Io li capisco, gli ex-forumisti di Antonio Nunziante. Eccome se li capisco!
Entusiasti, esagerati, forse un po' matti (in senso buono), si erano lasciati andare in quel Forum che era uno spazio tutto loro, nato e cresciuto presumo con grossi sforzi in quanto a tempo e impegno, per condividere un'emozione comune, confrontare i propri gusti, una sorta di Piazza d'Italia metafisica in cui, da tutta Italia, virtualmente si ritrovavano, chiacchieravano, si conoscevano. E poi gli incontri veri, reali, le vere cene, le Mostre!
Il problema è che, quando si parla e si scrive in uno spazio "pubblico", arrivano le ripicche. Se uno sente, o pensa, o crede, che gli abbiano pestato i piedi, reagisce. Poi ci sono i provocatori, veri o falsi che siano, e poi c'è quello che Il-Forum-è-onor-mio-quindi-fate-quello-che-dico-io. Insomma, un gran casino. Finisce che per fare quello che piace, e che in fondo è di una semplicità disarmante (parlare d'arte, di quadri, di gusti), bisogna quasi quasi nascondersi. E, da nascosti, per delicatezza certi argomenti trattarli solo tra gli iscritti, non pubblicamente, vale a dire l'esatto opposto del messaggio iniziale: l'arte è bellezza, parliamone! Condividiamola!
Io ho un Blog, non un Forum, il che è lievemente diverso, perchè in un Forum tutti parlano con tutti, mentre nel mio Blog questi "tutti" parlano solo con me, non possono interagire fra loro (del resto, è il mio diario, non una Piazza d'Italia). Dovrebbe essere più semplice, la responsabilità di quello che scrivo è mia e ben identificata, posso a mio piacimento pubblicare i commenti di chi mi scrive oppure eliminarli senza alcuna pietà. Invece ammetto che anch'io, nell'ultimo anno, ho avvertito, ogni tanto, qualche difficoltà (a parte il tempo di mettermi a scrivere, che non ho più come prima, ma forse è bene che la fame bulimica di scrittura del biennio 2012-2013 sia conclusa, ora sono più ponderata). Granellini, sabbiolina, ma da prendere in considerazione. Gente tanto cara che ti chiede di parlare di un argomento sul quale non hai nel modo più assoluto voglia di soffermarti, e ti sembra poco carino rifiutare, oppure, peggio ancora, la sensazione opprimente da bavaglio, perchè più gente ti legge meno libera sei. Non puoi parlare di questa cosa perchè Tizio si secca. Non puoi criticare Caio, quand'anche costruttivamente, perchè poi si incazza, o ti pianta il muso. Non puoi dire di essere stata nel Tal Posto, perchè non si deve sapere. Eccheccavolo! Era meglio quando non mi filava nessuno, mannaggia.
Quando una persona meravigliosa come Paolo Orler mi abbraccia e mi dice "cosa scriverai su questa serata?" riferendosi alla presentazione del Catalogo Generale di Marcello Scuffi, come cavolo faccio a dirgli che il Catalogo non mi piace? Mi si chiude lo stomaco, piuttosto. Intendiamoci, la serata è stata splendida come sempre, tutti gli Orler sono stati splendidi come sempre, è proprio il volumone da tre chili e mezzo che mi fa l'effetto così così. E l'ho anche detto a Marcello in persona, visto che un paio di settimane dopo la presentazione siamo andati a trovare lui e Lia, nel loro nido viareggino, e vederli lì mi ha fatto il solito dolcissimo effetto, come quando li vedo nella casa di Quarrata. Coccoli, tra di loro e con noi, mentre ti mostrano orgogliosi il "loro" mare, da quel terrazzino che è lui da solo un intero mondo, e dal quale si intravede, ma solo se è il tuo Giorno Speciale, la famosa Isola-che-non-c'è che spesso appare e scompare anche nelle tele di Marcello, un'isola, non le pendici degradanti dei suoi monti, un bacio fuggevole di roccia che si avvolge di foschia come di una sciarpa leggera. Al piano di sopra, visto che, come noi, non hanno bisogno di camerette aggiunte (quante cose accomunano noi e loro!), Marcello si è preparato uno studiolo, che non ha la sacralità della chiesetta di Quarrata ma che a suo modo attira, lassù, nel profumo del vento della pineta, e probabilmente è il principale responsabile dell'ultima serie di acquerelli, vertici ormai insuperabili, densi come dipinti, in cui l'acqua è quasi un ricordo eppure l'avverti, quando ti scivola nell'anima.
