Va bene, nell'ultimo post ho citato Lisbona quale capitale europea con musei al pari di Londra, Parigi, Vienna eccetera, e forse qualche naso si è storto (obiezione, Vostro Onore).
Il mio weekend lungo a Lisbona, che risale ormai a qualche annetto fa, è stato uno dei più magici: Lisbona è a dir poco meravigliosa, è grande città ma non è “metropoli”, è ricca di storia passata e te la fa sfilare sotto al naso con quel giusto mix di decadenza, di polveri, di odori ma anche di orgoglio e di forza. Se proprio la decadenza non ti attrae hai tutta la parte nuova da vedere, quella più liberty e quella dell’Expo, ma in tal caso io e te non saremmo in sintonia. Io ho preferito di gran lunga “perdermi” in altri quartieri, salire e scendere alla ricerca dello squarcio mozzafiato che non ti aspetti, che ti porta su il profumo dell’oceano, poco distante. E non stiamo parlando di mare, non dico il nostro brodino alle verdure, ma neanche un bel mare come in Sardegna: stiamo parlando di Oceano, che è altra cosa, è imponenza, è infinito, e si sente anche dall’odore.
Io subisco molto, in tutte le cose, il fascino dell’infinito, dell’immenso, di quel trascendente che la mia mente – per quanto mi sforzi – non contiene e non conterrà mai. Mi piace, quasi quasi, provarci un pochino e poi abbandonarmi subito e dire a me stessa: no, è troppo per me; e farmelo passare sopra, addosso, sulla pelle, nella testa, nell’anima. Cose che ti tolgono il respiro per una frazione di secondo, perché capisci che sei solo un insieme di ossa, muscoli ed altre sostanze organiche che si compongono fra loro, destinate a finire prima o poi, ma ti è stato dato il privilegio di “sentire” qualcosa di diverso, di eterno, di incommensurabile.
Non parlo mica solo dell’oceano, c’è la montagna (possente, granitica, avvolgente), ci sono certe cascate naturali, c’è tutto il cielo. Tutti spettacoli che ci sono stati dati in dono: non dobbiamo far nulla, solo goderceli. E poi c’è lo spettacolo ed il mistero dell’intelletto umano, della maestria, del genio, della capacità di alcuni di quei piccoli insiemi di sostanze organiche, come me e te, ma ai quali – a differenza di me e te - è stato dato in dono anche qualcos’altro: la capacità di creare altra bellezza infinita. Loro finiscono in polvere, come tutti, ma le loro creature no, diventano eterne ed immense come l’oceano ed il cielo: parlo di chiese, palazzi, monumenti, dighe, ponti, affreschi, quadri, statue, testimonianze di un qualcosa fatto dall’uomo ma solo nel momento in cui all’uomo è permesso di avvicinarsi – per un attimo – al divino.
Provate ad entrare, a Lisbona, nel Monastero dei Geronimiti e ditemi se non vi si chiude la gola in un’estasi; aggiungo che quando ci siamo andati noi il chiostro era stato ripulito da poco, cosa da non sottovalutare per un edificio totalmente in pietra bianca. Sono luoghi dove anche una come me che ama il colore in tutte le sue molteplici e multiformi sfumature capisce il significato profondo di “monocromo”, e la sua pulita perfezione. E’ come chiudere gli occhi su un lago di latte, tutto finemente lavorato.
Ho ancora nette sensazioni di quel weekend, e questa era stata un’altra cosa bella; perché per vedere Lisbona non c’è bisogno di prendersi una settimana intera, e quindi – nel nostro caso – sorbirsela solo in Agosto, ma basta meno. Era stata una delle nostre mete di Ottobre, perché dal momento che io compio gli anni in Ottobre tra me e mio marito si era negli anni sottoscritto il tacito patto del lungo weekend-regalo tutto per noi. L’inizio di Ottobre tra l’altro è un periodo bellissimo, per molta parte d’Europa, ti regala colori meravigliosi. Chiaramente poi sono arrivati i quadri, e abbiamo dovuto cominciare a fare qualche rinuncia, e a dirci: “Quest’anno niente weekend lungo, facciamo che il regalo è la Marina di Scuffi” (tanto per fare un nome a caso); oppure “Nemmeno l’anno prossimo ci faremo il weekend, facciamo che il regalo dell’anno prossimo è questo stratosferico Luogo dell’Anima di Pedretti” (beh, con quello ce ne facevo almeno tre, di weekends…). Con questo sistema mi sono ipotecata il weekend-regalo come minimo fino al 2038!
Per fortuna che avevamo girato abbastanza prima di ammalarci d’arte in modo cronico.
Lisbona è un posto dove mi piacerebbe vivere, pur rifuggendo io le grandi città. Il solo pensiero di stabilirmi ad esempio a New York, pur non avendola mai vista dal vivo (ma se ne vede molto ovunque) mi terrorizza. Mi va bene il viaggio, la meta culturale o commerciale, ma non la vita. Londra uguale (e l’ho vista bene, lei). Il nostro sogno infatti, visto che non avendo figli siamo abbastanza soli soletti, è una volta in pensione – sperando di essere in salute (e di essere in pensione, soprattutto!) – poterci stabilire nella nostra amata Toscana, in qualche paesetto disperso, magari dalle parti di Siena.
Lisbona invece, nonostante capitale, non mi aveva spaventato, anzi: mi ero sentita coccolata dalle sue tradizioni, dalle sue piazzette, dai suoi vicoli, e dai suoi abitanti, che anche se un po’ cialtroni sono squisiti (basta una parola nella loro lingua, una sola, anche solo “obrigado/a” e basta, perché ti diano il cuore; si vede che sono stufi marci che la gente vada là a parlar loro in spagnolo, idioma da noi sicuramente più conosciuto ma che li offende).
