Mi inquieto quando riscontro sinistre applicazioni di verità nei proverbi e nei detti popolari. Non dovrebbe essere affatto così, dovremmo ripeterli solo per mantenere vive certe tradizioni, e non crederci mai, soprattutto; penso ad esempio al classico “Sposa bagnata sposa fortunata”, che è di un’idiozia colossale, inventato solo perché la poverina di turno non abbia un travaso di bile quando apre la finestra alla mattina del giorno tanto atteso ed improvvisamente si rende conto che i capelli le staranno da schifo, le foto verranno malissimo e qualcuno le strapperà inevitabilmente il vestito cercando di domare l’ombrello che si rovescia per il vento (e poi, come dicono sempre mio marito e i suoi amici da taverna, nel caso di specie, stante così la sposa, è più fortunato lo sposo).
In questi giorni sto pensando a quel che si dice sugli anni bisestili. A parte l’ultimo, i miei ricordi si perdono in attimi di terrore. Dal Duemila in poi ogni anno bisesto è realmente stato funesto, per la mia vita, per molte piccole cose e per alcune di grosse, tipo la Grande Bestia che più volte si è divertita ad entrare nel cuore e nella testa di mio marito per distruggere qualunque cosa vi trovasse, puntualissima, ogni quattro anni (con una piccola puntatina extra subito rintuzzata nel 2007). Tranne l’anno scorso. Incredibilmente, l’anno scorso è stato normale: con le sue gioie ed i suoi dolori, certamente, siamo tutti adulti ed è impensabile che su 366 giorni qualche nuvola di passaggio non ci sia. Ma nessuna cosa grave, nonostante la crisi, tutti problemi affrontabili, risolvibili, anzi direi risolti sempre brillantemente. Gran pieno di eventi d’arte, con tutte le emozioni annesse e connesse. Nuove amicizie, soprattutto una, che mi hanno illuminato gli occhi per molto, molto tempo. E dato linfa e grinta nuove, alla faccia dell’economia.
Mi sa tuttavia che c’è qualcosa che non va, forse hanno fatto male i conti ed il bisesto è questo qui. Il mio duemilatredici è partito come uno schiacciasassi, e comincio ad averne davvero paura, visto che ne manca ancora parecchio. Mi sa che qualcuno mi ha portato sfiga, non oso pensarlo; ad inizio anno ero a pranzo con un caro, carissimo amico, e abbiamo fatto cin-cin col Chianti (io faccio follie dopo un buon Chianti). Lui con i suoi occhioni tristi ha brindato a me – ma che gentile - dicendo che era più che certo che per me sarebbe stato un duemilatredici stratosferico, meraviglioso, pieno di sorprese. Lo strozzerei. Taci che gli ho reso il brindisi, così per lo meno dovremmo essere pari, ma io – si sa – sono fortunella e porto bene a coloro a cui voglio bene, infatti a lui le cose nel duemilatredici sono partite sprintose. In tutti i sensi, 'sto fetente. Via la saudade del fado e vai con la samba. E io qua ad impiccarmi.
Avevo già prenotato l’albergo per andare a Pisa a metà Gennaio: due giorni fuori a fare i fidanzatini con mio marito, ovviamente con tappa alla Mostra di Kandinskij e magari con un saluto a casa Scuffi durante il rientro, ed ecco che mi si rompe la macchina: frizione andata, cambio rovinato, e quasi duemila Euro di conto. Più il noleggio di una Bravo di m/da, con su le gomme estive, che rumoreggiava come un furgone da rottamare. Da notare che io da brava assicuratrice previdente l’Assistenza Stradale per la Delta ce l’ho, con tanto di auto sostitutiva gratis in caso di qualunque guasto, ma sono quelle cose di cui ci si dimentica quando il capo officina ti dice che ti deve trattenere la macchina sei giorni, con un conto di quelle dimensioni, e non ha la loro auto di cortesia a disposizione subito. La mente ti si affolla di un turbinio di pensieri (appuntamenti da spostare, Pisa che salta perché non mi faccio gli Appennini con una Bravo che monta i sandaletti, e duemila Euro da tirar fuori sull’unghia eccetera); ti ricordi che potevi sfruttare la mitica Card con numero verde quando hai già in mano il conto dell’AVIS.
