Questo post in realtà era la coda del precedente, a chiusura del discorsetto su usi ed abusi degli sms. Ma stava venendo fuori troppo lungo, e quindi mi sono fermata all’immagine della mia mamma rapita dagli alieni che tornava giù tutta geek e fricchettona. Mi faceva sorridere, e pensando a lei l’ho tagliato. Tuttavia già era arrivata l’immagine seguente, ed era così bella che me la scrivo tutta qui, per me.
A me piace ascoltare la voce della gente, al telefono. Voci squillanti e veloci, voci calde e suadenti, voci di anziani e di bambini. Voci roche adesso, perchè ci sono i malanni di stagione, voci raffreddate. Voci cadenzate dai dialetti più svariati. Voci di stranieri venuti in Italia a cercare una vita migliore. Mi piace salutare con le parole, usare le parole, non i tasti (un tasto non può trasmetterti ironia, rabbia, gioia, simpatia…). Mi piace ascoltare il respiro di chi è di là, le sue risate, intuire i suoi sorrisi. In questo momento della mia vita, in cui sto mettendo il famoso Cemento sopra alla famosa Persona, niente mi manca come una lunga, avvolgente telefonata di buon mattino. Perché la voce è, se non tutto, tanto di chiunque.
Per qualche tempo, pochi anni fa, ho fatto volontariato per l’Unione Italiana Ciechi; era un periodo in cui mi sentivo un po’ vuota visto che vivevo di lavoro e basta, e volendo un impegno mentale diverso mi trovai per le mani un annuncio in cui cercavano gente disponibile a registrare audiolibri per i Soci. Figuriamoci, libri di carta, mi ci sono buttata a pesce. Mio marito obiettava che sarebbe stato meglio un hobby più manuale, già sono tutta la settimana in mezzo a testi scritti molto in piccolo, ma non c’è stato verso (e poi io manualmente sono una frana, il bricolage non mi rilassa, anzi, mi agita). Ho fatto il provino - per la dizione, ma fortunatamente non ho inflessioni dialettali così esagerate - e poi via. Mi è dispiaciuto da morire smettere, quando la Nastroteca per cui incidevo è stata chiusa.
Mi hanno insegnato come fare, perché una persona che ci vede pensa agli audiolibri come a quelli che si comprano in edicola, letti da attori famosi, ma quelli sono in realtà pensati per chi ci vede e vuole solo un modo diverso per “leggere”. Per una persona che non vede devi leggere in modo un po’ asettico e monocorde, non devi enfatizzare, non devi metterci le tue, di emozioni. Devi lasciare che sia colui che ascolta a poterci mettere le proprie, che saranno ogni volta diverse a seconda della persona (dei suoi momenti, dei suoi ricordi). Se calchi troppo la voce finisci per “condurre” chi ascolta a rivivere solo l’emozione che quel passaggio ha dato a TE, e gli impedisci di sentirlo a modo suo. Ma sto divagando, ciò che volevo dire era questo: chi ti ascolta sente i tuoi stati d’animo dalla voce, anche se cerchi di mantenerti asettico. Del resto si sa, la mostruosa sensibilità acustica che sviluppa un non vedente. Ricordo che ho quasi pianto, quando la volontaria della Nastroteca me l’ha detto, tra un libro e l’altro, con nonchalance, perché faceva riferimento ad una ragazza non vedente della mia stessa città, casualmente (e la Nastroteca era in un’altra). I Soci non vedenti portano i libri che hanno voglia di ascoltare alla Nastroteca e li lasciano lì, poi passa il donatore di voce (li chiamano davvero così, ed è un nome bellissimo) e ne prende su uno, a caso o a seconda dei propri gusti, tempi e possibilità, senza sapere chi lo ascolterà. Per incidere un intero libro di media grandezza io ci mettevo più o meno due mesi, visto che potevo registrare solo nel weekend, e ovviamente c’erano weekends in cui ero felice per i cavoli miei, o triste per i cavoli miei, arrabbiata per qualcosa dell’ufficio o di casa, o pensierosa, o speranzosa, o positiva. E tutto questo, per lei che ascoltava, saltava fuori. Ascoltava il suo libro e scopriva se in quel weekend ero stata triste, o felice, o pensierosa. Si crea un invisibile legame umano, così. Non esiste niente, niente, niente di bello e potente come parlarsi a voce. Non trascuriamone l’importanza.
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