta. Lei non conosce a fondo la persona, glielo garantisco. Non è amicizia, la sta solo usando. Svegliaaaa. Luca S.

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    1. Gentile Luca S., pubblico il suo commento perchè a questo punto non potevo non farlo, visto che si è firmato (ed ha anche usato correttamente grammatica e sintassi, rispetto ai suoi precedenti colleghi, a parte quell'orribile finale con tutte le "a", che è da quattro meno meno). Per educazione anche le risponderò: io ho nominato Giuseppe Orler e Giovanni Faccenda; lei, a chi faceva riferimento? Qualcosa mi dice che parlava di quello senza i baffi. Probabilmente ha ragione, caro Luca S., io non conosco bene Giovanni Faccenda. L'ho sempre incontrato in occasione di mostre pubbliche, o di eventi e dirette Orler, con un sacco di gente attorno. E sono francamente convinta che non ci saranno mai occasioni private, visto che siamo entrambi professionisti molto impegnati. Ma le dirò, caro Luca S.., che della sua dimensione pubblica, in effetti, non me ne frega più di tanto, mi basta leggere quello che scrive (che è la cosa importante), non sono una maniaca del gossip. E per capire la sua dimensione privata non ho bisogno di farci insieme gran discorsi, mi basta guardarmi dentro, visto che sentiamo il mondo, la vita e le sue emozioni allo stesso identico modo. Infatti, probabilmente entrambi non amiamo alla follia i consigli non richiesti. Comunque grazie, e non si preoccupi: io ho vissuto abbastanza per saper tenere gli occhi aperti, nonostante dia estrema importanza all’amicizia ed ai rapporti umani. Non sono certo così ingenua o tonta da pensare di essere speciale per lui; so solo che lui per me lo è, e mi basta. Perchè il 2012 è stato - per certi versi - il più infame della mia vita (tolti forse solo quelli in cui mio marito stava male); un anno in cui la crisi ha reso il lavoro una lotta, e gli impegni presi da chi ha una Partita IVA aperta quasi insostenibili. Un anno in cui ho dovuto risalire la china di un baratro emotivo in cui mi aveva gettato una persona che ha tradito la mia fiducia e la mia amicizia, in modo improvviso, imprevedibile e meschino. E se l'ho risalita, e lotto, e mi alzo ogni mattina più felice che triste, è anche merito delle emozioni che ho provato grazie a Giovanni (e a Marcello e Lia Scuffi, e agli Orler, e ad Armodio...), che mi hanno ricolmato di positività. Lei dice che mi usa? Per cosa poi? Per quattro gatti di pubblicità? Bastasse questo! Ha la mia gratitudine, la mia stima e il mio affetto. Se ne faccia una ragione. E mi faccia sapere se, invece, si riferiva a Giuseppe, perchè avrei pronta una risposta anche in questo caso.
      Voglia gradire i miei più distinti saluti.

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    2. Poi uno ci dorme sopra e gli vengono in mente altre cose... Me lo farebbe, gentile Luca S., un esempio, me lo riferirebbe un episodio, in cui "la persona" (senza i baffi) non ha mantenuto le sue promesse? In cui ha tradito le sue amicizie? In cui ha mancato alla parola data? Me ne basta uno. Sa, giusto perchè uno più uno fa due.

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  4. Bah... Secondo me, sei 'uva' pure tu!! ;)
    Un caro saluto,
    Matr.3957

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  5. Se posso anch'io aggiungere una cosa.
    Premessa: che ognuno cerchi di portare acqua al proprio mulino direi è una banalità. Il lavoro del critico dell'arte consiste, sostanzialmente, nell'aiutare chi dipinge a vendere meglio i propri quadri.
    Nella categoria vanno fatte però delle distinzioni. c'è il ciarlatano che si inventa favole che non stanno in piedi ("artista da museo", "costerà milioni di euro", "più bello di xxx"...), basta fare zapping in tv per farsi due risate...
    c'è poi chi ha il compito di creare il substrato filosofico ad una sostanza che c'è, la ciliegina sulla torta. e non lo definirei ciarlatano, semplicemente è marketing. qualcuno ci crede veramente, qualcun altro non ci crede ma lo fa per denaro. il mondo è molto vario.
    E qui credo sia l'inghippo. Perchè Luca ritiene classificare l'uomo senza baffo nel primo calderone, quello dei ciarlatani, Paola nel secondo, seconda opzione. io non mi permetto di schierarmi, non conoscendo Faccenda.
    Però dico, tutto è relativo, sta alla sensibilità, all'esperienza, al sesto senso, ai gusti di ciascuno trarre le proprie conclusioni. e rispettare quelle degli altri.
    posto che, personalmente, se un quadro non mi piace, puoi infarcirlo di mille vaccate, non mi piace lo stesso. se il quadro mi piace e in più capisco il senso, mi piace di più, ma non è per la ciliegina che decido di comprarlo...
    Buone feste a tutti
    Michele

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    1. Miche', sei pure emigrato in terra lombarda, ma sempre veneto resti, e con la pragmaticità della nostra terra non si scherza! Anche da parte mia buone feste!

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