Sono tre settimane che ho una mezza bronchite che mi gira intorno, tra febbre, raffreddore, mal di gola e tosse da cortisone nell’aerosol, che puntualmente ci passiamo a vicenda con mio marito, e gira e rigira stiamo sempre male. Malanni di stagione, dicono, ma è dura aspettare il 21 Marzo col naso che cola ininterrottamente e la tosse che non ti fa dormire (e se lavori dodici ore al giorno, almeno sette devi riuscire a dedicarle al riposo, o schiatti). Il medico dice che devo stare chiusa in casa almeno una settimana, che fine umorista, probabilmente viviamo su due pianeti diversi (mi piace il suo! Dovrò informarmi...).
Ho accettato con entusiasmo di far parte di un interessante progetto che prevede una determinata spesa annua, un po’ (un po’ tanto) fuori dal mio normale budget. Ma per fortuna c’è altra gente che lo trova interessante e mi garantisce che coprirà la parte dove io non arrivo; gente fidata, gente sicura. Gente che ti telefona il giorno prima della firma per defilarsi (e sono quelli più corretti!), quando non il giorno dopo (della serie: come finisce un’amicizia tra due maschi dopo oltre quarant’anni, senza che ci siano donne di mezzo). Sono venuta fuori dalla m/da molte volte in vita mia, so come si fa e non mi spaventa, per certo ci riuscirò anche questa volta, ma mi secca perché il tuffo è sempre sgradevole, io ci tengo alla pulizia.
Dulcis in fundo, lunedì scorso il mio Subagente, il mio unico Subagente, mio fido collaboratore da quanto mi sono messa per conto mio (ed ex-collega per qualche anno precedente, quando timbravamo entrambi il cartellino), mi chiede con una faccia strana se può parlarmi. Era sera, stavo per andare a casa. Ho sentito un brivido giù per la schiena, un po’ come quando il Lurido Verme mi aveva chiesto se potevamo prendere su la macchina per PARLARE (ehi, come cambiano gli epiteti, da un anno solare all’altro). Abbiamo parlato nel mio ufficio, invece, piangendo tanto ed abbracciandoci di più. Ma il succo non cambia: mi ha dato le dimissioni.
E per me è stata la mazzata finale dopo trenta giorni in cui mi cominciavo a chiedere dove cavolo era finito il mio Angelo Custode (torna dalle ferie bello mio, mi servi qui). Ha ricevuto un’offerta stratosferica (che mi auguro per lui sia vera e mantenuta dall’inizio alla fine), di quelle che non puoi rifiutare, e in coscienza neanche io al suo posto l’avrei fatto. Adesso è entrato negli “anta”, con tre bimbi, è giusto che spicchi il volo anche lui nel grande cielo dell’imprenditoria, cercando di non essere abbattuto immediatamente da qualche norma sulla Privacy, o sulla Sicurezza nei Luoghi di Lavoro, o da vertenze sindacali. Però il succo è che se ne va, e questo mi devasta per due motivi: mi devasta personalmente, perché per me L. è un fratello, forse più di un fratello. Abbiamo lavorato assieme quattordici anni, ogni giorno. Sono diventata il suo Capo e non è cambiato niente, anzi. L’ho visto disperato perché la morosa storica l’aveva piantato, l’ho visto innamorarsi pian piano della ragazzina dagli enormi occhi celesti che poi è diventata sua moglie, e a dirla tutta so anche della famosa loro prima volta in cui lui ha fatto clamorosamente cilecca per l’emozione, perché la mattina dopo è venuto in ufficio con un muso che toccava terra come un cane bastonato (ma sono proprio emozioni come quelle che fanno sì che nascano i legami veri, tant’è che dopo la seconda uscita è arrivato che camminava a due metri da terra, e non si sono più lasciati). Ho avuto la telecronaca in diretta delle nascite di tutti e tre i bimbi. Ho ascoltato infiniti racconti di folli vacanze. Ci siamo confrontati spesso sul senso della vita, sul senso dell’amore, del matrimonio, dei tradimenti (fisici e/o mentali). Professionalmente l’ho portato pian piano – me ne assumo gran parte del merito, e guai a chi osa contraddirmi – ad essere quello che è: un professionista come lo intendo io, con dei valori al posto della Carta di Credito ed un metro di misura umano al posto degli obiettivi di produzione.
