Ieri l'altro ero incerta se seguire in televisione la cerimonia di apertura delle Olimpiadi londinesi, oppure il venerdì sera targato Orler con un coraggiosissimo e stoico Carlo Vanoni (considerando la concorrenza, qualche decina di milioni di telespettatori per la sola Italia). Poi ho optato per la classica terza soluzione, visto che la giornata era stata tosta e terribilmente afosa: sono andata a dormire, ringraziando per l'esistenza dell'aria condizionata e delle repliche estive.
Sabato mattina quindi vai di Carletto, e mi sono messa a scrivere perchè gli ho sentito dire una cosa molto interessante (peraltro non era la prima volta, ma sentirla di sabato mattina stimola di più): Carlo era incazzato come una bestia perchè la gente vuole sempre e solo la certezza del capolavoro che varrà una barca di soldi, prima di comprare (aggiungo io, a volte anche solo prima di "guardare"). Cosa che ovviamente nè lui nè nessun altro potranno mai garantire! Ed ha fatto un paragone molto acuto con le automobili: chiunque è conscio (e lo trova normale) del fatto che un'auto comprata oggi per centomila Euro, tra cinque anni ne varrà se va bene ventimila o giù di lì. Corredo personalmente la cosa con un esempio tratto da Quattroruote, che a casa mia non manca mai: la Porsche Panamera S nuova costa Euro 100.417,00 esclusa l’IPT. La stessa Panamera del 2009 (più indietro non si va, perché ancora non esisteva, ma gli anni sono solo tre!) ne vale 54.000,00. Vi aggiornerò fra due anni e vedremo quanto ci si discosta dai ventimila di Carlo.
Se ci si pensa, queste considerazioni non disturbano l’opinione pubblica anche se riferite all’arredamento - ad esempio - altrimenti perchè spendere oltre diecimila Euro per un angolo-cucina di marca studiato su misura, che necessariamente non potrai portarti dietro quando verrai via da quella casa? Normale anche quello: la cucina viene usata, se oltre che funzionale è anche bella meglio ancora, e poi finisci per venderla assieme all'appartamento senza che ciò influisca più di tanto sul prezzo finale.
Con un'opera d'arte questo è inammissibile; ma non parlo solo di quelli che spendono i centomila Euro che invocava Vanoni (io non li ho mai visti tutti insieme, ma in effetti se ne avessi prima di spenderli ci penserei... anche se credo che chi spende centomila Euro d'un colpo per una macchina - o un Bonalumi, o un Hartung - si presume ne abbia da parte almeno dieci-venti-cento volte tanto). Fa così anche chi ne spende cinquemila, di Euro, o mille: o gli firmi con il sangue che tra tre anni potrà rivendere l'opera al triplo, o niente. Praticamente il piacere di avere un bel quadro alle pareti, e di goderselo - per tre, cinque, venti anni - vale zero. Ecco, anche io mi incavolo se ci penso. Perchè è esattamente in questo modo che si appiattisce la qualità, la bellezza, l'emozione; riducendo tutto all'aspetto "Euro", dando un valore solamente economico a cose che - intrinsecamente - non dovrebbero averlo.
Per inciso, è altrettanto esattamente per questo che adoro Marcello Scuffi e gli altri tre nel mondo che sono come lui: gente che non chiede ogni sei mesi il ritocco al coefficiente, anzi, gli dispiace un pochino se le quotazioni si alzano perchè in questo modo una fetta di piccoli collezionisti, amanti delle loro opere ma con poco denaro da destinare all'arte, rischia di essere tagliata fuori, e di perdersi qualcosa di importante.
E mi sono interrogata un po' a riguardo, giungendo alla conclusione che una parte di colpa ce l'hanno anche loro, i venditori d'arte, i galleristi, i mercanti, perchè la stragrande maggioranza (con poche, rarissime, adorabili eccezioni che però confermano la regola) è proprio lì che batte. Comprensibilmente, ci mancherebbe! Mangiano vendendo quadri, è evidente che battono il tasto che il pubblico vuol sentire. Ma a volte si esagera, ormai in molti parlano solo ed esclusivamente dell'investimento.
