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giovedì 28 giugno 2012

Fermo immagine

La definizione che ho dato del mio piccolo Scuffi dell'ufficio ("monocromo di grafite"), quello che Ringhia non ha neanche notato, ha creato subbuglio. E ancor di più il fatto che a me piaccia così tanto, visto che chi mi conosce sa quanto io ami l'uso del colore, denso e luminoso (sono pur sempre veneta! Evidentemente è una tradizione che ho nel sangue). Ma c'è sempre l'eccezione che conferma la regola: questo Scuffi è pazzesco. A parte il fatto che piaceva tanto a lui (l'ha definito "il più bel quadro che abbia mai dipinto", e con queste premesse non lo puoi lasciare giù, è come avere sempre con te un pezzetto di Marcello), è veramente una perla: è tutto sui toni di grigio, ma non il classico grigio-azzurro delle sue marine - anche le ultime, quelle più marmoree. E' un grigio più scuro, più cupo, scende giù dal cielo e diventa montagna e poi mare; a destra si stacca un molo pietroso, quasi un muro di cemento intonso - di quelli che attirano le scritte metropolitane, ma questo è immacolato, e quindi ti incuriosisce, finchè scopri che c’è una sola pennellata azzurra finissima in orizzontale nel mare, quasi che il graffitaro abbia scelto di lasciare lì, sospeso nell’acqua anziché sul cemento, un segno del suo passaggio. In mezzo e sinistra due barche immobili, grigie anch’esse (su una delle quali spicca l'unica macchia gialla della vela mollemente adagiata), a completare il percorso dello sguardo in diagonale. Tutto questo con un colore solo, lavoratissimo: è diventato davvero bravo Marcello; questo ultimo ciclo è tecnicamente sommo. Guardo i due Scuffi del 2004 che ho a casa, ed il percorso di maturazione è evidente, nonostante il soggetto sia lo stesso, anche per me che sono una profana e di mestiere faccio altro.
Grigio tutto graffi, con sprazzi di luce bianca che spuntano da sotto, e che mi ha riportato alla mente proprio la sensazione della grafite alle elementari. Era una cosa da non fare, e difatti la facevamo sempre, di nascosto; si chiamavano "mine cadenti" ai miei tempi (un nome evocativo, come le stelle), quelle che nascono per essere infilate nude nei supporti: premevi il cappuccio superiore e da sotto usciva la ghiera aperta, come una zampetta artigliata, e catturava la mina, e anche le dita, a volte. Erano senza punta, che andava fatta manualmente usando l’apposito temperamine minuscolo, o meglio ancora la carta vetrata fine; scommetto che non esiste persona nata negli anni Sessanta che non abbia subito almeno una volta - da bambina - il fascino di grattare con la carta vetrata TUTTA la mina, vederla sparire tra le mani (una matita che non nascerà mai), e poi usare il mucchietto di grafite per creare fondi grigi con i polpastrelli, ombre sui disegni, o semplicemente per sporcarsi in modo impalpabile, con la mina diventata coda di cometa. Ecco, questo Scuffi mi evoca il fascino proibito delle mine cadenti. Per questo l'ho voluto in ufficio e non a casa, nel mio studio personale in fondo ai nostri spazi, quello dove non entri se non sei o un mio amico intimo o un Cliente che abbia almeno quattro-cinque Polizze. Quello in cui terminano i poster con il logo istituzionale della Compagnia e cominciano le riproduzioni dei quadri della mia vita (Chagall, Kandinsky, Klimt, Picasso) o delle statue greche. E campeggia quella foto stratosferica di Gregory Colbert che avevo trovato e voluto alla Mostra “Ashes and Snow” del 2002, negli spazi dell'Arsenale di Venezia, con il pachiderma dallo sguardo buono accovacciato davanti al bimbo vestito da monaco che gli legge chissà quali favole per elefanti da un libro. L'avevo presa senza avere alcun spazio per metterla, all'epoca, ma mi rappresentava talmente bene che sapevo che prima o poi le avrei dato un posto d'onore; infatti due anni dopo l'ufficio è diventato mio, e quando l'ho portata ad incorniciare mi hanno offerto una cifra inaudita per averla, ma ho risposto picche.
Adesso c'è anche questa Marina di Darsena, con a fianco una bustina trasparente, appesa al muro con una puntina bianca, che contiene la poesia "La bellezza" di Baudelaire; sono pur sempre quella che declama Montale davanti ai quadri! Perchè mi piace vedere come una cosa descriva l'altra, perfettamente: due strade diverse ma convergenti, entrambe arte pura.

Sono bella, o mortali, come un sogno pietrificato
ed i miei seni, a cui tutti vanno a turno a ferirsi,
sono fatti per ispirare al poeta un amore
silenzioso ed eterno come la materia.

Sfinge incompresa, troneggio nell’azzurro;
unisco un cuore gelido al candore dei cigni;
odio il movimento che scompone le linee
e mai piango e mai rido.

I poeti, dinanzi alle mie pose solenni
che sembrano imitare i più fieri monumenti,
consumeranno i loro giorni in studi severi;
perché ho, per attrarre questi docili amanti,
specchi puri che fanno ogni cosa più bella:
i miei occhi, i miei occhi luminosi d’eterno!

Ringhia ci è passata sotto come se non esistesse, ma io non mi offendo mica; come ho già detto, io seleziono, ed anzi mi fa piacere che gli innamorati di Scuffi non siano dappertutto, così ci si intende meglio. Ci vuole un'anima particolare,  che evidentemente non tutti hanno.
Anche Zelig la prima volta non ci ha fatto caso, però a sua discolpa devo dire che era molto attratto dalla riproduzione del "Bacio" di Klimt, continuava a fissarla, e io ero già tutta colpita/stupita/incuriosita da questa manifestazione di sensibilità quando mi ha detto: "Io questo l'ho già visto...". Prima che potessi dirgli "A Vienna, forse, al Museo del Belvedere" mi ha detto: "Sì, ecco dove, nell'Agenzia del tuo tal Collega!" (Sì, e a questo punto probabilmente come minimo in una cinquantina di altri posti!) "Ma allora... non era VERO". Ti dirò un segreto Zelig, è il mio è quello vero, ma non dirlo in giro, ho fatto parecchia fatica a trafugarlo fin qui ed a rimpicciolirlo un pochino (perché due metri per due era troppo ingombrante), e ancora adesso lavoro dieci ore al giorno solo per potermelo guardare meglio.

2 commenti:

  1. QUELLO CE L'HO ANCH'IO! Diviso in 3 sui raccoglitori della Kaos, uno x le ricette, uno x i documenti medici ed il terzo x i disegni dei bambini quando erano piccoli... prosaica ma non senza speranza :-)

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