Intendiamoci, il volumone è prestigioso, esteticamente molto bello e con un apparato critico notevole. Però c'è troppa quantità, e dà l'effetto di una confusione mista che prende un po' la gola (col senno di poi, io magari avrei fatto un cofanetto con tre volumi più piccini: oli, strappi d'affresco e acquerelli, tanto per dare più respiro fin da subito). All'inizio si parte con belle impaginazioni larghe, e alla fine si approda al micron, come una moto che arriva lunga ad una curva e si accorge tardi che la strada gira e più in là c'è solo il guard-rail. Ci sono quadri nella realtà minuscoli pubblicati a piena pagina (quadri assolutamente normali, a volte senza infamia e senza lode), e tele enormi, ricche di particolari, tra l'altro suggestive e bellissime, riprodotte come francobolli. Visto che, generosamente (ancora un plauso agli Orler!), non è stato chiesto manco un centesimo ai proprietari delle opere per la pubblicazione (e quindi nessuno poteva pretendere niente), magari era il caso di fare una piccola scrematura, operare una qualche scelta selettiva, ragionarci sopra un po' di più: per un pittore ancora in vita mostrare questa grande, infinita ammucchiata può essere controproducente (ed infatti tendenzialmente il Catalogo-Generale-di-tutto-di-più si fa ai morti, di cui pubblichi ogni cosa si trovi in giro, perchè si presume che altro non ci possa essere, oppure se lo fa da sè Nunziante, ma questo è un altro discorso, con dieci e passa volumi di roba a quel punto si perde per forza di vista l'obiettivo-qualità).
Dovevo dirlo? Potevo dirlo? Qualcuno si arrabbierà? Posso ancora conservare un minimo di libertà di opinione? Chi la pensa come me batta un colpo.
Già che oggi mi sto giocando alcune amicizie, togliamoci 'sto benedetto bavaglio di carinerie e delicatezze, e fatemi parlare di una persona magica che ho conosciuto da poco e che già adoro (non come Scuffi, ma ci siamo quasi): Claudio Cargiolli. Non che sia da top-secret Cargiolli in sè, ci mancherebbe, quanto il fatto che io sia stata a trovarlo di persona, nel suo studio-piccionaia, a Carrara.
C'è, da qualche parte nel mondo, una persona che mi vuole molto bene (bene che io ricambio, perchè sarebbe impossibile non farlo) e che, molto semplicemente, era a conoscenza di quanto mi piaccia Armodio, di quanto io impazzisca letteralmente per CERTA bravura tecnica - diversa da quella degli iper-realisti, che tecnicamente ammiro perchè non sono rimbambita (e quando uno è bravo c'è poco da fare: è bravo) ma che mi lasciano un po' freddina, con buona pace di mio marito che alle Fiere si incolla con la bavetta ad ogni Pellanda che vede, pur sapendo che io, su questo, sono incorruttibile. Parlo di una bravura che vada oltre l'immagine, una bravura da CESELLO, da significato celato, da poesia e gioco. Questa persona un giorno mi dice: "Ti faccio conoscere uno che come pittura un po' ci somiglia, ad Armodio, vediamo se ti piace", e mi ci ha portato. E' stato un regalo che non scorderò mai, uno di quei momenti importanti, una di quelle emozioni a cui ripensi, chiudendo gli occhi e inspirando a fondo, quando sei sotto pressione e cerchi IL pensiero positivo che ti rassereni prima di ributtarti nella mischia. Giusto poco prima della Fiera di Bologna di quest'anno, quindi posso affermare di essere stata una delle prime persone, se non la prima (a parte i congiunti di Cargiolli), ad aver visto ultimato e ancora "fresco" il famoso trittico che poi è stato esposto nello Stand di Forni. Non che abbia fatto chissà quali cose turche, nel suo Studio, ma visto che in quei giorni si stavano concludendo gli accordi tra lui e gli Orler, mi è stato fatto capire che questa visitina non doveva essere troppo pubblicizzata, onde evitare pellegrinaggi di Clienti Orler fuori zona.
