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mercoledì 25 gennaio 2012

Marrakech

Tutti i viaggetti fatti negli ultimi anni fuori dall’Italia mi hanno sempre visto in compagnia della mia dolce metà, tranne uno. A Marrakech sono andata con una carissima amica, perché mio marito si era rifiutato in partenza, adducendo le scuse più strane: “E’ pieno di arabi”; beh sì marocchini in effetti, ma mica puoi mandarli via da casa loro. “Ci sono troppi odori forti”; assolutamente, fa parte del suo fascino, dimmi che non ci vuoi venire così facciamo prima e mi cerco un altro compagno di viaggio. Una compagna, in questo caso, una splendida compagna di viaggio perché sotto questo aspetto abbiamo scoperto di intenderci a meraviglia nonostante le nostre diversità. Una compagna che, come me, non ama i divertimenti notturni e mondani, perché a Marrakech non ci vai di certo per ballare tutta la notte, quanto per dormire, di notte, e poterti alzare presto e girarla quando ancora il freddo punge, e per le vie della Medina non c’è ancora la bolgia e puoi respirare i famosi “odori” senza l’oppressione del caldo che arriva poi, e che te li mischia tutti rendendoli in effetti un po’ fastidiosi al naso di un italiano. Una compagna assolutamente felice di dormire in un riad all’interno della Medina, perché non ha senso andare in un posto come Marrakech per starne fuori, in un albergo all’occidentale, bisogna immergersi nei loro usi e costumi, e lasciare che ti coccolino con il rito del the, e che ti preparino le loro pietanze. Una compagna con cui dividere lo stupore per le meraviglie dell’arte islamica (musei, tombe, scuole coraniche), snobbando un po’ i giardini Majorelle o la Piazza Jemaa El-Fna, vale a dire i luoghi in cui tutte le Guide del mondo vogliono che tu vada, ma che non ci hanno trasmesso niente che non fosse solo puro “turismo”. Anche i bambini non sanno dirti altro, ti ci spingono costantemente: “la place, la place!”, perché anche quel rito ci siamo fatte (perderci nel suq, nonostante le piantine), abbiamo distribuito soldini a mezza infanzia locale prima di impuntarci “adesso basta soldi bambino, non me ne frega un cavolo della tua piazza, o mi fai andare dove voglio io o levati dai piedi, tanto gira e rigira prima o poi ci arrivo lo stesso”. Per non parlare del rito dei tappeti, perché non puoi comprare un tappeto e basta, devi fare tutto il percorso con tanto di the e pasticcini, lei che mercanteggiava fino al mal di testa (del resto o così o si offendono) e io estasiata di fronte a tanta capacità: vi assumo tutti! La logica di base è impressionante: “dici quale piace di più – fai un prezzo giusto – adesso che piace e hai fatto prezzo giusto allora compri”. Da provare: “dici quale assicurazione ti serve – dici quanto vuoi spendere – adesso che hai visto che serve e trovato premio giusto allora firma”.
E’ stato un bene, tra l’altro, essere andate in due donne, così volenti o nolenti ci prendevano sul serio (la carta di credito ha sempre un certo appeal); se fossi andata con mio marito non mi avrebbero degnata di uno sguardo ed avrebbero parlato solo con lui, nei negozi, perché così fanno. Io invece “gradirei una maggiore deferenza” (altra citazione cinematografica). Ho trovato un mercante un po’ laido ma molto sveglio che ha capito subito: Aziz, metti via tutte queste schifezze da turisti (collanine, bicchierini, pietre, lampade) e fammi vedere la roba bella davvero. Fuori dal caos ho visto di quelle cose da fuori di testa: frontoni intagliati per porte presi chissà dove, immense specchiere decorate, ceramiche, gioielli… E poi giù gran complimenti, lei la “araba” (piccolina e minuta, ha la pelle olivastra, capelli e occhi scuri) e io invece la “berbera” (perché sono più morbida, con la pelle assolutamente lattea e gli occhi verdi).
Porterò nel cuore per sempre l’emozione di un momento sospeso nel tempo: io e la mia amica, di sera, mentre già calava nuovamente il fresco, sedute nel giardino sul tetto del nostro riad, a piluccare datteri, anacardi ed albicocche ed annusare, respirare, perdere lo sguardo tra i loro rumori (perché Marrakech mi ha fatto un po’ questo strano effetto sensoriale: vedi gli odori, annusi i rumori) parlando di fede. Proprio così, di fede. La mia, ovviamente, perché lei è rigorosamente atea. Ed avendo perso per una grave malattia una sorella (anzi LA sorella, l’unica, a cui era legatissima, come una cosa sola) l’elaborazione del lutto è stata lunga e molto dolorosa, perché per lei sua sorella non esiste più, finita, polvere, stop. Ed io che, inebriata dai tre giorni vissuti lì, con le nenie dei muezzin nelle orecchie (mica le urlano davvero, sono registrate, e crepitano anche un pochino), io che cercavo di convincerla che non è così, lei esiste, esiste, esiste! E’ qui adesso, mentre parli di lei, anzi è con te OGNI volta che parli di lei a qualcuno, ti protegge e ti sta vicino, e quando toccherà a te morire sarà la prima che vedrai, e che ti accompagnerà di là. La vita eterna esiste, non posso non crederci. Come si fa a non essere cattolici? Non è perché mi ci hanno cresciuto, è proprio perché non posso non esserlo. Anche per mio interesse ed egoismo: si vive meglio da cattolici, contrariamente a quanto si pensi. Ho la fortuna di avere Qualcuno che, quando proprio ce l’ho messa tutta e non so cos’altro fare (dai tempi della scuola, al lavoro, alla famiglia, a tutto), lascio che faccia Lui e fa sempre tutto e bene. Come mi sarebbe possibile vivere in serenità quello sputo di vita su questa terra (se va bene 70-80 anni? Cosa sono?) con tutti i casini che una vita adulta comporta, se non fossi assolutamente convinta che poi ci sarà un periodo eterno e senza casini?  
Comunque, tra una lacrima e l’altra – perché ci si commuove sempre, io e lei, quando si parla di queste cose – abbiamo fatto una scommessa tra noi: quando moriremo (e lei riabbraccerà la sorella) dovrà pubblicamente ammettere che avevo ragione, con deferenza. Tanto ho ragione.

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