Mi rendo conto che la cosa è strettamente legata al momento in cui l'avvicinamento all'arte è diventato "popolare", meno elitario, anche grazie ad una diffusione massiccia del messaggio: unitamente all'allargamento del bacino d'utenza (che per me è cosa buona, perchè anche tra noi comuni mortali c'è chi vuole circondarsi di cose belle) è arrivato inevitabilmente un appiattimento della professionalità, della competenza, della capacità stessa di scindere i vari aspetti. Forse sarebbe il caso di istituire un Albo anche per i Venditori d'Arte, come per ogni professionista che si rispetti; anche io come assicuratore - del resto - sono iscritta al famigerato Registro Unico degli Intermediari istituito nel 2007 (ma già c'era l'Albo, prima), affinchè chiunque, tramite il sito dell'Isvap, sappia che esisto davvero, dove e quando sono nata, dove lavoro e per chi. Io e le mie ore obbligatorie di aggiornamento annuali.
Se si fa un po' di zapping in televisione (o si parla - alle Fiere - con la presenza umana dello stand, che a volte disturba il piacere dell’accostarsi a quanto è appeso al muro) capita di trovare gente che di pittura non sa assolutamente niente, non ha mai visto un Museo, probabilmente non ha nemmeno mai aperto un testo di storia dell'arte; segue un copione già scritto e che finisce sempre là: compralo perchè varrà una valanga di soldi.
Lo vedo - a volte - anche negli occhi di chi passa per casa nostra: tutti ci fanno i complimenti perchè la trovano bella ed armoniosa, ma qualcuno fa il sorrisetto di compatimento, per alcune "scelte" poco azzeccate, soldi buttati al vento, peccato... Questo avviene quando chi guarda, invece di vedere l'opera, vede solo il corrispondente cartellino; aberrante. Il buffo è che nessuno si sognerebbe mai di fare il sorrisetto per il mio letto matrimoniale, che costa come due Scuffi di medie dimensioni, ma è giapponese, come sospeso in aria su tavole curvate a caldo senza una vite o un chiodo, di quelli che volendo puoi piazzare in mezzo ad una stanza e girarci attorno, perchè privi di testata. Anzi, quello piace. Oppure il living, che è costato quanto un’utilitaria ed è stata una follia del momento, visto che è composto solo da quattro cubi color panna, una panca ed una boiserie in wengè dietro. Ma quello è design (stratosferico, tra l'altro, con cinque pezzi in tutto arredi sei metri lineari, una pulizia di linee e di colori mai vista prima), quindi è ammesso, anche se di certo non ne rivedrò un centesimo quando venderò l'appartamento per volare sulle campagne senesi. Tuttavia, se spendi gli stessi soldi per un quadro solo bello ma senza prospettive di alta rivalutazione sei un'idiota.
Eppure quando nelle trasmissioni d'arte interviene l'artista di turno, o lo studioso, o il gallerista talent-scout, e quindi si parla di OPERE e non di SOLDI presenti e/o futuri, tutti comprano comunque decine e decine di quadri. Vorrà pur dire qualcosa! Ma via, l'hanno scoperto anche a Telemarket, dove per antonomasia tutto varrà milioni di Euro, anche le croste, anche la maniglia della porta, se uno la stacca e gliela mette su un piedistallo (mi sa che li assumono proprio così, i loro venditori: mostrano agli aspiranti un'opera assolutamente ridicola e chiedono quanto varrà tra ventidue giorni: chi spara più alto viene preso, perché a Telemarket dicono quello che la gente vuole sentirsi dire). E la storia dell'arte? E l'artista? E la bellezza dell'opera in se stessa? Deve venire lo studioso a farceli notare, non ci riusciamo da soli?
Il nostro primo "incontro" con l'acquisto di pittura reale (intendo, un quadro fatto da mani umane, non un poster o altra riproduzione) da questo punto di vista allora è stato abbastanza traumatico. Tra i miei Assicurati c'è una piccola Galleria d'arte locale, e qualche anno fa aveva scovato in Francia tale Marc Dahan, pittore sconosciuto ma bravissimo (sempre in base al principio che per me "bravissimo" vuol dire "che sa dipingere sul serio"), molto fauve, alla Matisse per intenderci. Visto da più di una voce "esperta" del settore, elogiato, piaciuto. E pareva pure che fosse in odore di Biennale (non l'ultima, quella di prima). Gli hanno organizzato una piccola esposizione con tanto di catalogo (sono le occasioni in cui io sponsorizzo, tanto per vedere il mio nome con il logo a fianco di quello della cantina locale), e tutte le opere sono andate via bruciate; io stessa ne avevo comprate due, anche se devo dire che con lo sponsor si ha sempre un occhio di riguardo. Bene, questo signore ha smesso di dipingere! Adesso fa il ballerino di tango, estroso come ogni artista che si rispetti. Fra qualche anno probabilmente si metterà a fare il sarto, o chissà cos'altro. I suoi due quadri che ho non valgono nè varranno mai un accidente, neanche il chiodo su cui sono appesi. E allora? Mi piacciono lo stesso, con le loro pennellate gonfie, i loro colori forti ma dolci, e quello strano soggetto: scarpe buttate lì, abbandonate in mezzo a dei foulard su uno, e a delle mele sull'altro. Scarpe maschili e femminili insieme, che mi raccontano la storia di un amore, forse, iniziato e finito nel tempo di un'estate. Quando ho cambiato casa ho lasciato lì la cucina, il divano, la cabina armadio... ma i quadri di Dahan me li sono portati con me. Devo per forza pensare al loro valore economico? E - se vogliamo malignare - sono pure pubblicati!