E adesso lui diventa “la concorrenza”. E questo mi devasta professionalmente, perché purtroppo così funziona il nostro lavoro, anche se cercheremo di essere civili (ce lo siamo ripromessi) e magari di dividerci già la Clientela come con le figurine (Caio a me, Tizio a te), senza dirlo alle nostre reciproche Mandanti che già sognano laghi del nostro sangue sparso in cui pescare chissà quali ghiotte opportunità di vendita. So già che ci scontreremo, è inevitabile; a volte vincerò io, a volte lui, e sulla pelle di Clienti che fino a ieri ci avevano sempre considerato una cosa sola, e magari dovranno anche scegliere quale dei due tradire. E’ molto probabile che mi porti via una cospicua fetta di portafoglio, perché nel nostro lavoro chi gioca all’attacco (con una Compagnia piccola ed affamata, disposta a sconti folli pur di acquisire) è sempre favorito rispetto a chi sta in difesa (con una Compagnia che si sta ancora leccando le ferite e vorrebbe vedere incrementi, non decrementi; ma va da sé che se vuoi che il Cliente resti il premio va calato per forza!). E saranno perdite che, in questa congiuntura economica, per me sarà estremamente difficile ripianare. E’ molto probabile che io debba nuovamente sforbiciare l’orario già molto ossuto delle mie Ragazze, spremendo ancora la mia coscienza (e i loro stipendi) in dubbi e valutazioni.
In ogni caso mi aspettano, oltre ai miei impegni di tutti i giorni, lunghi mesi di corsa, di corsa, di corsa, per dare un volto a molte voci, associare a molti nomi una storia, una vita, e picchiare giù duro perché diano fiducia alla mia professionalità ed al mio impegno piuttosto che a quelli di una persona a cui io stessa li ho insegnati. Anche se, in fondo, è una soddisfazione, per quanto piccola, perché vuol dire che ho lavorato bene, se hanno scelto lui.
Mi sento come se mi fosse passata sopra una bisarca carica. Mi sento schifosamente sola. Sono vuota di energie, vuota di pensieri, vuota di voglia di fare qualunque cosa. E tanto, tanto spaventata.
Vorrei addormentarmi adesso, subito, e svegliarmi tra un anno, quando molti tasselli saranno andati a posto perché avrò trovato, come faccio sempre, tutte le soluzioni (perché so già che le troverò, è che mi secca doverci pensare, mi secca dovermi concentrare, anche se passare le notti a piangere e vomitare non è un gran passatempo).
Però non va bene, mi perderei troppe cose: mi perderei i prossimi Speciali Orler, mi perderei le Mostre di Armodio e di Scuffi già decise per tutto l’anno, mi perderei tante Fiere d’Arte. Mi perderei un anno intero di emozioni, di amicizie ed abbracci, e magari anche la fiorentina che avanzo, in qualche osteria del Valdarno. Accidenti, non per portar sfiga a mia volta, ma non vorrei proprio perdermi lo scudetto numero Trentuno che tanto ci stiamo meritando…
Allora muovi il culo e smettila di frignare, cretina. Reagisci!
E la prossima volta impara anche tu a ballare la samba, visto che fa così bene, c/zo.
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