.

.

giovedì 20 dicembre 2012

I love Mankind, it's People I can't stand

Vale a dire "Amo l'umanità, è la gente che non sopporto". Correva l'anno 1985, e con enormi sforzi (complice qualche nonno morto) i miei genitori erano riusciti a mettere da parte una cifra ics con cui mandare me e mia sorella in vacanza-studio in Inghilterra, per quattro settimane. Quattro settimane incredibili, una vera full-immersion, anche perchè non si trattava solo delle ore di scuola alla mattina, delle gite, delle escursioni, di Londra (ancora senza Ruota e senza Pigna, o Cetriolo che sia, ma sempre incomparabilmente lei), ma anche e soprattutto della famiglia che ci ospitava, ed in questo eravamo state fortunate rispetto ad altri del gruppo: alloggiavamo da due Autentici Anziani Inglesi (capelli bianchi bianchi, pelle rosa rosa, occhi azzurri azzurri), di quelli che quando scendi le scale cascasse il mondo invece di darti il buongiorno ti dicono "Good weather today" o "Bad weather today", a seconda, e potevamo fare conversazione come si deve. Dotati di grosso-nero-cane, Bertie, che rispondeva a comandi tipo "Out" e "Down", ma solo se pronunciati con la giusta intonazione. Amanti delle vere tradizioni inglesi, come mangiare spaghetti collosi al posto del contorno a pranzo, da una ciotola piena di salsa dal colore indefinito. Oppure fare una pre-cena con stuzzichini vari verso le cinque del pomeriggio, e poi cenare di nuovo ed abbondantemente prima di andare a letto (la variante serale all'apprezzamento sul tempo, invece della buonanotte, era sempre "Would you like anything to eat or drink?", sembrava un disco registrato ma simpaticissimo. Yessssplease, Noooothankyou). Oppure avere la moquette anche in bagno, e la vasca senza soffione (così te lo sogni, di risciacquarti, ed esci ricoperto da una strana mucillagine). O tenere chiusa a chiave una stanza dove non ci era permesso entrare, che ovviamente è stata la prima cosa che abbiamo violato il giorno in cui siamo rimaste a casa da sole, scoprendo un vero e proprio santuario dedicato alla Principessa Diana, all'epoca ancora viva e vegeta, ma che probabilmente già toccava ferro perchè era roba da C.S.I., da serial killer, da pazzi psicopatici: tende, tazzine, piatti, cuscini, libri, bicchieri, penne, specchi, asciugamani, statuette... tutto con lei stampata sopra, ammassato in un'unica stanza. Ho dormito con un occhio mezzo aperto e guardingo come i gatti per il resto della vacanza. Povera Diana, tutto sommato ancora qualche anno e poteva fare una fine peggiore.
Eppure la cosa che mi è rimasta più impressa di quelle quattro settimane (che già sapevo sarebbero rimaste uniche nel loro genere, e non solo per una questione economica - per i miei si trattava di uno sforzo non ripetibile, ed anche per il nonno, evidentemente - quanto perchè come vivi certe emozioni alla soglia dei diciotto anni è impensabile a qualunque altra età) era stata quella scritta, su una maglietta con stampato sopra Snoopy. E l'avrei capito col tempo, quanto vera e profonda fosse, mentre all'epoca mi sembrava solo una frase buffa su una tipica t-shirt inglese, di quelle che qui ancora non si usavano, perchè noi d'estate andavamo tutti in giro in tinta unita o al massimo a fiorellini o righette.
Qualche anno dopo, finita anche l'Università, alla ricerca di lavoro, avevo ben chiara solo una cosa: che volevo lavorare a contatto con le persone, che non volevo chiudermi in una celletta dove avrei avuto come unico compagno una sorta di grosso televisore grigio e cubico con tanti cavi (così erano i computer nel '90). O libri. O entrambe le cose. Avrei voluto insegnare, ma mi sono laureata esattamente tre mesi dopo il concorso, ed il concorso successivo arrivò dopo una decina d'anni. Per non infilarmi nel buco infinito delle supplenze, qualunque cosa andava bene, purchè a contatto con "la gente". Ricordo bene che pensavo con terrore all'idea di professioni che non mi permettessero di relazionarmi con gli altri, di dialogare, di scambiare opinioni. Santa ingenuità! Come si cambia, in poco più di vent'anni...
Solo la filosofia di Snoopy è sempre uguale, lei con la sua maglietta così profondamente acuta. Nessuno odia l'umanità, come potremmo? L'umanità siamo noi, "umanità" è una parola generica che sa di buono, ci fa sentire migliori, tutti fratelli. Protesi verso il domani, un domani migliore, ci mancherebbe. Col cavolo! C'è anche la GENTE, ed attenzione che "gente" non è per niente parola generica: gente è quella che ti abita in condominio e sporca le scale, gente è quella che ti dà appuntamento e poi non si presenta, gente è quella falsa, gente è quella ipocrita o vanesia, gente è quella che si vanta di meriti non suoi, gente è quella che ti chiede favori assurdi, gente è quella che si lamenta a prescindere, gente è quella che alla fine è sempre metà di quanto avevamo pattuito, gente è quella dalle facili promesse sempre disattese, gente è quella che ti adula e non le riesce neanche tanto bene, gente è quella che ti cerca per quello che rappresenti, ma mai per quello che sei (anche perché non lo sa, come sei, sempre che le importi davvero), gente è quella che sa sempre tutto mentre tu non sai niente.
Gente sono le persone che mi ripetono riempiendosi la bocca “io sono un ottimo Cliente perché ho un sacco di Polizze con te”; ma se tu quelle Polizze non me le paghi, caro il mio “ottimo Cliente”, non sei proprio nessuno. Preferisco mille volte il pensionato con la RCA nuda e cruda, che mi viene con il sacchettino pieno di Euro di moneta, perché se li mette via come elemosine, ma arriva puntuale e fiero di aver pagato le sue pendenze senza un giorno di mora. Lui sì, lui con la sua mitezza, la sua storia sulle spalle curve e le sue tristezze quotidiane, ha tutta la mia ammirazione. Non tu. E non mi venire a dire che hai problemi (soprattutto se i tuoi problemi sono che quest’anno ti salta la settimana bianca a Cortina), perché io i miei non te li racconto, ma non vuol dire che non ne abbia. Il buon Cliente, di questi tempi, è uno solo: quello che paga.  
It's People I can't stand. ANYMORE, aggiungerei. Potessi scegliere adesso (ed è evidente che non posso), prenderei un'altra strada. Mio marito è tenero, lui, e ride ogni volta che mi sente brontolare "Non voglio più fare questo lavoro" (cioè la mia abituale Litania di fine Dicembre, quando la anche la Stanchezza pretende la maiuscola), perchè lo sa che poi mi passa, infatti non è il lavoro, è la gente. Datemi una celletta monacale, vi prego, voglio passare due anni ad inserire dati in un computer; voglio chiudermi in una biblioteca a microfilmare testi antichi; voglio dialogare con poeti morti! Fatemi solo studiare, che era cosa che mi veniva così bene e non mi costava mai fatica, mai: era bellissimo, come volare. Io scuotevo la testa quando, ai tempi che furono, sentivo le lamentele dei compagni che non amavano i libri; e pensavo “Come siamo fortunati, noi che possiamo, e mi sa che lo capiremo molto presto”. Che bello sarebbe, a parte gli scherzi e le utopie, essere pagati solo per studiare: arricchirsi lo spirito con nuova cultura e nuova conoscenza, e prenderci pure uno stipendio! Non voglio vedere nessuno, non voglio ascoltare gli stessi discorsi, basta facce, basta frasi, basta sorrisi finti. Basta gente, al limite solo umanità.