Anche la storia delle pubblicazioni mi sta un po' qui, ed anche su quella i venditori ci marciano: vendono un quadro che non è pubblicato e ti dicono: "Ma tu devi comprare l'opera, non il pezzo di carta!"; vendono quello pubblicato e allora: "Questo vale più degli altri". Cataloghi generali a parte, ovviamente, lì non si discute. Oppure di Mostre importanti, in luoghi prestigiosi, non certo nel corner-bigiotteria dell'alimentari sotto casa.
E poi, cari venditori, siate onesti con me che faccio bene o male il vostro stesso mestiere (e vi garantisco che, volendo, essere onesti si può): se anche azzecchiamo la firma, quella che abbiamo noi è sempre l'opera che non va bene. Quelle dei primi anni possono essere "le autentiche, le sperimentazioni, il vagito del genio" ma anche "solo le prime ricerche, in attesa di trovare la vera strada"; quelle degli ultimi anni sono "le opere della maturità artistica, il culmine di una carriera" così come "cose ormai già viste cento volte", il tutto a seconda di ciò che ci state proponendo. Oppure a seconda se dobbiamo comprare o se chiediamo un rientro.
Anche io ho fatto, in passato, un paio di peccatucci: ho acquistato un paio di volte quadri per i quali non sbavo, ma ho voluto credere alla promessa di una forte rivalutazione nel tempo (uno non è nemmeno gran bello... cosa che mi dà un po' fastidio). In effetti uno di questi due adesso viene venduto ad oltre il doppio di quello che l'avevo pagato io tra immani sacrifici, e pare che continui a salire, ma sono solo ipotesi: di certo se volessi venderlo ora non me lo rientrerebbe nessuno. Li tengo lì, e in futuro si vedrà, quando il pittore non ci sarà più, quando passeranno anni ed anni e tanti bla bla bla.
E allora molto meglio altre emozioni, subito, vere, non virtuali. Molto meglio comprare opere che ti allargano più il cuore, che il portafoglio. Viste e guardate (attenzione alla differenza fra questi due verbi), attraverso gli occhi dell'anima, e non dell'Estratto Conto. Teniamo ben divisi questi due mondi, o rischiamo di privare l'arte dell'eternità che le spetta di diritto.
Ultimamente seguo con curiosità le trasmissioni della Galleria Vecchiato perchè, visto che hanno perso Riccardino (uno dei pochi rimasti ancora incontaminati), stanno "provinando" facce nuove, e non deve essere facile, nè per loro nè per chi si propone. Il periodo è durissimo, si sa. Finora ne abbiamo visti girare almeno cinque-sei, tutti con impostazioni diverse, e mi resta sempre il dubbio circa quanto siano davvero così loro, o piuttosto abbiano il famoso copione (sia per le parole che per i gesti, il tono di voce, la postura). Mi ha colpito molto una bella signorina bionda (anche perchè le televenditrici sono poche) con un accento molto marcato di una regione del Sud Italia meravigliosa e con una forte memoria storica di arte e letteratura. Forse lo marcava apposta, per stabilire un legame con i conterranei, che sono certamente persone estremamente sensibili ed amanti dell'arte, ma sono anche per la maggior parte dipendenti pubblici di altissimo livello (sono tutti là!), quindi Clienti da tener da conto per qualunque Galleria. Ebbene, in una trasmissione lei aveva la fortuna di stare sotto ad una parete mozzafiato piena di tele piegate - di ogni forma, dimensione e colore - di Cesare Berlingeri, artista per me incredibile, sia per il messaggio che contengono le sue piegature, sia per la bravura pratica. Berlingeri mi piace tanto, l'abbiamo anche conosciuto ed è uomo umile, di poche parole e gran sensibilità. La biondina ha portato avanti la trasmissione solo ed esclusivamente parlando di soldi, di arte vista come bene-rifugio, di tassazione separata, di plusvalenze, di aliquote, credo abbia anche nominato lo spread! Ho avuto il dubbio che fosse una sorta di Candid Camera organizzatami da mio marito: il video di Vecchiato, l'audio di Sky TG 24. No bella biondina, così non va bene. Lo spread! L'altro giorno mi sono beccata dell'irresponsabile da una Cliente - che è esperta in economia e ci lavora - perchè le avevo confidato che non me ne fregava niente, almeno in vacanza non volevo più