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domenica 8 gennaio 2012

Tappeti

Uno dei motivi per cui non finirò mai di ringraziare le Gallerie Orler è l’avermi aperto le porte del mondo dei tappeti. In Italia nasciamo (o per lo meno dovremmo nascere) già culturalmente predisposti per amare l’arte, intesa come pittura-scultura-architettura: il nostro patrimonio artistico è immenso, senza pari in Europa per non parlare del resto del mondo. Mi viene in mente una frase di Roddick (tennista USA, per i non addetti) pronunciata a Roma in occasione di uno dei passati  Master; tra lo stupito e l’ammirato disse qualcosa del tipo “Ma vi rendete conto che qui ci sono monumenti che hanno duemila anni”? Cosa che noi italiani troviamo assolutamente normale. La mia educazione familiare mi ha portato in modo naturale verso la conoscenza dell’arte, il mio percorso di studi in qualche modo me ne ha dato approfondimenti; come dire: geneticamente è istintivo ammirare una chiesa, un palazzo storico, un quadro ben fatto.
Solo di recente ho cominciato a considerare il tappeto come una sorta di opera d’arte. Perché può esserlo, davvero. Perché una parete intera di pura seta, annodata per quattro anni da tre persone, può togliere il fiato per bellezza e unicità. Senza contare che con una cifra relativamente contenuta, una cifra con la quale in quanto a pittura non compri assolutamente niente (niente che possa essere degno della parola “pittura”, in termini di qualità e – possibilmente – di eternità), puoi metterti in casa un tappeto eccellente. Non antico magari, ma sicuramente eccellente.
Abbiamo fatto una scelta in tal senso, e siamo contenti. Non lo consideriamo un investimento, ma uno dei tanti step fatti in direzione della ricerca del bello assoluto. Ogni volta che ci passa per la testa (o per le mani) un quadro che corrisponde più o meno a quella cifra, un quadro bello (piccolo magari), un quadro che abbia buone prospettive di rivalutazione, ci diciamo: virtualmente, lo scambieresti? La testa dice sì, ma il cuore dice no. La vista dice no, il tatto dice no. Come ci ha detto Franchino Raccioppo: “Vuoi uno dei tanti quadri che verranno dipinti (cento, mille, diecimila), o vuoi qualcosa di veramente unico”. Siamo collezionisti ingenui e sciocchi, non sappiamo fare gli affari giusti, non diamo alle opere il peso del domani. Ma siamo coscientemente felici.    

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