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domenica 15 gennaio 2012

Sono in astinenza

A proposito di libri, sono in astinenza. Astinenza da buone letture. Nelle ultime settimane infatti non ho aperto un libro, non ho sfogliato una pagina nemmeno di volumi già iniziati (a parte i settimanali d’attualità, ma quelli non danno dipendenza). Ed è tutta colpa di un libro ben preciso di tal Daniel Glattauer, giornalista austriaco, che si intitola “Le ho mai raccontato del vento del Nord”, Feltrinelli Canguri. Povero Daniel, non che lui c’entri poi tanto: con tutti i soldi che ha fatto qui Federico Moccia scrivendo romanzi adolescenziali, perchè non poteva provarci anche lui. Del resto, non è precetto biblico che le uniche letture degne di tale nome siano rappresentate solo da terrificanti mattoni storici, o riflessioni psicologiche sul mutare dei tempi, o saggi di critica letteraria o filosofia. Ci sono anche le letture leggere, da spiaggia, guai se non ci fossero, soprattutto se scritte da gente che sa scrivere ed usa i congiuntivi. Ci sono i legal-thriller. C’è la fantascienza (Asimov, mio mito, unico ed irraggiungibile). Un sacco di roba, quindi.
Il fatto è che questo specifico libro mi è stato consigliato dalla Persona-Che-Mi-Ha-Distrutto, con la quale spesso e volentieri chiacchieravo di libri letti o da leggere, scambiandoci impressioni letterarie che poi erano più emozioni che altro, comparando diversi stili, immergendoci in opinioni diverse ma sempre tenute insieme dall’amore per la lettura in generale, e per la lettura condivisa in particolare.
Quando mi consigliano un libro di solito io vado a curiosare nei siti tipo IBS (basta digitare il titolo e ne escono come minimo una ventina) per vedere le opinioni altrui: di questi tempi, già il fatto che uno legga libri lo rende automaticamente voce degna di essere ascoltata. Mi si è creato un orrendo sospetto vedendo che questo libro era mediamente osannato (meraviglioso, stupendo, fantastico) da Farfalline88, Stelline92 e così via, mentre tutti i vari Stefano, Arturo, ma anche le Patrizia1976 lo stroncavano miseramente. Non che sia un libro brutto, è anche scritto in modo piacevole per la verità (tra l’altro chi ha scelto questo titolo nella traduzione italiana è un grande, perché invoglia, così senza il punto di domanda). Ma è la storia di due deficienti che, dopo una prima mail all’indirizzo errato, cominciano a scriversi e finiscono per “innamorarsi” (obbligatoriamente tra virgolette). Mi poteva star bene se i due in questione avessero avuto 16-17 anni o giù di lì, stile Moccia appunto; anzi, a  quell’età il sogno rappresenta la quotidianità, e guai se non fosse così! E godersela tutta quell’età così stramba, ricca di turbamenti, di crisi, di slanci, di risate e lacrime (tutto contemporaneamente), perché prima o poi la Vita arriva. Invece i due piccioncini hanno 35 anni, un’età in cui trovo impossibile innamorarsi via mail, un’età in cui se ti interessa una persona che vive nella tua stessa città e che sai essere insegnante universitario, come minimo vai a piazzarti fuori del suo ufficio per vedere che faccia ha. Come veste, come si muove, che odore ha. Lui un mezzo bamboccione appena uscito da una storia di quelle che ti bastonano, eterno insicuro e un po’ falso; lei odiosa saccente fastidiosissima, con marito molto più grande e due figli non suoi, alla quale non si sa bene chi ha fatto credere di poter dominare tutto e tutti, di poter avere a disposizione tutto e tutti solo pestando i piedini. Tra l’altro passano quasi tutto il libro a scriversi ma a mia modesta opinione non parlano mai veramente di niente; mai una volta che vadano sul concreto, per esempio con domande tipo (a caso, così come mi passano per la mente): per chi voti? sei favorevole all’eutanasia? qual è l’ultimo libro che hai letto? ti piace il lavoro che fai? hai viaggiato? Tutte domande che possono dar vita bene o male ad un dialogo con cui capire veramente chi è l’altro. Capisco bene che in questo modo non ne sarebbe uscito il libro così com’è, dico solo che – passando sopra al peso della parola “innamorarsi” – questi due non si innamorano per niente l’uno dell’altra, ma dell’IDEA che hanno l’uno dell’altra. Di una proiezione, di un mezzo sogno.
Infatti il libro finisce ma non finisce (c’è anche un seguito, che io NON leggerò), resta appeso lì quasi come il buon Daniel avesse finito l’inchiostro, un po’ come è successo a me quando avevo come amico di penna un ragazzo svedese che si chiamava Pontus. Ma ero al Liceo!
Tornando a me, quando una persona che 30 giorni prima ti ha consigliato di leggere “Suite Francese” di Irene Nemirovsky ti consiglia con la stessa enfasi questo Glattauer qua (una persona che non ha 16 anni, e neanche 26, e neanche 36, e via a salire), se non sei completamente rimbambita ci devi arrivare da sola a capire che è successo qualcosa. Che ci è passato sopra un tir. Che ha preso una botta in testa. Che se comincia a dissertare su quanto profondamente ci si può innamorare di una persona senza vederla, senza sentirla, senza sfiorarla, abbracciarla, cosa secondo me pragmaticamente irreale quando hai finito la scuola da un pezzetto, non ti resta molto prima che arrivi l’addio.
Povero Daniel Glattauer, forse non si merita il mio rancore, ma mi è andato proprio di traverso.

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