Io non ho avuto figli, a causa mia, nel senso che non ho potuto averne. Adesso riesco a dire questa cosa con serenità, e soprattutto riesco a dire "a causa mia" invece che "per colpa mia" come dicevo all’inizio, che nonostante il risultato sia lo stesso suona profondamente diverso. Ma del resto, sarà il retaggio cattolicissimo che mi porto dietro, l’ho avvertito spesso come una colpa. Mia madre mi adorava (abbastanza spudoratamente, rispetto ai miei fratelli), ma quando è stato lampante che io – a differenza degli altri due – non l’avrei resa nonna ha smesso (altrettanto spudoratamente). Posso essere una brava persona (ci conto, lo spero), posso essere una professionista affermata (impegnata, onesta), probabilmente ci sono genitori pronti a fare carte false per avermi come figlia, ma niente, se non procrei sei fallita. Per un bel periodo della mia vita (ben prima di sapere che era "a causa mia") mi sono sentita una donna a metà, come se il fatto della mancata maternità mi impedisse di essere donna a tutti gli effetti, di essere donna a tutto tondo, di essere "completa". Non ne ho mai fatto una malattia, perché resto profondamente convinta che i bambini vengono se è destino che vengano, certo non mi faccio squartare da mezza Europa per capire cosa c’è che non va, né sottopongo mio marito ad assurdi amplessi "a tempo" imposti da cicli di ormoni (sai che goduria, poi non hai più voglia di farti due coccole per almeno dieci anni…), tuttavia per lungo tempo ho sentito le stilettate al cuore quando abbracciavo i bambini altrui. Non abbiamo mai cercato VERAMENTE dei figli, a parte forse un breve periodo in cui mio marito aveva sentito che per me il bisogno cominciava a diventare insopprimibile, e quando voleva essere galante andava sul sicuro con la frase che volevo sentirmi dire ("saresti proprio una mamma meravigliosa", nelle sue varianti a seconda dell’aggettivo scelto). Ad un certo punto del nostro percorso abbiamo smesso di stare attenti, pensando che tutto sommato se fosse successo sarebbe stato bello. Poi, visto che non succedeva, è arrivato il famoso breve periodo. Poi mi sono convinta che la causa fosse lui (ovviamente! Sono pur sempre una donna, noi siamo geneticamente predisposte a dare la colpa agli uomini per qualunque robaccia ci caschi addosso), e ho cominciato a farmene una ragione. Molti anni dopo, durante uno di quei normali controlli che ti fanno capire quanto ancora può alzarsi la tua soglia del disagio e dell’imbarazzo, durante la nenia per compilare il modulo (gravidanze: no, aborti: no, figli: no) ti senti dire, buttata lì come una buccia mentre peli la frutta "per forza non ha avuto figli, mica avrebbe potuto con le ovaie in queste condizioni". Oh, non lo sapeva…
Qualche anno dopo i 40, quindi, mi hanno fatto un bel tagliando, e reso nuovamente fertile come una giumenta da riproduzione.
E’ evidente che a questa età non ci penso neanche nei peggiori incubi a fare figli. Ormai il tempo è passato, è davvero un orologio biologico, non un modo di dire; c’è stato un periodo, dai venti ai trentacinque, in cui ero attratta da qualunque bambino, mi divertivo a farli giocare, a farmi coinvolgere dalle loro cose, VOLEVO stare in mezzo ai bambini, mi piaceva. Adesso non è più così, a volte mi sento addirittura inadatta; li guardo, ma da una distanza di sicurezza. Un po’ mi fregano ancora i neonati, oppure i bimbi molto piccoli, quando hanno ancora pochi mesi; non c’è niente da fare, prendere in braccio un neonato caldo è un bisogno femminile, senti tutta la potenza dell’amore più primordiale che ti sale su, sai che potresti sfidare qualunque pericolo pur di difendere l’indifeso. Quando capita con figli di amici e conoscenti, mi rendo conto che devo REPRIMERE il bisogno di prenderli in braccio, i neonati. Quindi non vedo l’ora che crescano, e comincino a rompere le scatole, così poi è infinitamente più facile ignorarli.
Per mio marito invece non è stato così, essendo cresciuto in una famiglia numerosa ma eufemisticamente non benestante ha sviluppato una naturale avversione per case con un numero di occupanti superiore a tre. Probabilmente succede se da piccolo devi scegliere se mangiare a pranzo o a cena, e se a quattordici anni non ancora compiuti ti schiaffano in un cantiere facendoti capire che quella sarà la tua vita per i prossimi cinquant’anni (mangiare da un pentolino seduto sopra un mattone - estate e inverno - tra gente che alterna un rutto ad una bestemmia), anche se vai bene a scuola e gli insegnanti dicono che è un vero peccato. Su questa cosa in effetti io non sono tanto d’accordo con i miei dettami religiosi: sarebbe meglio che chi non può mantenere tanti figli eviti di farne. Non intendo "buttarli via": sono tassativamente e nella maniera più assoluta anti-abortista. Ma sappiamo tutti che ci sono tanti modi per EVITARE di rimanere incinta... quante volte ho pensato questa cosa quando non ci riuscivo io, e vedevo storie di ragazzette a cui basta che starnutiscano addosso per sfornare bambini indesiderati. Il dono della vita, il dono della vita, quattro parole che ho sentito ripetere all'infinito soprattutto in CERTI ambienti religiosi; va benissimo, sei sei - ad esempio - un direttore di banca con una moglie insegnante di liceo, magari di famiglia ricca e quindi senza bisogno di comprare altre case. Oppure due stimati professionisti. O un dirigente d'azienda di alto livello. Anzi, fatene una squadra, di bambini, tirateli su felici e giocosi, intelligenti ed istruiti, insegnate loro l'importanza del dono della vita. Ma se sei un muratore e tua moglie è casalinga, devi proprio farne sei? Non puoi fermarti a due, massimo tre? Così eviti di farli crescere in mezzo alla strada, riesci a dar loro un'istruzione decente grazie alla quale potranno riscattare il loro passato e non continuare la ruota dei poveracci che generano poveracci. Perchè dal cantiere, o dalla catena di montaggio, uno come ne esce? Quella dei ricchi tristi e dei poveri felici è una grandissima panzana. Non pretendo ricchezze stratosferiche, ma un decente benessere: eccome, se ti rende più felice, più sicuro di te nella vita, più disponibile verso gli altri perchè non sei corroso ed incattivito dal bisogno continuo. Meglio fare un figlio solo, o due, ma tirarli su come si deve e dar loro le giuste opportunità nella vita, o farne sei-sette condannandoli alla povertà? E' più egoista fermarsi a due (e per garantire ad entrambi un futuro sereno rispondere "no, grazie" ad altri doni che la vita vorrebbe scodellarti), oppure non riflettere su queste cose e sfornare piccoli derelitti come allegri coniglietti? Poi penso che la mia adorabile metà è il quarto, di quei sei, e che se si fermavano a due non l'avrei mai incontrato, e mi sconfesso da sola.
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