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mercoledì 18 gennaio 2012

Mai su Facebook

Io non sono su Facebook. Io detesto Facebook, anzi no, non lo detesto in se stesso; penso che Zuckerberg sia un genio e che sia stata una gran pensata, per l’uso iniziale a cui era destinato (la grande famiglia degli universitari americani). Detesto quello che è successo dopo, l’uso smodato che ne fanno tutti facendolo assurgere a Bibbia Universale.
Intanto non mi piace il discorso delle “amicizie”: io ho 200 amici, io ho 2.000 amici, io 20.000. Ma dove? Ma sappiamo davvero cosa vuol dire “amicizia”? Comprendo che è molto più immediato ed intuitivo dire “amico” che non “semplice conoscente ma sempre meglio di niente”, oppure “persona che è a me collegata tramite un link informatico in quanto ci siamo incontrati in qualche modo nel corso della vita ed ora fa figo non perderci di vista”, oppure ancora “persona che spero voterà per me alle prossime regionali dopo tutti i sederi che sto leccando”. Comprendo, però ne detesto l’abuso. Io ho pochi, pochissimi amici nella Vita Reale: a metà strada il mio amico migliore, quello che sapevo ci sarebbe stato sempre, quello che mi sa capire in tutte le sfumature, quello che ammiro per l’onestà, la correttezza, la simpatia, e che mi piace anche, me lo sono sposato. Poi c’è qualche amica: l’amica dell’adolescenza, che sento solo via SMS, ma che so essere ancora amica perché le rare volte in cui ci si vede (ogni 10 anni) entrambe tocchiamo con mano che il filo è ancora lì, saldo, e riusciamo a parlare per ore, abbracciarci, ridere, senza alcun imbarazzo che il tempo in teoria dovrebbe provocare (se non ci fosse amicizia). L’amica dell’età matura, quella tanto diversa per percorso professionale e scelte politiche, ma alla quale voglio un gran bene e con la quale c’è un rapporto basato sul rispetto e la stima (quella che c’è, e anch’io per lei, quando serve). Bastano.
Sempre circa il discorso “amici”,  vorrei che tanta gente diciamo “over40” aprisse gli occhi. Lasciamo perdere le scuole elementari e medie inferiori, in cui si è praticamente dei bambini e non si ha ben chiaro niente del passato, del presente e del futuro. Partiamo dai 14 in poi: abbiamo fatto il Liceo, abbiamo fatto l’Università, abbiamo frequentato discoteche, pubs, palestre, biblioteche, patronati, parrocchie, corsi serali per imparare ad usare il computer, per imparare una seconda o terza lingua straniera, cinema, teatri. Abbiamo affrontato le prime esperienze lavorative, poi è arrivato il lavoro definitivo. Abbiamo avuto qualche fidanzatino, poi Il Fidanzato, poi Il Marito (quando non Il Secondo Marito). Quanta gente abbiamo conosciuto in tutti questi anni, quanti volti, quante voci, quante mani, quante ?!? Dove sta scritto che DEVONO per forza ripiombarci tutti addosso? Chi ha condannato al pubblico ludibrio l’OBLIO, quella cosa meravigliosa che permette che la grande ruota della vita giri senza incepparsi? Il fatto che il Grande Web abbia una memoria eterna e non gli scappi niente non significa che sia un bene, per lo meno per noi che siamo persone reali. Nel mio passato hanno avuto posto persone, anche importanti, che hanno contribuito a formarlo, quel passato, ma che non necessariamente possono formare anche il presente. Persone troppo diverse da me, persone che col tempo sono cambiate, persone che andavano bene per la me ventenne, non più per la me quarantenne o oltre. Persone che sono uscite con naturalezza dalla mia vita, così come io sono uscita con naturalezza dalla loro, senza che nessuno dei due cercasse l’altro, come una strada che si biforca e si allontana. Chi ha deciso che adesso dobbiamo per forza incatenarci di nuovo? Secondo me non “fa figo”, proprio per niente, anzi, potrebbe anche cadere nel patetico. Soprattutto se non è scelta reciproca! Che vita vuota deve avere una persona per volerla per forza riempire con una personificazione dei propri ricordi?
Apro una parentesi e la chiudo subito perché ci si potrebbe scrivere un libro: le immagini. Io sono certa che ci sono foto mie su Facebook, messe da amici d’infanzia/adolescenza (perché magari sono foto di gruppo o gruppetto), foto di compagni di scuola, foto in cui sono in un angolino. E non si potrebbe, perché in teoria chi le mette afferma di aver chiesto il permesso a tutti, quando sappiamo benissimo che non è così. Un giorno in cui sarò più arrabbiata del solito magari mi studierò un piano di cause milionarie e mi pago la casa. Cari “amici”, vi prego, non tutti amano la visibilità a tutti i costi, c’è anche chi ama la riservatezza, chi non vuole essere notato, chi alle feste faceva conversazione ad un tavolino invece di dimenarsi in mezzo alla pista. Non siamo tutti uguali.
Seguitando, concepisco questo uso “pubblico” dei propri pensieri per persone che del “pubblico” hanno fatto il proprio mestiere. Uomini di politica, uomini di spettacolo (com’è labile il confine quando entrambi vivono di apparenza!), sportivi, giornalisti. Oppure menti geniali, scienziati, filosofi, artisti che abbiano qualcosa da dare al Mondo, qualcosa degno di essere letto. L’immediatezza nella comunicazione che contraddistingue questi tempi non implica automaticamente che tutto ciò che ci passa per la testa meriti di essere comunicato. A nessuno frega niente di sapere che io stia stirando in tempo reale, o che da piccola mi negavano la Nutella (così ne ho sviluppato una sorta di dipendenza frenetica), oppure che avevo una cotta per Alcor di Goldrake (tipico della sorella minore, visto che Actarus se lo beccava sempre la prima). Sono tutte cose che dico qui adesso perché questo è un diario per me, non mi sognerei mai di obbligare gli “amici” a leggere e magari a dover rispondere. Non parliamo poi se la comunicazione verte su quanto schifo ti fa il lavoro che fai, su quanto riesci ad evitare di impegnarti, su quanto il tuo Capo ti stia sulle scatole, magari tutto questo scritto in orario di lavoro e con il suddetto Capo che può leggerti quando vuole. Allora non sei solo presuntuoso (rifletti se ogni tuo pensiero merita davvero di essere diffuso!), sei anche un po’ stupido. Soprattutto se hai 40 anni e non 20, e a tavola al ristorante non rivolgi la parola a chi non è su “Effebì” (pronunciato proprio così, e-f-f-e-b-i con l’accento). Penso a quel povero cristo che ti paga lo stipendio e ti strozzerei volentieri. Inutile creatura.    

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