sentirlo nominare. Tanto non dipende da me, sono giochi di potere economico, speculazioni di chi con una frase o una firma muove milioni di Euro e di vite. Almeno in estate, lasciatemi la gioia di rientrare a casa, distendermi sul divano e godermi un qualcosa che mi faccia respirare. Come l'altro giorno, ero a Campiglio con mio marito (per un salutino-e-via a Paolo Orler), già arrivava sera e l'atmosfera era bigia e piovosa; del resto, è bastato decidere zitti zitti di andarci perchè tutte le nuvole del Triveneto si siano date appuntamento lì. E si vedevano da fuori gli ultimi quadri della produzione 2012 di Tino Stefanoni, meravigliosi, che brillavano da soli, come se avessero all'interno una lampadina accesa. Ho tirato un respirone che ha buttato fuori tutta la tensione accumulata negli ultimi due mesi, e ho inspirato gioia pura. Ma anche senza arrivare a Stefanoni, che bene o male le sue quotazioni le ha (non sia mai!), io inspiro anche con un quadretto con le nevicate di Lido Bettarini che costa meno di un cellulare, con una serie di ceramiche di tutte le contrade di Siena, con i miei legni etnici. Ne ho proprio bisogno, questa estate, ogni volta che sento la parola "spread".
Molto molto interessante.
RispondiEliminadirei che non hai lasciato molto da aggiungere, hai messo le dita in tutte le piaghe del mercato dell'arte...condivido in pieno, hai individuato il colpevole in primis nel pachiderma televisivo(e hai ragione),dà fastidio anche a me, a volte secondo me a volte si sfocia nella pubblicità ingannevole, però non sai mai se invece si tratti del pessimo art investment manager... ma lo è cosi anche nel mondo del tappeto, e ti dico che la stessa discussione l'abbiamo fatto in un forum di appassionati del tappeto un annetto fa. anche lì: che si fa? albo mica albo, recuperare credibilità... difficile trovare una soluzione condivisa.
secondo me la cosa importante, in tempi tristi e cupi come quelli odierni è che si stia diffondendo la passione e l'interesse nell'arte, nelle sue varie forme. anche se questo avviene anche con tecniche abbindolatorie che non mi piacciono, amen (a meno che non si entri nel tema di autentiche taroccate o fasulle, perchè lì il pachiderma è stato scottato, se non ricordo male). spero che si entri, non troppo tardi, nella fase 2, da beginner ad appassionati, di un consumatore più informato, consapevole e meno abbindolabile. non sono molto entusiasta di creare albi, perchè temo che si creerebbe un albo dove alla fine le maglie sarebbero troppo larghe, in quanto definire i requisiti per entrare e per rimanere sarebbe molto soggettivo e poi chi li valuta? come si garantisce l'indipendenza del valutatore? in questo caso penso ad una soluzione liberale, nel senso che saranno i consumatori a capire col tempo chi imbroglia, chi è onesto, chi esagera tanto e chi solo il giusto... mi piacerebbe in parallelo un codice di autodisciplina delle gallerie d'arte, fisiche, televisive e online, ma non ci credo, perchè sarebbe come chiedere a qualcuno di rinunciare al proprio cavallo di battaglia della strategia di marketing e costringerlo a rivedere il proprio dna...
comunque gli effetti della selezione del mercato si vede. orler quindici anni fa credo fosse una realtà molto più piccola di oggi, anche negli ultimi cinque anni, grazie al digitale terrestre, il numero di trasmissioni è esploso e credo di conseguenza che le quote di mercato siano aumentate, in parte anche erodendo quelle di telemarket.
non so, infine, se la crisi dei consumi di oggi stia facendo una salutare pulizia nel settore. discussione comunque che rimane e rimarrà aperta per molto...
ciao
Michele
Quella sull'Albo dei Venditori d'Arte era una boutade, ovviamente, quasi una provocazione direi, altamente irrealizzabile... Comunque hai ragione, pian pianino ci si accosta a questo mondo complesso, che può essere contemporaneamente meraviglioso (l'arte) e terrificante (chi ci sguazza), si prende qualche bidonata, si cresce, e ci si affina, come in tutte le cose. Se si ha la fortuna di incontrare presto qualcuno di cui ci si fida, è ancora meglio. In gamba, Michele!
