“Una persona che conoscevo divideva gli esseri umani in tre categorie:
quelli che preferiscono non avere niente da nascondere
piuttosto che essere obbligati a mentire,
quelli che preferiscono mentire che non avere niente da nascondere,
e gli ultimi quelli che amano sia mentire che nascondere.”
Albert Camus
Qualche giorno fa ho scoperto che una persona a me abbastanza vicina mi ha mentito. Una bugia normale, per inciso, non certo di quelle che ti cambiano la vita. E, sempre per inciso, si tratta di una persona vicina ma non poi così amica e/o importante, più che altro un semplice conoscente sul piano professionale, quindi la bugia in se stessa non mi ha fatto poi così male, perché il male è sempre direttamente proporzionale al bene che vuoi a chi scopri bugiardo.
Però è una cosa che mi ha fatto pensare, in primis perché mi sono scoperta ancora troppo fragile rispetto ai miei gusti (ed ai miei obiettivi, perché in teoria per l’estate avevo stilato una tabella di marcia diversa), ed in secondo luogo perché sono arrivata alla soglia dei quarantacinque anni per rendermi conto che – allora, probabilmente – è impossibile che esistano persone totalmente incapaci di mentire DAVVERO. Mi sono anche interrogata dentro, per capire se inconsciamente per caso non lo faccia anche io, che pure detesto cordialmente la menzogna, proprio perché le mie sofferenze di vita più grandi sono sempre venute da lì (subite e/o causate).
Escludo in partenza le persone che mentono per il gusto di mentire, per il gusto di ingannare, per il gusto di sapere che tu hai creduto a qualcosa che non era vero e solo loro lo sapevano (e per un po’, quindi, ti hanno avuto in loro mano). Io rifuggo la gente così, ma ne esiste, ne ho incontrata purtroppo, e sinceramente non ho mai capito che gusto avrà mai, che sapore avrà mai vivere essendo consci che ciò che ti gira attorno NON E’ REALE, e che prima o poi si scoprirà, e la persona che ora ti crede, ingannata, probabilmente ti detesterà per il resto dei tuoi giorni. Gente deviata, che si compiace di un minuto (un’ora, un giorno, un mese, un anno) di dolore altrui. Magari per poi deriderti per esserti mostrato debole. Uomini o donne, senza differenze.
Ma il fatto è che ci sono un sacco di casi in cui si mente con leggerezza senza in realtà considerare la cosa una vera e propria bugia, perché non c’è un vero e proprio danno a qualcuno, o perché lo si fa per compassione (per evitare danni peggiori), o perché si vuole evitare una discussione fastidiosa. Un esempio classico, visto che siamo in estate: tu vuoi venire a trovarmi perché – mettiamo - sei in ferie e di passaggio, ma io non me la sento, intanto non sono in ferie io, e poi so che intavoleremmo i soliti discorsi inutili (politica, sport, tecnologia che io non uso), fa caldo, ho voglia di starmene per conto mio, voglia di facce nuove. Però è brutto che io te lo dica così perché equivarrebbe a dire in modo spudorato “non ho nessuna voglia di vederti”, che in fondo non è poi così vero, o forse sì? Comunque, per una serie di motivi – non ultimo quello di evitare di interrogarmi se davvero HO O NO voglia di vederti – io ti dico che caspita! Mi dispiace, ma quel giorno lì non sarò a casa, sarò in Tanta Malora per lavoro (il più lontano possibile, giusto che non ti venga in mente di allungare di qualche chilometro), ci si vedrà un’altra volta. E’ pur sempre una bugia, però. E se sono capace di mentire su questa innocentissima cosa, allora potrei farlo con quante altre? Ognuno di noi ha o no una scala di priorità per le proprie cose, i propri valori veri, su cui non mentirebbe MAI, e altre cose su cui – al limite – tutto sommato anche sì? E’ cosi!
E da qui al fare confusione tra i “valori veri” di ciascuno il passo quanto breve è? Perché una cosa che per me è fondamentale non è detto che lo sia per un altro. Prendiamo le dimostrazioni di affetto, per esempio; io sono una persona aperta e solare, ma non con tutti. Abbracci e baci, così come i pensieri più importanti, li riservo a pochi intimi (solo con pochi intimi mi apro veramente). E soprattutto il classico “ti voglio bene”, non è che proprio proprio lo vada a dire a centocinquanta persone per volta (anzi!). C’è la persona a cui lo dico da anni perché è un’amicizia ormai cementata, e c’è la persona a cui lo dico da poco perché la vita - dopo avermi tirato due sberle – ha deciso di farmi un regalo inaspettato e mi ha fatto incontrare un’anima che mi incanta, ma sempre e comunque sulle dita di una mano le conto, e forse neanche tutte, le dita.