Ma, accidenti, non facciamo sempre i materialisti, un pittore non si visita solo ed esclusivamente per comprare quadri a prezzi ribassati! Anzi! Io sono più che felice di comprare dagli Orler per le loro "forme di pagamento agevolate", e poi partecipo ai loro Eventi, mi fanno sentire speciale, ma non mi perderei per nulla al mondo l'emozione di stringere la mano a uno come Claudio Cargiolli, a casa sua.
L'emozione di arrivare in una Carrara semideserta e addormentata, con l'aria di Gennaio che ti punge il naso mentre osservi l'ennesima mutazione del paesaggio toscano (la Toscana, regione incredibile, una sola terra ma con mille diversi volti, non solo le morbide colline dove svettano i pettini fitti dei cipressi, ma anche i suoi sguardi aspri, o le spiagge, i pini marittimi, i profumi di salmastro). Salire nel bianco le scale un po' sbilenche e incerte di un vecchio palazzo su, su, su, fino all'ultimo piano, dal quale vedi una distesa di tetti e, anche se il mare non è poi così vicino, ti sembra quasi di sentirlo, forse nell'aria, forse negli odori dei muri (l'odore tipico, a me ben noto, di Trieste e di alcune città portuali), forse nello stridio degli uccelli.
Trovare questo folletto giocoso che ti apre la porta, e ti fa entrare, in penombra, così puoi solo intravedere poche cose (dipinti, teste marmoree, tappeti, seggiole) fino al cavalletto, esso sì, invece, completamente illuminato, coperto con un telo che lui solleva come una madre. Sì, proprio come una madre, ecco dove ho visto quella stessa luce negli occhi: una madre nel reparto maternità che solleva il lenzuolino per mostrarti il suo neonato. Uno sguardo che è un misto di gioia, di fremiti, di fierezza, e di orgoglio, per lo sforzo patito e la sofferenza del parto, e per la propria creatura, reale, viva, ora finalmente al mondo.
L'emozione di poter scrutare dapprima l'opera in ogni sua minuscola parte, in ogni suo ricamo, davanti e dietro, con quella finestrella improvvisa da cui un occhio ti scruta, e il folletto che ti spiega quanto ci abbia lavorato, su quell'occhio così botticelliano da un paio di centimetri appena. Qualcuno ti spia dall'altra parte, e vuole vedere che succede di qui, mentre tu getti lo sguardo su un altro Universo, un'altra realtà, un mondo parallelo fatto di alberi che volano, di scale verso la Luna, di case senza tetto, di finestre senza porte, di animaletti veri oppure inventati, perchè tutto è al limite del surreale, ma, credo, senza un significato particolare. Sì, ne sono convinta, non ci sono doppi sensi nella pittura di Cargiolli, non c'è la volontà di svelare/rivelare chissà cosa, non c'è bisogno di interpretare niente: un gatto è un gatto, un pettirosso è un pettirosso, un cesto di uova è un cesto di uova, ma solo per il gusto di abitare una nuova dimensione, un levitare fiabesco, un gioco di bambini, come parlare con un amico immaginario, che nessuno vede tranne te, che conosce i tuoi segreti. E' come se lui si divertisse a farti scoprire un mondo OLTRE. Sicuramente si diverte a dipingere, questo è evidente, non c'è nulla di seriale, anche in soggetti apparentemente simili spunta una fila improvvisa di formichine per distrarti.