Eliminaa proposito, dimenticavo. sentivo che Vanoni pubblicherà a settembre un libro sulle sue memorie di televenditore, falsi miti sull'arte,... ne sai niente???
RispondiEliminaMichele
Mah! Gliel'ho sentito dire anche io più di una volta... Spero che prima o poi si decida, perchè sarebbe cosa interessante. Se continua ad accumulare altri aneddoti gli esce un'enciclopedia...
EliminaCiao, ho letto per caso questo articolo e poi qualche altro...t faccio i miei complimenti. Giusto una battuta su Bettarini, effettivamente alcuni suoi quadri costano meno di un cellulare però riescono come pochi ad emozionare...non so se sei daccordo...lo so, sono un pessimo intenditore d'arte, magari un folle a cui piace la fuffa artistica" come molti amanti del mercato e delle valutazioni sostengo però...credo che c si possa ancora emozionare...
RispondiEliminagrazie
Ciao A., grazie dei complimenti, e credimi: il mondo è pieno di folli che si emozionano, quanto meno ne è pieno il MIO mondo... Infatti, di cellulari ne ho già cambiati tre-quattro, mentre il mio Bettarini è sempre appeso al muro, e risponde ai miei ciao con il suo manto innevato ogni volta che ci passo davanti.
EliminaBuongiorno, ieri sera ho guardato una parte della trasmissione Orler, stamane in treno mentre cercavo qualcosa sui libri di Vanoni è comparso questo suo post, incredibilmente attinente; complimenti, bravissima, condivido a pieno. Ora che ho scoperto questo blog mi ripropongo di leggere i vari post, e magari di inserire qualche commento e/o contributo. I migliori saluti
RispondiEliminaSalvatore
Carissimo Salvatore, che dirti? GRAZIE! Trovare commenti come il tuo, così, di prima mattina, è a dir poco corroborante! Felice di piacerti con questo post direi sempre attuale nonostante i due anni e quasi mezzo ormai trascorsi (che per Internet sono un tempo infinito...).
EliminaA questo punto aspetto con curiosità tuoi interventi dentro altri post (saccheggia pure le mie etichette Arte & Orler). A presto!
Sarà fatto presto, spero. Ieri sera ne ho letto qualcun altro, guarda caso quello su Faccenda che stava presentando in trasmissione (a tal proposito sono in attesa di qualcosa in visione, dopo di che sarà presa una scelta secondo il solito principio, ovvero a casa mia comando IO, mia moglie prende SOLO le decisioni ...).
RispondiEliminaA presto
Salvatore
Mio marito annuisce :-))
Eliminasento e leggo dempre le stesse cose: il mercato e'il maligno incpntro tra l'arte ed i soldi.
Eliminama questo e'sempre accaduto Micheangelo lavorsva per soldi e ..molti.Raffaello pure e cosi Rothko e Picasso e chi ,come VanGogh non vendeva ne era infelice.
il mercato non e'il nemico dell'arte ne e'il suo alleato di sempre ,prima mecenatismo poi contratti con privati e poi il mercato sempre piu'globale.
al denaro interessa l'arte ma all'arte interessa il denaro
Carissimo Antonio, tendenzialmente posso essere d'accordo: è evidente che se una persona sceglie di essere pittore per professione, da qualche parte i soldi per campare deve tirarli fuori. E quindi ecco l'esigenza di trovarsi un mecenate (nei secoli passati, a parte ovviamente tutto il discorso relativo alla gloria del mecenate), oppure più semplicemente di vendere le proprie opere al pubblico, in tempi più recenti.
EliminaCiò che a me disturba è quando si pompa tutto e troppo sull'aspetto dell'accrescimento economico, come se non esistesse null'altro. E questo, il pittore in sé, non lo fa quasi mai, è cosa riservata a ciò che gli gira intorno. Non è maligno l'incontro tra l'arte e i soldi, come non sono maligni i soldi in se stessi: è l'insieme, come sempre, a fare la differenza, soprattutto quando toglie al collezionista il piacere di comprare per puro gusto. Mi sa che, sotto sotto, abbiamo detto le stesse cose.