Perché per me dire “ti voglio bene” è una cosa che ha il suo bel peso, vuol dire davvero “voglio il bene per te”, il tuo bene prima del mio, sapere felice TE prima di ME, fare in modo – per quanto sia nelle mie possibilità – di renderti tale. Credere nei tuoi sogni, condividerli, ed impedire che tu smetta di sognare.
Siamo dei privilegiati noi italiani, perché abbiamo questa meravigliosa espressione che in altre lingue non esiste (almeno non che io sappia, casomai qualcuno mi smentisca), all’estero si finisce per usare sempre il verbo “amare” che comprende sì questo ma... anche altro. Il “voler bene” invece è così limpido!
Per carità, poi in Italia trovi gente che usa l’espressione “ti voglio bene” anche per ordinare un gelato alla stracciatella, senza considerare cosa invece dovrebbe esserci racchiuso dentro. Scale di priorità dei valori… E con la stessa tranquillità con cui ti dicono un giorno che ti vogliono bene, il giorno dopo ti dicono che d’ora in poi non ti vedranno più; che a dire il vero non è cosa che mi dia fastidio in sè (a parte il male), quando c’è da tagliare anche io sono per i tagli netti. Ho sempre preferito un onesto “finiamo qui perché è evidente che le cose non vanno come devono” piuttosto che tutta quella serie di espressioni subdole che vanno dal “prendiamoci una pausa” (una pausa di che? Solo per sentirti la coscienza a posto mentre ti vai a divertire, posto che sai che io invece starò in stand-by perché è questo che vuoi, tant’è vero che se scopri che anche io sono andata a divertirmi ti secca) a “tu meriti di meglio” (questa poi mi fa travasare la bile, manco io non sapessi cosa voglio o cosa è bene per me! Vuoi anche fare la figura del martire che si immola…). Negli anni infatti ho imparato a prevenirle, certe frasi; una volta – una sola – è successo anche con mio marito, perché in quindici anni è impensabile che la strada sia sempre stata tutta in discesa. Me lo sono trovato sulla porta del bagno (perché ero in bagno, che tempismo!) con un borsone in mano e lo sguardo da “prendersi una pausa” che attaccava con la tiritera di quello che è bene per me. Io gli ho detto semplicemente e senza giri di parole che, se era il mio permesso quello che voleva per prendere coraggio, allora mettiamo in chiaro da subito: prima dovrai passare sul mio cadavere. Detto da seduta deve fare un certo effetto minaccioso, visto che stiamo ancora insieme, bene più che mai.
Quelli dei tagli netti invece non ti chiedono il permesso: una pugnalata e via. Salvo poi chiosare con tono raddolcito: “Ma cerca di starmi bene, mi raccomando”, melliflua richiesta che puntualmente ricorre per un po’, tra sms ed e-mail da dimenticare, perché in realtà non cambierà un attimo della loro vita il fatto che tu stia bene o male, ma raccomandarsi che tu non soffra – come se si potesse schiacciare un pulsante! – fa sentire meno consapevoli di averti appena soffocato con il cuscino.
Che cavolo dici? Come faccio a stare bene? Se è sentire te che fa star bene me (il famoso discorso del “tuo bene”, del “mio bene”), è evidente che per un periodo starò da cani! Un periodo che sarà tanto lungo quanto è il “bene” che so di volerti! Proprio io poi, con l’importanza che do alle voci (ci ho scritto anche un post, il penultimo della mia iniziale Quaresima), come pioggia nel deserto a volte. O musica infinita. Quello “stammi bene” mi suona da infinita ipocrisia, invece. Da pantano di bugie.
Mi seccherebbe parecchio ammettere che nessuno sia veramente immune da questo morbo.
Vorrebbe dire non poter avere più fiducia di nessuno.
E Dio solo sa quanto bisogno ho di potermi fidare ancora.
Nessun commento:
Posta un commento