E, poi, l'emozione di guardarsi intorno, perchè non è solo per la pittura che sei lì, ma per lui, anche, per vederlo, per vedere come dipinge, se è vero che usa lenti speciali, come crea quei pizzi infiniti a rilievo, quasi come staccati ed applicati direttamente da un tombolo, in una Burano misteriosamente nascosta in Tirreno. Uno studio piccolo, piccolissimo, accatastato di libri, di ricordi, di ritagli, e quel tavolo con i colori già spremuti in verticale, tanti, tantissimi, come lunghe lingue, come dita indurite che spuntano a rilievo. Anzi, come un paesaggio onirico, un paesaggio quasi lunare, come roccia erosa, come i Camini delle fate della Cappadocia, questo colore ti colpisce e ti stordisce venendoti incontro e facendosi strada tra i pennelli. Pennelli ovunque, di ogni misura, dovunque l'occhio cada.
Lui sorride, continuamente, perchè sa perfettamente cosa stai provando, legge lo stupore nei tuoi occhi, e anzi ti provoca, raccontandoti quanto tempo ci vuole per le realizzazioni più intime, per quelle minuzie studiate nei minimi particolari con addosso quella buffa montatura con le due lenti d'ingrandimento, pesante, ingombrante, che si sposa benissimo con la sua capigliatura ribelle e gli dà un'immagine da inventore, da scienziato, di quelli che viaggiano nel tempo e, spesso, da qualche parte nel fiume del tempo si perdono. Ti parla delle sue tavolette, e delle sue carte così amate e sottovalutate, elogia la lentezza nella creazione, scherza con i richiami ai Grandi che lui inserisce spesso, ora nascosti ora palesi, nei suoi quadri.
E tanto traspare l'amore per quel luogo, per il suo lavoro, per i suoi soggetti, che ti balza evidente ciò che ha detto di lui Vittorio Sgarbi, confrontandolo, appunto, con Armodio: è vero, sono molto simili, rappresentano le due facce di una stessa pittura, di una pittura di perfezione, di una pittura certosina, di lavoro accuratissimo, di precisione ultraterrena. Solo che Armodio ne rappresenta, in un certo senso, l'aspetto maschile, più asciutto, volutamente enigmatico, mentre Cargiolli ne è il lato femminile, più dolce, più vezzoso, sia nei soggetti (colombe innamorate, animali sognanti, cieli aperti, perle, angeli) sia nei colori, i suoi rosa pastello stemperati nell'azzurro, ma anche i rossi e i viola così vivi, o i lampi dorati nel blu scuro. Armodio in effetti è più posato, ha una scala infinita di bianchi, lavora su gradini di latte, e poi ha i suoi grigi, i beige, i nocciola, preferisce elementi solidi come il ferro, il marmo. Armodio è più profondo, forse, più sagace, più ironico nel gioco degli oggetti e nella ricerca dei titoli. Ma Cargiolli ha tanta poesia dentro e fuori, la fa volare lentamente, la distribuisce come da una mongolfiera, e nei suoi titoli c'è una parola ricorrente, "amore", che avvolge tutto, dai camini aperti, alle zampette degli insetti, al mare. Poesia e amore, insieme, come una madre, ancora una volta.
Non si chiede mai ai bambini se vogliono più bene alla mamma o al papà! Mamma e papà sono le due parti della famiglia, diversi ma ugualmente importanti, non c'è l'una senza l'altro. E così per me questi due straordinari artisti: capisci l'essenza della pittura quando li hai davanti entrambi, quando li hai osservati entrambi, li hai conosciuti entrambi, hai stretto la mano ad entrambi. Quando, eccezionalmente, ti hanno aperto la porta del loro mondo e ti hanno ammesso, per un attimo, a comprenderlo. Non mi si può chiedere di tacere.