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domenica 19 febbraio 2012

Sabato mattina

Finchè la crisi non era così pesante, solitamente il sabato mattina andavo in ufficio due-tre orette, perchè c'era sempre qualcosa da sistemare, da rivedere, da archiviare, c'era posta da smistare (elettronica o meno), il tutto rimasto lì da fare perchè durante l'orario di apertura il Cliente ha la precedenza assoluta, non si può certo evitare di rispondere al telefono o far aspettare la gente che entra perchè ci sono mail da evadere. Ci mancherebbe. Tra l'altro, non era che la cosa mi dispiacesse più di tanto, perchè un conto è vivere l'ufficio con il movimento settimanale (telefono che suona, gente che parla, risate, spiegazioni, chiacchiere fra colleghi, radio accesa in sottofondo eccetera), un conto è averlo tutto per me nel suo silenzio, sentendo solo il fruscio delle mie scartoffie, con il telefono rigorosamente muto. Sono un po' malata, ma sono i miei momenti, come quando apro al mattino presto, d'inverno ancora col buio, e piano piano accendo i computers, le luci, ed assisto al suo risveglio, siamo solo io e lui, l'ufficio in cui ho cominciato, ragazzina neo-laureata di quelle che portano il caffè (io no, ma solo perchè non c'era la macchinetta, in compenso la Capufficio mi chiamava per raccoglierle la penna quando le cadeva dalla scrivania), e dove adesso c'è il mio nome sulla porta. Casi della vita.
Comunque, il sabato in ufficio aveva un senso finchè durante la settimana si lavorava bene, ma visto che ultimamente il lavoro langue da morire (tutti tirano al risparmio, sia chi non ha soldi sia chi ne ha, ma vuol vedere cosa succederà a breve) e la risposta standard a nuovi appuntamenti e/o proposte è sempre no, direi che entro venerdì mattina c'è ampiamente il tempo di lasciare tutto ordinato e lindo come uno specchio, e quindi ci si può godere il sabato a casa.
Questa cosa ha un po' cambiato - piacevolmente - le nostre abitudini, nel senso che dormiamo un po' di più, indugiamo con una lunga colazione insieme, ci rassettiamo e gustiamo la casa, e ci guardiamo (cadesse il mondo) la trasmissione di Franco Raccioppo su Orler TV. Franchino da Orler presenta sia arte contemporanea che tappeti, ma con i tappeti dà decisamente il meglio di sè; si sente che i quadri gli piacciono, mentre i tappeti li ama. Sabato mattina presenta tappeti "top", vale a dire il meglio esistente su questo pianeta in fatto di tappeto moderno, che poi sono quelli che fanno andare noi fuori di testa. Probabilmente Davide Basilico, il Guru del tappeto antico, storcerebbe un po' il naso a questa mia affermazione; chiedo perdono, ma ci siamo accostati troppo di recente al mondo del tappeto per poter comprendere a fondo la bellezza dei manufatti antichi. Siamo ancora come bambini, e se Franchino mi sventola davanti agli occhi la perfezione di un Herekè seta-oro compatto come un tessuto e leggero come un fazzoletto, io balbetto per cinque minuti. Capita quando non sei abituato a certe cose (un po' come quando mio marito ha accarezzato per la prima volta la sua KTM 350 SXF, e io l'ho odiata come non ho mai odiato nessun'altra con desinenza femminile).
E' una trasmissione che amiamo seguire al di là dell'acquisto, anche perchè visto il valore dei pezzi se comprassi qualcosa tutte le volte praticamente ipotecherei i miei guadagni della prossima vita per pagare tappeti, e fortunatamente la casa è piccola e non permette tentazioni infinite. Capisco che per gli Orler è televendita, e se la gente non compra non va bene; ma è bello seguirli come se fosse un documentario. Mi piacciono anche gli speciali di National Geographic sui leoni o sul Parco del Serengeti, ma non necessariamente metto su uno zoo. Franchino spiega i tappeti in modo appassionato e non eccessivamente cattedratico, si imparano un sacco di cose: sulla storia e l'evoluzione delle manifatture, sulle varie iconografie, sui colori, sui materiali usati, e poi ci si gusta l'occhio, eccome. E' come entrare in un Museo del tappeto senza dover pagare il biglietto, la famiglia Orler ha davvero dei manufatti di incredibile qualità se paragonati alla concorrenza televisiva. Magari sai che non potrai mai permetterteli, ma intanto li puoi ammirare, e questo è già molto (soprattutto per noi che a volte ce li andiamo ad ammirare dal vivo, toccandoli anche, che per un tappeto è cosa fondamentale). L'ho già detto in un altro post: un europeo mediamente istruito trova normale ammirare Van Gogh, o Michelangelo, perchè è nel suo DNA culturale. Al tappeto bisogna accostarsi; noi siamo ancora all'inizio, restiamo imbambolati solo al pensiero dei nodi: ci sono tappeti che sembrano stoffe finissime, e invece sono fatti di nodi, milioni e milioni di nodi perfetti fatti a mano uno dopo l'altro. Vite intere di famiglie passate ad un telaio, con le loro speranze, i loro sogni, le loro storie da raccontarci attraverso quei fili.
Ci sono mattine in cui vorremmo chiamare solo per ringraziare di farci vedere tanta bellezza, perchè i fratelli Orler si sono presi un gran bell'impegno; poi non lo facciamo perchè si sa, con i complimenti mica si mangia (come ha sottolineato una volta il sagace Basilico). Ma lo pensiamo, e ci viene veramente dal cuore.

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