2 commenti:

  1. Ciao Paola
    la prima osservazione è: almeno tu qualche anno di vacche grasse, o forse meno magre di quelle di oggi, sei riuscita a farlo. Non fraintendere, non è un'accusa, ci mancherebbe, anzi beata te- ti direi!
    Il problema è che ci troviamo a che fare con problemi strutturali arrivati in massa al pettine negli anni in cui la mia generazione è entrata/ vorrebbe tanto entrare nel mercato del lavoro. Globalizzazione esasperata, delocalizzazione della produzione di medio-basso livello, disoccupazione giovanile alle stelle, crescita zero se va bene, la finanza che fa e disfa impunita, precariato come forma di entrata nel mercato del lavoro e per molti non solo di entrata,le banche che non concedono mutui per acquistare la casa,... Per carità, nessuno vuole tirare i remi in barca, per quanto mi riguarda le maniche di camicia sono belle che rimboccate, ma obiettivamente la mia generazione, purtroppo, deve penare di più rispetto alla precedente. In verità anche la precedente generazione, in questi anni pena anche lei, ma almeno la prima parte vissuta è stata meno sofferente della rispettiva generazione precedente, avendo la possibilità di risparmiare qualcosa.
    mi viene da pensare che il vero dramma, se non si invertirà la tendenza, sarà per i figli dell'attuale generazione, non potendo più contare sulle riserve dei padri..
    La vera sfida del futuro sarà pensare come far crescere il PIL nelle economie mature come la nostra, rendere sostenibile la crescente spesa pubblica che avremo per l'invecchiamento della popolazione (quindi sanità, pensioni,...), senza basarsi unicamente sul ritornello che le economie emergenti saranno il traino. io mi rifiuto alla logica del declino, certo che non vedo grandi idee da parte della classe politica sulla strategia a medio lungo termine. qui si pensa solo se sanremo disturba la campagna elettorale...
    che anni bui, meno male che c'è l'arte...
    ciao a tutti, anonimi e non anonimi
    Michele

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quando Michele parla, io taccio e annuisco. Un'analisi lucida come sempre, e mi deprimo, perchè sono già stressata del mio in questo periodo dell'anno, ma non posso che condividere.
      Aggiungici che l'accenno che ho fatto a chi "non paga" riguarda gente che di questi problemi non conosce nemmeno l'esistenza... e la conclusione non può che essere DAVVERO "meno male che c'è l'arte"! Un abbraccio a tutti coloro che la amano.

      Elimina