Ci siamo portati a casa le loro piastrelle in ceramica, un pannello intero da dodici fatto a mano (con tanto di dischetto con la sequenza fotografica, dalla base in cotto al Signor Carlos Ramiro che lo dipinge!) di quelli che in teoria andrebbero messi all’esterno delle case, con l’indicazione della via. E chi me l’ha venduto si stupiva, perché non me ne fregava niente di avere una piastrella con su scritto Via Roma piuttosto che Via Einaudi, volevo qualcosa di “loro” e mi ci sono fatta scrivere “Rua Fernando Pessoa”, incastonata in una parete di casa (dentro, non fuori) come un quadro.
Già, il buon Pessoa, vanto portoghese per antonomasia. C’è lui in “Requiem” di Antonio Tabucchi, e per quanto mi faccia male adesso ammetterlo io Lisbona l’ho visitata con Requiem come guida, al posto delle guide classiche, perché me l’aveva consigliato la Persona-Che-Ho-Cancellato (magari, esistesse davvero il tasto “DELETE” anche per la mente…), in uno dei nostri dialoghi letterari: “Non puoi visitare Lisbona se prima non hai letto Requiem!”. La vedi davvero con altri occhi. Non vedi l’ora di farti tutto il percorso (andata e ritorno) con il Tram n. 28.
Ed è da Requiem che ho cominciato a scalpitare perché volevo vedere il trittico delle “Tentazioni di Sant’Antonio” di Hieronymus Bosch, che occupa praticamente un intero capitolo del libro. Quindi a chi ha storto il naso dicendo che Lisbona non ha musei degni di entrare nella Top Ten Europea, rispondo che il viaggio vale anche solo per sedersi davanti alle Tentazioni per una buona oretta, osservando centimetro quadrato per centimetro quadrato (ammetto, non solo con Requiem in mano: un paio di guide vere le avevo). E tra l’altro, il nostro Hotel era vicino alla Fondazione Gulbenkian, una tra le più belle collezioni di arte figurativa, artigianato, tappeti, gioielli, che spesso non viene nemmeno consigliata (ci siamo entrati per caso), e che invece è sbalorditiva.
Bosch sta nel Museo Nazionale di Arte Antica, che ovviamente – suvvia, ero pur sempre con il mio Paperino! – il giorno in cui ci siamo andati era quasi totalmente inagibile per lavori, ti facevano vedere sì e no un terzo delle opere. Mi sarei messa a piangere. Ma le Tentazioni erano visibili, e quindi me le sono fatte bastare. Bosch è un mistero per me, se penso che potrebbe stare benissimo a fianco a Dalì ed alle sue folli visioni, ma è vissuto quattrocentocinquant’anni prima, quando la norma era il ritratto del mecenate di turno, o il classico tema religioso ma senza fantasie visionarie. Lui sì, che aveva dentro un’immensità che non capiva. Quell’infinito “di più” che può travasarsi in forme limpide e pure, oppure in grovigli di pazzia, dipende da come il pittore lo fa entrare in sé.
Quando penso a Bosch mi viene sempre in mente quello che usa dire un giovane uomo, grande studioso, grande storico dell’arte e soprattutto (ormai ne sono quasi convinta) mio gemello nell’anima e vero amico: “Tutta l’arte è contemporanea”. E’ vero, tentare di schematizzarla in ere è sciocco. Bisogna farlo ai fini dei libri di scuola, presumo, ma dire “questo è antico, questo invece è moderno” è ridicolo. L’arte è arte, punto. E’ eterna (dalle pitture rupestri in poi). Per Piero della Francesca, che dipingeva il Sogno di Costantino nella seconda metà del ‘400, in quel momento era contemporanea; e rivedere quella tenda aperta in un Circo di Scuffi non la rende contemporanea ancora? Forse che i maggiori artisti “contemporanei” (quelli che valgono milioni di dollari) non hanno attinto, per arrivare lì nel loro personale percorso, magari in una superficie monocromatica, dai secoli passati? Oserei dire – con una frase che suona un po’ come un’assurdità scientifica - che nell’arte il tempo scorre, ma da fermo.
Un inciso sul trittico di Bosch, che farà inorridire qualche puro (ma passatemelo, io di mestiere vendo assicurazioni, l'ultimo testo di Storia dell'Arte l'ho chiuso ventidue anni fa!): mi fa pensare a tante cose che ho visto in Antonio Possenti. Certo, Possenti ci scherza sopra, non ha quell’ansia da rappresentazione comunque a sfondo religioso, tormentata, cupa. Ma quel misto di realtà e di fantasia, di uomo e di animaletto, di giocare con quello che ti passa per la mente quando non sei costretto a fare l’adulto a tutti i costi, chi lo sa… Bosch mica ha lasciato detto a nessuno il perché vedeva le cose in quel modo, magari anche lui dipingeva con la mente ventiquattr’ore al giorno, quando camminava, mangiava o andava in bagno. E poi anche nel Trittico c’è l’Ometto con la Barba! Anzi, più di qualche Ometto, oltre al Santo (che poi, secondo me – passatemi anche questa, l’Ometto con la Barba dipinto da Possenti, per quanto gli assomigli, è tutto tranne Possenti stesso, è l’ennesimo gioco, vuol solo farcelo credere, ma invece siamo noi tutti austeri uomini barbuti nella vita, mentre lui è il coniglietto, il pesciolino, l’insetto, tutto ciò che non penseresti, come in uno scherzo musicale alla Mozart).
Ecco: un lunghissimo post scaturito da una città senza musei degni di paragoni con il Louvre o il Prado, ma basta solo metterci un po’ di cuore!
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